Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23707 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 23707 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/08/2025
SENTENZA
-sul ricorso iscritto al n. 22901/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in LECCE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso la SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO PUGLIA n. 2446/2023 depositata il 21/08/2023;
-sul ricorso iscritto al n. 23543/23 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in LECCE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso la SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO PUGLIA n. 2451/2023 depositata il 21/08/2023;
-sul ricorso iscritto al n. 24031/23 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME e NOME , elettivamente domiciliati in LECCE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso la SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO PUGLIA n. 2447/2023 depositata il 21/08/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi o, in subordine, il rinvio in attesa delle Sezioni Unite.
Sentiti gli avv.ti dello Stato NOME COGNOME e NOME COGNOME per la ricorrente e l’avv. NOME COGNOME per i controricorrenti.
FATTI DI CAUSA
Con PVC redatto in data 31/07/2012 la Guardia di Finanza di Brindisi aveva constatato la fittizietà della sede legale della società di diritto portoghese RAGIONE_SOCIALE in Funchal -Madeira (Portogallo), essendo quella effettiva in Brindisi al INDIRIZZO luogo in cui si svolgeva la prevalente attività direttiva ed amministrativa per l’esercizio dell’impresa, coincidente con la sede della società RAGIONE_SOCIALE (cessata in data 23/12/2008) e, dall’anno 2009, con quella della neo costituita RAGIONE_SOCIALE
Dalle indagini era emerso che la società estera, la quale effettuava attività di rimorchio d’altura e di assistenza alle piattaforme petrolifere presso la costa sud occidentale dell’Africa (a mezzo dei rimorchiatori di cui era proprietaria), aveva affidato alle italiane RAGIONE_SOCIALE e ad RAGIONE_SOCIALE la gestione di tutte le attività relative alla cura e organizzazione delle sue navi (incluse la gestione commerciale, tecnica, finanziaria e del personale), che l’intero pacchetto azionario della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (da ora Barry) era detenuto dalla società holding RAGIONE_SOCIALE, anch’essa domiciliata nel territorio di Madeira e che il capitale sociale di questa era interamente detenuto, attraverso fiduciarie, dai sigg.ri NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Secondo i Militari, inoltre, la gestione della società era solo formalmente affidata ad un Consiglio di Amministrazione composto dal Presidente, dottor NOME COGNOME e da due cittadini portoghesi, giacché i fratelli COGNOME erano sempre stati, di fatto, gli unici titolari del potere di gestione della ‘società offshore’ ed effettivi proprietari della medesima, come risultava dalla consistente documentazione acquisita durante le indagini (scritture private, e-mail, ecc.).
A seguito di ciò, l’Agenzia delle entrate, ritenendo la società esterovestita ma residente in Italia ai sensi dell’art. 73, comma 3, del d.P.R. n. 917/86, e, quindi, riqualificandola quale ‘società per azioni’ con sede legale in Italia e numero di codice fiscale e di partita IVA, emetteva avvisi di accertamento nei suoi confronti e di NOME e NOME COGNOME quali amministratori di fatto, per gli anni 2005 -2012 con recupero a tassazione di imposte dirette e IVA, oltre ad atti di irrogazione sanzioni.
La società e i COGNOME impugnavano tali atti e la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Brindisi con distinte sentenze rigettava.
6 Per quel che rileva in questa sede, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado (CGT-2) della Puglia accoglieva gli appelli dei contribuenti, come segue: con sentenza n. 2446/2023 in relazione all’avviso di accertamento n. TVH03A201180/2016 (Ires -altro 2010) nei confronti della società e di NOME COGNOME; con sentenza n. 2451/2023 in relazione all’avviso di accertamento n. TVH03A201180/2016 (Ires-altro 2010) nei confronti della società e di NOME COGNOME; con sentenza n. 2447/2023 in relazione all’avviso di accertamento n. TVH03A201446/2014 (Ires -altro 2006), all’avviso di accertamento n. TVH03A201211/2014 (Ires -altro 2005), all’avviso di accertamento n. TVH03a201449/2014 (Iresaltro 2009), all’avviso di accertamento n. TVH03A201448/2014 (Iresaltro 2008), all’avviso di accertamento
TVH03A201447/2014 (Ires 2007), emessi nei confronti della società e dei due RAGIONE_SOCIALE.
Le sentenze motivavano in termini sostanzialmente sovrapponibili: la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce di per sé un abuso della libertà di stabilimento a meno che non si tratti di ‘costruzioni di puro artificio’; in questo caso la Barry, effettivamente localizzata e radicata totalmente al di fuori del territorio italiano, svolgeva all’estero la sua attività, era dotata di autonomia gestionale sia sotto il profilo organizzativo che sotto quello amministrativo; la società, in conformità ad una contrattualistica internazionale assai diffusa in ambito marittimo, aveva demandato un’ampia sfera di attività di natura strumentale a soggetti italiani (RAGIONE_SOCIALE e poi RAGIONE_SOCIALE), che in relazione alle varie prestazioni di servizi rese avevano assoggettato i relativi redditi ad imposizione, e i sigg.ri COGNOME in qualità di soci delle suddette società italiane, avevano agito in virtù di un contratto e non quali amministratori di fatto.
I Giudici d’appello, inoltre, hanno osservato che con sentenza penale passata in giudicato, resa dalla Corte d’appello di Lecce (n. 34/2019) nei confronti, tra gli altri, dei due COGNOME, si era esclusa la fattispecie della esterovestizione volta a scopi elusivi dell’imposizione fiscale e tale sentenza, essendo venuto meno il cosiddetto ‘doppio binario’ tra processo penale e processo tributario, faceva stato anche nel secondo con riferimento ai fatti materiali accertati in sede penale. Sempre secondo i Giudici di merito, il venir meno dell’ipotesi accertativa della esterovestizione della Barry, faceva cadere tutte le contestazioni, anche quelle relative alla violazione dell’art. 8 -bis del D.P.R. n. 633/72.
L’Agenzia delle entrate ha impugnato per cassazione queste decisioni, affidandosi a nove motivi nel ricorso contro la sentenza n. 2446/23 (RG 22901/23), a sette motivi nel ricorso contro la
sentenza n. 2451/23 (RG 23543/23) e ad otto motivi nel ricorso contro la sentenza n. 2447/23 (RG 24031/23). In ciascun giudizio la ricorrente ha depositato memoria.
Hanno resistito con controricorsi NOME e NOME COGNOME che hanno depositato memorie.
Resta intimata la società.
Anche il PG ha depositato, in ciascun giudizio, conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’istanza di riunione avanzata dai controricorrenti può essere accolta, attese le ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, con riguardo ai ricorsi indicati in narrativa.
Per quanto riguarda il ricorso n. 22901/23 RG, con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione dell’articolo 112 c.p.c. per omessa pronuncia, non avendo i Giudici statuito su tutta la domanda. In particolare, a fronte di specifica eccezione proposta dall’Amministrazione in sede di controdeduzioni all’appello con cui si rilevava come la controparte avesse introdotto un motivo nuovo, non presente nei ricorsi introduttivi della controversia, laddove aveva giustificato i rapporti tra le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE richiamando l’applicazione della contrattualistica internazionale, che prevede la possibilità che un’ampia sfera di attività sia demandata da un soggetto estero in outsourcing ad un soggetto nazionale – il giudice del gravame aveva omesso qualsiasi considerazione.
2.1. Con il secondo motivo si deduce in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione del combinato disposto degli articoli 18, 24 e 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 perché il contribuente, nelle memorie presentate in primo grado e nell’atto di appello, aveva di fatto ampliato l’originario thema decidendum introducendo la circostanza, tutt’altro che dimostrata, secondo cui le attività svolte dalla RAGIONE_SOCIALE sino al periodo 2008, e dall’RAGIONE_SOCIALE a
partire dall’anno d’imposta 2009, a favore della Barry riguardanti contratti assicurativi relativi all’equipaggio, al procacciamento e all’esecuzione dei contratti di noleggio nonché all’attività di consulenza -rientrerebbero nei compiti e nelle funzioni suscettibili di essere demandati dall’armatore alle società di ship management , secondo lo schema del contratto standard Bimco nelle sue varie versioni (Shipman 88, Shipman 98 e Shipman 2009) e tale schema contrattuale avrebbe generato in capo alle suddette società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE redditi assoggettati a tassazione in Italia. Tale motivo avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto per la prima volta in sede di memorie presentate nel giudizio di primo grado e poi riproposta nell’atto di appello.
2.2. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione, denunciata in subordine ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, dell’art. 73, comma 3, del TUIR, per avere il giudice erroneamente escluso l’esterovestizione della Barry, sulla base del contratto di ship management , « conforme ad una prassi internazionale consolidata», ritenendo che le due società svolgessero «sulla base di contratti, una funzione strumentale rispetto alla società portoghese» e i due COGNOME, « in qualità di soci delle suddette società italiane, agissero in virtù di un contratto e non quali amministratori di fatto». Secondo la ricorrente, invece, il riferito contratto non può essere invocato ai fini della esclusione della esterovestizione della società perché l’art. 73, comma 3, del TUIR identifica tre criteri per stabilire la residenza di un’impresa (la sede legale; la sede dell’amministrazione; l’oggetto principale) e in presenza di uno di questi elementi nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo di imposta la società si considera residente, mentre l ‘eventuale stipula di contratti con società residenti per lo svolgimento di certe attività non può escludere la residenza dello
stipulante nel territorio dello Stato, diversamente da quanto ritenuto dalla CGT-2.
2.3. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione, denunciata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dell’art. 73, comma 3, del TUIR, e degli artt. 4 e 8 della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Portogallo, perché il giudice ha escluso l’esterovestizione della Barry sulla base di un criterio la costruzione di puro artificio -estraneo a quanto previsto dalle citate disposizioni, le quali danno rilievo soltanto al criterio del place of effective management che i Giudici d’appello hanno finito per ritenere irrilevante. Invece, in ambito tributario, ai fini della contestazione dell’esterovestizione di una società, è sufficiente la prova della sede della direzione effettiva o dello svolgimento dell’attività principale in Italia, oltre allo spostamento di reddito (c.d. profit shifting ) da uno Stato (l’Italia) ad un altro (nel caso di specie il Portogallo), in cui lo stesso è soggetto ad un’imposizione più mite o nulla (come in questo caso, essendo la Barry formalmente residente a Madeira, che è una free zone ). Nel caso in esame fin dal PVC era emerso che la direzione effettiva dell’attività della Barry non era a Madeira bensì in Italia, a Brindisi, e coincideva con le sedi della RAGIONE_SOCIALE e della Acamar. Infatti, le prestazioni da queste svolte in forza dei contratti con la Barry costituivano proprio attività di gestione di fatto della società ed avvenivano nel ‘quartier generale ‘ dei Barretta. Qui, infatti, venivano assunte le decisioni strategiche relative ai principali accadimenti della gestione aziendale, per il tramite delle imprese RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, attraverso lo ‘schermo’ del contratto di ship management (che non può essere preso in considerazione in questa controversia per le ragioni di inammissibilità già esposte nel primo motivo e comunque per le ragioni sostanziali esposte nel secondo).
2.4. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 73, comma 3, del TUIR, per scostamento immotivato dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, disposta in primo grado, la quale aveva in sostanza affermato la natura ‘esterovestita’ della Barry, la cui sede amministrativa era in Italia e, segnatamente, presso il ‘quartier generale’ dei fratelli COGNOME, sulla base delle seguenti circostanze: una scrittura privata intercorsa tra NOME COGNOME, amministratore de iure della Barry, e i fratelli COGNOME con cui « i committenti (fratelli COGNOME) affidavano la gestione e la rappresentanza legale, su base fiduciaria, di n. 2 società di diritto portoghese, denominate RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE al dr. NOME COGNOME;…il professionista si impegna a dare esecuzione al mandato ricevuto con la massima diligenza, dando puntuale attuazione alle direttive ed alle istruzioni emanate dai committenti, che, in questa sede, riconosce come unici soggetti titolari di poteri di indirizzo e controllo con riferimento alle attività delle società all’art. 2, fatta eccezione per quelle attività che siano sostanzialmente contra legem»; l’incarico dei membri portoghesi del consiglio di amministrazione, secondo quanto precisato nell’atto costitutivo della società, era a titolo gratuito; i compensi riconosciuti al presidente (meno di 400 euro mensili) non erano per nulla proporzionati alle peculiarità dell’incarico ricoperto, laddove fosse stato ricoperto effettivamente; a conferma che ciò non avveniva, il dott. COGNOME è risultato operare stabilmente in Brindisi; il consiglio di amministrazione si era riunito solo in quattro occasioni in cinque anni, al fine di deliberare in massima parte soltanto il conferimento di deleghe. Alla luce di queste circostanze, valorizzate in sede di consulenza tecnica in primo grado, la Commissione provinciale è pervenuta alla conclusione che la esterovestizione sussistesse ma la Corte di giustizia di secondo grado, invece, aveva
smentito i risultati della ctu senza motivare affatto le ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni in essa affermate.
2.5. Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 132 c.p.c., per non aver il giudice motivato adeguatamente in ordine allo scostamento rispetto ai risultati della ctu, essendosi limitato ad osservare che questa non avrebbe preso in considerazione la documentazione offerta dall’appellante, senza confrontarsi con le osservazioni del consulente.
2.6. Con il settimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione, della legge 31 agosto 2022, n. 130 e dell’art. 20 9 agosto 2023, n. 111, perché il giudice ha errato nell’affermare che il c.d. doppio binario tra processo penale e processo tributario sarebbe stato soppresso.
2.7. Con l’ottavo motivo si deduce violazione e falsa applicazione, denunciata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dell’art. 654 c.p.p., dell’art. 20 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, dell’art. 2909 cod. civ. e degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., per avere il giudice erroneamente ritenuto vincolante la sentenza penale di assoluzione ed essersi di conseguenza ad esso attenuto, pur avendo il potere di svolgere un accertamento autonomo sulle circostanze oggetto di questo giudizio.
2.8. Con il nono motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., per non aver il giudice motivato le ragioni che lo hanno indotto ad escludere la fondatezza delle contestazioni, a seguito del venir meno dell’ipotesi accertativa dell’esterovestizione. La motivazione della sentenza impugnata , esclusa l’esterovestizione della Barry, conclude che « al venir meno l’ipotesi accertativa della esterovestizione » vengono meno le contestazioni ivi indicate, ma non spiega le ragioni.
Quanto al ricorso n. 23543/2023 RG, con il primo motivo si deduce, e x art. 360, n. 4, c.p.c., violazione degli artt. 18, 24 e 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, perché il Giudice di merito ha erroneamente preso in considerazione la questione (decisiva) concernente la rilevanza del contratto di ship management , introdotta in appello con motivo nuovo e, quindi, inammissibile.
3.1. Con il secondo motivo si deduce, ex art. 360, n. 3, c.p.c., falsa applicazione, dell’art. 73, comma 3, del TUIR, denunciata in subordine per avere il Giudice erroneamente escluso l’esterovestizione della Barry e la sede in Italia della società, sulla base del contratto di ship management , fattispecie del tutto estranea alla disposizione violata, proponendosi argomentazioni sostanzialmente coincidenti con quelle svolte nel terzo motivo del ricorso n. 22901/23 RG.
3.2. Con il terzo motivo si deduce, ex art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione della legge 31 agosto 2022, n. 130 e dell’art. 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111, perché il Giudice ha errato nell’affermare che il c.d. doppio binario tra processo penale e processo tributario sarebbe stato soppresso.
3.3. Con il quarto motivo si deduce, ex art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p., dell’art. 20 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, dell’art. 2909 cod. civ. e degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., per avere il Giudice erroneamente ritenuto vincolante la sentenza penale di assoluzione ed essersi di conseguenza ad esso attenuto, pur avendo il potere di svolgere un accertamento autonomo sulle circostanze oggetto di questo giudizio.
3.4. Con il quinto motivo si deduce , ex art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 73, comma 3, del TUIR, e degli artt. 4 e 8 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Portogallo, perché il Giudice ha escluso l’esterovestizione della Barry sulla base di un criterio -la costruzione di puro artificio
-estraneo a quanto previsto dalle citate disposizioni, le quali danno rilievo soltanto al criterio del place of effective management.
3.5. Con il sesto motivo si deduce , ex art. 360, n. 4, c.p.c., violazione dell’art. 132 del codice di rito, per non aver il Giudice motivato adeguatamente in ordine allo scostamento rispetto ai risultati della ctu.
3.6. Con il settimo motivo si deduce, ex art. 360, n. 4, c.p.c., violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., per non aver il Giudice motivato le ragioni che lo hanno indotto ad escludere la fondatezza delle contestazioni, a seguito del venir meno dell’ipotesi accertativa dell’esterovestizione.
Nel ricorso n. 24031/2023 RG con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione degli artt. 18, 24 e 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, perché Giudice di merito ha erroneamente preso in considerazione la questione (decisiva) concernente la rilevanza del contratto di ship management , introdotta in appello con un nuovo motivo inammissibile.
4 .1. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., falsa applicazione dell’art. 73, comma 3, del TUIR, denunciata in subordine ex art. 360, n. 3, c.p.c., per avere il Giudice erroneamente escluso l’esterovestizione della Barry e la sede in Italia della società, sulla base del contratto di ship management , fattispecie del tutto estranea alla disposizione violata, proponendosi argomentazioni sostanzialmente coincidenti con quelle svolte nel terzo motivo del ricorso n. 22901/23 RG.
4 .2. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione della l. n. 130 del 2022 e dell’art. 20 della l. n. 111 del 2023, denunciata ex art. 360, n. 3, c.p.c., perché il Giudice ha errato nell’affermare che il
c.d. doppio binario tra processo penale e processo tributario sarebbe stato soppresso.
4.3. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p., dell’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000, dell’art. 2909 cod. civ. e degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., per avere il Giudice erroneamente ritenuto vincolante la sentenza penale di assoluzione ed essersi di conseguenza ad esso attenuto, pur avendo il potere di svolgere un accertamento autonomo sulle circostanze oggetto di questo giudizio.
4 .4. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione, dell’art. 73, comma 3, del TUIR, e degli artt. 4 e 8 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Portogallo , perché il Giudice ha escluso l’esterovestizione della Barry sulla base di un criterio la costruzione di puro artificio -estraneo a quanto previsto dalle citate disposizioni, le quali danno rilievo soltanto al criterio del place of effective management .
4 .5. Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 132 c.p.c., per non aver il Giudice motivato adeguatamente in ordine allo scostamento rispetto ai risultati della ctu.
4 .6. Con il settimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, denunciata ex art. 360, n. 4, c.p.c., per aver il Giudice di merito preso posizione su una questione (segnatamente l’applicabilità dell’art. 8 bis del d.P.R. n. 633 del 1972) estranea al thema decidendum in quanto gli avvisi di accertamento impugnati avevano ad oggetto imposte dirette e non IVA.
4 .7. Con l’ottavo motivo si deduce, ex art. ex art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 155 del TUIR, per
avere il Giudice erroneamente annullato gli atti impugnati in quanto non era stata presa in considerazione l’applicabilità della c.d. Tonnage tax .
Devono essere esaminate preliminarmente le eccezioni sollevate dai controricorrenti, secondo cui: a) è passata in giudicato la statuizione che ha escluso che i COGNOME agissero come amministratori di fatto; b) è inammissibile il ricorso nei confronti di società estera dichiarata fallita in Portogallo con sentenza del 5 luglio 2017 dal Tribunal Judicial da Comarca da Madeira di Funchal la cui relativa procedura di insolvenza si è chiusa in data 10 settembre 2021; c) i ricorsi per cassazione sono inammissibili in quanto tendenti alla rivalutazione di fatti.
5 .1. La questione sub a) è infondata in quanto l’affermazione della qualità di amministratori di fatto dei COGNOME, nella prospettazione dell’Ufficio, è strettamente legata all’affermazione della esterovestizione della società: anzi, come si dirà infra , la dedotta esterovestizione si fonda proprio sull’accertamento della qualità di amministratori di fatto dei COGNOME attraverso le due società, ad essi riconducibili, attraverso le quali, ma non solo, i controricorrenti gestivano la società operante in Portogallo. Quindi, l’impugnazione della esterovestizione investe tutte le questioni connesse e conseguenti, tra cui la qualità di amministratori di fatto dei COGNOME.
5.2. Priva di rilievo è la questione sub b), posto che: -anzitutto, la questione riguarda un soggetto, ossia la società, rispetto alla quale i controricorrenti affermano di essere terzi, in quanto contestano la qualità di amministratori di fatto; -inoltre, già in base alla prospettazione offerta in controricorso, la società è tornata in bonis , per intervenuta chiusura del fallimento, ben prima della notificazione del ricorso; -in ogni caso, il difetto di contradditorio, e la conseguente nullità del giudizio può ritenersi superabile in virtù delle superiori esigenze
di economia processuale e di ragionevole durata del processo qualora, come nel caso in esame, il ricorso possa essere definito con immediatezza senza nocumento alcuno per la parte asseritamente pretermessa (cfr. Cass. n. 11287 del 2018; Cass. n. 18890 del 2021; Cass. n. 32933 del 2024).
5.3. La questione sub c) non è in grado di inficiare per intero i ricorsi ma va esaminata con riferimento ai singoli motivi.
Vengono prioritariamente in rilievo il quarto motivo del ricorso n. 22901/23 RG e il quinto motivo dei ricorsi nn.23643/23 e 24031/23 RG che pongono questioni di violazione di legge con riguardo ad aspetti fondamentali in tema di esterovestizione. Tali motivi, pur essendo ammissibili, sono infondati.
6.1. Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (Cass. n. 33234 del 2018; Cass. n. 2869 del 2013; Cass. n. 16697 del 2019; Cass. n. 2021, n. 6476 del 2021; Cass. n. 15424 del 2021; Cass. n. 1544 del 2023) che per esterovestizione s’intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente, di sottrarsi al più gravoso regime nazionale.
6.2. Non può prescindersi dai principi unionali in tema di libertà di stabilimento, che l’articolo 49 TFUE attribuisce ai cittadini dell’Unione, e « implica per essi l’accesso alle attività non subordinate ed il loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese, alle stesse condizioni previste dalle leggi dello Stato membro di stabilimento per i propri cittadini. Essa comprende, conformemente all’articolo 54 TFUE, per le società costituite a norma delle leggi di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale all’interno dell’Unione, il diritto di svolgere le loro attività nello Stato membro di cui trattasi mediante una controllata, una succursale o
un’agenzia (sentenza del 7 settembre 2017, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, C -6/16, EU:C:2017:641, punto 52 e giurisprudenza citata) » (Corte giust., 20 dicembre 2017, cause riunite C-504/16 e 613/16, RAGIONE_SOCIALE e a., punto 86). In particolare, secondo Corte giust. 12 settembre 2006, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, causa C-196/04, la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà (punto 37) ma che, per contro, una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa « se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato » (punto 51); la Corte di giustizia ha altresì precisato che, poiché l’obiettivo della libertà di stabilimento è quello di permettere ad un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le sue attività e di partecipare così, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di origine e di trarne vantaggio (punti 52 e 53), la nozione di stabilimento implica l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata, mercé l’insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro, sicché essa presuppone « un insediamento effettivo della società interessata nello Stato membro ospite e l’esercizio quivi di un’attività economica reale » (punto 54; v. anche Corte giust, 25 luglio 1991, causa C-221/89, Factortame e a., punto 20; Corte giust., 4 ottobre 1991, causa C-246/89, Commissione/Regno Unito, punto 21); ne discende che una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere « lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazional e» (punto 55).
6.3. Tali concetti sono stati ribaditi dalla sentenza della Corte di giustizia 28 giugno 2007, causa C -73/06, RAGIONE_SOCIALE, la quale, nell’interpretare l’ottava e la tredicesima direttiva in materia di IVA (direttive del Consiglio, rispettivamente, 6 dicembre 1979, 79/1072/CEE, in tema di rimborso dell’imposta ai soggetti passivi non residenti all’interno del Paese, e 17 novembre 1986, 86/560/CEE, in tema di rimborso ai soggetti passivi non residenti nel territorio della Comunità), premesso che, per costante giurisprudenza, gli interessati non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente del diritto comunitario (punto 44), ha affermato che ciò accadrebbe se un soggetto passivo intendesse fruire del sistema di rimborso, alle condizioni enunciate dalle citate direttive, quando l’indirizzo dell’impresa « non corrisponde ad alcuna realtà economica » (punto 45), in particolare, « né alla sede dell’attività economica del soggetto , né ad un centro di attività stabile dal quale quest’ultimo svolge le sue operazioni » (punto 49). Gli stessi giudici hanno stabilito che la nozione di sede dell’attività economica, ai sensi dell’art. 1, punto 1, della tredicesima direttiva n. 86/560/CEE, indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest’ultima (punto 60). La determinazione del luogo della sede dell’attività economica di una società implica la presa in considerazione di un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società. Possono essere presi in considerazione anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie (punto 61). Di
conseguenza un insediamento fittizio, come quello caratterizzante una società “casella postale” o “schermo”, non può essere definito sede di un’attività economica ai sensi dell’art. 1, punto 1, della tredicesima direttiva (punto 62).
6.4. Quel che, dunque, deve essere accertato, ai fini della corretta applicazione della previsione normativa in esame, è l’apparente localizzazione all’estero di un soggetto. Quel che rileva « non è accertare la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma accertare se il trasferimento in realtà vi è stato o meno, se, cioè, l’operazione sia meramente artificiosa (wholly artificial arrangement), consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica » (Cass. n. 2869 del 2013); è quindi necessario accertare che si tratta di costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica, il cui scopo essenziale è limitato all’ottenimento di un vantaggio fiscale, attraverso « la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente, di sottrarsi al più gravoso regime nazionale » (Cass. n. 33234 del 2018). La maggior attenzione al dato della ‘fittizietà’, della ‘artificiosità’, dell’assenza di ‘effettività economica’, rispetto ai vantaggi economici e fiscali, è coerente con la giurisprudenza unionale secondo la quale, quando può scegliere tra due operazioni, il contribuente non è obbligato a preferire quella che implica il pagamento di maggiori imposte, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consenta di ridurre la sua contribuzione fiscale (Corte giust., 17 dicembre 2015, RAGIONE_SOCIALE kft , causa C419/14, punto 42; Corte giust., 21 febbraio 2006, Halifax e a., causa C -255/02, punto 73; Corte giust., 21 febbraio 2008, Part Service, causa C -425/06, punto 47, Corte giust., 22 febbraio 2018, X BV e X NV, cause C –
398/16 e 399/16, punto 49), a meno che consimili meccanismi non abbiano come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito dalle norme e da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale (Corte giust., 17 dicembre 2015, causa C -419/14, RAGIONE_SOCIALE), occorrendo, a tal fine, la disamina della singola operazione (si veda anche Corte giust. 7 settembre 2017, causa C -6/16, RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE
6.5. Sul piano interno, la fattispecie è regolata dall’art. 73, comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986, secondo cui « i fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato ». Tra i criteri alternativi e paritetici descritti nell’art. 73, comma 3, TUIR, viene in rilievo quello della « sede dell’amministrazione ». Questa Corte, a proposito dell’interpretazione del relativo concetto, ha già avuto modo di precisare che « la nozione di ‘sede dell’amministrazione’, in quanto contrapposta alla ‘sede legale’, deve ritenersi coincidente con quella di ‘sede effettiva’ (di matrice civilistica), intesa come il luogo dove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento -nei rapporti interni e con i terzi -degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente » (Cass. n. 7037 del 2004, Cass. n. 6021 del 2009, Cass. n. 2813 del 2014; Cass. n. 33234 del 2018; Cass. n. 15424 del 2021).
6.6. Si rileva una convergenza con la giurisprudenza comunitaria, quanto alla nozione e individuazione della ‘sede effettiva’ perché, come è stato già sottolineato da questa Corte,
« sullo stesso specifico punto, la citata sentenza della Corte di giustizia 28 giugno 2007, RAGIONE_SOCIALE ha statuito che la nozione di sede dell’attività economica ‘indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest’ultima’ (punto 60), e che la determinazione del luogo della sede dell’attività economica di una società implica ‘la presa in considerazione di un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società. Possono essere presi in considerazione anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie’ (punto 61); » (così Cass. n. 15424 del 2021, in motivazione; nello stesso senso Cass. n. 16697 del 2019, in motivazione).
6.7. Viene altresì in rilievo la tie -breaker rule fissata dall’art. 4, paragrafo 3, della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica portoghese per evitare le doppie imposizioni e per prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, ratificato in Italia con legge 10 luglio 1982, n. 562, secondo cui « Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona diversa da una persona fisica è residente di entrambi gli Stati contraenti, si ritiene che essa è residente dello Stato in cui si trova la sede della sua direzione effettiva ». Se il riferimento alla ‘direzione’ pone l’attenzione sulla ‘attività direttiva e amministrativa’ il richiamo alla ‘effettività’ impone una complessiva valutazione delle circostanze fattuali, tra i quali anche il ‘luogo ove è esercitata l’attività principale’, che non si contrappone a quello del place of effective management , ma
contribuisce ad identificare quest’ultimo, come sede di direzione effettiva (v., sul tema, Cass. n. 1544 del 2023 in motivazione). La stessa prassi (risoluzione n. 312/E del 5 novembre 2007) aveva chiarito che per individuare la sede di direzione effettiva di una società non basta fare riferimento al luogo di svolgimento della ‘prevalente attività direttiva e amministrativa’, ma occorre considerare anche il ‘luogo ove è esercitata l’attività principale’. Converge su questa impostazione l’art. 4, par. 3, del Modello OCSE, come modificato dal 2017, che prevede la combinazione di diversi fattori, sia formali che sostanziali, tra i quali continua ad essere menzionato il place of effective management , ma come uno (non l’unico) dei possibili elementi rilevanti, dovendosi tener conto anche: del luogo di costituzione ( the place where it is incorporated or otherwise constituted ) e di ogni altro fattore rilevante ( any other relevant factors ).
6.8. Tirando, quindi, le fila di tali premesse, deve rilevarsi, conformemente all’orientamento di questa Corte (tra le ultime, Cass. n. 1544 del 2023; Cass. n. 15424 del 2021; Cass. n. 16697 del 2019), che ai sensi dell’art. 73, terzo comma, d.P.R. n. 917 del 1986, la nozione di “sede dell’amministrazione”, contrapposta alla “sede legale”, coincide con quella di ‘sede effettiva’ (di matrice civilistica), intesa come luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative e di direzione dell’ente e dove si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento -nei rapporti interni e con i terzi -degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente. Resta fermo che tale valutazione, nel singolo caso concreto, proprio perché finalizzata all’accertamento di un dato ‘effettivo’, non può non tenere conto anche di quei rilevanti fattori sostanziali (tra i quali, in ipotesi, lo svolgimento dell’attività principale) che, a fronte di dati formali relativi alla collocazione geografica del luogo dove si svolga
l’attività amministrativa e di direzione, depongano invece per l’effettiva riconduzione di quest’ultima ad un diverso contesto territoriale. In particolare, la necessità della verifica, nel caso concreto, di un complesso di dati sostanziali è emersa, in sede penale, a proposito della società̀ con sede legale estera controllate da società con sede in Italia, quando si è affermato che non può̀ costituire criterio esclusivo di accertamento della sede della ‘direzione effettiva’ l’individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative, qualora esso s’identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società̀ controllante italiana, precisando che in tal caso è necessario accertare anche che la società̀ controllata estera non sia costruzione di puro artificio, ma corrisponda a un’entità̀ reale che svolge effettivamente la propria attività̀ in conformità̀ al proprio atto costitutivo o allo statuto (Cass. pen., 24/10/2014, n. 43809, richiamata da Cass. n. 33234 del 2018, in motivazione), non essendo le società̀ esterovestite, perciò soltanto, prive della loro autonomia giuridico -patrimoniale e, quindi, automaticamente qualificabili come schermi (Cass. pen. 07/11/2018, n. 50151, richiamata da Cass. n. 33234 del 2018): « Nella sostanza, ai fini di accertare se abbia, o meno, residenza fiscale in Italia la società estera controllata da società italiana, il concetto di «sede dell’amministrazione» non può coincidere ‘sic et simpliciter’ con l’attività di direzione e coordinamento che la capogruppo, o comunque la controllante, esercita sulla controllata, adoperando quella prerogativa tipica del controllo societario di cui all’art. 2359 cod. civ., che si realizza attraverso atti d’indirizzo strategico ed operativo che connotano lo stato di dipendenza degli interessi della consociata a vantaggio del gruppo nella sua globalità o della controllante. Lo spostamento effettivo, presso la controllante, della sede dell’amministrazione della consociata presuppone invece, un grado di eterodirezione concreta superiore, integrando una
fattispecie in cui , come si è detto in dottrina, ‘la società controllante assume i connotati di un vero e proprio amministratore indiretto della società controllata’, della quale usurpa l’impulso imprenditoriale, sottraendole ogni prerogativa sovrana in ordine alla propri operatività e riducendola a ‘mero satellite o dipendenza’ (ovvero a struttura non effettiva, rispetto alla quale pertanto neppure opererebbe, per quanto già rilevato, la protezione accordata dal diritto comunitario alla libertà di stabilimento) » (Cass. n. 1544 del 2023).
6.9. L’accertamento contenuto nelle sentenze impugnate è coerente con tali principi ed è stato svolto in termini approfonditi ed esaustivi: «… per lo svolgimento della propria attività, NOME COGNOME si è sempre avvalsa dell’ufficio in cui è ubicata la sede sociale della società in Funchal (Madeira, Portogallo), di due rimorchiatori utilizzati per l’attività di rimorchio di natanti e di assistenza alle piattaforme petrolifere, di ben 52 dipendenti, cittadini comunitari non italiani ed extra -comunitari (vedasi l’organigramma dei dipendenti di NOME COGNOME, i contratti di lavoro e l’estratto dei mansionari del personale cui erano demandati il comando e le responsabilità delle imbarcazioni). Le maestranze, che operano secondo le direttive e le istruzioni dei rispettivi comandanti dei rimorchiatori, hanno frequentato corsi di formazione a Lisbona ove, peraltro, hanno sostenuto gli esami per gli imbarchi. Le riunioni del Consiglio di Amministrazione di NOME COGNOME e le assemblee dei soci si sono sempre svolte a Funchal, Madeira, come comprovato dai documenti concernenti le riunioni del Consiglio di Amministrazione depositati nel corso del giudizio di primo grado, e dell’Assemblea dei soci di NOME COGNOME».
6.10. Ancora, i giudici d’appello osservano che «Considerata, quindi, l’attività degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività della società RAGIONE_SOCIALE, non si può non tener conto anche di quei rilevanti
fattori sostanziali che, a fronte di dati formali relativi alla collocazione geografica del luogo dove si svolga l’attività amministrativa e di direzione, depongano invece per l’effettivo stabilimento di quest’ultima al contesto portoghese. D’altronde, è in Portogallo (a Funchal), e a bordo dei rimorchiatori di bandiera portoghese svolgenti servizi in acque extra -territoriali, che NOME COGNOME svolge l’attività economica, con organizzazione e coordinamento dei diversi fattori produttivi, e produce il proprio reddito. Viepiù. Dalla documentazione in atti (prospetto degli stipendi), si evince che NOME NOME, nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione della RAGIONE_SOCIALE, veniva puntualmente remunerato in Portogallo dalla società e sui redditi prodotti versava le relative imposte (‘imposto sobre o rendimento’), con delega di pagamento effettuate tramite istituto di credito portoghese».
6.11. A ben vedere, è la prospettazione dell’Ufficio carente e non a fuoco rispetto al dato normativo e giurisprudenziale di riferimento: la ricorrente perde di vista il quadro complessivo e adotta un approccio atomistico, non facendosi carico di contestare che in Portogallo vi fosse « un insediamento effettivo della società interessata nello Stato membro ospite e l’esercizio quivi di un’attività economica reale » (Corte giust., Cadbury, punto 54) e trascurando i dati principali che servono ad individuare la sede ( la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società, v. Corte giust., Planzer, punto 61 ) , per concentrarsi sulle figure dei COGNOME nello sforzo di dimostrare che erano gli amministratori di fatto dello società, principalmente attraverso lo ‘schermo’ dei contratti di servizi con le due società italiane e il vincolo fiduciario con NOME COGNOME Presidente del Consiglio di amministrazione della società
portoghese, il tutto al fine di avvantaggiarsi del miglior trattamento fiscale assicurato dalla sede in Madeira.
6.12. Anche a voler ammettere il loro ruolo di amministratori di fatto, l’individuazione del luogo da cui partono gli impulsi gestionali e di direzione, come già osservato, non è criterio sufficiente per dimostrare l’esterovestizione della società con sede in altro Stato membro dovendosi comunque dimostrare che quest’ultima è una ‘struttura non effettiva’, né il fatto di stabilire la sede, legale o effettiva, di una società in conformità alla legislazione di uno Stato membro al fine di beneficiare di una legislazione più vantaggiosa costituisce di per sé un abuso (v., in tal senso, Corte giust., 9 marzo 1999, Centros, C -212/97, punto 27, Corte giust., 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C -106/16, punto 40; Corte giust., 25 aprile 2024, Edil Work 2, C -276/22, punto 47). Ed anche a voler affermare la natura gestoria (e non di servizio contrattuale) dell’attività svolta in Italia attraverso le due società di servizi, va considerato che, sempre secondo la giurisprudenza unionale, «…la mera circostanza che una società, pur avendo la propria sede in uno Stato membro, svolga la parte principale delle sue attività in un altro Stato membro non può fondare una presunzione generale di frode, né giustificare una misura che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato. (v., per analogia, sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C -106/16, EU:C:2017:804, punto 63). Orbene, nel caso di specie, se la normativa di cui trattasi nel procedimento principale dovesse essere interpretata nel senso che impone l’applicazione sistematica della legge italiana a qualsiasi atto di gestione di una società avente sede in un altro Stato membro ma che svolge la parte principale delle sue attività in Italia, essa equivarrebbe a introdurre una presunzione secondo cui i comportamenti di tale società sarebbero abusivi. Alla luce delle considerazioni esposte ai punti 47 e 48 della presente sentenza,
una normativa di questo tipo sarebbe sproporzionata (v., per analogia, sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C -106/16, EU:C:2017:804, punto 64)» (v Corte giust., 25 aprile 2024, Edil Work 2, C -276/22, punti 48 e 49 ).
7. Su queste basi devono essere disattese anche le questioni concernenti i contratti di servizi o ship management della società estera con le società italiane riconducibili ai COGNOME, al primo, secondo motivo e terzo motivo del ricorso n. 22901/23 RG, nonché al primo e secondo motivo delle altre due cause. Da un lato, non ricorrono le denunziate violazioni processuali perché i rapporti contrattuali tra la Barry e le due società italiane erano oggetto degli accertamenti dell’Ufficio e le deduzioni d’appello di controparte in merito ad essi costituiscono mere difese e non domande nuove (Cass. n. 13742 del 2015; Cass. n. 32390 del 2022), mentre la motivazione della Corte non travalica il limite di cui all’art. 112 c.p.c. atteso che « non sussiste violazione del divieto di extrapetizione ex art. 112 c.p.c. nell’ipotesi in cui il giudice, restando nell’ambito della “causa petendi” e del “petitum”, sorregga la decisione con argomentazioni diverse da quelle addotte dalla parte» (Cass. n. 2146 del 2006)). D’altro lato, le censure di violazione dell’art. 73 comma 3, cit., per aver i Giudici d’appello desunto l’insussistenza della esterovestizione dai contratti di ship management stipulati con le società italiane, rivelano l’incomprensione della ratio decidendi delle sentenze impugnate, perché la CGT -2 ha concluso per l’effettività dello stabilimento della Barry in Portogallo attraverso l’esame del quadro complessivo degli elementi a disposizione, accertando altresì che quei contratti svolgevano soltanto una « funzione strumentale rispetto alla società portoghese »; ciò chiarito, quelle doglianze sono, per un verso, inammissibili là dove cercano di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice del merito e, per altro verso, infondate perché, come già osservato, la CGT -2 ha
correttamente svolto il suo accertamento senza attribuire a quei contratti un rilievo decisivo.
Risultano inammissibili e comunque infondate anche le questioni relative alla ctu, al quinto e sesto motivo della causa n. 22901/23 RG, al sesto motivo della causa n. 24031/23 RG e della causa n. 23543/23 RG. Il mancato esame delle risultanze peritali integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 13770 del 2018; Cass. n. 18598 del 2020) -e non ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. per omessa motivazione -, risolvendosi nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, sempre che la ctu abbia rilevato o accertato un fatto storico decisivo (Cass. n. 12387 del 2020); va, altresì, rammentato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 17005 del 2024). In questo caso, gli accertamenti peritali evidenziati dalla ricorrente, che sarebbero stati trascurati dal Giudice d’appello, tendono più che altro ad attribuire ai COGNOME la qualità di amministratori di fatto della società portoghese ma, come sopra osservato, l”esterovestizione’ della società costituisce fattispecie diversa, la cui ricorrenza è stata esclusa dalla CGT -2 sulla scorta di un accertamento coerente con la cornice normativa che ha comunque considerato anche la posizione dei ricorrenti, in relazione ai contratti di ship management , cosicché il fatto che i Giudici d’appello non si siano soffermati sui singoli elementi istruttori evidenziati dalla ctu non rappresenta vizio motivazionale. Del resto, spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive
risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 331 del 2020; Cass. n. 19547 del 2017; Cass. n. 24679 del 2013; Cass. n. 27197 del 2011).
Inoltre, confermata la prima ratio delle sentenze, risulta irrilevante l’esame della seconda, fondata sulla forza di giudicato della sentenza penale che ha assolto il COGNOME perché il fatto non sussiste, escludendo la ricorrenza della esterovestizione. Pertanto, i motivi sette e otto della causa n. 22901/23 RG, tre e quattro delle cause nn. 24031/23 e 23543/23 RG risultano inammissibili, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte per cui la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (tra le tante, da ultimo, Cass. n. 5102 del 2024). Non vi è quindi ragione di attendere, come chiesto in subordine dal Procuratore Generale, la decisione delle Sezioni Unite a cui sono state rimesse le questioni relative al nuovo assetto dei rapporti tra giudizio penale e giudizio tributario a seguito dell’art. 21 bis del d.lgs. n. 74/2000 (v. ordinanza di rimessione Cass. n. 5714 del 2025).
Ancora, è inammissibile l’ottavo motivo della causa n. 24031/23 RG relativo alla tonnage tax atteso che la motivazione della sentenza sul punto ha un rilievo essenzialmente argomentativo, non esprime cioè alcuna ratio decidendi : la CGT -2, osservando che non era « stata valutata la circostanza che se RAGIONE_SOCIALE avesse effettivamente stabilito la propria sede in Italia svolgendo in proprio le attività di ship management (e non tramite
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), avrebbe potuto optare per il regime della Tonnage tax, conseguendo un cospicuo risparmio d’imposta », segnala soltanto una lacuna nella prospettazione dell’Ufficio, che aveva individuato lo scopo dell’asserita ‘esterovestizione’ nel vantaggio fiscale assicurato dalla legislazione portoghese trascurando che anche la normativa italiana attraverso quell’istituto, previsto dagli artt. 155 e seguenti del TUIR, consentiva una tassazione opzionale forfettaria che riduceva le « asimmetrie fiscali tra la flotta italiana e le flotte europee» . Vale, quindi, il principio secondo cui le censure contro argomentazioni ad abundantiam o obiter dicta non sono sorrette da alcun interesse (Cass. n. 1770 del 2025).
Per le medesime ragioni è inammissibile anche il settimo motivo nella causa n. 24031/23 RG che censura un passaggio motivazionale irrilevante, come riconosce la stessa ricorrente, rispetto al thema decidendum della causa.
Infine, sono inammissibili e comunque infondati il nono motivo del ricorso n. 22901/23 RG e il settimo motivo nella causa n. 23543/23 RG con cui la ricorrente lamenta la carenza di motivazione sul perché l’esclusione della esterovestizione comporti l’annullamento degli atti impositivi. Si lamenta una insufficienza motivazionale che non è più consentita, non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, cosicché il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione
perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022), vizio che chiaramente non ricorre nel caso in esame. Va altresì considerato che l’annullamento degli atti impositivi non può che costituire immediata conseguenza dell’accertamento della insussistenza dell”esterovestizione’ della società portoghese, dato che negli stessi avvisi impugnati i recuperi d’imposta si fondavano su quella contestazione.
Conclusivamente i ricorsi riuniti devono essere rigettati e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza, dovendosi altresì disporre la distrazione a favore del difensore dei controricorrenti che si è dichiarato antistatario.
p.q.m.
dispone la riunione delle cause nn. 23543/23 e 24031/23 RG alla causa n. 22901/23 RG e rigetta i ricorsi riuniti;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 27.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, e distrare a favore del difensore antistatario dei controricorrenti.
Così deciso in Roma, il 09/04/2025.