Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4287 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4287 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2610/2015 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende -controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della PUGLIA-SEZ.DIST. LECCE n. 321/2013 depositata il 03/12/2013. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE era attinta da avviso di accertamento n. RF6030100218/2007 per IVA, con il quale, recepite le risultanze di PVC dell’Agenzia delle dogane di Brindisi, a seguito di verifica, veniva determinata maggiore IVA dovuta per euro 63.480.94, maggiorata di sanzioni, sulla base di due rilievi:
-con il primo, l’Ufficio, constatato che in una serie di dichiarazioni doganali di esportazione per il 2004, presentate dallo spedizioniere incaricato, erano stati indicati i valori di transazione con i Paesi Extra UE al netto degli acconti ricevuti, e di conseguenza omessi, ‘aveva come testualmente da ricorso -recuperato ex art. 7, comma 5, D.Lgs. n. 471 del 1997 l’IVA al 20%, sul valore imponibile non inserito nelle predette dichiarazioni di esportazion’.
-con il secondo, l’Ufficio – come, di nuovo, da ricorso – ‘aveva recuperato l’IVA al 20 %, pari ad euro 15.872,00 sulla fattura n. 18/0$ non imponibile ai fini IVA ai sensi dell’art. 8 d.P.R. 633/1972 per merci destinate Paesi extra UE, ma prive della prova di uscita dal territorio UE e prive delle bollette doganali di esportazione (mod. DAU); ragione per cui le merci in argomento dovevano intendersi cedute sul territorio nazionale, con la conseguente debenza dell’IVA al 20% sul relativo imponibile indicato nella predetta fattura’.
La contribuente presentava ricorso, deducendo,
-quanto al primo rilievo, che versava in buona fede, in quanto nelle fatture allegate alle bollette di esportazione erano indicati i corrispettivi compresi degli acconti, meramente omessi dallo spedizioniere;
-quanto al secondo rilievo, che la fattura n. 18/04 era stata emessa in acconto del maggior corrispettivo pattuito, donde la non imponibilità ai fini IVA.
2.1. La CTP di Brindisi, con sentenza n. 28/4/08 depositata il 7 aprile 2008, rigettava il ricorso.
La contribuente presentava appello, accolto dalla CTR della Puglia, con la sentenza n. 321/24/2013, in epigrafe, sulla base della seguente motivazione:
è stato accertato, in sostanza, che gli errori commessi dallo spedizioniere, di fatto, sono errori materiali che non originano violazioni di norme tributarie. Gli addetti alla dogana, avevano a disposizione le fatture complete con le causali dettagliate che riportavano non solo l’ammontare dell’acconto ma anche quello del saldo. Con un minimo di diligenza, avendo tutti i valori a disposizione potevano facilmente indicare il valore complessivo delle operazioni. Il ricorrente, diligentemente si è prontamente adoperato a produrre le bolle doganali corrette. Un semplice errore di trascrizione o di calcolo non è punibile poiché non si intravede la volontà un’infrazione considerato che i valori erano riportati nelle bolle doganali e nelle causali delle fatture. Gli uffici doganali potevano e dovevano correggere l’errore informandone il ricorrente esportatore oppure convocandolo per chiarimenti . In merito alla operazione di esportazione relativa alla fattura n. 18 del 19/03/2004, emessa non imponibile e per la quale mancava la prova di uscita della merce dal territorio UE, e senza la prova delle bollette doganali di esportazione mod. DAU, si osserva che, la ricorrente si è adoperata a dimostrare (con documentazione valida e probante così come è prodotta in copia in allegato al ricorso introduttivo) che la merce non è stata, né poteva essere caricata e trasportata, in quanto è stato fatturato solo un acconto per una merce che doveva essere spedita e trasportata solo successivamente nel tempo. In sostanza, è stato fatturato un incasso di acconto. Si ritiene opportuno chiarire che dal 01/07/2007 per effetto del reg. CE 1875/2006 la procedura per le esportazioni è stata semplificata in particolare le bollette doganali non scortano più le merci fino al confine comunitario ma restano nella dogana mittente è stato risolto uno dei problemi che da sempre ha interessato le aziende di export, ossia, dimostrare l’avvenuta uscita fisica delle merci dal territorio comunitario (art. 8 e seg. Del DPR 633/72).
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle dogane con due motivi, cui resiste con controricorso la contribuente, ulteriormente insistito con ampia memoria telematica.
Considerato che:
Con il primo motivo si denuncia: ‘Con riguardo al rilievo sub 1: Violazione e/o falsa applicazione di legge; artt. 7, comma 5, D.Lgs. 471/1997; 5 e 6 D.Lgs. n. 472/1997 (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.)’.
1.1. ‘Nella fattispecie è pacifico in causa che gli acconti percepiti dalla contribuente per cessioni nei confronti di Paesi extra UE non sono stati inseriti nella originaria documentazione doganale prescritta per le esportazioni. Risulta, pertanto, integrato l’illecito di cui all’art. 7, comma 5, D.Lgs. 471/1997’, dovendosi prescindere da ciò che concretamente risulti dalle fatture emesse dal cedente. Inoltre è irrilevante la successiva rettifica dei valori effettuata dall’operatore doganale.
1.2. Il motivo (testualmente vertente sul solo profilo sanzionatorio, ad esclusione dunque della ripresa dell’imposta, pur, parrebbe, alla luce del primo rilievo descritto in ricorso, contestualmente effettuata) non è inammissibile, come eccepito in controricorso, perché (sotto, ripetesi, il rilevato profilo) individua con precisione la censura, raccordandola a pertinente paradigma.
Esso, nondimeno, è infondato.
L’art. 7, comma 5, D.Lgs. n. 471 del 1997 prevede quanto segue:
Chi, nelle fatture o nelle dichiarazioni in dogana relative a cessioni all’esportazione, indica quantità, qualità o corrispettivi diversi da quelli reali, è punito con la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento dell’imposta che sarebbe dovuta se i beni presentati in dogana fossero stati ceduti nel territorio dello Stato, calcolata sulle differenze dei corrispettivi o dei valori normali dei beni. La sanzione non si applica per le differenze quantitative non superiori al cinque per cento.
Dalla disposizione emerge, nell’accomunamento di fatture e dichiarazioni in dogana (‘ nelle fatture o nelle dichiarazioni in dogana ‘), che, a venire in linea d conto, ai fini dell’integrazione della condotta tipica, non sono soltanto – ‘recte’, puramente e semplicemente – le seconde nel loro tenore letterale, ma anche le prime, di guisa che la valutazione intorno all’indicazione di quantità, qualità o corrispettivi diversi da quelli reali deve essere compiuta avendo riguardo, non solo a quanto risultante alla lettera dalle dichiarazioni, ma anche a quanto risultante dalle fatture eventualmente alle medesime allegate.
Detto ciò, per ragioni di speditezza e finanche di rigore delle operazioni doganali, non può certamente addossarsi ai funzionari addetti ai controlli un onere interpretativo delle fatture in funzione di non consentite rettifiche di dichiarazioni da queste discordanti, ragion per cui la discordanza non prontamente ed immediatamente risolvibile delle dichiarazioni resta sanzionabile pur a fronte dell’allegazione di fatture corrette. Tuttavia, con ciò enunciandosi principio di diritto, in presenza di un chiaro, preciso ed immediatamente evidente contenuto delle fatture allegate, circa i profili rilevanti di qualità, quantità e corrispettivi, e di semplici errori od incompletezze, frutto di mere sviste od omissioni, delle dichiarazioni, è doverosa una lettura unitaria di queste alla luce delle prime; pertanto, in tal caso, la non corretta o completa compilazione delle dichiarazioni esula dalla previsione sanzionatoria, la quale colpisce la difformità della dichiarazione non già sul piano formale, (ossia del dato inserito nel modulo corrispondente), ma, sul piano sostanziale, della sola ‘indicazione’ (alla stregua, dunque, anche del corredo documentale unito alla dichiarazione) .
Né la lettura unitaria di fatture e moduli vulnera l’intrinseca portata dichiarativa di questi ultimi, semplicemente emendati od
integrati mediante – e non sostituiti da – contenuti rappresentativi comunque resi prontamente disponibili.
Le superiori conclusioni, d’altronde, paiono in linea con le istruzioni operative contenute nella circolare Min. Fin. -Dip. Dogane Servizi Doganali Ispet. IV n. 292 del 23/12/1998, la quale, in riferimento all’art. 7, comma 5, D.Lgs. n. 471 del 1997, prescrive di avere riguardo al complesso della documentazione presentata dal dichiarante, osservando:
La sanzione indicata da detto articolo non è stata prevista per punire il semplice errore di trascrizione, ovvero di calcolo; se dal resto della documentazione presentata dalla parte risulta evidente che si tratta di una svista dell’operatore (per esempio, quando nella fattura presentata dal dichiarante il corrispettivo corrisponde esattamente al valore reale della transazione), l’Ufficio finanziario interessato si limiterà solamente a correggere l’errore, informando la parte, senza applicare alcuna sanzione.
È evidente, infatti, che tale comportamento non risulta sanzionabile poiché, come previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 472/97, mancano, nelle fattispecie del genere, coscienza e volontà di commettere una infrazione (principio di colpevolezza).
Qualora, invece, da tutta la documentazione presentata non sia possibile eliminare ogni dubbio in ordine alla natura del comportamento, anche eventualmente a seguito di ulteriore esibizione di documentazione, si dovrà dare inizio immediatamente alla procedura di infrazione ai sensi dell’art. 16 e segg. del D.Lgs. 472/97.
Tornando al caso di specie, a mente del preciso accertamento in fatto compiuto dalla CTR circa l’evidenza rappresentativa delle fatture presentate dalla contribuente in uno alle bollette doganali, di guisa da poter essere queste ultime agevolmente integrate dalle prime, è a rilevarsi come la sentenza impugnata abbia fatto piana applicazione dei principi innanzi esplicitati, sottraendosi, conseguentemente, a qualsivoglia censura.
Con il secondo motivo si denuncia: ‘Con riguardo al rilievo sub 2: Violazione e/o falsa applicazione di legge; artt. 1 e 8 d.P.R. 633/1972 (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.)’.
2.1. ‘La CTR, dopo aver accertato che la fattura n. 18 del 2004 si riferiva ad un mero acconto del corrispettivo pattuito per la cessione di beni destinati all’esportazione in Paesi extra UE, ha poi ritenuto, in sostanza, che a tale acconto si potesse applicare il regime di esenzione ai fini IVA previsto dall’art. 8, comma 1, lett a) d.P.R. 633/1972 per le cessioni all’esportazione, pur in mancanza della prova (a carico del cedente, e da questi non fornita) dell’uscita della merce (alla quale si riferiva tale acconto) dal territorio dell’UE . ur volendo ammettere che anche gli acconti possano fruire del regime di non imponibilità , el caso di acconto , l’adozione del regime di non imponibilità in discorso è solo provvisoria e condizionata alla prova dell’evento successivo (dell’esportazione della merce) che il contribuente è comunque tenuto a fornire. Nella fattispecie, stando alla motivazione esternata dai secondi giudici, tale prova non risulta essere stata fornita dalla società appellante .
2.2. Il motivo – non inammissibile in quanto non affatto (come invece eccepito in controricorso) contraddittorio – è fondato e merita accoglimento.
Questa S.C. – alla stregua del principio enunciato da Sez. 5, n. 10606 del 22/05/2015, Rv. 635616 -01, che merita di essere espressamente ribadito – insegna che l’IVA concernente la cessione di un bene, di cui non sia provata la destinazione all’esportazione, è esigibile, anche prima della consegna, qualora sia versato un acconto sul prezzo, purché siano già noti alle parti tutti gli elementi qualificanti del fatto generatore d’imposta ed in particolare sia già specificamente individuato il bene oggetto della cessione.
Di tale insegnamento la CTR non ha fatto applicazione, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve, ‘in parte qua’, essere cassata con rinvio per nuovo esame ed altresì per la definitiva regolazione tra le parti delle spese.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo.
In relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 4 dicembre 2024.