Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26161 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 26161 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso per procura allegata in atti dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato indirizzo p.e.c.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata;
-controricorrente – avverso la sentenza n.176/2023 della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Friuli Venezia Giulia, depositata il 4 luglio 2023 e notificata il 30.10.2023;
TRIBUTI ACCERTAMENTO Esterovestizione
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME alla pubblica udienza del 6 maggio 2025;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto e l’ inammissibilità del ricorso.
udito per la controricorrente l’Avv ocato dello Stato NOME COGNOME
Fatti di causa
Nella controversia originata dall’impugnazione proposta da RAGIONE_SOCIALE (società di diritto estero con sede legale in Hong Kong ma ritenuta residente in Trieste) e da NOME COGNOME socio della stessa per una quota pari al 50%, avverso avvisi di accertamento (relativi a IRES e IRAP per i periodi di imposta dal 2008 al 2012 per la Società, e a IRPEF per i periodi di imposta dal 2010 al 2012 per il socio) emessi dall’Agenzia delle entrate sul presupposto di un’asserita esterovestizione dell’attività di produz ione di materiale elettronico svolta dalla RAGIONE_SOCIALE in Cina e della conseguente sottrazione alla tassazione dei dividendi attribuiti al Defendi, la Commissione Tributaria Provinciale di Trieste, con sentenza n.299 del 2018, rigettò i ricorsi.
La decisione, appellata dalla parte privata, è stata confermata dalla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Friuli Venezia Giulia con la sentenza indicata in epigrafe.
In particolare, il Giudice di appello riteneva che:
a prescindere dalle corrette considerazioni svolte dal primo Giudice in ordine alla cessazione della Kymax alla data del 21.8.2015 le notifiche degli avvisi di accertamento avevano, in ogni caso, raggiunto il loro scopo ai sensi dell’art.156 c.p.c.;
il potere accertativo era stato esercitato correttamente nei termini di legge trovando applicazione, al caso di specie, l’istituto del raddoppio dei termini;
le notificazioni degli avvisi di accertamento, avvenute in forma analogica, erano pienamente efficaci in quanto la conformità all’originale informatico era attestata da pubblico ufficiale;
-il termine dilatorio di cui all’art.12 della legge n.212 del 200 0 non operava nei confronti di tutti i contribuenti ma soltanto a carico di chi aveva subito un accesso presso i locali aziendali.
Nel merito della contestata esterovestizione la Corte tributaria di appello riteneva che il tema, approfondito e riscontrato nella sentenza di primo grado, trovava conforto nella sintesi argomentativa sviluppata in giudizio dall’Agenzia delle entrate, sintesi che riproduceva integralmente nel corpo della motivazione.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso, su nove motivi, NOME COGNOME in proprio e nell ‘asserita qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
In prossimità della pubblica udienza il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta concludendo per il rigetto e inammissibilità del ricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art.378 c.p.c. Ragioni della decisione.
1.Con il primo motivo, articolato ai sensi dell’art.360, primo comma, n.3 c.p.c., parte ricorrente -premesso che la RAGIONE_SOCIALE aveva cessato la sua attività nel marzo del 2013, come emergente dal verbale della Guardia di finanza, ed era stata dichiarata estinta sin dal 12.12.2012 (come da verbale della competente autorità cinese), mentre gli avvisi di accertamento erano stati notificati nel 2016deduce la violazione e falsa applicazione di plurime disposizioni di legge ad opera della Corte di secondo grado laddove la stessa aveva sbrigativamente respinto l’eccezione di nullità dei suddetti avvisi,
siccome notificati a soggetto inesistente, basandosi sulla certificazione (contestata dai contribuenti) prodotta dall’Ufficio e sull’argomentazione per cui sarebbe stata risolutiva la valenza del principio di cui all’art.156, comma terzo, c.p.c., nel senso che le notifiche in esame hanno pienamente raggiunto il loro scopo.
Con il secondo motivo, articolato in stretta sequenza al primo, si deduce la violazione degli artt.122 e 123 c.p.c., in relazione all’art.360, primo comma, n.4 c.p.c. , per avere il Giudice di appello ritenuto utilizzabile nel processo la nota proveniente dalla RAGIONE_SOCIALE Dijk, pur essendo tale documento di lingua inglese, privo di traduzione asseverata in italiano, privo di qualsivoglia timbro o firma, e proveniente da un soggetto privato che raccoglie dati societari e li mette in vendita dietro corrispettivo.
Le censure, strettamente connesse, possono trattarsi congiuntamente e non meritano accoglimento.
3.1 La questione agitata con i mezzi di impugnazione risulta essere stata risolta dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado nei seguenti termini: anche a voler prescindere dalle (corrette) considerazioni svolte in sentenza in ordine alla cessazione di Kymax alla data del 21.8.2015 (come appunto desumibile alla data del 21 agosto 2015) resta comunque risolutiva la valenza del principio di cui all’art .156, comma terzo, c.p.c. nel senso che le notifiche in esame hanno pienamente raggiunto il loro scopo.
3.2 La censura avverso tale capo della sentenza, veicolata con il primo motivo è inammissibile perché, in primo luogo, con il mezzo, articolato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c. , si contesta, in realtà e nella sostanza, l’accertamento in fatto e la stessa valutazione degli elementi probatori compiuti dal Giudice di appello a integrale conferma del medesimo accertamento in fatto e valutazione delle prove ad opera del primo Giudice in ordine all ‘ avvenuta
cancellazione della Società di diritto cinese nell’anno 2015. Argomentazioni tutte corrette e scevre da censura laddove del tutto irrilevanti allo scopo si appalesano gli elementi contenuti nel processo verbale di constatazione della Guardia di finanza. In tale atto, infatti, si evidenzia una mera materiale cessazione dell’attività aziendale e non l’estinzione della Società mentre altrettanto irrilevante deve considerarsi la certificazione rilasciata dall’autorità cinese riferita anch’essa all’attività aziendale e peraltro riferita ad un’attività imprenditoriale il cui nominativo non coincide con quello della RAGIONE_SOCIALE
3.3. Né può accedersi all’accoglimento del secondo motivo, in ordine all’inutilizzabilità della certificazione, allegata dall’Ufficio e proveniente dalla Orbis Bureau Van Dijk, siccome redatta in lingua inglese, alla luce dei principi costantemente affermati in materia da questa Corte e, di recente, ribaditi da Cass. 27 febbraio 2025 n.5200 secondo cui :<>.
3.4. Né, infine, di alcun rilievo appaiono tutte le considerazioni svolte da parte ricorrente sull’ inapplicabilità, in particolare, dello ius superveniens di cui all’art.28, comma 4, d.lgs. n.175/2014 e in genere
sull’efficacia costitutiva degli atti societari iscritti al Registro delle imprese proprio perché, nel caso in esame, non si discute di una società, costituita tramite atto pubblico e avente sede legale nel territorio dello Stato italiano, ma di un’ipotesi di esterovestizione relativamente a una società avente sede nella Repubblica Popolare Cinese.
In tale prospettiva va letta l’ulteriore argomentazione svolta dalla C.T.G. 2 in ordine all’applicabilità della sanatoria per raggiungimento dello scopo, non vertendosi in tema di notificazione inesistente ma di notificazione di avviso societario nella ritenuta sede amministrativa effettiva sul territorio italiano della società esterovestita in mani al suo effettivo amministratore che, peraltro, ha proposto tempestivo ricorso anche avverso gli avvisi societari, contestando il merito della pretesa impositiva.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, n.3 c.p.c., la violazione del combinato disposto dell’art.43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art.23 del d.lgs. n.82 del 2005 e dell’art.156, comma tre, c.p.c. con riferimento all’illegittima notifica con modalità cartacea di un atto sottoscritto digitalmente, privo di attestazione di conformità rilasciata da pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
Secondo la prospettazione difensiva, contrariamente a quanto ritenuto dalla C.G.T. di secondo grado, le notificazioni degli avvisi erano radicalmente nulle, non passibili di sanatoria, in quanto gli avvisi firmati digitalmente erano stati notificati in modalità cartacea senza attestazione di conformità del supporto cartaceo a quello digitale.
4.1 La censura è inammissibile per le ragioni, svolte dal P.G., che si condividono integralmente. Invero, della questione svolta nel corpo del motivo la sentenza impugnata non si occupa, né parte ricorrente chiarisce come l ‘ abbia fatto valere nella precorsa fase di merito.
Dalla lettura della motivazione della suddetta sentenza si evince, anzi, che la censura svolta da NOME COGNOME in proprio e nella qualità, in primo e in secondo grado, si fondava su profili di invalidità differenti, avendo il ricorrente dedotto, nei ricorsi introduttivi, che gli avvisi di accertamento non erano stati correttamente sottoscritti in via digitale e, nell’atto di appello, che i suddetti avvisi erano invalidi , «in quanto sottoscritti digitalmente, ma notificati in formato analogico sul tradizionale supporto cartaceo anziché essere trasmessi via PEC» (v. pag. 3 della sentenza impugnata).
Conseguentemente, il motivo di ricorso in esame va dichiarato inammissibile alla stregua del principio secondo cui «qualora una determinata questione – che implichi accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella decisione impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissi bilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare, per il principio di autosufficienza, in quale modo e in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 22540/2006, Cass. n. 12992/2010, Cass. n.1435/2013, Cass. n.27568/2017)» (così Cass. 14 luglio 2020, n. 14961; v., anche, Cass. 9 novembre 2020, n. 25056).
5. Con il quarto mezzo di impugnazione -rubricato: Violazione dell’art.24, Legge n.4/129 e dell’art.12, comma 7, della legge n.212/2000, in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c. (illegittimità di tutti e tre gli avvisi di accertamento ‘personali’ del sig.COGNOME in quanto non preceduti da notifica di PVC, nonostante l’avvenuto accesso domiciliare della G.d.F.; conseguente omesso rispetto del termine di 60 gg. per l’emissione degli accertamenti stessi) -il ricorrente censura
la sentenza impugnata nella parte in cui, nel respingere il motivo di appello, la C.G.T.2 aveva affermato che come ribadito anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento verso la società in ordine ai ricavi non contabilizzati il termine dilatorio ex art.12 legge n.212/2000 non opera nei confronti di tutti i contribuenti coinvolti nell’accertamento ma soltanto di colui che sia ragg iunto da verifiche presso i locali aziendali …Del resto in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il termine dilatorio di cui all’art.12, comma 7, legge n.212/2000 non deve essere rispettato anche nelle ipotesi in cui dopo la chiusura del processo verbale l’ufficio proceda autonomamente ad ulteriori verifiche sulla base di una istruttoria interna, quale aggiuntiva ed autonoma rispetto all’accesso presso i locali del contribuente medesimo.
Secondo il ricorrente, il quale articola la censura solo con riferimento ai tre avvisi ‘personali’ ( portanti Irpef sugli utili extra contabili conseguiti dalla Società esterovestita), il Giudice di appello sarebbe incorso nella dedotta violazione di legge non essendosi avveduto che era stata proprio la persona fisica del contribuente ad essere stato oggetto (parallelamente alla RAGIONE_SOCIALE) delle attività di verifica della G.d.F. per le quali non era stato redatto né il p.v.c. né era stato posto in essere i l contraddittorio previsto dall’art.12, comma 7, legge n.212/2000 (cfr. pag.24, ultimo capoverso del ricorso) e ciò malgrado la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trieste avesse disposto un decreto di perquisizione locale e personale nei confronti della persona di NOME COGNOME Di detto accesso, disposto presso l’abitazione personale del contribuente, non era stata effettuata alcuna verbalizzazione avendo il contribuente ricevuto solamente un p.v.c. afferente la società. Di tal chè l’illegit timità degli avvisi di accertamento personali.
5.1. La censura è infondata. Dagli atti allegati emerge inequivocabilmente che gli accessi (presso la sede legale della società del quale il RAGIONE_SOCIALE era il legale rappresentante e, a quanto enunciato dalla parte privata, anche presso l’abitazione di quest’ultimo) delle cui modalità e ritualità il contribuente non si duole, erano finalizzati alla verifica svolta nei confronti della Società RAGIONE_SOCIALE
Ne consegue che, trattandosi di società a ristretta base, non fosse necessaria né la redazione di un apposito processo verbale di constatazione riguardo all’avviso di accertamento a carico del socio , essendo quest’ultimo diretta conseguenza del primo in virtù dell ‘applicazione della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili. E, peraltro, lo stesso ricorrente ammette di avere regolarmente ricevuto il processo verbale redatto a carico della Società mentre neppure adombra che da quell’accesso, di sposto a suo nome, fosse conseguita la prova circa una pretesa tributaria nei suoi personali confronti diversa e ulteriore rispetto agli utili extracontabili.
Egualmente va rammentato che il termine dilatorio di 60 giorni previsto dall’art.12, comma 7, dello Statuto del contribuente, è applicabile solo per la Società e non anche per i conseguenti avvisi IRPEF a carico del socio. (giurisprudenza di legittimità consolidata: v. Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 18854 del 11/09/2020 <> e, in termini, Cass.16 novembre 2021 n.34586).
Pertanto, integrata nei termini sopra esposti, la motivazione sul punto della sentenza impugnata, la stessa rimane esente da censura.
In subordine al mancato accoglimento del quarto motivo, con il quinto si deduce, sempre in relazione alla posizione personale di NOME COGNOME, la violazione dell’art.43, commi 1 e 2, del d.P.R. n.600 del 1973 in relazione alla decadenza del potere accertativo in capo all’Amministrazione finanziaria per l’anno di imposta 2010.
6.1. Tale mezzo di impugnazione è inammissibile e, in ogni caso, infondato.
Sul punto i Giudici di secondo grado hanno respinto il motivo di appello affermando quanto segue: ‘sub 4 ): come ben evidenziato in sentenza, non sussiste decadenza del potere accertativo dell’Amministrazione Finanziaria rispetto alla posizione del Defendi per il periodo d’imposta 2010, non avendo egli presentato – pur essendovi obbligato – la dichiarazione dei redditi di fonte diversa da quelli di lavoro dipendente certificati da CUD’.
Secondo la prospettazione difensiva tale argomentazione sarebbe illegittima per violazione della normativa invocata in rubrica posto che il sig. COGNOME non aveva affatto omesso alcuna presentazione della dichiarazione dei redditi, nel caso di specie il mod. 730, in quanto egli non ne era obbligato; e, infatti, nel 2010 egli aveva percepito soltanto un reddito assimilato a quello di lavoro dipendente (certificato da mod. CUD), con ritenute regolarmente applicate e riportate nel mod. 770 del sostituto d’imp osta, onde il termine di decadenza per l’Amministrazione finanziaria andava individuato in quattro anni.
7.1 La censura è inammissibile perché non si confronta con l’accertamento in fatto compiuto dai due giudici di merito , i quali
hanno, concordemente, statuito che il contribuente, titolare di redditi da lavoro dipendente, non aveva presentato, pur essendovi obbligato, la dichiarazione dei redditi di fonte diversa. E, nella specie, il contribuente avrebbe dovuto dichiarare i redditi di capitale riconducibili alla quota di partecipazione agli utili della società RAGIONE_SOCIALE con la conseguenza che, correttamente, la Corte territoriale ha dichiarato l’insussistenza della decadenza dal potere impositivo , essendo applicabile il termine quinquennale previsto per tale ipotesi.
7 . Con il sesto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art.360, primo comma, n.4 c.p.c., la sentenza impugnata di motivazione apparente laddove il giudice di appello, in merito alla questione della esterovestizione, aveva respinto l’impugnazione limitandosi a copiare il contenuto delle controdeduzioni dell’Agenzia delle entrate, senza alcun vaglio critico e senza elaborare alcuna propria considerazione.
In subordine, con il settimo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.73, commi 1, 3 e 5 , del d.P.r. n. 917 del 1986 (TUIR) in relazione all’assenza dei presupposti legali per considerare il soggetto passivo accertato come residente in Italia, laddove gli elementi copiati e incollati in sentenza dalle controdeduzioni dell’Amministrazione non erano, in ogni caso, idonei a configurare un’esterovestizione ai sensi del citato art.73 come interpretato da questa Corte.
Le due censure, siccome attinenti la medesima questione, possono trattarsi congiuntamente e sono infondate.
9.1 In tema di motivazione apparente della sentenza questa Corte è ferma nel ritenere che «Nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della d ecisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e
risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’origi nalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato» (Cass., Sez. U., 16 gennaio 2015, n. 642; v. anche Cass. 8 maggio 2015, n. 9334; Cass. 6 ottobre 2022, n. 29028; Cass. 6 marzo 2025, n. 6207; Cass. 6 marzo 2025, n. 6209).
9.2 Ciò posto, si rileva che, nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata non si risolve in una mera adesione acritica alle riprodotte controdeduzioni dell’Amministrazione Finanziaria, perché la Corte di giustizia tributaria di secondo grado, lungi dal limitarsi a riportare acriticamente le ragioni esposte dall’Ufficio, ha chiaramente esternato la condivisione alla motivazione della decisione di primo grado, anche sulla base della egualmente condivisa sintesi argomentativa sviluppata dalla difesa erariale nelle controdeduzioni le quali, peraltro, tenevano conto e confutavano anche gli elementi indiziari di segno contrario posti a fondamento dell’appello dalla parte contribuente.
Nel caso in esame, pertanto, la motivazione della sentenza impugnata è al di sopra della soglia minima di cui all’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e all’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, in connessione con l’art. 111, comma 6, della Cost., onde il motivo deve essere respinto.
9 .3 E’ inammissibile e infondato anche il settimo motivo con il quale si censura lo stesso passo motivazionale per vizio di violazione di legge e, nello specifico, dell’art.73 del TUIR .
Parte ricorrente, in particolare, contesta che il requisito richiesto dal citato art.73 (ovvero l’ effettività della sede amministrativa in Italia
posta a fondamento degli avvisi di accertamento) possa ritenersi provato solo sulla base di quanto emergente da alcune mail senza mettere in discussione che lo stabilimento industriale, avente sede in Cina, esercitasse effettivamente l’attività di produzione , avvalendosi dell’opera di alcune decine di dipendenti e di un direttore cinese ivi residente e che la Società, con organo amministrativo cinese, fosse registrata ad Hong Kong, luogo ove si svolgevano le assemblee.
In materia, secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. ex plurimis, Cass., Sez. 5, sentenza n. 16697 del 21/06/2019 (Rv. 654687): <> e ancora Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 23150 del 25/07/2022 (resa in fattispecie similare alla presente, trattandosi, anche in quel caso, di componentistica elettronica prodotta da società avente sede in Cina) ha analizzato la tenuta della norma anche alla luce della giurisprudenza eurounionale, del modello OCSE trasfuso nella Convenzione Italia/Cina, pervenendo alla statuizione di questo principio: <>( in precedenza, in termini, v. Cass. n. 15184 del 2019, Cass. n. 15424 del 2021). Più in particolare, poi, Cass., Sez. 5, sentenza n. 34723 del 25/11/2022:<>.
9.4 Cosi ricostruito il quadro normativo di riferimento, come interpretato costantemente da questa Corte, la sentenza impugnata non incorre nella dedotta violazione di legge. Entrambi i giudici di merito hanno, infatti, accertato la sussistenza di tutti gli elementi dai quali emergeva l’esterovestizione della Società e la sede effettiva della stessa in Italia, luogo nel quale venivano prese, sotto il profilo organizzativo, strategico e gestionale tutte le più importanti decisioni sulla vita della società. Ciò posto, il mezzo di impugnazione si risolve, come rilevato anche dal P.G., in una inammissibile richiesta di rivalutazione di tali accertamenti come compiuti, prima, dalla C.T.P. e confermati, poi, dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado.
10. In ulteriore subordine, con l’ottavo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art.109, comma 4, TUIR e dell’art.53 Cost. , laddove la CGT 2 non aveva riconosciuto i costi aziendali, come evidenziati nei bilanci ufficiali già prodotti nel giudizio di primo grado.
In particolare, parte ricorrente evidenzia l’errore nel quale sarebbe incorsa l’Agenzia delle entrate nel ricostruire induttivamente il reddito della Società, non sulla base dell’intero reddito prodotto all’estero, acquisendo i bilanci ufficiali, ma esclu sivamente su alcune copie di fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di soggetti italiani,
per poi determinare forfetariamente la presunta incidenza dei costi sulla base di quanto risultava da situazioni contabili relative ad annualità antecedenti rispetto a quelle oggetto dei presenti accertamenti.
10.1 Sul punto la sentenza impugnata così motiva: l’inesistenza di documentazione idonea a comprovare i componenti negativi di reddito maturati in capo a RAGIONE_SOCIALE ha impedito -prima ancora di potere procedere alla verifica della loro attendibilità- di valutarne l’incidenza.
10.2 La censura è infondata e, ancor prima, inammissibile.
Nella stessa illustrazione del motivo parte ricorrente evidenzia che la C.T.P. aveva rilevato come i bilanci successivi non potessero essere utilizzati in quanto provenienti dalla parte e comunque privi di data certa. Non si comprende allora come la sentenza impugnata, nel ribadire l’ inesistenza di documentazione idonea avrebbe violato la normativa invocata laddove, di contro, nei termini in cui è formulato, anche tale mezzo di impugnazione si risolve nella sostanziale richiesta di rivisitazione degli accertamenti in fatto e della valutazione del compendio probatorio già effettuati, in maniera concorde, dai giudici di merito.
11. Sempre in subordine, con il nono motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, num. 3 c.p.c. la violazione degli artt.4. 12, 24 e 25 del d.lgs. n.446/97 laddove la CGT 2 aveva affermato che il recupero dell’I RAP costituisce diretta conseguenza dell’accertamento di un reddito di impresa in capo alla società esterovestita, di cui era emersa la natura di soggetto residente, in quanto il suddetto presupposto impositivo richiede una stabile organizzazione di tale soggetto nel territorio dello Stato, che nella specie non sarebbe stata provata.
11.1. Dal rigetto del settimo motivo e dalla conseguente conferma dell’effettività di residenza in Italia della società esterovestita consegue il rigetto della censura. Il recupero dell’IRAP costituisce , invero, diretta conseguenza dell’accertamento di un reddito di impresa in capo alla Società avente natura di soggetto residente.
12. In conclusione, il ricorso va rigettato con aggravio di spese a carico dei ricorrenti e sussistenza dei presupposti processuali per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.
La Corte
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese processuali che liquida in complessivi euro 10.800 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art.13 , comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte di parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2025.
Il Consigliere est. Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME