Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1301 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1301 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/01/2025
AVVISO DI ACCERTAMENTO E CARTELLA DI PAGAMENTO -IRES 2007
Consigliere
– N. 17375/2018 UP – 17/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi riuniti iscritti ai nn. 7393/2016 R.G. e 17375/2018 R.G., proposti da:
Ricorso n. 7393/2016 R.G.:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante protempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo st udio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale allegata al ricorso,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente/ricorrente in via incidentale –
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro-tempore,
-intimata.
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 3835/28/2015, depositata il 15 settembre 2015;
-Ricorso n. 17375/2018 R.G.:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante protempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale allegata al ricorso,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente/ricorrente in via incidentale -avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 4973/24/2017, depositata il 29 novembre 2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 ottobre 2024 dal consigliere relatore dott. NOME COGNOME
dato atto che il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME ha chiesto il rigetto di tutti i ricorsi;
FATTI DI CAUSA
1. All’esito di controllo automatizzato ex art. 36 -bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 sulla dichiarazione dei redditi Mod. Unico 2008 (anno d’imposta 2007), l’Agenzia delle Entrate notificava, in data 16 novembre 2010, alla società RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE società di diritto lussemburghese), comunicazione con la quale contestava l ‘ omesso versamento ai fini IRES della somma di € 6.153.649,00 (sulla base di un reddito imponibile dichiarato di € 18.647.420,00), oltre sanzioni ed interessi.
Alla base dell’emissione della cartella di pagamento vi era la cessione di una partecipazione posseduta dalla società ricorrente nella società RAGIONE_SOCIALE, realizzata tramite collocazione delle relative azioni sul mercato azionario nel 2007. Tale cessione avrebbe generato una plusvalenza da cessione di partecipazione per € 122.965.568,00, iscritta dalla società nel conto economico.
In applicazione dell’allora disciplina vigente in merito alla participation exemption , tale plusvalenza era stata inserita in dichiarazione a titolo di plusvalenza esente, in misura pari all’84% (€ 103.291.077,00), mentre il resta n te 16% (€ 19.674.491,00) costituiv a reddito imponibile per l’annualità in questione.
La determinazione della base imponibile IRES, secondo i dati esposti nel quadro RF del Mod. Unico 2008 (presentata dalla RAGIONE_SOCIALE quale soggetto non residente sul territorio italiano) , ammontava ad € 18.647.420,00, cui corrispondevano imposte dovute per € 6.153.649,00, che la società liquidava ma non versava.
In data 14 luglio 2011, pertanto, la concessionaria della riscossione RAGIONE_SOCIALE notificava alla RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE cartella di pagamento n. 068-2011-0208500366, avente ad oggetto l’iscrizione a ruolo della somma di € 6.153.649,00.
1.1. La società contribuente impugnava la cartella di pagamento in questione dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano la quale, con sentenza n. 2705/24/2014, depositata il 18 marzo 2014, rigettava il ricorso.
1.2. Interposto gravame dalla contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 3835/28/2015, pronunciata il 19 giugno 2015 e depositata in segreteria il 19 giugno 2015, rigettava l’appello, confermando la sentenza impugnata e condannando l’appell ante alla rifusione delle spese di lite.
1.3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE sulla base di cinque motivi (ricorso notificato il 18 marzo 2016).
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, la quale propone altresì ricorso incidentale, sulla base di un unico motivo.
Non si è costituita in giudizio il concessionario per la riscossione RAGIONE_SOCIALE, rimasta intimata.
Con avviso di accertamento n. T9B03CW02777/2012, notificato il 28 giugno 2012, l’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale I di Milano rideterminava in aumento ai fini IRES, per l’anno d’imposta 2007, il re ddito della società RAGIONE_SOCIALE per un importo pari alla plusvalenza derivante -quando tale società era residente in Lussemburgo, sotto la ragione sociale RAGIONE_SOCIALE – dalla cessione di partecipazioni
societarie qualificate nella società controllata di diritto italiano RAGIONE_SOCIALE, per un valore di € 19.674.491,00 (in regime di participation exemption ex art. 87 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 ), sulla base di una plusvalenza dichiarata in € 122.965.568,41, e con una maggiore imposta IRES di € 6.153.649,00, oltre interessi e sanzioni.
In particolare, sebbene formalmente residente in Lussemburgo e l’operazion e era compiuta dalla RAGIONE_SOCIALE, allora holding del gruppo RAGIONE_SOCIALE (operante nel settore delle imbarcazioni da diporto), con successivo trasferimento della sede in Italia e assunzione della denominazione RAGIONE_SOCIALE (giusta delibera del 9 ottobre 2008), l’Amministrazione finanziaria riteneva, in applicazione dell’art. 7 3, commi 3 e 5bis , d.P.R. n. 917/1986, che già al momento della cessione azionaria la società di diritto lussemburghese avesse sede in Italia, e quindi fosse ivi soggetta all’imposta sul reddito.
2.1. Avverso tale avviso di accertamento la RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano la quale, con sentenza n. 1728/24/2016, depositata il 25 febbraio 2016, lo rigettava.
2.2. Interposto gravame dalla società contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 4973/24/2017, pronunciata il 26 settembre 2017 e depositata in segreteria il 29 novembre 2017, rigettava l’appello, condannando l’app ellante alla rifusione delle spese di lite.
2.3. Avverso tale ultima sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE sulla base di cinque motivi (ricorso notificato il 6 giugno 2018).
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, la quale propone altresì ricorso incidentale, sulla base di un unico motivo.
Con decreto del 14 giugno 2024 è stata fissata per la discussione di entrambi i ricorsi l’udienza pubblica del 17 ottobre 2024.
All ‘udienza suddetta è comparso il procuratore dell’Agenzia delle Entrate, che ha concluso come da verbale in atti.
E’ intervenuto il Pubblico Ministero, che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei ricorsi n. 7393/2016 R.G. e n. 17375/2018 R.G., per ragioni di connessione soggettiva (identità di parti) ed oggettiva (accertamento della medesima imposta).
Appare opportuno, per ragioni di esposizione logicogiuridica, iniziare l’esame con il ricorso n. 17375/2018 R.G.
2.1. Il ricorso principale in questione è affidato, come si è detto, a cinque motivi.
2.1.1 Con il primo motivo di ricorso principale la ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 73, commi 3 e 5bis , del d.P.R. n. 917/1986, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, che erroneamente la C.T.R. aveva ritenuto operante la presunzione di cui all’art. 73, comma 5 -bis , cit., secondo la quale, a determinate condizioni, si considera esistente nel territorio italiano la sede dell’amministrazione di società ed enti, in quanto ella aveva fornito documentazione (delibere del consiglio di
amministrazione; certificati di residenza degli amministratori e dei soci; indicazione di conti correnti operanti nel territorio in cui è istituita la sede sociale; produzione di accordi di finanziamento) idonea a superare tale presunzione, ed a dimostrare come la sede effettiva della società, nell’anno 2007, fosse nel Granducato di Lussemburgo.
2.1.2. Con il secondo motivo di ricorso si eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Rileva, in particolare, la ricorrente, che la sentenza impugnata era priva di motivazione, nella parte in cui riteneva esistente in Italia la sede amministrativa della società.
2.1.3. Con il terzo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 13 della Convenzione tra Italia e Lussemburgo sulle doppie imposizioni (Convenzione del 3 giugno 1981, ratificata in Italia con l. 14 agosto 1982, n. 747) , in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, che, per l’anno d’imposta 2007, la società contribuente doveva ritenersi fiscalmente residente in Lussemburgo, per cui, poiché la plusvalenza oggetto di tassazione derivava da cessione di titoli azionari a seguito di quotazione della RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE sul mercato della Borsa Valori di Milano, ai sensi del comma 3 dell’art. 13 della Convenzione citata gli utili provenienti da tale cessione avrebbero dovuto essere imponibili nello Stato contraente in cui l’alienante era residente.
2.1.4. Con il quarto motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE eccepisce l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c.
Poiché il trasferimento in Italia della RAGIONE_SOCIALE (divenuta RAGIONE_SOCIALE) era avvenuto in regime di discontinuità giuridicotributaria (in quanto la società era stata cancellata dal registro delle imprese lussemburghese, e quindi era da considerare estinta in quel Paese), il recepimento dei beni della RAGIONE_SOCIALE in capo alla RAGIONE_SOCIALE si sarebbe dovuto verificare a valore di mercato, e quindi sarebbe stato necessario procedere all’esatta attribuzione del valore suddetto alla partecipazione in RAGIONE_SOCIALE s.p.a. oggetto di IPO in Borsa; conseguentemente, il valore di carico per determinare il capital gain dell’RAGIONE_SOCIALE coincideva con il valore di collocamento e sottoscrizione sul mercato telematico delle azioni RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE, per cui tale capital gain tendeva ad azzerarsi.
2.1.5. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente eccepisce, ancora, l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c.
Deduce, in particolare, che, avendo l’Ufficio emesso, con riferimento all’anno d’imposta 2007, anche la cartella di pagamento n. 068-2011-0208500366, emessa a seguito di controllo automatizzato e riguardante la medesima imposta, l’Ufficio aveva realizzato una doppia imposizione nei confronti della contribuente, sulla base del medesimo presupposto impositivo.
2.2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale l’Agenzia delle Entrate eccepisce violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992, ed in particolare vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Rileva, in particolare, che la C.T.R., nel respingere l’ultimo motivo di appello, aveva quantificato la plusvalenza contabile in € 122.965.568,00, con una plusvalenza tassabile considerando la participation exemption -di € 19.674.491,00, da cui a sua volta derivata un’imposta di € 6.153.649,00, mentre, in realtà, il totale dei ricavi comprensivi della plusvalenza ammontava ad € 127.711.681,72, da cui derivava un reddito imponibile (al netto della participation exemption ) di € 21.409.114,95, che determi nava un’IRES di € 7.065.008,00.
Così delineati i motivi di ricorso principale ed incidentale, la Corte osserva quanto segue.
3.1. Il primo motivo di ricorso principale è inammissibile.
La ricorrente, in realtà, non lamenta una violazione di legge (in particolare, dell’art. 73, comma 5 -bis , d.P.R. n. 917/1986), ma lamenta esclusivamente la valutazione degli elementi di prova effettuata dalla Corte territoriale, con riferimento all’effettività della sede della RAGIONE_SOCIALE nell’anno d’imposta 2007 (ritenuta esistente in Italia, e non nel Granducato di Lussemburgo), fornendo una valutazione alternativa idonea, a suo dire, a superare -contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R. la presunzione di cui all’art. 73, comma 5bis , cit.
In effetti, la Corte regionale dà atto, nella sentenza impugnata, di una serie di elementi di fatto (mancanza di
partecipazione degli amministratori di quest’ultima alle assemblee delle società operative, ed assenza di indirizzi per i soggetti che vi partecipavano in loro vece; redazione e cura della documentazione contabile in Italia, da parte dello studio di consulenza RAGIONE_SOCIALE, lo stesso della RAGIONE_SOCIALE; corrispondenza tramite e-mail del dott. NOME COGNOME direttore commerciale della RAGIONE_SOCIALE, dalla quale risultava che era costui a curare gli adempimenti ed ottenere le necessarie deleghe dalla holding lussemburghese per un serie di operazioni con altre società del gruppo), dai quali risulta che fossero situate nel territorio italiano la sede amministrativa e l’oggetto principale della RAGIONE_SOCIALE dal momento che essa era da considerare una fittizia articolazione formale, priva di reale capacità gestionale, della capogruppo RAGIONE_SOCIALE, cui invece faceva capo in via esclusiva la direzione delle società del gruppo.
Sulla base di tali elementi, pertanto, tenendo conto anche nell’immediato successivo trasferimento in Italia della società holding (una volta perfezionata l’operazione di dismissione azionaria), la C.T.R. ha ritenuto non superata la presunzione di cui all’art. 73, comma 5 -bis , lett. b ), d.P.R. n. 917/1986, secondo la quale sono da considerare residenti in Italia le società amministrate da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.
Trattasi di accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, ragion per cui il motivo in questione -proponendo, sostanzialmente, una valutazione alternativa del
materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio -deve ritenersi inammissibile.
3.2. Il secondo motivo è infondato.
Come è noto, il sindacato di legittimità sulla motivazione è circoscritto alla verifica del rispetto del c.d. minimo costituzionale, nel senso che l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza – nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile. Infatti, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c. , non è più consentito censurare in sede di legittimità la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione, essendo evidente che ammettere, in sede di legittimità, la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (da ultimo, Cass. 28 aprile 2023, n. 11263; Cass. 7 aprile 2023, n. 9543).
A tal proposito, la violazione del principio del c.d. minimo costituzionale è individuabile nei soli casi – che si tramutano in vizio di nullità della sentenza per difetto del requisito di cui all’articolo 132, comma 2, num. 4), c.p.c., e, nel processo tributario, all’art. 36, comma 2, num. 4), d.lgs. n. 546/1992 – di «mancanza assoluta di motivi sotto il profilo materiale e grafico», di «motivazione apparente», di «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili» e di «motivazione perplessa od incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza della mera «insufficienza» o «contraddittorietà» della motivazione (Cass. 18 agosto 2023, n. 24808).
Nel caso di specie, tale minimo costituzionale appare sicuramente raggiunto in quanto, come si è visto, la C.T.R. ha ampiamente motivato in merito alle ragioni per le quali, in punto di fatto, ha ritenuto che la presunzione di residenza in Italia della società RAGIONE_SOCIALE ex art. 73, comma 5bis , lett. b ), d.P.R. n. 917/1986 non fosse stata superata, indicando tutta una serie di elementi di fatto che deponevano in tal senso.
3.3. Anche il terzo motivo è infondato.
Si ribadisce che la C.T.R. ha ritenuto -con valutazione di fatto insindacabile in questa sede -che la residenza effettiva della RAGIONE_SOCIALE , nell’anno 2007, fosse in Italia, per cui correttamente è stata ritenuta la legittimità dell’accertamento operato dall’Ufficio, sulla base del presupposto che gli utili derivanti dalla cessione delle quote della RAGIONE_SOCIALE fossero imponibili in Italia, proprio in applicazione dell’art. 13, comma 3, della Convenzione Italia-Lussemburgo contro le doppie imposizioni.
3.4. Il quarto motivo deve invece ritenersi inammissibile.
Ed invero, nel motivo in questione non viene indicato alcun fatto storico specifico, decisivo ai fini del giudizio, il cui esame sarebbe stato omesso.
In ogni caso, vertendosi in ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’, avendo la C.T.R. confermato la pronuncia di primo grado, il motivo in questione sarebbe comunque inammissibile, ai sensi dell’art. 348 -ter , comma 5, c.p.c. .
3.5. Anche il quinto motivo è inammissibile, stante la conformità della sentenza di secondo grado con quella di primo grado, e non avendo, la contribuente, indicato uno specifico fatto storico, decisivo per il giudizio, il cui esame era stato omesso.
In ogni caso, va evidenziato che la duplicità dell’azione accertatrice dell’Agenzia delle Entrate trae origine da una duplice attività della contribuente, che dapprima ha presentato una dichiarazione in cui è stata esposta la plusvalenza, e rispetto alla quale l’Ufficio ha contestato l’omesso versamento dell’imposta ai sensi dell’art. 36 -bis d.P.R. n. 600/1973, e, dall’altro, ha presentato una dichiarazione integrativa, in cui la società ha indicato l’operazione di cessione delle azioni RAGIONE_SOCIALE come non imponibile in Italia, il che ha dato luogo all’avviso di accertamento cui si riferisce il presente giudizio.
Naturalmente, questa duplicazione non comporta necessariamente un doppio prelievo da parte dell’Ufficio, e, in ogni caso, contro un’eventuale duplicazione la RAGIONE_SOCIALE potrà avvalersi degli strumenti previsti dall’ordinamento, quale l’opposizione all’ esecuzione ovvero l’istanza di rimborso.
Il motivo di ricorso incidentale proposto dall’Ufficio è, dal canto suo, inammissibile.
Ed invero, stante il rigetto integrale del ricorso del contribuente da parte sia della C.T.P. che della C.T.R., l’unica ed effettiva somma che l’Ufficio è legittimato a richiedere è solo quella indicata nell’avviso di accertamento che si consolida per effetto del rigetto del ricorso proposto dal contribuente, sicché , sul punto, l’Amministrazione finanziaria non ha uno specifico interesse ad impugnare, salva, eventualmente, una possibile richiesta di correzione di errore materiale.
Occorre ora procedere ad esaminare il ricorso n. 7393/2016 R.G.
5.1. Il ricorso principale, come si è visto, è affidato a cinque motivi.
5.1.1. Con il primo motivo la RAGIONE_SOCIALE eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, l’erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto inammissibili, ai sensi dell’art. 19, comma 3, d.lgs. cit., le ulteriori eccezioni afferenti alla potestà impositiva dell’Amministrazione finanziaria, già rigettate dai giudici di primo grado, ed al calcolo della
plusvalenza, sul presupposto che trattavasi di questioni che non riguarderebbero vizi propri della cartella esattoriale impugnata, in quanto tale cartella era il primo atto con il quale la pretesa impositiva era venuta a conoscenza della contribuente, e quindi i vizi denunciabili avrebbero potuto riguardare non solo quelli propri della cartella, ma anche quelli afferenti alla sussistenza del presupposto impositivo.
5.1.2. Con il secondo motivo di ricorso la società contribuente eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 8bis del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 (regolamento recante modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all’imposta regionale sulle attività produttive e all’imposta sul valore aggiunto), in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, che la dichiarazione integrativa al Mod. Unico 2008 per l’anno d’imposta 2007, presentata il giorno 17 novembre 2010, fosse da considerare tempestiva, in quanto il termine per la sua presentazione corrispondeva a 48 mesi.
5.1.3. Con il terzo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 13 della Convenzione tra Italia e Lussemburgo contro le doppie imposizioni (Convenzione del 3 giugno 1981, ratificata in Italia con l. 14 agosto 1982, n. 7 47), in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, che, nell’anno d’imposta 2007, la società RAGIONE_SOCIALEdivenuta RAGIONE_SOCIALE solo a seguito del trasferimento in Italia della sede sociale nel 2008) era fiscalmente residente in Lussemburgo, poiché ivi erano
effettivamente localizzati sia la sede legale, sia la sede di direzione effettiva, sia l’oggetto sociale, e pertanto la plusvalenza realizzata dalla plusvalenza derivante dalle cessioni delle azioni della RAGIONE_SOCIALE era stata realizzata da soggetto non residente in Italia, e quindi non era ivi tassabile.
5.1.4. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente eccepisce l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Rileva, in particolare, che, poiché il trasferimento in Italia della RAGIONE_SOCIALE (divenuta RAGIONE_SOCIALE) era avvenuto in regime di discontinuità giuridico-tributaria (in quanto la società era stata cancellata dal registro delle imprese lussemburghese, e quindi era da considerare estinta in quel Paese), il recepimento dei beni della RAGIONE_SOCIALE in capo alla RAGIONE_SOCIALE si sarebbe dovuto verificare a valore di mercato, e quindi sarebbe stato necessario procedere all’esatta attribuzione del valore suddetto alla partecipazione in RAGIONE_SOCIALE oggetto di IPO in Borsa; conseguentemente, il valore di carico per determinare il capital gain dell’RAGIONE_SOCIALE coincideva con il valore di collocamento e sottoscrizione sul mercato telematico delle azioni RAGIONE_SOCIALE, per cui tale capital gain tendeva ad azzerarsi.
5.1.5. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente eccepisce, ancora, l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c.
Deduce, in particolare, che, avendo l’Ufficio emesso, con riferimento all’anno d’imposta 2007, anche l’avviso di accertamento n. T9B03CW02777/2012, riguardante la
medesima imposta, la C.T.R. avrebbe dovuto, prima ancora di procedere all’analisi in ordine alla validità della dichiarazione integrativa resa nel 2010, focalizzare la propria attenzione sull’esistenza della dichiarazione dei redditi (contenuta nel Mod. Unico 2008) per l’annualità 2007.
5.2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale l’Agenzia delle Entrate eccepisce nullità della sentenza per violazione dell’art. 56 d.lgs. n. 546/1992, nonché degli artt. 112 e 329 c.p.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice di rito.
Rileva, in particolare, che le questioni relative alla potestà impositiva dell’Amministrazione fina nziaria e al calcolo della plusvalenza erano state proposte in primo grado (e ritenute inammissibili, in quanto non relative a vizi propri della cartella) e non riproposte in appello, per cui la C.T.R. avrebbe dovuto dichiarare l’intervenuto passaggio in giudicato, in parte qua , della sentenza impugnata.
6 . Procedendo quindi all’esame dei singoli motivi di ricorso principale, osserva la Corte quanto segue.
6.1. Il primo motivo è inammissibile.
Ed invero, la ricorrente censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, pur in presenza di una cartella esattoriale emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36bis d.P.R. n. 600/1973, ha dichiarato l’inammissibilità delle eccezioni afferenti alla potestà impositiva dell’Amministrazione finanziaria ed al calcolo della plusvalenza, sul presupposto che non si tratterebbe di vizi propri della cartella impugnata.
Tale assunto, in effetti, contrasta con quanto sostenuto a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, qualora la predetta cartella costituisca il primo ed unico atto col quale la pretesa fiscale è comunicata al contribuente (come nel caso di specie), essa è come tale impugnabile, ex art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva (v. da ultimo Cass., sez. un., 25 giugno 2021, n. 18298).
Peraltro, quand’anche, nella fattispecie in esame, risulti inviata una comunicazione preventiva (o avviso bonario), e quindi un atto pur impugnabile (in quanto esprimente una pretesa impositiva nei confronti del contribuente), anche se non indicato espressamente tra quelli impugnabili ai sensi dell’art. 19 cit., in ogni caso la mancata impugnazione di tali atti non determina la non impugnabilità (e quindi la cristallizzazione) di quella pretesa, che va successivamente reiterata in un atto rientrante tra quelli espressamente impugnabili.
Orbene, come il ricorrente evidenzia nel proprio controricorso al ricorso incidentale, l’atto di appello manifestava chiaramente la volontà di riproporre innanzi alla Corte regionale le specifiche doglianze riguardanti la potestà impositiva dell’Amministrazione ed il calcolo della plusvalenza, onde sul punto non può considerarsi formato alcun giudicato interno.
Tuttavia, per quanto però osservato in relazione al precedente ricorso, tutte le questioni afferenti al merito della pretesa impositiva devono considerarsi prive di pregio. Ciò comporta la sostanziale irrilevanza del vizio censurato e della
sua astratta fondatezza, in quanto, pur avendo il giudice di secondo grado errato nel trascurare l’esame delle censure meritali, queste ultime non possono, per quanto osservato in precedenza, trovare condivisione.
6.2. Il secondo motivo è infondato.
Ed invero, la società ricorrente, in data 17 dicembre 2010, presentava dichiarazione integrativa ex art. 2, comma 8bis , d.P.R. n. 322/1998, facendo presente che, per l’anno d’imposta 2007, la società RAGIONE_SOCIALE (poi trasferitasi in Italia con la denominazione RAGIONE_SOCIALE) aveva erroneamente compilato il Mod. Unico, non avendo realizzato alcuna plusvalenza ma, al contrario, avendo registrato una perdita pari ad € 1.027.071,00, per cui nulla era tenuta a versare all’Erario.
Orbene, «in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8bis , ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria».
Nel caso in esame, mirando la dichiarazione integrativa ad emendare un errore in danno del contribuente, essa doveva
essere depositata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo successivo, ragion per cui essa è stata correttamente ritenuta tardiva.
6.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Ed invero, come si è visto in relazione al primo motivo riguardante l’altro giudizio, con riferimento all’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE/2012, la società RAGIONE_SOCIALE già nel 2007, risultava essere in realtà residente in Italia, sulla base di una serie di valutazioni in fatto incensurabili in questa sede.
In ogni caso, il motivo in questione non contiene una specifica indicazione delle parti della sentenza impugnata che si intendono censurare, e che si assumono in contrasto con le norme richiamate, in quanto, all’interno dello stesso, non si rinviene alcun riferimento alle affermazioni della C.T.R. o al procedimento logico-argomentativo utilizzato dalla stessa nella sentenza oggetto di impugnazione, ragion per cui, anche sotto questo profilo, esso è comunque da considerare inammissibile.
6.4. Anche il quarto motivo è inammissibile.
Ed invero, nel motivo in questione non viene indicato alcun fatto storico specifico, decisivo ai fini del giudizio, il cui esame sarebbe stato omesso.
In ogni caso, vertendosi in ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’, avendo la C.T.R. confermato la pronuncia di primo grado, il motivo in questione sarebbe comunque inammissibile, ai sensi dell’art. 348 -ter , comma 5, c.p.c. (vigente pro-tempore al momento della proposizione del ricorso, norma ora riproposta nell’art. 360, comma 4, c.p.c.)
6.5. Inammissibile deve ritenersi anche il quinto motivo.
Va, infatti, innanzitutto evidenziata la conformità della sentenza di secondo grado con quella di primo grado, né la contribuente ha indicato uno specifico fatto storico, decisivo per il giudizio, il cui esame era stato omesso.
In ogni caso, deve rilevarsi che la duplicità dell’azione accertatrice dell’Agenzia delle Entrate trae origine da una duplice attività della contribuente, che dapprima ha presentato una dichiarazione in cui è stata esposta la plusvalenza, e rispetto alla quale l’Ufficio ha contestato l’omesso versamento dell’imposta ai sensi dell’art. 36 -bis d.P.R. n. 600/1973, e, dall’altro, ha presentato una dichiarazione integrativa, in cui la società ha indicato l’operazione di cessione delle azioni RAGIONE_SOCIALE come non imponibile in Italia, il che ha dato luogo all’avviso di accertamento cui si riferisce il presente giudizio.
Naturalmente, questa duplicazione non comporta necessariamente un doppio prelievo da parte dell’Ufficio, e, in ogni caso, contro un’eventuale duplicazione la RAGIONE_SOCIALE potrà avvalersi degli strumenti previsti dall’ordinamento, quale l’opposizione all’esecuzione ovvero l’istanza di rimborso.
Infondato è anche l’unico motivo di ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate.
Come si è visto con riferimento al primo motivo di ricorso, l’atto di appello manifestava chiaramente la volontà di riproporre innanzi alla Corte territoriale le specifiche doglianze riguardanti la potestà impositiva
dell’Amministrazione ed il calcolo della plusvalenza, onde sul punto non può considerarsi formato alcun giudicato interno.
Consegue il rigetto integrale di entrambi i ricorsi principali, e dei ricorsi incidentali.
Le spese di giudizio seguono la sostanziale e prevalente soccombenza della ricorrente principale nei confronti dell’Agenzia delle Entrate , secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Nulla per le spese nei confronti della RAGIONE_SOCIALE Ricorrono i presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente principale, di un importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quate r, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Con riferimento, invece, ai ricorsi incidentali proposti dall’Agenzia delle Entrate, trattandosi di soccombenza relativa a parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere Amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1quater .
P. Q. M.
La Corte dispone la riunione del ricorso n. 17375/2018 R.G. al ricorso n. 7393/2016 R.G.
Rigetta i ricorsi principali ed i ricorsi incidentali.
Condanna la RAGIONE_SOCIALE alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in complessivi € 32.000,00 per compensi (€ 16.000,00 per ciascun ricorso), oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente RAGIONE_SOCIALE, di un importo pari al contributo unificato previsto per le presenti impugnazioni, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2024.