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Esterovestizione: sede legale estera non basta

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5096/2024, ha confermato il principio di esterovestizione per una società con sede legale nel Regno Unito. La decisione si basa sulla prevalenza della ‘sede effettiva’ dell’amministrazione, situata in Italia, rispetto alla sede legale formale. Elementi come l’amministratore unico residente in Italia e la mancanza di una reale attività economica all’estero sono stati decisivi per considerare la società fiscalmente residente in Italia.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Esterovestizione: La Cassazione conferma che la sede effettiva batte quella legale

Il fenomeno dell’esterovestizione societaria torna al centro di una pronuncia della Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 5096 del 26 febbraio 2024 ribadisce un principio fondamentale: per la residenza fiscale conta la sostanza, non la forma. Una società con sede legale all’estero può essere considerata fiscalmente residente in Italia se qui si trova il suo centro decisionale e amministrativo. Analizziamo questa importante decisione.

I fatti del caso

Una società a responsabilità limitata, con sede legale formalmente stabilita a Londra, veniva sottoposta a verifica fiscale in Italia. L’amministrazione finanziaria contestava la reale residenza estera, sostenendo che si trattasse di un caso di esterovestizione. La società, infatti, aveva come unico amministratore una persona fisica residente in Italia e aveva effettuato un’operazione di aumento di capitale sociale mediante il conferimento di beni immobili situati sul territorio italiano. Inoltre, le dichiarazioni fiscali ai fini IRAP e IVA venivano presentate in Italia. A fronte di questi elementi, l’Agenzia delle Entrate riteneva che la sede dell’amministrazione effettiva della società si trovasse in Italia, con conseguente obbligo di pagare le imposte nel nostro Paese.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato dalla società, confermando la legittimità dell’accertamento fiscale. I giudici hanno stabilito che la valutazione compiuta dalla Commissione Tributaria Regionale era corretta e non sindacabile in sede di legittimità. La decisione si fonda sull’interpretazione sostanziale dell’art. 73, terzo comma, del d.P.R. n. 917/1986, che lega la residenza fiscale alla ‘sede dell’amministrazione’.

Le motivazioni

La Corte ha chiarito che la nozione di ‘sede dell’amministrazione’ coincide con quella di ‘sede effettiva’, intesa come il luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative e di direzione dell’ente. Non basta quindi indicare un indirizzo all’estero; è necessario che in quel luogo si svolga una reale attività economica e decisionale.

Per determinare la sede effettiva, si devono considerare una serie di elementi fattuali e sostanziali, tra cui:

* Il luogo di riunione dei dirigenti e delle assemblee.
* Il domicilio dei principali dirigenti.
* Il luogo di tenuta dei documenti amministrativi e contabili.
* Lo svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie.

Nel caso specifico, la presenza di un mero ufficio di segreteria a Londra non è stata ritenuta sufficiente a dimostrare una reale operatività nel Regno Unito. Al contrario, la residenza in Italia dell’amministratore unico, la presentazione delle dichiarazioni fiscali in Italia e la natura dell’operazione societaria (conferimento di immobili italiani) costituivano un quadro probatorio solido a favore della tesi dell’esterovestizione.

I giudici hanno inoltre precisato che la libertà di stabilimento, garantita dall’Unione Europea, non può essere invocata per giustificare ‘costruzioni di puro artificio’ finalizzate a eludere la normativa fiscale di uno Stato membro. Quando alla localizzazione formale all’estero non corrisponde l’esercizio di una reale attività economica, le misure nazionali anti-elusive sono pienamente legittime.

Le conclusioni

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di esterovestizione. Il messaggio per le imprese è chiaro: la delocalizzazione puramente formale, finalizzata al solo risparmio fiscale, non è una strategia percorribile. Le autorità fiscali e i giudici guardano alla sostanza delle operazioni e alla localizzazione del ‘centro nevralgico’ dell’attività societaria. Per evitare contestazioni, le società con sede legale all’estero devono essere in grado di dimostrare con prove concrete l’esistenza di una struttura organizzativa, decisionale ed economica effettivamente operante nel paese di residenza formale.

Quando una società con sede legale all’estero è considerata fiscalmente residente in Italia?
Una società è considerata fiscalmente residente in Italia se, nonostante la sede legale all’estero, la sua ‘sede effettiva’, ovvero il luogo dove vengono prese le decisioni strategiche e si svolge l’amministrazione, si trova nel territorio italiano.

Quali sono gli elementi concreti che indicano la presenza della sede effettiva in Italia?
Gli elementi includono la residenza in Italia dell’amministratore unico, la presentazione in Italia delle dichiarazioni fiscali (come IRAP e IVA), lo svolgimento delle principali operazioni societarie legate a beni italiani e l’assenza di una reale e autonoma attività economica nel Paese della sede legale.

La libertà di stabilimento prevista dall’Unione Europea protegge dall’accusa di esterovestizione?
No. La Corte di Cassazione ha specificato che la libertà di stabilimento non tutela le ‘costruzioni di puro artificio’, cioè quelle strutture create al solo scopo di eludere la normativa fiscale di uno Stato membro, senza che vi sia un reale radicamento economico nel Paese estero.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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