Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23842 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 23842 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/08/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22883/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME , elettivamente domiciliati in LECCE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende;
-controricorrenti- nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso la SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO PUGLIA n. 2444/2023 depositata il 21/08/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso o, in subordine, per il rinvio alle Sezioni Unite.
Sentiti l’avv. dello Stato NOME COGNOME e il proc. dello Stato NOME COGNOME per la ricorrente e l’avv. NOME COGNOME per i controricorrenti.
FATTI DI CAUSA
Ad esito di indagini di polizia giudiziaria con PVC redatto in data 31/07/2012 la Guardia di Finanza di Brindisi aveva constatato la fittizietà della sede legale in Funchal -Madeira (Portogallo) della società RAGIONE_SOCIALE società di diritto portoghese, essendo quella effettiva in Brindisi al INDIRIZZO luogo in cui si svolgeva la prevalente attività direttiva ed amministrativa per l’esercizio dell’impresa, coincidente con la sede delle società Interconsult di COGNOME RAGIONE_SOCIALE (cessata in data 23/12/2008) e, dall’anno 2009, con quella della neo costituita RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Dalle indagini era emerso che la società, che effettuava attività di rimorchio d’altura e di assistenza alle piattaforme petrolifere presso la costa sud occidentale dell’Africa (a mezzo dei rimorchiatori di cui era proprietaria), aveva affidato alla RAGIONE_SOCIALE e ad RAGIONE_SOCIALE la gestione di tutte le attività relative alla cura e organizzazione delle navi appartenenti alla Compagnia (incluse la gestione commerciale, tecnica, del personale e finanziaria), che l’intero pacchetto azionario della RAGIONE_SOCIALE Offshore RAGIONE_SOCIALE era detenuto dalla società holding RAGIONE_SOCIALE, anch’essa domiciliata nel territorio di Madeira e che il capitale
sociale di questa era interamente detenuto, attraverso fiduciarie, dai Sigg.ri NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Secondo i Militari, inoltre, la gestione della società RAGIONE_SOCIALE era solo formalmente affidata ad un Consiglio di Amministrazione composto dal Presidente, dottor NOME COGNOME e da due cittadini portoghesi, giacché i fratelli COGNOME erano sempre stati, di fatto, gli unici titolari del potere di gestione della ‘società offshore’ ed effettivi proprietari della medesima, come risultava dalla consistente documentazione acquisita durante le indagini (scritture private, e-mail, ecc.).
A seguito di ciò, l’Agenzia delle entrate, ritenendo la società esterovestita e residente in Italia ai sensi dell’art. 73, comma 3, del d.P.R. n. 917/86, riqualificava la ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ (da ora solo Barry) quale ‘società per azioni’ , attribuendole sede legale in Italia e numero di codice fiscale e di partita IVA, ed emetteva avvisi di accertamento nei suoi confronti e nei confronti di NOME e NOME COGNOME quali amministratori di fatto, per gli anni 2005 2012 con recupero a tassazione di imposte dirette e IVA, oltre al l’avviso n. TVHIRA20001 recante irrogazione sanzioni ex art. 6, comma 8, del d. lgs. n. 471 del 1997 per omessa regolarizzazione di fatture irregolari in relazione agli anni 2005, 2006, 2007, 2008 e 2009.
La società e i COGNOME impugnavano tale ultimo atto e la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Brindisi rigettava il ricorso.
La CGT di secondo grado della Puglia (CGT-2) accoglieva l’appello dei contribuenti con sentenza n. 2444/2023.
Secondo la CGT-2 la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce di per sé un abuso della libertà di stabilimento a meno che non si tratti di ‘costruzioni di puro artificio’; in questo caso la società, effettivamente localizzata e
radicata totalmente al di fuori del territorio italiano, svolgeva all’estero la sua attività, era dotata di autonomia gestionale sia sotto il profilo organizzativo che sotto quello amministrativo; la società, in conformità ad una contrattualistica internazionale assai diffusa in ambito marittimo, aveva demandato un’ampia sfera di attività di natura strumentale a soggetti italiani (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), che in relazione alle varie prestazioni di servizi rese avevano assoggettato i relativi redditi ad imposizione; dunque, i Sigg.ri COGNOME in qualità di soci delle suddette società italiane, agivano in virtù di un contratto e non quali amministratori di fatto.
La CGT-2, inoltre, ha osservato che con sentenza penale passata in giudicato, resa dalla Corte d’appello di Lecce (n. 34/2019) nei confronti, tra gli altri, dei due COGNOME, era stata esclusa la fattispecie della esterovestizione volta a scopi elusivi dell’imposizione fiscale e tale sentenza, essendo venuto meno il cosiddetto ‘doppio binario’ tra processo penale e processo tributario, faceva stato anche nel secondo con riferimento ai fatti materiali accertati in sede penale.
Ha aggiunto che alle medesime conclusioni era pervenuto il Tribunale di Brindisi con il decreto reso nel procedimento prefallimentare nei confronti della Barry, laddove aveva ritenuto provato in via documentale che la Società resistente aveva operato stabilmente in Portogallo, ove era stata costituita nel 2001, esercitando attività di rimorchio d’altura e di assistenza alle piattaforme petrolifere site nell’oceano Atlantico.
Secondo la CGT-2, al venir meno del l’ipotesi accertativa della esterovestizione della Barry, tutte le contestazioni relative alla violazione dell’art. 8 -bis del D.P.R. n. 633/72 risultavano prive di fondamento e tutte le operazioni rientravano nella previsione di cui all’art. 8 bis lett. e) del d.P.R. n. 633/1972.
L’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione di questa sentenza fondato su nove motivi e ha depositato memoria.
Hanno resistito con controricorso NOME e NOME COGNOME che hanno depositato memoria.
E’ rimasta intimata la società.
Anche il PG ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’istanza dei controricorrenti per la riunione del presente giudizio a quelli iscritti a RG 22901/23, RG 24031, RG 23543, riguardanti l’impugnazione degli atti impositivi emessi nei confronti della società e dei fratelli COGNOME sul presupposto dell’esterovestizione dell’ente, non può essere accolta poiché, come si chiarirà infra, il presente giudizio pone questioni peculiari.
Devono essere esaminate preliminarmente le eccezioni sollevate dai controricorrenti, secondo cui: a) era passata in giudicato la statuizione che ha escluso che i COGNOME agissero come amministratori di fatto; b) era inammissibile il ricorso nei confronti di società estera dichiarata fallita in Portogallo con sentenza del 5 luglio 2017 dal Tribunal Judicial da Comarca da Madeira di Funchal la cui relativa procedura di insolvenza si è chiusa in data 10 settembre 2021; c) il ricorso per cassazione era inammissibile in quanto tendente alla rivalutazione dei fatti.
2.1. La questione sub a) è infondata in quanto l’affermazione della qualità di amministratori di fatto dei COGNOME, nella prospettazione dell’Ufficio e nelle stesse pronunce della CGT, è strettamente legata all’affermazione della esterovestizione della società: anzi, la dedotta esterovestizione si fonda proprio sull’accertamento della qualità di amministratori di fatto dei COGNOME attraverso le due società, ad essi riconducibili, attraverso le quali i controricorrenti gestivano la società operante in Portogallo. Quindi, l’impugnazione del capo della sentenza in cui si è esclusa l’esterovestizione investe tutte le questioni connesse e conseguenti, tra cui la qualità di amministratori di fatto dei COGNOME.
2.2. Priva di rilievo è la questione sub b), posto che: -anzitutto, la questione riguarda un soggetto, ossia la società, rispetto alla quale i controricorrenti affermano di essere terzi, in quanto contestano la qualità di amministratori di fatto; -inoltre, già in base alla prospettazione offerta in controricorso, la società è tornata in bonis , per intervenuta chiusura del fallimento, ben prima della notificazione del ricorso; -in ogni caso, il difetto di contradditorio, e la conseguente nullità del giudizio può ritenersi superabile in virtù delle superiori esigenze di economia processuale e di ragionevole durata del processo qualora, come nel caso in esame, il ricorso possa essere definito con immediatezza senza nocumento alcuno per la parte asseritamente pretermessa (cfr. Cass. n. 11287 del 2018; Cass. n. 18890 del 2021; Cass. n. 32933 del 2024).
2.3. La questione sub c) va esaminata con riguardo ai singoli motivi, non essendo in grado di inficiare l’intero ricorso.
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n.4 c.p.c. , violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto le controparti non avevano mai giustificato i rapporti tra le società italiane e la società di diritto portoghese richiamando i loro rapporti contrattuali.
Con il secondo motivo deduce in subordine, in relazione all’art 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 73, comma 3, TUIR, per avere il giudice erroneamente escluso l’esterovestizione della Barry e la sede in Italia della società sulla base dei contratti conclusi con le due imprese italiane.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 73, comma 3, del tuir, e degli artt. 4 e 8 della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Portogallo, perché il giudice ha escluso l’esterovestizione della società sulla base di un criterio – la costruzione di puro artificio – estraneo a quanto previsto dalle
citate disposizioni, le quali danno rilievo soltanto al criterio del place of effective management, e riferito ad una nozione per così dire ‘penalistica’ di esterovestizione. La motivazione della sentenza, infatti, ruota intorno alla necessità della ‘ costruzione di puro artificio’ dell’entità estera come condizione per la sua qualificazione come esterovestita.
Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione, della legge 31 agosto 2022, n. 130 e dell’art. 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111, perché il giudice ha errato laddove ha affermato che il c.d. doppio binario tra processo penale e processo tributario è stato soppresso.
Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 654 cod. proc. pen., dell’art. 20 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, dell’art. 2909 cod. civ. e degli artt. 113, 115 e 116 cod. proc. civ., per avere il giudice erroneamente ritenuto vincolante la sentenza penale di assoluzione ed essersi di conseguenza attenuto ad essa, pur avendo il potere di svolgere un accertamento autonomo sulle circostanze oggetto di questo giudizio.
Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 7 e 8bis del d.P.R. n. 633 del 1972, con riferimento all’atto di irrogazione sanzioni perché le prestazioni di servizi effettuate dalla società RAGIONE_SOCIALE (fino all’anno d’imposta 2008) e dalla RAGIONE_SOCIALE (dall’anno d’imposta 2009), in quanto rese da soggetto passivo italiano, avrebbero dovuto essere considerate territorialmente rilevanti, ai fini IVA, in Italia. Secondo la ricorrente, erroneamente la CGT2 ha tratto l’illegittimità dell’atto dall’insussistenza dell’esterovestizione della cessionaria in quanto nel caso in esame, ai fini IVA, non rileva il dettato dell’articolo 73 del TUIR, bensì la previsione del terzo comma dell’articolo 7 del
d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo vigente fino al 31 dicembre 2009, secondo cui «Per i soggetti diversi dalle persone fisiche, agli effetti del presente articolo, si considera domicilio il luogo in cui si trova la sede legale e residenza quello in cui si trova la sede effettiva» e che le prestazioni di servizi «si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese da soggetti che hanno il domicilio nel territorio stesso».
8.1. Viene altresì in evidenza l’art. 8 bis, comma 1, lett e) del d.P.R. n. 633/1972 che prevede la non imponibilità delle « prestazioni di servizi, compreso l’uso di bacini di carenaggio, relativi alla costruzione, manutenzione, riparazione, modificazione, trasformazione, assiemaggio, allestimento, arredamento, locazione e noleggio delle navi e degli aeromobili di cui alle lettere a), b), e c), degli apparati motori e loro componenti e ricambi e delle dotazioni di bordo, nonché le prestazioni di servizi relativi alla demolizione delle navi di cui alle lettere a) e b)». L’Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 37/E del 2010, ha precisato, però, che il regime di non imponibilità va riconosciuto alle sole prestazioni di servizi «necessarie, come mezzo a fine, per la costruzione, manutenzione, riparazione delle navi di cui alle lettere a) e b) dell’articolo 8 -bis». Pertanto, la Direzione provinciale, esaminate le operazioni fatturate dalle società italiane RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, aveva sanzionato quel le non rientranti nelle previsioni dell’art. 8 -bis che la Barry avrebbe dovuto regolarizzare.
Con il settimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 36, comma 2, n. 4), del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’articolo 132, comma 2, n. 4 c.p.c., perché la CGT-2 ha omesso qualsiasi esame delle questioni sollevate relativamente alla territorialità delle operazioni contestate e all’esenzione di cui all’art. 8 comma 1 lett. e) cit., limitandosi a riportare il testo della norma e l’operato dei verificatori.
Con l’ottavo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 155 del TUIR, laddove il giudice annullato gli atti impugnati perché l’Ufficio non aveva preso in considerazione l’applicabilità della tonnage tax : secondo la CGT-2 « non è stata valutata la circostanza che se RAGIONE_SOCIALE avesse effettivamente stabilito la propria sede in Italia svolgendo in proprio le attività di ship management (e non tramite RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), avrebbe potuto optare per il regime della Tonnage tax, conseguendo un cospicuo risparmio d’imposta». L’Agenzia osserva che la c.d. Tonnage tax, disciplinata dagli artt. 155 e seguenti del TUIR e dall’art. 4, comma 2, del d.l. n. 457 del 1997, rappresenta un regime agevolativo opzionale, la cui applicazione è tuttavia subordinata ad alcuni presupposti, previsti dalla legge.
Con il nono motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c., per non aver il giudice motivato le ragioni che lo hanno indotto ad escludere la fondatezza delle contestazioni, a seguito del venir meno dell’ipotesi accertativa dell’esterovestizione. La CGT -2 si è concentrata sull’esterovestizione e, una volta esclusa, afferma che vengono meno le contestazioni che hanno giustificato le sanzioni irrogate senza spiegarne le ragioni.
Sono logicamente prioritari il settimo e nono motivo, relativi ad asserite carenze motivazionali della sentenza, che sono infondati.
12.1. Come noto, non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in
violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che « la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi in modo da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento).
12.3. D’altro canto, « al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione, così da doversi ritenere implicitamente rigettate le argomentazioni logicamente incompatibili con esse » (Cass. n. 3126 del 2021; Cass. n. 25509 del 2014). Va altresì rammentato che la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della
sentenza (v. Cass. n. 1375 del 2011), qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, comma 2, Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (Cass., sez. un. n. 2731 del 2017).
12.2. In questo caso, come si desume anche dalla superiore espositiva in fatto, la motivazione attinge il cd. minimo costituzionale ex art. 111 Cost. e restituisce le ragioni della decisione anche con riguardo ai profili evidenziati dalle censure in esame: osserva la CGT-2 che « al venir meno l’ipotesi accertativa della esterovestizione della società RAGIONE_SOCIALE, tutte le contestazioni relative alla violazione dell’art. 8 -bis del D.P.R. n. 633/72 risultano prive di fondamento sia sul piano formale sia sul piano sostanziale» e che tutte le spese e commissioni contestate dall’Ufficio rientrano , comunque, nel regime di non imponibilità previsto dalla legge all’art. 8 bis , lett. e), cit., aggiungendo che, in materia di esenzioni connesse ai trasporti internazionali, l’art. 148 della Direttiva IVA n. 112/2006 prevede alla lettera d) l’esenzione da parte degli Stati membri delle prestazioni di servizi, diverse da quelle di cui alla lettera c), direttamente destinate a sopperire ai bisogni delle navi di cui alla lettera a) e del loro carico.
12.3. In sostanza, negando l’esterovestizione, la CGT -2 implicitamente riconosce la mancanza di potestà sanzionatoria in capo all’Amministrazione fiscale italiana nei confronti della società estera (non trattandosi di ‘soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato’ v. art. 7 comma 1 lett. d, d.P.R. n. 633/1972 – né risultando i presupposti per l’adempimento degli obblighi derivanti
dall’applicazione delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto da parte di soggetti non residenti e senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato -v. art. 17 comma 3, d.P.R. n. 633/1972); i giudici d’appello si soffermano pure sull’esame delle operazioni contestate, concludendo che comunque esse, secondo la normativa IVA, erano da considerare non imponibili.
La sentenza impugnata si fonda, quindi, su due distinte rationes decidendi , la prima delle quali (insussistenza dell’esterovestizione) viene aggredita dai primi cinque motivi di ricorso; tra questi, è prioritario l’esame del terzo motivo, che è infondato.
13.1. Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (Cass. n. 33234 del 2018; Cass. n. 2869 del 2013; Cass. n. 16697 del 2019; Cass. n. 2021, n. 6476 del 2021; Cass. n. 15424 del 2021; Cass. n. 1544 del 2023) che per esterovestizione s’intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente, di sottrarsi al più gravoso regime nazionale.
13.2. Non può prescindersi dai principi unionali in tema di libertà di stabilimento, che l’articolo 49 TFUE attribuisce ai cittadini dell’Unione, e « implica per essi l’accesso alle attività non subordinate ed il loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese, alle stesse condizioni previste dalle leggi dello Stato membro di stabilimento per i propri cittadini. Essa comprende, conformemente all’articolo 54 TFUE, per le società costituite a norma delle leggi di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale all’interno dell’Unione, il diritto di svolgere le loro attività nello Stato membro di cui trattasi mediante una controllata, una succursale o un’agenzia (sentenza del 7 settembre 2017, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, C -6/16,
EU:C:2017:641, punto 52 e giurisprudenza citata) » (Corte giust., 20 dicembre 2017, cause riunite C -504/16 e 613/16, RAGIONE_SOCIALE e a., punto 86). In particolare, secondo Corte giust. 12 settembre 2006, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, causa C -196/04, la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà (punto 37) ma che, per contro, una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa « se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato » (punto 51); la Corte di giustizia ha altresì precisato che, poiché l’obiettivo della libertà di stabilimento è quello di permettere ad un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le sue attività e di partecipare così, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di origine e di trarne vantaggio (punti 52 e 53), la nozione di stabilimento implica l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata, mercé l’insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro, sicché essa presuppone « un insediamento effettivo della società interessata nello Stato membro ospite e l’esercizio quivi di un’attività economica reale » (punto 54; v. anche Corte giust, 25 luglio 1991, causa C -221/89, RAGIONE_SOCIALE e a., punto 20; Corte giust., 4 ottobre 1991, causa C -246/89, Commissione/Regno Unito, punto 21); ne discende che una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere « lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazional e» (punto 55).
13.3. Tali concetti sono stati ribaditi dalla sentenza della Corte di giustizia 28 giugno 2007, causa C -73/06, RAGIONE_SOCIALE, la quale, nell’interpretare l’ottava e la tredicesima direttiva in materia di IVA (direttive del Consiglio, rispettivamente, 6 dicembre 1979, 79/1072/CEE, in tema di rimborso dell’imposta ai soggetti passivi non residenti all’interno del Paese, e 17 novembre 1986, 86/560/CEE, in tema di rimborso ai soggetti passivi non residenti nel territorio della Comunità), premesso che, per costante giurisprudenza, gli interessati non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente del diritto comunitario (punto 44), ha affermato che ciò accadrebbe se un soggetto passivo intendesse fruire del sistema di rimborso, alle condizioni enunciate dalle citate direttive, quando l’indirizzo dell’impresa « non corrisponde ad alcuna realtà economica » (punto 45), in particolare, « né alla sede dell’attività economica del soggetto , né ad un centro di attività stabile dal quale quest’ultimo svolge le sue operazioni » (punto 49). Gli stessi giudici hanno stabilito che la nozione di sede dell’attività economica, ai sensi dell’art. 1, punto 1, della tredicesima direttiva n. 86/560/CEE, indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest’ultima (punto 60). La determinazione del luogo della sede dell’attività economica di una società implica la presa in considerazione di un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società. Possono essere presi in considerazione anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie (punto 61). Di
conseguenza un insediamento fittizio, come quello caratterizzante una società “casella postale” o “schermo”, non può essere definito sede di un’attività economica ai sensi dell’art. 1, punto 1, della tredicesima direttiva (punto 62).
13.4. Quel che, dunque, deve essere accertato, ai fini della corretta applicazione della previsione normativa in esame, è l’apparente localizzazione all’estero di un soggetto. Quel che rileva « non è accertare la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma accertare se il trasferimento in realtà vi è stato o meno, se, cioè, l’operazione sia meramente artificiosa (wholly artificial arrangement), consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica » (Cass. n. 2869 del 2013); è quindi necessario accertare che si tratta di costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica, il cui scopo essenziale è limitato all’ottenimento di un vantaggio fiscale, attraverso « la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente, di sottrarsi al più gravoso regime nazionale » (Cass. n. 33234 del 2018). La maggior attenzione al dato della ‘fittizietà’, della ‘artificiosità’, dell’assenza di ‘effettività economica’, rispetto ai vantaggi economici e fiscali, è coerente con la giurisprudenza unionale secondo la quale, quando può scegliere tra due operazioni, il contribuente non è obbligato a preferire quella che implica il pagamento di maggiori imposte, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consenta di ridurre la sua contribuzione fiscale (Corte giust., 17 dicembre 2015, RAGIONE_SOCIALE kft , causa C419/14, punto 42; Corte giust., 21 febbraio 2006, Halifax e a., causa C -255/02, punto 73; Corte giust., 21 febbraio 2008, Part Service, causa C -425/06, punto 47, Corte giust., 22 febbraio 2018, X BV e X NV, cause C –
398/16 e 399/16, punto 49), a meno che consimili meccanismi non abbiano come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito dalle norme e da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale (Corte giust., 17 dicembre 2015, causa C -419/14, RAGIONE_SOCIALE), occorrendo, a tal fine, la disamina della singola operazione (si veda anche Corte giust. 7 settembre 2017, causa C -6/16, RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE
13.5. Sul piano interno, la fattispecie è regolata dall’art. 73, comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986, secondo cui « i fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato ». Tra i criteri alternativi e paritetici descritti nell’art. 73, comma 3, TUIR, viene in rilievo quello della « sede dell’amministrazione ». Questa Corte, a proposito dell’interpretazione del relativo concetto, ha già avuto modo di precisare che « la nozione di ‘sede dell’amministrazione’, in quanto contrapposta alla ‘sede legale’, deve ritenersi coincidente con quella di ‘sede effettiva’ (di matrice civilistica), intesa come il luogo dove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento -nei rapporti interni e con i terzi -degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente » (Cass. n. 7037 del 2004, Cass. n. 6021 del 2009, Cass. n. 2813 del 2014; Cass. n. 33234 del 2018; Cass. n. 15424 del 2021).
13.6. Si rileva una convergenza con la giurisprudenza comunitaria, quanto alla nozione e individuazione della ‘sede effettiva’ perché, come è stato già sottolineato da questa Corte,
« sullo stesso specifico punto, la citata sentenza della Corte di giustizia 28 giugno 2007, RAGIONE_SOCIALE ha statuito che la nozione di sede dell’attività economica ‘indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest’ultima’ (punto 60), e che la determinazione del luogo della sede dell’attività economica di una società implica ‘la presa in considerazione di un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società. Possono essere presi in considerazione anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie’ (punto 61); » (così Cass. n. 15424 del 2021, in motivazione; nello stesso senso Cass. n. 16697 del 2019, in motivazione).
13.7. Viene altresì in rilievo la tie -breaker rule fissata dall’art. 4, paragrafo 3, della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica portoghese per evitare le doppie imposizioni e per prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, ratificato in Italia con legge 10 luglio 1982, n. 562, secondo cui « Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona diversa da una persona fisica è residente di entrambi gli Stati contraenti, si ritiene che essa è residente dello Stato in cui si trova la sede della sua direzione effettiva ». Se il riferimento alla ‘direzione’ pone l’attenzione sulla ‘attività direttiva e amministrativa’ il richiamo alla ‘effettività’ impone una complessiva valutazione delle circostanze fattuali, tra i quali anche il ‘luogo ove è esercitata l’attività principale’, che non si contrappone a quello del place of effective management , ma
contribuisce ad identificare quest’ultimo, come sede di direzione effettiva (v., sul tema, Cass. n. 1544 del 2023 in motivazione). La stessa prassi (risoluzione n. 312/E del 5 novembre 2007) aveva chiarito che per individuare la sede di direzione effettiva di una società non basta fare riferimento al luogo di svolgimento della ‘prevalente attività direttiva e amministrativa’, ma occorre considerare anche il ‘luogo ove è esercitata l’attività principale’. Converge su questa impostazione l’art. 4, par. 3, del Modello OCSE, come modificato dal 2017, che prevede la combinazione di diversi fattori, sia formali che sostanziali, tra i quali continua ad essere menzionato il place of effective management , ma come uno (non l’unico) dei possibili elementi rilevanti, dovendosi tener conto anche: del luogo di costituzione ( the place where it is incorporated or otherwise constituted ) e di ogni altro fattore rilevante ( any other relevant factors ).
13.8. Tirando, quindi, le fila di tali premesse, deve rilevarsi, conformemente all’orientamento di questa Corte (tra le ultime, Cass. n. 1544 del 2023; Cass. n. 15424 del 2021; Cass. n. 16697 del 2019), che ai sensi dell’art. 73, terzo comma, d.P.R. n. 917 del 1986, la nozione di “sede dell’amministrazione”, contrapposta alla “sede legale”, coincide con quella di ‘sede effettiva’ (di matrice civilistica), intesa come luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative e di direzione dell’ente e dove si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento -nei rapporti interni e con i terzi -degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente. Resta fermo che tale valutazione, nel singolo caso concreto, proprio perché finalizzata all’accertamento di un dato ‘effettivo’, non può non tenere conto anche di quei rilevanti fattori sostanziali (tra i quali, in ipotesi, lo svolgimento dell’attività principale) che, a fronte di dati formali relativi alla collocazione geografica del luogo dove si svolga
l’attività amministrativa e di direzione, depongano invece per l’effettiva riconduzione di quest’ultima ad un diverso contesto territoriale. In particolare, la necessità della verifica, nel caso concreto, di un complesso di dati sostanziali è emersa, in sede penale, a proposito della società̀ con sede legale estera controllate da società con sede in Italia, quando si è affermato che non può̀ costituire criterio esclusivo di accertamento della sede della ‘direzione effettiva’ l’individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative, qualora esso s’identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società̀ controllante italiana, precisando che in tal caso è necessario accertare anche che la società̀ controllata estera non sia costruzione di puro artificio, ma corrisponda a un’entità̀ reale che svolge effettivamente la propria attività̀ in conformità̀ al proprio atto costitutivo o allo statuto (Cass. pen., 24/10/2014, n. 43809, richiamata da Cass. n. 33234 del 2018, in motivazione), non essendo le società̀ esterovestite, perciò soltanto, prive della loro autonomia giuridico -patrimoniale e, quindi, automaticamente qualificabili come schermi (Cass. pen. 07/11/2018, n. 50151, richiamata da Cass. n. 33234 del 2018): « Nella sostanza, ai fini di accertare se abbia, o meno, residenza fiscale in Italia la società estera controllata da società italiana, il concetto di «sede dell’amministrazione» non può coincidere ‘sic et simpliciter’ con l’attività di direzione e coordinamento che la capogruppo, o comunque la controllante, esercita sulla controllata, adoperando quella prerogativa tipica del controllo societario di cui all’art. 2359 cod. civ., che si realizza attraverso atti d’indirizzo strategico ed operativo che connotano lo stato di dipendenza degli interessi della consociata a vantaggio del gruppo nella sua globalità o della controllante. Lo spostamento effettivo, presso la controllante, della sede dell’amministrazione della consociata presuppone invece, un grado di eterodirezione concreta superiore, integrando una
fattispecie in cui , come si è detto in dottrina, ‘la società controllante assume i connotati di un vero e proprio amministratore indiretto della società controllata’, della quale usurpa l’impulso imprenditoriale, sottraendole ogni prerogativa sovrana in ordine alla propri operatività e riducendola a ‘mero satellite o dipendenza’ (ovvero a struttura non effettiva, rispetto alla quale pertanto neppure opererebbe, per quanto già rilevato, la protezione accordata dal diritto comunitario alla libertà di stabilimento) » (Cass. n. 1544 del 2023).
13.9. L’accertamento contenuto nelle sentenze impugnate è coerente con tali principi ed è stato svolto in termini approfonditi ed esaustivi: «… per lo svolgimento della propria attività, NOME COGNOME si è sempre avvalsa dell’ufficio in cui è ubicata la sede sociale della società in Funchal (Madeira, Portogallo), di due rimorchiatori utilizzati per l’attività di rimorchio di natanti e di assistenza alle piattaforme petrolifere, di ben 52 dipendenti, cittadini comunitari non italiani ed extra -comunitari (vedasi l’organigramma dei dipendenti di NOME COGNOME, i contratti di lavoro e l’estratto dei mansionari del personale cui erano demandati il comando e le responsabilità delle imbarcazioni). Le maestranze, che operano secondo le direttive e le istruzioni dei rispettivi comandanti dei rimorchiatori, hanno frequentato corsi di formazione a Lisbona ove, peraltro, hanno sostenuto gli esami per gli imbarchi. Le riunioni del Consiglio di Amministrazione di NOME COGNOME e le assemblee dei soci si sono sempre svolte a Funchal, Madeira, come comprovato dai documenti concernenti le riunioni del Consiglio di Amministrazione depositati nel corso del giudizio di primo grado, e dell’Assemblea dei soci di NOME COGNOME».
13.10. Ancora, i giudici d’appello osservano che «Considerata, quindi, l’attività degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività della società RAGIONE_SOCIALE, non si può non tener conto anche di quei rilevanti
fattori sostanziali che, a fronte di dati formali relativi alla collocazione geografica del luogo dove si svolga l’attività amministrativa e di direzione, depongano invece per l’effettivo stabilimento di quest’ultima al contesto portoghese. D’altronde, è in Portogallo (a Funchal), e a bordo dei rimorchiatori di bandiera portoghese svolgenti servizi in acque extra -territoriali, che NOME COGNOME svolge l’attività economica, con organizzazione e coordinamento dei diversi fattori produttivi, e produce il proprio reddito. Viepiù. Dalla documentazione in atti (prospetto degli stipendi), si evince che NOME NOME, nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione della RAGIONE_SOCIALE, veniva puntualmente remunerato in Portogallo dalla società e sui redditi prodotti versava le relative imposte (‘imposto sobre o rendimento’), con delega di pagamento effettuate tramite istituto di credito portoghese».
13.11. A ben vedere, è la prospettazione dell’Ufficio carente e non a fuoco rispetto al dato normativo e giurisprudenziale di riferimento: la ricorrente perde di vista il quadro complessivo e adotta un approccio atomistico, non facendosi carico di contestare che in Portogallo vi fosse « un insediamento effettivo della società interessata nello Stato membro ospite e l’esercizio quivi di un’attività economica reale » (Corte giust., Cadbury, punto 54) e trascurando i dati principali che servono ad individuare la sede ( la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società, v. Corte giust., Planzer, punto 61 ) , per concentrarsi sulle figure dei COGNOME nello sforzo di dimostrare che erano gli amministratori di fatto dello società, principalmente attraverso lo ‘schermo’ dei contratti di servizi con le due società italiane e il vincolo fiduciario con NOME COGNOME Presidente del Consiglio di amministrazione della società
portoghese, il tutto al fine di avvantaggiarsi del miglior trattamento fiscale assicurato dalla sede in Madeira.
13.12. Anche a voler ammettere il loro ruolo di amministratori di fatto, l’individuazione del luogo da cui partono gli impulsi gestionali e di direzione, come già osservato, non è criterio sufficiente per dimostrare l’esterovestizione della società con sede in altro Stato membro dovendosi comunque dimostrare che quest’ultima è una ‘struttura non effettiva’, né il fatto di stabilire la sede, legale o effettiva, di una società in conformità alla legislazione di uno Stato membro al fine di beneficiare di una legislazione più vantaggiosa costituisce di per sé un abuso (v., in tal senso, Corte giust., 9 marzo 1999, Centros, C -212/97, punto 27, Corte giust., 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C -106/16, punto 40; Corte giust., 25 aprile 2024, Edil Work 2, C -276/22, punto 47). Ed anche a voler affermare la natura gestoria (e non di servizio contrattuale) dell’attività svolta in Italia attraverso le due società di servizi, va considerato che, sempre secondo la giurisprudenza unionale, «…la mera circostanza che una società, pur avendo la propria sede in uno Stato membro, svolga la parte principale delle sue attività in un altro Stato membro non può fondare una presunzione generale di frode, né giustificare una misura che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato. (v., per analogia, sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C -106/16, EU:C:2017:804, punto 63). Orbene, nel caso di specie, se la normativa di cui trattasi nel procedimento principale dovesse essere interpretata nel senso che impone l’applicazione sistematica della legge italiana a qualsiasi atto di gestione di una società avente sede in un altro Stato membro ma che svolge la parte principale delle sue attività in Italia, essa equivarrebbe a introdurre una presunzione secondo cui i comportamenti di tale società sarebbero abusivi. Alla luce delle considerazioni esposte ai punti 47 e 48 della presente sentenza,
una normativa di questo tipo sarebbe sproporzionata (v., per analogia, sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C -106/16, EU:C:2017:804, punto 64)» (v Corte giust., 25 aprile 2024, Edil Work 2, C -276/22, punti 48 e 49 ).
14. Su queste basi devono essere disattese anche le questioni di cui al primo e secondo motivo, concernenti i contratti di servizi o ship management della società estera con le società italiane riconducibili ai COGNOME. Quanto al primo, non ricorre la denunziata violazione processuale perché i rapporti contrattuali tra la Barry e le due società italiane erano oggetto delle contestazioni dell’Ufficio e le deduzioni d’appello di controparte in merito ad essi costituiscono mere difese e non domande nuove (Cass. n. 13742 del 2015; Cass. n. 32390 del 2022), mentre la motivazione della Corte non travalica il limite di cui all’art. 112 c.p.c. atteso che « non sussiste violazione del divieto di extrapetizione ex art. 112 c.p.c. nell’ipotesi in cui il giudice, restando nell’ambito della “causa petendi” e del “petitum”, sorregga la decisione con argomentazioni diverse da quelle addotte dalla parte» (Cass. n. 2146 del 2006)). Il secondo, invece, censurando la violazione dell’art. 73 comma 3, cit., per aver i Giudici d’appello desunto l’insussistenza della esterovestizione dai contratti di ship management stipulati con le società italiane, rivela l’incomprensione della ratio decidendi della sentenza impugnata, perché la CGT -2 ha concluso per l’effettività dello stabilimento della Barry in Portogallo attraverso l’esame del quadro complessivo degli elementi a disposizione, accertando altresì che quei contratti svolgevano soltanto una « funzione strumentale rispetto alla società portoghese »; ciò chiarito, quelle doglianze sono, per un verso, inammissibili – come rilevato dal Procuratore Generale -là dove cercano di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice del merito e, per altro verso, infondate perché, come già osservato, la CGT -2 ha
correttamente svolto il suo accertamento senza attribuire a quei contratti un rilievo decisivo.
Restano altresì assorbiti il quarto e quinto motivo, relativi al giudicato costituito dalla sentenza penale che ha assolto il COGNOME perché il fatto non sussiste, escludendo la ricorrenza della esterovestizione, e alla violazione del c.d. ‘doppio binario’.
La seconda ratio è aggredita con il sesto motivo che, alla luce di quanto precede, risulta inammissibile ma è comunque infondato.
16.1. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (tra le tante, ultimamente, Cass. n. 5102 del 2024).
16.2. Non appare superfluo osservare, comunque, che, riguardo alla territorialità dell’IVA (v. art. 7 del d.P.R. n. 633/1972), fino all’anno 2009 era sufficiente la circostanza che il prestatore di servizi fosse residente in Italia; infatti, ai sensi dell’art. 7, comma 3, cit. « Le prestazioni di servizi si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese da soggetti che hanno il domicilio nel territorio stesso … », senza che abbia alcun rilievo la circostanza che colui che riceve i servizi sia un soggetto italiano o comunitario. Vale, quindi, la regola generale vigente ratione temporis , secondo cui l’IVA si applica alle operazioni rese da soggetti stabiliti in Italia salvo che non ricorrano ipotesi di non imponibilità, tra le quali viene in evidenza, in questo caso, la previsione di cui all’art. 8 bis , lett. e), del d.P.R. n. 633 del 1972, la cui applicabilità è contestata dall’Agenzia con riguardo a buona parte delle prestazioni di servizi rese dalle due società
italiane: l’Ufficio esclude che « le attività affidate alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, aventi ad oggetto la gestione complessiva delle attività relative alla cura e organizzazione delle navi appartenenti alla RAGIONE_SOCIALE, configurassero un rapporto complesso, solo in parte riconducibile alle operazioni previste dall’articolo 8-bis, che descrive un regime di non imponibilità da riconoscere, secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 37/E del 17 maggio 2010, alle sole prestazioni di servizi ‘necessarie, come mezzo a fine, per la costruzione, manutenzione, riparazione delle navi di cui alle lettere a) e b) dell’articolo 8 -bis’. In tal senso, pertanto, è stato riconosciuto il regime di non imponibilità per le spese e le relative commissioni sostenute in nome e per conto della Barry COGNOME per l’acquisto di ricambi e per i lavori di manutenzione e riparazione delle navi, mentre per l’addebito delle commissioni sulle altre spese (viaggio, telefoniche, vitto, energia elettrica, traduzione, ecc.) e per l’addebito delle spese di management fees e delle commissioni per la gestione delle pratiche assicurative non sono stati ravvisati i presupposti di non imponibilità » (v. trascrizione in sentenza dell’atto erariale).
16.2.1. Peraltro, l’ atto di prassi richiamato non si occupava tanto dell’interpretazione generale dell’art. 8 bis lett. e) quanto del regime IVA relativo ad attività di manutenzione di navi svolta anche attraverso contratti di subappalto. Del resto, la lettera e) dell’art. 8 bis, cit., nella versione applicabile ratione temporis , ha una portata assai più ampia (« modificazione, trasformazione, assiemaggio, allestimento, arredamento, locazione e noleggio delle navi e degli aeromobili di cui alle lettere a), b), e c), degli apparati motori e loro componenti e ricambi e delle dotazioni di bordo, nonché le prestazioni di servizi relativi alla demolizione delle navi di cui alle lettere a) e b)») , in linea sia con la previsione del l’art. 15 par. 5 e par. 8 della VI Direttiva (« cessione, trasformazione,
riparazione, manutenzione, noleggio e locazione delle navi di cui al paragrafo 4, lettere a) e b), nonché fornitura, locazione, riparazione e manutenzione degli oggetti in esse incorporati o da esse usati, compresa l’attrezzatura per la pesca;» par. 5 ; «le prestazioni di servizi, diverse da quelle di cui al paragrafo 5, destinate a sopperire ai bisogni immediati delle navi ivi considerate e del loro carico; », par. 8) sia con le previsioni dell’art . 148 lett. a), c) e d), della direttiva n. 2006/112/CE (direttiva IVA): « Gli Stati membri esentano le operazioni seguenti: a) le cessioni di beni destinati al rifornimento e al vettovagliamento delle navi adibite alla navigazione in alto mare e al trasporto a pagamento di passeggeri o utilizzate nell’esercizio di attività commerciali, industriali e della pesca, nonché delle navi adibite ad operazioni di salvataggio ed assistenza in mare e delle navi adibite alla pesca costiera, salvo, per queste ultime, le provviste di bordo; (..) c) le cessioni, trasformazioni, riparazioni, manutenzioni, noleggi e locazioni delle navi di cui alla lettera a) nonché le cessioni, locazioni, riparazioni e manutenzioni degli oggetti, compresa l’attrezzatura per la pesca, in esse incorporati o destinati al loro servizio; d) le prestazioni di servizi, diverse da quelle di cui alla lettera c),direttamente destinate a sopperire ai bisogni delle navi di cui alla lettera a) e del loro carico; ».
16.2.2. Quanto all’interpretazione di tali disposizioni, il Giudice unionale, occupandosi del profilo soggettivo dell’esenzione, « ha già statuito che la condizione relativa alla destinazione alla navigazione in alto mare, prevista all’articolo 15, punto 4, lettera a), della sesta direttiva, si applica non soltanto alle navi utilizzate nel trasporto a pagamento di passeggeri, ma anche a quelle che esercitano attività commerciali, industriali o della pesca, tutte indicate attualmente all’articolo 148, lettera a), della direttiva IVA (v., in tal senso, sentenze del 14 settembre 2006, Elmeka, da C-181/04 a C-183/04,
EU:C:2006:563, punti da 14 a 16 e del 21 marzo 2013, Commissione/Francia, C-197/12, non pubblicata, EU:C:2013:202, punto 32;) (CGUE, 20 giugno 2019, RAGIONE_SOCIALE, causa C-291/18, punto 21).
16.2.3. Riguardo al contenuto della prestazione esente, la stessa Corte, esaminando l’esenzione alla lett. d) dell’art. 148 della direttiva n. 2006/112/CE, ha precisato che, « come risulta dal titolo del capo 7 del titolo IX di tale direttiva, l’obiettivo perseguito da quest’ultimo è quello di promuovere il trasporto internazionale di merci o di persone. Orbene, interpretare l’esenzione prevista dall’articolo 148, lettera d), della direttiva 2006/112 nel senso che essa si applica soltanto all’ultimo stadio della catena di commercializzazione dei servizi di carico e scarico contrasterebbe con un tale obiettivo, poiché, dal momento che ogni intermediario di tale catena è indotto a trasferire sui propri clienti il costo finanziario del versamento dell’acconto IVA, tale interpretazione comporterebbe un rincaro dei prezzi praticati nel trasporto internazionale, senza tuttavia che un tale rincaro sia giustificato dalla necessità di garantire la corretta e semplice applicazione di tale esenzione » (Corte giust., 4 maggio 2017, A Oy, causa C33/16, punto 37); ha quindi concluso che « L’articolo 148, lettera d), della direttiva 2006/112 deve essere interpretato nel senso che, da un lato, possono essere esentate non solo le prestazioni che hanno ad oggetto operazioni di carico e scarico a bordo o a partire da una nave di cui all’articolo 148, lettera a), di tale direttiva che intervengono nello stadio finale di commercializzazione di un tale servizio, ma anche le prestazioni effettuate in uno stadio anteriore, come la prestazione fornita da un subappaltatore a un operatore economico che la riaddebita successivamente a un’impresa di spedizioni o a un’impresa di trasporti e, dall’altro, possono parimenti essere esentate le prestazioni di carico e scarico fornite al detentore di tale carico, quale l’esportatore o l’importatore di
quest’ultimo». Si ricava, quindi, una ratio legis che comporta l’estensione dell’esenzione a tutte le prestazioni di servizi comunque necessarie ai bisogni delle navi e del loro carico e ciò al fine di assicurare la realizzazione dell’obiettivo perseguito della promozione del trasporto internazionale di merci e persone.
Infine, è inammissibile l’ottavo motivo relativo alla tonnage tax atteso che la motivazione della sentenza sul punto ha un rilievo essenzialmente argomentativo: l’istituto riguarda un criterio di determinazione forfettaria del reddito imponibile previsto dal TUIR ed è irrilevante rispetto all’IVA, cosicché quell’argomento non è in grado di esprimere alcuna ratio decidendi . Vale il principio secondo cui le censure contro argomentazioni ad abundantiam o obiter dicta non sono sorrette da alcun interesse (Cass. n. 1770 del 2025).
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza, dovendosi altresì disporre la distrazione a favore del difensore dei controricorrenti dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 14.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, oltre alle spese prenotate a debito, e distrae a favore del difensore antistatario. Così deciso in Roma, il 09/04/2025.