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Esterovestizione societaria: tassazione in Italia

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità della tassazione in Italia di una plusvalenza realizzata da una società con sede legale in Lussemburgo. I giudici hanno ritenuto provata l’esterovestizione societaria, in quanto la sede dell’amministrazione e l’oggetto principale dell’attività erano di fatto situati in Italia, rendendo la società fiscalmente residente nel nostro Paese. La Corte ha stabilito che la presunzione di residenza fiscale non era stata superata dalle prove fornite dalla società, rigettando così i ricorsi della contribuente.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Esterovestizione Societaria: Sede Legale Estera non Basta se la Gestione è in Italia

La recente sentenza della Corte di Cassazione, sez. 5 Civile, n. 1301 del 20 gennaio 2025, offre un importante chiarimento sul fenomeno dell’esterovestizione societaria. Questo principio è cruciale per le imprese che operano a livello internazionale. La decisione sottolinea come la localizzazione formale della sede legale di una società all’estero non sia sufficiente a sottrarla alla tassazione italiana se il centro decisionale e gestionale si trova, di fatto, nel nostro Paese. Analizziamo insieme i dettagli di questo caso complesso e le conclusioni a cui sono giunti i giudici.

I Fatti del Caso: Una Complessa Operazione Societaria

La vicenda riguarda una società, originariamente di diritto lussemburghese, che nel 2007 aveva realizzato un’ingente plusvalenza dalla vendita di partecipazioni in una controllata italiana, operante nel settore delle imbarcazioni da diporto. Successivamente, la società aveva trasferito la propria sede in Italia, trasformandosi in una S.r.l.

L’Agenzia delle Entrate ha emesso due distinti atti:
1. Una cartella di pagamento basata sulla dichiarazione dei redditi della società, che aveva liquidato l’imposta (IRES) sulla plusvalenza ma omesso di versarla.
2. Un avviso di accertamento con cui rideterminava il reddito imponibile, sostenendo che la società, già nel 2007, doveva considerarsi fiscalmente residente in Italia. L’Amministrazione Finanziaria ha applicato la presunzione di legge secondo cui una società si considera residente in Italia se il suo management è composto in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

La società ha impugnato entrambi gli atti, dando vita a due procedimenti giudiziari paralleli, culminati entrambi dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Questione dell’Esterovestizione Societaria e la Residenza Fiscale

Il cuore della controversia risiede nell’articolo 73 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), che stabilisce i criteri per determinare la residenza fiscale delle società. La norma prevede una presunzione legale relativa: una società con sede legale all’estero si considera residente in Italia se detiene partecipazioni di controllo in società italiane ed è, a sua volta, controllata da soggetti residenti in Italia o amministrata da un organo composto in prevalenza da residenti.

L’Agenzia delle Entrate ha sostenuto che, nonostante la sede formale in Lussemburgo, il centro decisionale e direttivo della società era in Italia. Le decisioni strategiche venivano prese di fatto dai vertici della controllata italiana, rendendo la holding lussemburghese una mera ‘scatola vuota’, una costruzione formale priva di reale capacità gestionale. Di conseguenza, la plusvalenza realizzata doveva essere tassata secondo le leggi italiane.

Le Decisioni dei Giudici di Merito

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione all’Agenzia delle Entrate. I giudici di merito hanno ritenuto che la società non avesse fornito prove sufficienti per superare la presunzione di residenza in Italia. Al contrario, numerosi elementi indicavano che la sede amministrativa e l’oggetto principale dell’attività fossero radicati nel territorio italiano.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, riuniti i due ricorsi, ha rigettato integralmente le doglianze della società contribuente. Vediamo i punti salienti delle motivazioni.

1. Sulla prova dell’esterovestizione: La Corte ha qualificato come inammissibile il motivo di ricorso con cui la società cercava di ottenere una nuova valutazione delle prove. I giudici di legittimità hanno confermato che l’accertamento della sede effettiva è una valutazione di fatto, non sindacabile in Cassazione se adeguatamente motivata. La Corte Regionale aveva correttamente evidenziato elementi concreti (come la gestione contabile in Italia, la corrispondenza email che provava la direzione dall’Italia, l’assenza di autonomia della holding estera) che dimostravano la fittizietà della sede lussemburghese. La presunzione di residenza italiana non era stata superata.

2. Sulla Convenzione contro le doppie imposizioni: Di conseguenza, è stato respinto anche il motivo basato sulla Convenzione Italia-Lussemburgo. Poiché la società era da considerarsi fiscalmente residente in Italia per il 2007, la potestà impositiva sulla plusvalenza spettava legittimamente allo Stato italiano.

3. Sulla duplicazione degli atti: La Corte ha ritenuto inammissibile anche la censura relativa alla presunta doppia imposizione derivante dall’emissione sia della cartella di pagamento che dell’avviso di accertamento. I giudici hanno chiarito che la duplicità dell’azione dell’Agenzia derivava da una duplice attività della contribuente stessa (prima una dichiarazione con omesso versamento, poi una dichiarazione integrativa a zero). In ogni caso, la società può tutelarsi da un’eventuale duplicazione del prelievo con gli strumenti previsti, come l’opposizione all’esecuzione.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale del diritto tributario internazionale: il criterio della sede di direzione effettiva prevale su quello della sede legale formale. Le imprese devono prestare la massima attenzione a non creare strutture societarie all’estero che siano mere ‘schermature’ prive di sostanza economica e autonomia gestionale. L’Amministrazione Finanziaria ha il potere di riqualificare tali assetti come esterovestizione societaria, con la conseguenza di assoggettare a tassazione in Italia i redditi formalmente prodotti all’estero. La sentenza conferma che l’onere di provare la reale operatività e autonomia della sede estera grava interamente sul contribuente.

Quando una società con sede legale all’estero può essere considerata fiscalmente residente in Italia?
Una società estera è considerata fiscalmente residente in Italia quando la sede della sua amministrazione effettiva o l’oggetto principale della sua attività si trovano nel territorio italiano per la maggior parte del periodo d’imposta. La legge prevede anche una presunzione di residenza se la società è controllata da soggetti residenti in Italia o amministrata da un consiglio composto in prevalenza da residenti.

Quali prove può usare l’Agenzia delle Entrate per dimostrare l’esterovestizione societaria?
L’Agenzia può basarsi su una serie di elementi di fatto, come il luogo da cui provengono le direttive gestionali, la residenza degli amministratori che prendono le decisioni chiave, il luogo dove viene tenuta la contabilità e dove si svolgono le principali attività operative. Nel caso di specie, sono state decisive la mancanza di partecipazione degli amministratori formali alle assemblee e la gestione degli adempimenti curata di fatto in Italia.

È possibile impugnare una cartella di pagamento per motivi che riguardano il merito della pretesa fiscale?
Sì. La Corte di Cassazione, richiamando un principio consolidato, afferma che se la cartella di pagamento è il primo atto con cui il contribuente viene a conoscenza della pretesa fiscale, essa può essere impugnata non solo per vizi propri, ma anche per contestare nel merito la fondatezza dell’imposta richiesta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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