Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5924 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 5924 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7682/2021 R.G. proposto da:
NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE).
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA RAGIONE_SOCIALE DELLO STATO (P_IVA), che ex lege la rappresenta e difende.
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. EMILIA-ROMAGNA n. 860/2020 depositata il 18/08/2020.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il P.M. nella persona del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito l’AVV_NOTAIO che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udito l’Avvocato dello Stato, NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE impugnava gli avvisi di liquidazione di maggiore imposta di registro e gli avvisi di rettifica di valore notificati dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in relazione all’operazione di conferimento nella società, con sede a Londra, di beni immobili (fabbricati e terreni), dietro attribuzione di azioni per il corrispondete valore (euro 1.344.000,00), come da perizia giurata, al netto del diritto di abitazione vitalizio, giusta rogito, in data 28/1/2014, del AVV_NOTAIO, di Ferrara, che prevedeva anche l’accollo, da parte della conferitaria, RAGIONE_SOCIALE ultime due rate del un mutuo ipotecario gravante su alcuni immobili; le predette azioni venivano convertite in titoli al portatore fiduciariamente consegnati a società finanziarie inglesi.
Con gli avvisi di liquidazione l’RAGIONE_SOCIALE contestava l’applicazione dell’imposta di registro nella misura fissa (euro 200,00) di cui all’art. 4 della nota IV, parte I, lett. a) della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, e pretendeva il pagamento dell’imposta di registro nella misura proporzionale, sul rilievo che la società non era inglese ma italiana, e con gli avvisi di rettifica contestava anche il valore di alcuni fabbricati e terreni, recuperando a tassazione la maggiore imposta di registro conseguentemente dovuta, a tale titolo, dai coobbligati contribuenti.
L’adita CTP di Ferrara accoglieva i ricorsi, trattandoli alla medesima udienza e pronunciando altrettante sentenze, sostanzialmente identiche, nelle quali si evidenziava che non v’era stato alcun contratto simulato, avendo i contribuenti inteso utilizzare al meglio il proprio patrimonio immobiliare, ubicato in Italia, mantenendo il diritto di abitazione dell’appartamento in cui vivevano, che la società aveva sede a Londra e dai verbali emergeva che le riunioni degli organi sociali erano ivi tenute, che lo svolgimento di attività al di fuori del territorio nazionale non era stata provata dall’Ufficio, a nulla rilevando la non consistenza degli incrementi patrimoniali intervenuti nel triennio intercorso tra il conferimento e l’accertamento, stante piuttosto l’interesse della società a scommettere sull’andamento del mercato immobiliare e su eventuali varianti urbanistiche dei terreni conferiti, mentre, sulla rideterminazione di valore, il giudice di primo grado escludeva la decisività dei valori OMI.
La CTR della Emilia Romagna in accoglimento parziale dell’appello dell’RAGIONE_SOCIALE e respingendo quello incidentale della contribuente, evidenziava che l’Ufficio non aveva dedotto la natura simulata del contratto ma, come riportato negli avvisi, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro in misura non fissa bensì proporzionale, la mancanza di una sede effettiva nel Regno Unito, al di là della mera titolarità di una domiciliazione formale come sede legale, nonché l’assenza di qualsivoglia attività economica svolta nello stato estero.
Il giudice di appello, dopo aver ricostruito le motivazioni e gli effetti dell’operazione di ‘cartolarizzazione’ tassata, nonché esclusa tanto la simulazione, quanto la pertinenza del richiamo all’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 (non utilizzato dall’Ufficio), concludeva nel senso che «un aumento di capitale effettuato da soggetti residenti all’interno del territorio italiano mediante conferimento ad una società di diritto inglese della proprietà di loro porzioni immobiliari appare – in modo incontrovertibile – uno strumento pienamente elusivo perché non rispondente ad altra ragione di natura economica se non il conseguimento di un indebito vantaggio fiscale.»
La sentenza della CTR riduceva, invece, il valore rettificato dall’Ufficio di alcuni terreni, siti in Rovigo, avuto riguardo ai dati ricavabili dagli atti comparativi
presi a riferimento dall’Ufficio, e rideterminava così la maggiore imposta da recuperare.
Avverso la sentenza di appello i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati con memoria.
L’RAGIONE_SOCIALE si è costituita con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 e n. 4 cod.proc.civ., la violazione della legge n. 329 del 1990 e dell’art. 46 cod.civ., nonché dell’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, nonché la nullità della sentenza impugnata per assenza e illogicità della motivazione e per violazione degli artt. 112 cod.proc.civ. e 2697 cod.civ., laddove la decisione della CTR ha valorizzato, ai fini della localizzazione della sede della impresa, un criterio meramente soggettivo qual è quello RAGIONE_SOCIALE ragioni economiche sottese alle operazioni poste in essere dai contribuenti italiani, individuabili nel «mero godimento da parte dei soci» degli immobili attribuiti alla società, per cui l’unico oggetto della società estera sarebbe «quello di gestire gli immobili siti in territorio italiano ed il centro effettivo degli interessi della società rimane perciò in Italia.» Deduce la ricorrente che al fine di determinare il luogo in cui ha sede un ente o società occorre fare riferimento ad un criterio oggettivo (Registri RAGIONE_SOCIALE imprese, atto costitutivo), venendo in rilievo la legge n. 329 del 1990 (Convenzione tra il Governo della Repubblica Italiana ed il Governo del Regno Unito di Gran Bretagna e d’Irlanda del nord per evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito) che all’art. 4, comma 1, prevede: ‘ Ai fini della presente Convenzione, l’espressione “residente di uno Stato contraente” designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro criterio di natura analoga. Tuttavia, tale espressione non comprende le persone che sono imponibili in questo Stato contraente soltanto per i redditi provenienti da fonti ivi situate. ‘ Aggiunge la ricorrente che
COGNOME, come risulta dai verbali dell’organo Amministrativo, adotta le proprie decisioni relative alla gestione dell’attività , con rilevanza esterna (bilanci e adempimento obblighi tributari), nel Regno Unito, dove hanno la residenza i dirigenti della società medesima (la Amministratrice COGNOME dall’anno 2012 ), e che le certificazioni fiscali rappresentano una ‘presunzione’ che va tenuta in considerazione dall’Amministrazione finanziaria dello Stato che pretend a di disconoscere il dato formale, gravandola della prova della natura fittizia di tali dati.
Con il secondo motivo di ricorso la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod.proc.civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 10 bis., l. n. 212 del 2000 (Statuto del Contribuente) e dell’art. 53, d.P.R. n. 131 del 1986, laddove la CTR non ha correttamente considerato la dedotta violazione del principio del contraddittorio preventivo, in relazione alla contestata violazione dell’abuso del diritto di stabilimento e di perseguimento di finalità elusiva, dando rilievo all’interlocuzione con i contribuenti italiani ed alla assenza di un generalizzato obbligo di contraddittorio preventivo.
Con il terzo motivo di ricorso la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 e n. 4, cod.proc.civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 51, d.P.R. n. 131 del 1986, 2697 e 2729 cod.civ., nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 116 cod.proc.civ. e degli artt. 2697 e 2729 cod.civ., atteso che l’ubicazione all’estero della sede sociale rendeva superflua ogni indagine sul valore dei cespiti immobiliari conferiti, essendo dovuta l’imposta di registro in misura fissa. Deduce, altresì, che COGNOME ha contestato, inutilmente, i differenti metodi di determinazione del valore degli immobili (terreno adiacente al fabbricato in Villanova di Ghebbo; terreni agricoli in Rovigo con unità collabenti; quota di unità immobiliare in Ferrara) prescelti dall’Ufficio, in quanto inattendibili. La ricorrente lamenta il fatto che la valutazione estimativa dei beni non è stata fatta utilizzando un unico metro di valorizzazione dei beni conferiti, verificando i valori espressi da ogni singolo metodo al fine di ottenere una media, evitando, invece, metodi residuali quali, appunto, il riferimento alle quotazioni immobiliari semestrali dell’RAGIONE_SOCIALE, che individuano, per ogni delimitata zona territoriale omogenea (zona OMI) di
ciascun comune, un intervallo minimo/massimo, per unità di superficie in euro al mq, dei valori di mercato e locazione, per tipologia immobiliare e stato di conservazione.
La prima censura è inammissibile prima che infondata.
L’Amministrazione finanziaria ha escluso l’applicabilità dell’ agevolazione prevista dalla nota IV all’articolo 4 della Tariffa, parte Prima, allegata al TUR, in base alla quale l’imposta di registro si applica in misura fissa (di euro 200) per gli atti di conferimento di beni immobili a favore di società con sede legale o amministrativa in un altro Stato membro dell’Unione Europea.
La previsione recata dalla predetta nota IV si confronta con i principi affermati con la Direttiva comunitaria del 12 febbraio 2008, n. 7, concernente le imposte indirette sulla raccolta dei capitali (nota come Direttiva “capital duty”), la quale, al fine di rimuovere alcuni fattori di ostacolo alla libera circolazione nel mercato interno, afferma, in generale e salvo deroghe espressamente previste, il divieto di assoggettare le società di capitali a qualsiasi forma di imposta indiretta sui conferimenti e sulle operazioni individuate all’art. 5 della stessa direttiva, salvo poi consentire, ai sensi dei successivi artt. 7 ed 8, il mantenimento di una «imposta sui conferimenti» se già in vigore al 1° gennaio 2024.
In base alla sopra richiamato regime agevolativo i conferimenti sono tassabili esclusivamente nello Stato membro nel cui territorio si trova la sede della direzione effettiva della società di capitali al momento dell’operazione, e ciò al fini di evitare l’abuso del diritto di stabilimento .
Giova, al riguardo, richiamare una recente ordinanza della Corte (Cass. n. 5537/2023) che, in analoga fattispecie, ha affermato la legittimità del «disconoscimento, da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, dello stabilimento della sede legale della società a Londra, la cui previsione è stata ritenuta del tutto fittizia e strumentale a conseguire un indebito vantaggio tributario, in assenza di alcun collegamento effettivo della società con lo Stato estero, in cui non sussistono né uffici né personale e non è svolta alcuna operazione o attività. Ricorre, pertanto, la cd. fattispecie della esterovestizione configurabile allorché una società, la quale ha nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione,
da intendersi come luogo in cui si svolge in concreto la direzione e gestione dell’attività di impresa e dal quale promanano le relative decisioni, localizzi la propria residenza fiscale all’estero al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa (Sez. 5, n. 16697 del 21/06/2019, Rv. 654687 – 01).»
Nella fattispecie su iudice la sentenza della CTR dell’Emilia-Romagna ha osservato che nell’avviso di liquidazione «si sottolinea la mancanza di una sede effettiva nel Regno Unito (oltre alla mera titolarità di una domiciliazione formale come sede legale) e l’assenza di qualsivoglia attività economica svolta nello stato dove è stata collocata la formale sede legale della società.»
Ha, inoltre, rimarcato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla società contribuente, non è sufficiente, per l’applicazione dell’agevolazione, la sola considerazione del dato formale costituito dalla sede della società in Gran Bretagna, in quanto deve essere effettuata una valutazione ‘caso per caso’, ancorata cioè ad elementi oggettivi, «sulla sussistenza dell’effettività della sede estera e la reale operatività di quest’ultima», ben potendo ritenersi superato il dato formale «se l’Ufficio porta elementi indiziari sufficienti che conducano a ritenere che la sede sia solo fittizia.»
Si legge, in particolare, nella sentenza impugnata che «( l )a società estera ha acquisito una serie di immobili in Italia. Dopodiché ha acquisito le quote di due società italiane, sempre del COGNOME COGNOME (RAGIONE_SOCIALE ed a RAGIONE_SOCIALE). Anche se l’oggetto principale della società ha notevole ampiezza non può non essere evidenziato che la gestione RAGIONE_SOCIALE quote RAGIONE_SOCIALE due società nazionali, sotto il profilo territoriale implicano solo la partecipazione alle assemblee, per cui la società estera ben può svolgere la sua funzione, anche solo di holding, dall’estero. Ma nel caso di beni immobili cui attiene l’attività imprenditoriale della società diviene necessaria la presenza analogamente localizzata, e nella specie nel territorio nazionale, al fine di gestire gli affitti, o le pratiche di costruzione nel caso di varianti urbanistiche che consentano l’edificabilità ai terreni, come nel caso di specie.»
Tale ultima circostanza è stata valorizzata dal giudice tributario di appello e ritenuta decisiva ai fini del giudizio (negativo) espresso sul radicamento in Italia dell’attività di RAGIONE_SOCIALE, giudizio imperniato anche su ulteriori oggettive
considerazioni, quali il fatto che «il conferimento non ha portato nessuna liquidità ai due conferenti, ma solo RAGIONE_SOCIALE azioni, cioè la proprietà di una società che a propria volta doveva svolgere le medesime attività che in precedenza svolgevano i conferenti, cioè la gestione del parco immobiliare e dei terreni agricoli, e di quelli edificabili» e che gli immobili non sono stati resi affatto «maggiormente appetibili su mercato, poiché qualunque investitore avrebbe dovuto comperare l’intero pacchetto immobiliare e non più il singolo immobile, compreso i vincoli inseriti durante il conferimento e riguardanti il diritto di abitazione vitalizio sulla villa di famiglia a favore del COGNOME.»
In relazione agli interessi perseguiti da cittadini italiani «all’epoca (come ad oggi) residenti in Italia», la CTR non ha individuato «sottese ragioni di convenienza economica che non fossero quelle di perseguire un regime fiscale più vantaggioso.»
Perché questo meccanismo risponda alla nozione di pratica abusiva occorre, per un verso, che esso abbia come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito dalle norme e, per altro verso, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale (vedi Corte giust. 17 dicembre 2015, causa C419/14, RAGIONE_SOCIALE, punto 36).
E l’Amministrazione finanziaria ha fornito la prova che la previsione della sede legale della società a Londra è solo fittizia e strumentale a conseguire un indebito vantaggio tributario, non riscontrandosi alcun collegamento effettivo tra la società e lo Stato estero.
Le deduzioni difensive svolte nel motivo di ricorso per cassazione non colgono nel segno proprio perché non individuano alcun profilo di fallacità dell’iter logico e giuridico su cui si basa la sentenza impugnata, essendo l’accertamento (negativo) della effettività della sede legale a Londra (c.d. esterovestizione) basato, per l’appunto, sulla valutazione di presunzioni (art. 2727 e ss.gg. cod.civ., avuto riguardo a circostanze fattuali acquisite al giudizio e sulle quali i contribuenti avevano, nelle fasi di merito, ampia possibilità di prova contraria.
Anche se qui si discuta di imposizione indiretta, attesa l’estensibilità dei principi, appare utile ricordare la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 32642/2018; v. anche Cass. n. 23150/2022), secondo cui l’art. 73, comma 3, d.P.R. n. 917 del 1986 (“ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi si considerano residente le società e gli enti che, per la maggior parte del periodo di imposta, hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato’) non è una regola sulla distribuzione dell’onere probatorio, ma una regola che pone una presunzione di esterovestizione in presenza di alcuni indici. In pratica la norma consente al Fisco di giovarsi di una presunzione per dimostrare che la società è solo apparentemente estera, ma in realtà opera in Italia. Il fatto che una norma consenta al Fisco di avvalersi di una presunzione non vuol dire che fa gravare l’onere della prova sulla controparte (che ovviamente, ma è questione diversa, ha semmai l’onere di vincere la presunzione); ha piuttosto proprio il significato contrario di assegnare tale onere al Fisco, consentendogli però di assolverlo mediante una presunzione favorevole in presenza di alcuni indici. Altro discorso, si ripete, è che poi l’onere di vincere la presunzione gravi sul contribuente.»
Sempre in tema di imposta sui redditi, la Corte (Cass. n. 16697/2019) ha pure affermato che «ricorre l’ipotesi di esterovestizione allorché una società, la quale ha nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione, da intendersi come luogo in cui si svolge in concreto la direzione e gestione dell’attività di impresa e dal quale promanano le relative decisioni, localizzi la propria residenza fiscale all’estero al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa.»
E con riguardo al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, è stato anche evidenziato « che, in tema di libertà di stabilimento, la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà», tuttavia, poiché «( l )’obiettivo della libertà di stabilimento è di permettere a un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le proprie attività e di partecipare così, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno
Stato membro diverso dal proprio di origine e di trarne vantaggio», la nozione di stabilimento non può, quindi, che implicare «l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata, mercé l’insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro: presuppone, pertanto, un insediamento effettivo della società interessata nello Stato membro ospite e l’esercizio quivi di un’attività economica reale.» (Cass. n. 33324/2018).
Per determinare il luogo della sede dell’attività economica e dell’amministrazione di una società, intesa – civilisticamente – come luogo «dal quale partono gli impulsi gestionali e le direttive amministrative», occorre dunque prendere in considerazione un complesso di fattori ed, al riguardo, la decisione impugnata, in alcuno dei passaggi motivazionali, inverte l’onere della prova gravante sul Fisco, prova che la contribuente poteva vincere anch’essa avvalendosi di presunzioni, allegando cioè circostanze di segno contrario, conformemente all’orientamento della Corte secondo cui è necessario l’accertamento in concreto della artificiosità della collocazione estera di una società – la CTR parla, correttamente, di accertamento ‘caso per caso’ – per poter ritenere che la sede effettiva della società, contrapposta alla sede legale, sia in Italia (Cass. n. 2869/2013).
I ricorrenti, a ben vedere, sollevano questioni diverse da quella della erronea sussunzione, da parte del giudice di merito, sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza), di fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, anche se il relativo ragionamento è in censurabile, in base all’art. 360, comma primo, n. 3 cod.proc.civ. (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. n. 8053/2014).
La documentazione invocata dai ricorrenti, che riguarda il formale stabilimento della società in Gran Bretagna e gli adempimenti ad esso correlati, è stata vagliata dalla CTR, sia pure nel complesso degli ulteriori elementi
desumibili dagli atti di causa, ed è risultata recessiva dal punto di vista della valenza probatoria, avendo il giudice di appello escluso, in buona sostanza, la natura meramente esecutiva dell’attività, in Italia, legata alla gestione della proprietà immobiliare, per cui l’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito non può essere oggetto di rivisitazione in questa sede di legittimità.
La seconda censura è infondata.
La società ricorrente richiama, impropriamente, la disciplina (artt. 37 bis del d.P.R. 600 del 1973, poi sostituito dall’art. 10bis della l. 212 del 2000 e 53 bis del d.P.R. n.131 del 1986) sul divieto di abuso del diritto in materia tributaria, che sancisce principio generale antielusivo, volto a sanzionare ogni operazione economica che mira al conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, ancorché non contrastante con alcuna disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, disciplina che richiede che tali pratiche elusive vengano correttamente contestate e perseguite dall’Amministrazione finanziaria, attraverso gli strumenti all’uopo previsti dall’ordinamento.
Va, anzitutto, rilevata l’estraneità alla fattispecie esaminate della disciplina sull’interpretazione degli atti di cui all’art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986.
E’ ben vero, che il legislatore ha riaffermato la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando che l’oggetto dell’imposizione deve essere coerente con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, tuttavia, non devono confondersi i distinti piani che contraddistinguono l’accertamento impositivo.
Va, infatti, considerato che, nella fattispecie esaminata l’Ufficio si è limitato all’accertamento della insussistenza dei requisiti normativamente previsti dall’art. 4, nota IV, parte I, della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, per l’applicazione del più favorevole regime fiscale riservato ai conferimenti di immobili italiani in società estera.
Nè appare utile richiamare la previsione dell’art. 53-bis del d.P.R. n. 131 del 1986, atteso che, nel caso di specie, la disposizione si applicherebbe nel testo vigente prima RAGIONE_SOCIALE modifiche apportate dall’art. 1, comma 87, lett. b, della l. n. 205 del 2017, che ha esteso al campo RAGIONE_SOCIALE imposte di registro, ipotecaria e catastale le “attribuzioni” ed i “poteri” riconosciuti agli uffici finanziari dagli artt. 31, 32 e 33 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’accertamento RAGIONE_SOCIALE imposte dirette, ma senza contemplare alcun richiamo alla disposizione di cui all’art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, norma che non riguarda suddette “attribuzioni” e “poteri”, ma incide sull’oggetto dell’imposizione (Cass. n. 15319/2013; n. 34405/2021; n. 34488/2021; n. 13835/2022).
E la giurisprudenza di questa Corte ha più volte ribadito che l’obbligo generale di contraddittorio preventivo esiste unicamente per i tributi armonizzati, mentre per i tributi non armonizzati occorre una specifica previsione normativa (Cass., Sez. U., n. 24823/2015; Cass. n. 11283/2016; n. 6758/2017; n. 313/2018).
La terza censura è infondata.
L’articolo 51, comma 3, d.P.R. 131 del 1986 stabilisce che, per atti che abbiano ad oggetto beni immobili, il controllo di valore debba essere effettuato, oltre che con riguardo ad atti similari di trasferimento (criterio comparativo) ovvero al reddito netto capitalizzato ritraibile dagli immobili stessi (criterio reddituale), anche ad “ogni altro elemento di valutazione”.
Dunque, l’Ufficio provvede alla rettifica, e alla conseguente liquidazione, se ritiene che gli immobili ceduti abbiano un valore venale superiore a quello dichiarato o al corrispettivo pattuito, ed, a tal fine, ha “riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari, nonché ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni.”
L’articolo 51, comma 3, d.P.R. 131 del 1986 stabilisce che, per atti che abbiano ad oggetto beni immobili, il controllo di valore debba essere effettuato, oltre che con riguardo ad atti similari di trasferimento (criterio comparativo) ovvero al reddito netto capitalizzato ritraibile dagli immobili stessi (criterio reddituale), anche ad “ogni altro elemento di valutazione”. Dunque, l’ufficio provvede alla rettifica, e alla conseguente liquidazione, se ritiene che gli immobili ceduti abbiano un valore venale superiore a quello dichiarato o al corrispettivo pattuito, ed, a tal fine, ha “riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari, nonché ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni.”
Ne consegue che l’aver l’Ufficio fondato l’accertamento di maggior valore dei singoli cespiti su criteri diversi, e non su atti comparativi od altri elementi, non invalida di per sé l’esito dell’atto accertativo poiché si tratta di criteri, quelli elencati dall’art. 51, comma 3, d.p.r. 131 del 1986, pari ordinati.
L’Amministrazione, nell’accertamento di valore, ben può seguire uno qualsiasi dei criteri di cui al succitato comma 3, laddove lo ritenga maggiormente idoneo per determinare il valore di mercato del bene trasferito (tra le altre, Cass. n. 18103/2021; n. 15876/2020; Cass.; n. 30189/2018; n. 4221 del 2006).
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre rimborso spese prenotate a debito.
Si dà atto, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater , della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis , ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 febbraio 2024.