LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Esportatore abituale: diligenza del fornitore

Una società si è vista negare il regime di sospensione IVA per vendite a clienti che non erano qualificabili come esportatore abituale. La Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità della società fornitrice, sottolineando il suo dovere di diligenza nel verificare lo status dei clienti, anche a fronte di modifiche normative. Secondo la Corte, il fornitore non può limitarsi a ricevere una dichiarazione d’intento se esistono elementi che facciano sospettare irregolarità, ma deve adottare tutte le ragionevoli misure di controllo.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Esportatore Abituale: La Diligenza del Fornitore è Sempre Obbligatoria

Il regime dell’esportatore abituale rappresenta un’importante agevolazione fiscale per le imprese che operano sui mercati internazionali, consentendo loro di acquistare beni e servizi senza l’applicazione dell’IVA. Tuttavia, quali sono le responsabilità del fornitore quando il cliente dichiara falsamente di possedere tale status? Con la recente ordinanza n. 6889/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: sul fornitore grava un preciso onere di diligenza che non può essere eluso, neanche a fronte delle recenti modifiche normative.

I Fatti del Caso

Una società operante nel settore automobilistico ha ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per il recupero dell’IVA relativa all’anno d’imposta 2014. L’Ufficio contestava l’indebita applicazione del regime di sospensione d’imposta per le cessioni effettuate a due clienti, i quali non possedevano lo status di esportatore abituale.
La società ha impugnato l’atto, ottenendo una vittoria parziale in primo grado. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale, in sede di appello, ha dato pienamente ragione all’Agenzia Fiscale, affermando che, in assenza dello status di esportatore abituale in capo ai cessionari, il fornitore non poteva beneficiare del regime di non imponibilità. Contro questa decisione, la società ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su tre motivi principali.

La Posizione della Società e la Decisione della Cassazione

La società ricorrente sosteneva principalmente tre tesi:
1. Violazione di legge: Il fornitore non sarebbe tenuto a svolgere un’attività di controllo sulla veridicità della dichiarazione d’intento, essendo il cessionario l’unico responsabile.
2. Errata valutazione delle prove: La decisione dei giudici di merito si sarebbe basata su presunzioni semplici, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
3. Applicazione del favor rei: Le modifiche normative intervenute nel 2014 (D.Lgs. 175/2014) avrebbero trasferito l’obbligo di comunicazione della dichiarazione d’intento dal cedente al cessionario, determinando una sorta di abolitio criminis per le condotte precedenti.

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo tutti i motivi infondati.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha fornito una chiara disamina delle responsabilità del fornitore che opera con un esportatore abituale.

Il Dovere di Diligenza del Fornitore

In primo luogo, i giudici hanno smontato la tesi secondo cui il fornitore sarebbe esente da ogni controllo. Al contrario, la Corte ha affermato che al cedente non è consentito “l’esercizio fraudolento del diritto di valersi del limite di esecutività” se dispone di elementi, anche presuntivi, che possano far sospettare l’esistenza di irregolarità. Sul fornitore grava un onere di diligenza che impone l’adozione di tutte le “ragionevoli misure” per verificare la situazione, astenendosi dall’operazione in caso di dubbi. La mera esistenza di una dichiarazione d’intento, seppur formalmente corretta, non è sufficiente a esonerare il fornitore dalla responsabilità solidale se questa si rivela ideologicamente falsa.

L’Insindacabilità della Valutazione delle Prove

Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte ha ribadito che la valutazione delle prove, incluse le presunzioni, è un’attività riservata esclusivamente al giudice di merito. Il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. La censura è ammissibile solo se si dimostra che il giudice ha utilizzato prove non ammesse o ha disatteso prove legali, circostanze non verificatesi nel caso di specie. Pertanto, il tentativo della società di ottenere una nuova valutazione degli elementi probatori è stato dichiarato inammissibile.

L’Inapplicabilità del Favor Rei e le Modifiche Normative

Infine, la Corte ha chiarito che le modifiche introdotte dal D.Lgs. 175/2014 non hanno comportato un’abrogazione dell’illecito (abolitio). La normativa ha semplicemente modificato le modalità di adempimento per il fornitore. Se prima era tenuto a trasmettere la dichiarazione ricevuta, ora deve verificare telematicamente, sul sito dell’Agenzia delle Entrate, l’avvenuta presentazione da parte del cliente. Si tratta, quindi, di una “diversa modalità di adempimento” che non elimina, ma anzi presuppone, una continuità nell’onere di controllo. Non essendoci stata alcuna abolizione dell’illecito, il principio del favor rei non trova applicazione in questo contesto.

Le conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione consolida un orientamento rigoroso sulla responsabilità del fornitore nelle operazioni con un esportatore abituale. La decisione sottolinea che la diligenza richiesta non è un mero adempimento formale, ma un obbligo sostanziale di controllo. Le imprese devono quindi implementare procedure interne adeguate per verificare la veridicità dello status dei loro clienti, non potendo fare cieco affidamento sulle dichiarazioni ricevute, specialmente in presenza di indizi di anomalia. La sentenza serve da monito: la lotta all’evasione IVA passa anche attraverso la responsabilizzazione di tutti gli attori della catena commerciale.

Quando è responsabile il fornitore se il suo cliente non è un vero esportatore abituale?
Il fornitore è responsabile quando, pur in presenza di una dichiarazione d’intento, dispone di elementi (anche presuntivi) che avrebbero dovuto fargli sospettare delle irregolarità. In questi casi, egli ha un onere di diligenza che gli impone di adottare tutte le ragionevoli misure di controllo e, se necessario, astenersi dall’effettuare l’operazione in regime di sospensione d’imposta.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta dal giudice di merito?
No, la valutazione delle prove, comprese le presunzioni, è un’attività riservata in via esclusiva al giudice di merito. Il ricorso in Cassazione è ammissibile solo per motivi di legittimità (cioè, violazioni di legge) e non per ottenere una nuova valutazione dei fatti della causa, a meno che non si denunci un vizio motivazionale estremo, come l’omesso esame di un fatto decisivo.

Le modifiche normative del 2014 hanno eliminato la responsabilità del fornitore riguardo le dichiarazioni d’intento?
No. La Corte ha chiarito che le modifiche legislative non hanno eliminato la responsabilità del fornitore, ma hanno solo cambiato le modalità dell’adempimento. L’obbligo di trasmettere la dichiarazione è stato sostituito dall’obbligo di verificare telematicamente la sua avvenuta presentazione da parte del cliente. L’onere di controllo e diligenza del fornitore, quindi, persiste.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati