Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16609 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16609 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8856/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa per procura speciale a margine del ricorso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio del secondo a Roma in INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche n. 515/2020, depositata il 14 settembre 2020.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 25 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito l’ avv. NOME COGNOME per delega dell’avv. NOME COGNOME e l’avv. dello Stato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. -All’esito della verifica condotta dalla Guardia di Finanza di Urbino, in data 7 settembre 2010, l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Pesaro notificava a RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. TQ9025501435/2010 con cui recuperava a tassazione una maggior imposta IVA pari a euro 147.705,00, oltre sanzioni e interessi. In particolare, l’Agenzia contestava alla società la cessione di beni a RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, aziende sammarinesi ritenute esterovestite. Invero, risultava che queste ultime, per il periodo compreso tra l’anno 2004 e l’anno 2008, erano di fatto amministrate in Italia e la loro attività localizzata nel territorio italiano. Conseguentemente, l’Uffi cio accertava che le operazioni poste in essere dalla RAGIONE_SOCIALE, nei confronti delle suddette società, erano da considerarsi imponibili a fini IVA con aliquota al 10% e non, contrariamente da quanto sostenuto dalla contribuente, operazioni non imponibili ai sensi degli artt. 71 e 8 d.P.R. 633/1972.
La RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento, contestando l’operato dell’Ufficio e la fondatezza della ricostruzione emersa dalle risultanze delle verifiche effettuate.
L’Agenzia delle entrate si costituiva in giudizio, evidenziando l’inconsistenza delle eccezioni sollevate dalla ricorrente e ribadendo la legittimità del proprio operato.
La Commissione tributaria provinciale di Pesaro, con sentenza n. 136/03/11 depositata in data 10 ottobre 2011, accoglieva il ricorso della società. Rilevava che per effetto dell’intervenuto parziale annullamento in autotutela, venendo meno la rilevanza penale del fatto, risultava conseguentemente inapplicabile il raddoppio dei termini di cui all’art. 43 , comma 3, d.P.R. 600/1973. Accertava, pertanto, la decadenza dei termini di accertamento e dichiarava la nullità dell’avviso di accertamento impugnato.
-Avverso tale sentenza proponeva appello l’Agenzia delle entrate.
Resisteva con proprie controdeduzioni l’Ufficio.
Con sentenza n. 515/2/20, depositata in data 14 settembre 2020, la Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello e, per l’effetto, riformava la decisione della Commissione tributaria provinciale di Pesaro.
-La contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso. Parte ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c. , dell’art. 73 del TUIR, degli artt. 2697 e 2729 c.c. , nonché dell’art. 7 della legge n. 212/2000 (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.), laddove la Commissione tributaria regionale ha erroneamente considerato estensibile il disposto dell’art. 73 TUIR al comparto IVA non considerando che le cessioni fossero reali.
1.1. -Il motivo è infondato.
L’ipotesi della cd. esterovestizione ricorre quando una società, pur mantenendo nel territorio dello Stato la sede amministrativa, intesa quale luogo di concreto svolgimento dell’attività di direzione e gestione dell’impresa, localizza la propria residenza fiscale all’estero, al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa, e può essere dimostrata mediante presunzioni, purché gli indici della fittizia localizzazione, desumibili da tutti gli elementi indiziari acquisiti agli atti di causa, siano esaminati nel loro insieme, non atomisticamente, secondo i criteri della gravità, precisione e concordanza tali da trarre vigore l’uno dall’altro, completandosi a vicenda (Cass., Sez. V, 23 maggio 2024, n. 14485; Cass., Sez. V, 3 giugno 2021, n. 15424).
Questa Corte ha precisato che la nozione di «sede dell’amministrazione», in quanto contrapposta alla «sede legale», deve ritenersi coincidente con quella di «sede effettiva» (di matrice civilistica), intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente (Cass., Sez. V, 21 giugno 2019, n. 16697).
Sulla stessa linea si è posta la Corte di giustizia nella sentenza del 28 giugno 2007, RAGIONE_SOCIALE , causa C-73/06 in cui è stato affermato che la nozione di sede dell’attività economica «indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest’ultimo (punto 60)».
È stato, inoltre, chiarito che la fattispecie della esterovestizione, tesa ad accordare prevalenza al dato fattuale dello svolgimento
dell’attività direttiva presso un territorio diverso da quello in cui ha sede legale la società, non contrasta con la libertà di stabilimento. Se ne trae conferma dalla sentenza della Corte di Giustizia 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas , causa C-196/04 (richiamata da Cass., Sez. V, 21 giugno 2019, n. 16697), la quale, con riferimento al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, ha stabilito che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per sé sola un abuso di tale libertà; tuttavia, una misura nazionale che restringa la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad escludere la normativa dello Stato membro interessato.
Nel caso di specie, sulla base delle risultanze istruttorie, con accertamento di fatto (p. 5 ss. della sentenza impugnata), è emerso che la società RAGIONE_SOCIALE, pur se costituita all’estero, era di fatto amministrata in Italia (e tutte le società facenti parte di un unico gruppo economico facevano capo al signor COGNOME, amministratore anche di RAGIONE_SOCIALE) e in Italia aveva l’ogg etto principale della propria attività, individuato nella commercializzazione di beni prodotti dalla RAGIONE_SOCIALE in Italia. Sul punto, parte ricorrente mira a conseguire una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità, finendo per criticare il “convincimento” che il giudice di merito si è formato, ex art. 116, c. 1 e 2 c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio (Cass., Sez. III, 1 giugno 2021, n. 15276).
Riguardo alla questione dell’IVA, non vi è stata alcuna estensione della disciplina di cui all’art. 73 TUIR, avendo la Commissione tributaria regionale basato il suo giudizio sulla frode posta in essere dalla società RAGIONE_SOCIALE, che operava in Italia. Dall’accertamento in fatto compiuto dalla Commissione tributaria
regionale è emerso che la contribuente si serviva di due società ‘esterovestite’ per distribuire i propri prodotti in Italia, conseguendo dei vantaggi ai fini IVA.
L ‘art. 7, comma 1, lett. d) d.P.R. 633/1972 stabilisce che « per “soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato” si intende un soggetto passivo domiciliato nel territorio dello Stato o ivi residente che non abbia stabilito il domicilio all’estero, ovvero una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di soggetto domiciliato e residente all’estero, limitatamente alle operazioni da essa rese o ricevute. Per i soggetti diversi dalle persone fisiche si considera domicilio il luogo in cui si trova la sede legale e residenza quello in cui si trova la sede effettiva ».
Pertanto è da ritenersi stabilita nel territorio dello Stato anche la società avente la sede ‘effettiva’ nello ‘Stato, come nel caso di specie.
L’art. 4 d.P.R. 633/1972 prevede inoltre che tutte le attività imprenditoriali svolte in Italia sono ivi assoggettate ad imposizione. Il pagamento dell’IVA in Italia è dunque conseguenza diretta dell’accertamento della ‘esterovestizione’.
In tema d’IVA, in caso di cessioni extracomunitarie di beni dall’Italia verso la Repubblica di San Marino, per dimostrare l’effettività dell’operazione al fine di beneficiare dell’esenzione prevista dall’art. 8 del d.P.R. n. 633 del 1972, è necessario che uno dei tre esemplari della fattura consegnati al cessionario sia restituito munito della marca con timbro a secco apposto dall’ufficio tributario di San Marino, che tiene il posto della documentazione doganale e di quella assimilata prevista dalla normativa generale, mentre l’indicazione del codice identificativo del cliente sammarinese costituisce adempimento di carattere meramente formale, inidoneo a condizionare la non imponibilità, limitandosi il d.l. n. 331 del 1993,
conv. nella l. n. 427 del 1993, a fine di evitare doppie imposizioni e perché l’imposta sia pagata nello Stato della Comunità europea del consumatore, a prescrivere che il cessionario abbia trasmesso al cedente il proprio numero di partita IVA, identificandosi come soggetto passivo del tributo nel proprio Stato di residenza (Cass., Sez. V, 30 settembre 2016, n. 19536).
Nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale ha escluso l’applicabilità dell’esenzione prevista dall’art. 8 del d.P.R. n. 633 del 1972 per le cessioni extracomunitarie di beni dall’Italia verso la Repubblica di San Marino. I beni sono stati destinati al territorio italiano, come accertato in punto di fatto dalla Commissione tributaria regionale.
Non risultano dedotti, né provati, gli elementi ritenuti rilevanti dalla giurisprudenza per la dimostrazione dell’effettività dell’operazione al fine di beneficiare dell’esenzione.
-Con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c. , dell’art. 73 del TUIR, degli artt. 2697 e art. 2729 c.c. , nonché dell’art. 7 della legge n. 212/2000 (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) per aver la Commissione tributaria regionale errato laddove, in applicazione dell’art. 73 TUIR ha ritenuto accertata l’esterovestizione di una società con sede nella Repubblica di San Marino, pur se dotata di locali, personale ed effettivamente operativa all’estero.
2.1. -Il motivo è inammissibile.
Sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, parte ricorrente, in realtà, mira a una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. I, 4 marzo 2021, n. 5987; Cass., Sez. Un. 27 dicembre 2019, n. 34476), così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di
merito (Cass., Sez. IV-3, 4 aprile 2017, n. 8758). In motivazione sono stati individuati e riportati gli elementi in base ai quali si è ritenuta provata l’esterovestizione delle due società (p. 9 della sentenza).
-Con il terzo motivo si deduce l ‘omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in base agli artt. 112 e 115 c.p.c. , nonché dell’art. 73 del TUIR, degli artt. 1, 7-bis, 8 e 71 del d.P.R. 633/1971, degli artt. 2697 e 2729 c.c. , in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 5 c.p.c., laddove la Commissione tributaria regionale ha omesso di tenere in debito conto i fatti storici e non contestati costituiti dall’effettiva esistenza e operatività delle società cessionarie nel territorio della Repubblica di San Marino e dal certificato adempimento degli obblighi tributari nello Stato estero di residenza.
3.1. -Il motivo è inammissibile.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090).
Nel caso di specie non vi è nessuna lesione del ‘ minimo costituzionale ‘ sul piano della motivazione, né sussiste un omesso
esame di fatti decisivi, avendo la Commissione tributaria regionale evidenziato, alla luce dell’esame dei risultanze istruttorie, gli elementi ritenuti idonea alla prova della ‘ esterovestizione ‘ . Parte ricorrente invero prospetta una propria personale lettura delle risultanze istruttorie, alternativa a quella accolta in sede di merito e non sindacabile in questa sede sotto tale profilo. In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (Cass., Sez. II, 23 aprile 2024, n. 10927).
4. -Con il quarto motivo si prospetta la nullità della sentenza impugnata in ragione della violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., degli artt. 7 bis , 8, 54 e 71 d.P.R. n. 633/1972, degli artt. 2697 e 2729 c.c. , nonché dell’art. 7 della legge n. 212/2000, in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., laddove la Commissione tributaria regionale ha ritenuto irrilevante per determinare la soggettività o meno ad IVA di un’operazione l’effettiva e giuridica esistenza di un bene sul territorio nazionale.
4.1. -Il motivo è infondato.
Come evidenziato nell’esame dei motivi precedenti di ricorso, non vi è stata alcuna estensione della disciplina di cui all’art. 73 TUIR, avendo la Commissione tributaria regionale basato il suo giudizio sulla frode posta in essere dalla società RAGIONE_SOCIALE che operava in Italia, con conseguente applicazione del d.P.R. 633/1972. Non è stata, inoltre, fornita la prova degli elementi necessari per accedere all’esenzione prevista dall’art. 8 del d.P.R. n. 633 del 1972.
5. -Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1bis , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore del l’Agenzia delle entrate in euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1bis , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione