Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 832 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 832 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20277/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE attualmente sottoposta a fallimento in Romania, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOMECOGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l ‘ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIA-MILANO n. 4368/2019 depositata il 06/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
In data 25.11.2016 veniva notificato a RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. T9P031R03971/2016, emesso dall’Agenzia delle entrate – Direzione Provinciale di Lecco – Ufficio Controlli, relativo a IRES, IRAP e IVA per il periodo di imposta 2013.
L’avviso faceva seguito ad attività di verifica della G.d.F. confluita in PVC: secondo quanto riferisce la sentenza in epigrafe, reperita ‘un’ingente mole di documentazione extracontabile in sede di accesso presso i locali della società RAGIONE_SOCIALE, erano stati individuati numerosi elementi indiziari che avevano fatto concludere i verificatori per la residenza fiscale in Italia di due società di diritto rumeno, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE entrambe controllate dalla RAGIONE_SOCIALE s.p.a. Dalle risultanze dall’attività svolta dalla G.d.F. era emerso che le due società rumene erano prive di autonomia gestionale, organizzativa ed amministrativa, con la conseguente riconducibilità di dipendenti e mezzi alle dirette dipendenze della RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE, effettiva e unica titolare dell’esercizio delle funzioni aziendali necessarie per lo svolgimento dell’attività d’impresa’.
La procedura di adesione si concludeva negativamente.
La contribuente impugnava l’avviso.
Con sentenza emessa in data 8.01.2018, depositata il giorno 19.02.2018, la Commissione Tributaria Provinciale di Lecco accoglieva parzialmente il ricorso della società disponendo l’annullamento dell’avviso di accertamento nella parte riguardante l’IVA mentre confermava l’operato dell’Agenzia delle entrate in relazione all’IRES e all’IRAP.
L’Agenzia proponeva appello in via principale e la contribuente in via incidentale.
Con la sentenza in epigrafe, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia così decideva: ‘ In riforma della sentenza di I grado, accoglie l’appello dell’Ufficio e conferma l’accertamento IVA. Conferma per il resto l’impugnata sentenza’.
Osservava in motivazione quanto segue:
‘ Il motivo ‘ d’appello dell’Ufficio volto a dedurre che, ‘ appurato che l’effettiva residenza della RAGIONE_SOCIALE è in Italia, in virtù del principio della territorialità dell’imposta che vige in tema di IVA. la società avrebbe dovuto versare l’imposta in discorso nello Stato ove si considerano effettuate le prestazioni di servizi, dunque in Italia ‘ -‘ è fondato ‘. Infatti, ‘ in ambito IVA, la presenza di una disciplina comunitaria rende irrilevante la residenza del soggetto passivo, se non per stabilire la territorialità della prestazione, tant’è che le norme che regolano l’obbligo di identificazione o lo stabilimento si applicano solo quando il soggetto compie abitualmente operazioni rilevanti ai fini IVA in Italia. L’art. 7 ter del DPR 633/1972 individua il criterio del domicilio del committente del servizio, come regola generale nei servizi resi a soggetti passivi; pertanto, le prestazioni di servizi si considerano effettuate nel Paese in cui è stabilito il committente, se questi è soggetto passivo d’imposta. Nella fattispecie in esame, essendo RAGIONE_SOCIALE il principale committente della RAGIONE_SOCIALE, le prestazioni ad essa rese sono imponibili in Italia ‘. ‘ Alla luce di quanto sopra, stante l’imponibilità in Italia delle operazioni attive dichiarate dalla RAGIONE_SOCIALE di diritto rumeno, la pretesa tributaria dell’Ufficio è legittima in ordine alle operazioni
attive dichiarate in Romania, contrariamente a quanto affermato dal Giudice di prime cure ‘.
Propone ricorso per cassazione la contribuente con un motivo; resiste con controricorso l’Agenzia.
La contribuente deposita altresì memoria telematica addì 10 novembre 2023, mediante la quale comunica che è ‘medio tempore’ intervenuto fallimento in Romania, in seno al passivo della cui procedura si è insinuata l’Agenzia.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 -ter del DPR 633/1972 c.p.c. in relazione all’art. 17 comma 2 e 7 del DPR 633/1972 (art. 360 comma 1 nn. 3) violazione del principio della neutralità dell’imposta’. ‘L’articolo 7 ter prevede, al comma 1 lettera a) che le prestazioni di servizi si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese a soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato. Dunque, ogni qual volta il committente di una prestazione di servizi è stabilito (ovvero, residente) nel territorio dello Stato italiano, la prestazione richiesta viene considerata ivi effettuata, a prescindere dalla localizzazione effettiva della prestazione (che potrebbe, dunque, anche non essere avvenuta in Italia) e dalla residenza/stabilimento del prestatore del servizio. Tale principio, viene disatteso immediatamente nei primi passi della sentenza impugnata ‘. ‘È qui che la Commissione Tributaria Regionale commette il primo e sostanziale errore: ritiene che la società ricorrente (prestatore del servizio) sia da considerarsi il soggetto passivo dell’imposta in Italia, in luogo invece del soggetto committente che, proprio l’articolo 7 ter del dpr 633/1972, individua essere quello tenuto all’assolvimento dell’imposta (soggetto nei cui confronti la prestazione viene eseguita che, quindi, è l’effettivo soggetto
passivo). Il criterio d’imputabilità dell’imposta sul valore aggiunto nella prestazione di servizi, ai sensi dell’art. 7 -ter del DPR 633/1972 è proprio quello della residenza del soggetto passivo dell’imposta medesima e non quello della residenza del soggetto che effettua la prestazione di servizi’. ‘In realtà è fondamentale comprendere che tutte le operazioni intracomunitarie sno soggette al meccanismo del ‘reverse charge’, ovvero che le fatture emesse dal soggetto che esegue le prestazioni di servizio siano assoggettate all’imposta nel paese in cui il committente ha la propria residenza/stabilimento. Tale principio basilare, contenuto nell’art. 17 Dpr 633/1972, è del tutto sfuggito alla Commissione Tributaria Regionale’. ‘La Commissione Tributaria Regionale tenta di giustificare la debenza dell’IVA da parte della RAGIONE_SOCIALE ritenendo che, essendo il committente della predetta la società italiana RAGIONE_SOCIALE, le prestazioni rese siano da considerarsi imponibili in Italia e che a fronte di tale circostanza l’IVA non sia stata assolta. La RAGIONE_SOCIALE mai ha affermato che le prestazioni dalla stessa rese in favore di committenti italiani non fossero imponibili in Italia, anzi: proprio il fatto che le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE prevedessero – tutte – l’assolvimento dell’imposta con il sistema del ‘reverse charge’ conferma proprio che la stessa società ricorrente abbia assoggettato all’imposta italiana le prestazioni di servizi eseguite in favore dei soggetti passivi (committenti) residenti in Italia e che l’IVA sia stata tutta ed integralmente assolta. È evidente, dunque, a questo punto come la richiesta di corresponsione dell’IVA alla RAGIONE_SOCIALE si trovi in aperto contrasto con il principio di neutralità dell’imposta ‘. ‘Anche se dovessimo accedere alla tesi dell’Agenzia delle entrate e così considerare la RAGIONE_SOCIALE come una società esterovestita (e quindi sostanzialmente una società di diritto
italiano), l’IVA sarebbe stata comunque correttamente applicata ed assolta. E ciò in quanto, come sopra detto:
-le fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di soggetti passivi non residenti in Italia sarebbero assoggettate al regime impositivo del paese in cui questi ultimi sono residenti/stabiliti: quindi l’imposta non sarebbe comunque ed in ogni caso dovuta in Italia;
-le fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di soggetti passivi residenti in Italia (quindi imposta dovuta in Italia), sono state assoggettate al regime della ‘reverse charge’ e dunque l’imposta è stata correttamente assolta ‘.
Il motivo è fondato nei soli limiti della motivazione che segue.
Preliminarmente deve osservarsi come -a differenza di quanto sostiene la contribuente -la CTR non dica affatto che la residenza del soggetto passivo, in tema di applicazione dell’IVA, è un dato irrilevante, poiché anzi scrive che ‘la presenza di una disciplina comunitaria rende irrilevante la residenza del soggetto passivo, se non’ – ed è questo il punto centrale del suo ragionamento – ‘per stabilire la territorialità della prestazione’.
Tanto precisato, il motivo pretermette il confronto con l’effettivo tenore della motivazione della sentenza impugnata.
Infatti la CTR:
-da un lato, inquadra perfettamente il meccanismo delineato dall’art. 7 -ter, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 633 del 1972, rammentando – contrariamente all’infondata ricostruzione di cui al motivo -che esso ‘ individua il criterio del domicilio del committente del servizio, come regola generale nei servizi resi a soggetti passivi; pertanto, le prestazioni di servizi si considerano effettuate nel Paese in cui è stabilito il committente, se questi è soggetto passivo d’imposta’;
-dall’altro lato, in piana applicazione di detto meccanismo, rileva che, ‘nella fattispecie in esame, essendo RAGIONE_SOCIALE il principale committente della RAGIONE_SOCIALE, le prestazioni ad essa rese sono imponibili in Italia’.
In altrimenti termini, al fine di determinare l’imponibilità in Italia, la CTR valorizza esattamente il criterio del domicilio del committente, che la contribuente assume violato: criterio, invece, ossequiato, con riferimento tuttavia alle sole committenze italiane, tra cui quella, prevalente, di RAGIONE_SOCIALE
Emerge qui l’unica ragione di non condivisibilità della sentenza impugnata, che è bene affrontare subito a fini di chiarezza espositiva.
La CTR ha attratto all’imponibilità in Italia tutte le operazioni della contribuente, senza distinguere tra quelle a committenza italiana e quelle a committenza estera (unionale o meno): l’errore, ‘in parte qua’, in cui essa è incorsa consiste nel non aver partitamente differenziato operazione per operazione, in guisa da considerare imponibili in Italia -proprio in applicazione del criterio di cui all’art. 7 -ter d.P.R. n. 633 del 197, pur correttamente evocato -solo quelle a committenza italiana, tra cui quelle commesse da RAGIONE_SOCIALE Tuttavia, la circostanza della prevalenza delle operazioni commesse da quest’ultima, in quanto capogruppo, non obnubilava la necessità di sottrarre all’imponibilità in Italia quelle non commesse dalla medesima o da altri soggetti passivi italiani. La doglianza sollevata sul punto nel motivo di ricorso è dunque condivisibile.
Non condivisibile, invece, è lo sviluppo argomentativo del motivo in riferimento alle operazioni imponibili in Italia, in quanto commesse da RAGIONE_SOCIALE o altri soggetti passivi italiani, sul rilievo che l’assolvimento dell’imposta in regime di ‘reverse charge’ comunque renderebbe conto dell’assenza di evasione.
Anzitutto, come correttamente rilevato nel controricorso, non emerge dal ricorso (nel silenzio della sentenza impugnata), che l’imposta sia stata effettivamente assolta in regime di ‘reverse charge’.
Secondariamente, pur a prescindere da ciò, e dunque ammettendo, in via di mera ipotesi, che le committenze italiane della contribuente abbia ottemperato agli obblighi di fatturazione, contabilizzazione e versamento ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. b) della Sesta direttiva, nonché dell’art. 17, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, comunque ciò non inficerebbe ‘ex post’ la legittimità della ripresa nei confronti della contribuente.
Invero, anzitutto deve considerarsi la contribuente una società a tutti gli effetti italiana, poiché il relativo accertamento in punto di esterovestizione, già contenuto nella sentenza di primo grado (parzialmente ritrascritta in quella impugnata) non ha più costituito oggetto di contestazione, con conseguente formazione ‘in parte qua’ di un giudicato endo -processuale.
Ciò rileva al fine di superare l’osservazione della contribuente in memoria secondo cui ‘la procedura rumena che sta interessando la ricorrente, e la conseguente richiesta di ammissione al passivo della controricorrente, provano inequivocabilmente la residenza rumena della RAGIONE_SOCIALE con ogni conseguenza di legge anche con riferimento all’accoglimento del presente ricorso. L’effettiva residenza in Italia contestata dall’Ufficio pertanto contrasta con quanto sopra dichiarato e con quanto posto in essere dalla parte controricorrente, e la società rumena ha, quindi, correttamente versato l’imposta in discorso in Romania’.
Premesso che non è rappresentata agli atti dei giudizi di merito la prova della corresponsione dell’imposta in Romania, avendo anzi la contribuente affermato l’assolvimento della stessa in Italia in applicazione del meccanismo del ‘reverse charge’, e considerato
che è compito del giudice rumeno verificare la sussistenza dei presupposti per radicare in Romania la procedura fallimentare, senza che sia dalla contribuente dedotto e dimostrato che, a termini della normativa rumena, il presupposto all’uopo rilevante sia quello della residenza effettiva in Romania, l’allegata insinuazione al passivo dell’Agenzia per il credito controverso non cade affatto in contraddizione con la posizione della medesima nel presente giudizio, atteso che, anzi, mediante tale iniziativa, l’Agenzia mira ad ottenere soddisfazione delle proprie ragioni siccome riconosciute dall’A.G. italiana.
Fatte le superiori precisazioni, a mente dell’essere la contribuente in realtà esterovestita, i rapporti intercorrenti tra le committenze italiane e la medesima devono essere considerati (come del resto riconosciuto anche nel motivo) meramente interni.
A tali rapporti meramente interni, nondimeno, in difetto di non rappresentate emergenze di segno contrario, non si sarebbe applicato il regime (derogatorio e perciò eccezionale) del ‘reverse charge’, ma quello ordinario; né tra i due regimi esiste (ovviamente) alcun rapporto di equivalenza (invece presupposto nel motivo) sia formale che, soprattutto, sostanziale, a partire, sotto quest’ultimo profilo, dall’individuazione ‘a monte’ del soggetto obbligato, che nel regime ordinario coincide con il prestatore e dunque nella specie con la contribuente.
Per concludere, mette conto di esplicitare che neppure colgono nel segno le doglianze della contribuente sulla violazione del principio di neutralità dell’imposta: in disparte che la contribuente non è titolata a far valere detta ipoteca violazione, in quanto soggetto che nulla ha versato a titolo d’imposta, in un’ottica di sistema, nella concorrenza dei relativi presupposti, segnatamente con riguardo a non riconducibilità delle operazioni a schemi ‘lato sensu’ frodatori e comunque a buona fede dei soggetti coinvolti,
soccorrono, all’uopo, a chiusura del sistema stesso, quantomeno le previsioni in tema di rimborso.
In definitiva, il motivo, come preannunciato, va accolto nei soli circoscritti limiti di cui innanzi. Ciò determina l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito affinché verifichi l’esistenza, dedotta nel motivo, di eventuali operazioni a committenza estera, scomputandole, se ed in quanto non imponibili in Italia, da quelle fondanti la ripresa, con conseguente rimodulazione di questa ed ‘in limine’ delle sanzioni. All’esito, detto giudice provvederà altresì alla definitiva regolazione tra le parti delle spese, comprese quelle del presente grado di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso ai sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Per l’effetto cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria della Lombardia per nuovo esame, entro tali circoscritti limiti, e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 22 novembre 2023.