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Esterovestizione: sede legale fittizia e tasse

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5924 del 2024, ha affrontato un caso di esterovestizione societaria. Una società con sede legale formale nel Regno Unito ha ricevuto in conferimento beni immobili situati in Italia, chiedendo l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa. L’Agenzia delle Entrate ha contestato l’agevolazione, sostenendo che la sede estera fosse fittizia e che la direzione effettiva della società si trovasse in Italia. La Corte ha dato ragione al Fisco, stabilendo che, ai fini fiscali, prevale la sede dell’amministrazione effettiva su quella legale. L’assenza di una reale attività economica nel Regno Unito e la gestione degli immobili dall’Italia hanno dimostrato la natura elusiva dell’operazione, finalizzata unicamente a ottenere un indebito vantaggio fiscale. Di conseguenza, è stata negata l’applicazione del regime fiscale di favore.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Esterovestizione: la Cassazione conferma che la sede legale non basta

Il fenomeno dell’esterovestizione societaria torna al centro di una importante pronuncia della Corte di Cassazione, la sentenza n. 5924 del 5 marzo 2024. La decisione chiarisce, ancora una volta, che la semplice localizzazione della sede legale di una società in un paese a fiscalità privilegiata non è sufficiente per ottenere i relativi benefici fiscali, se la gestione operativa e il centro decisionale rimangono in Italia. Questo principio è cruciale per le imprese che operano a livello internazionale e per i professionisti che le assistono.

I fatti del caso: un conferimento immobiliare sospetto

Una società a responsabilità limitata, con sede legale formalmente stabilita a Londra, impugnava alcuni avvisi di liquidazione emessi dall’Agenzia delle Entrate. L’operazione contestata riguardava il conferimento di un cospicuo patrimonio immobiliare italiano (fabbricati e terreni) nella società inglese. In cambio, i conferenti avevano ricevuto azioni della stessa.

La società aveva applicato l’imposta di registro in misura fissa (pari a 200 euro), un’agevolazione prevista dalla normativa nazionale in recepimento di direttive europee per favorire la circolazione dei capitali. Tuttavia, l’Amministrazione Finanziaria aveva ritenuto l’operazione elusiva, riqualificando la società come fiscalmente residente in Italia. Secondo il Fisco, la sede di Londra era una mera “cassetta delle lettere”, priva di una reale struttura operativa. Di conseguenza, l’Agenzia pretendeva il pagamento dell’imposta di registro in misura proporzionale al valore degli immobili, decisamente più onerosa, oltre a rettificare il valore stesso dei beni.

La questione dell’esterovestizione e la sede effettiva

Il cuore della controversia ruotava attorno alla corretta individuazione della residenza fiscale della società. La contribuente sosteneva che facessero fede i dati formali: la registrazione nel Regno Unito, l’atto costitutivo e lo svolgimento delle riunioni degli organi sociali a Londra.

La Corte di Cassazione, confermando la decisione dei giudici di appello, ha ribadito un principio consolidato: ai fini fiscali, non conta la sede legale (formale), ma la sede dell’amministrazione effettiva. Questo è il luogo in cui concretamente si svolge la direzione e la gestione dell’attività d’impresa e da cui promanano le decisioni strategiche.

L’Amministrazione Finanziaria, pur avendo l’onere della prova, può dimostrare il carattere fittizio della sede estera attraverso un insieme di presunzioni gravi, precise e concordanti.

Le motivazioni

Nel caso specifico, i giudici hanno valorizzato una serie di elementi oggettivi che indicavano l’Italia come il reale centro decisionale e operativo della società:
1. Oggetto sociale: L’unica attività della società era la gestione del patrimonio immobiliare situato in Italia. Non svolgeva alcuna altra attività economica nel Regno Unito.
2. Assenza di operatività all’estero: Mancava una reale struttura organizzativa a Londra (uffici, personale, ecc.). La domiciliazione era puramente formale.
3. Mancanza di ragioni economiche valide: L’operazione di conferimento non aveva generato liquidità per i soci né reso gli immobili più appetibili sul mercato. L’unica finalità concreta, secondo la Corte, era quella di perseguire un regime fiscale più vantaggioso.
4. Interessi italiani: Gli interessi perseguiti erano riconducibili a cittadini residenti in Italia, che di fatto continuavano a gestire i propri beni attraverso lo schermo societario estero.

La Corte ha specificato che non si trattava di applicare la disciplina sull’abuso del diritto, che richiede procedure specifiche (come il contraddittorio preventivo), ma di una semplice verifica dei presupposti per l’applicazione di un’agevolazione fiscale. Se la società non è effettivamente estera, il presupposto per l’imposta fissa viene meno.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un monito importante per le pianificazioni fiscali internazionali. La libertà di stabilimento all’interno dell’Unione Europea è un principio fondamentale, ma non può essere utilizzata per creare costruzioni di puro artificio finalizzate a eludere il fisco. Per poter beneficiare della legislazione fiscale di un altro Stato membro, è necessario che la società vi eserciti un’attività economica reale e duratura, con un insediamento effettivo e non meramente cartolare. In assenza di questi elementi sostanziali, il Fisco italiano è legittimato a disconoscere la sede estera e ad applicare la normativa tributaria nazionale, recuperando le imposte dovute. La decisione sottolinea l’importanza della sostanza sulla forma e rafforza gli strumenti a disposizione dell’Agenzia delle Entrate per contrastare i fenomeni di esterovestizione.

Cos’è l’esterovestizione e perché è rilevante ai fini fiscali?
L’esterovestizione è la creazione fittizia di una sede legale all’estero, solitamente in un paese con tassazione più favorevole, mentre l’attività economica e decisionale reale della società rimane in Italia. È fiscalmente rilevante perché, se accertata, permette al Fisco italiano di considerare la società come residente in Italia e di applicare le imposte nazionali, negando i benefici fiscali del paese estero.

La sola registrazione formale di una società all’estero è sufficiente per ottenere i benefici fiscali di quel paese?
No. Secondo la sentenza, il dato formale della sede legale non è sufficiente. Ciò che conta è la “sede della direzione effettiva”, ovvero il luogo dove vengono prese le decisioni strategiche e gestionali. Se questo luogo si trova in Italia, la società sarà considerata fiscalmente residente in Italia, indipendentemente dalla sua registrazione all’estero.

L’Agenzia delle Entrate deve provare un “abuso del diritto” per negare un’agevolazione fiscale in un caso di esterovestizione?
No. La Corte ha chiarito che in questo caso non si tratta di contestare un abuso del diritto, ma di verificare la sussistenza dei requisiti sostanziali per accedere a un’agevolazione. Se una società non ha una sede effettiva all’estero, manca il presupposto fondamentale per applicare il regime fiscale di favore previsto per i conferimenti in società estere, senza necessità di avviare la procedura specifica per l’abuso del diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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