Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2498 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2498 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 26/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7634/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro COMUNE RAGIONE_SOCIALE in persona del Sindaco pro tempore -intimato
NONCHE’
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. SALERNO n. 4385/2020 depositata il 30/09/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
1.La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, concessionaria del servizio di riscossione dei tributi per conto del Comune di Avellino, notificava alla RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento con il quale le intimava il pagamento della Tosap dovuta per l’occupazione di aree nel comune di Avellino da parte di taluni cavalcavia RAGIONE_SOCIALEli di sovrastanti INDIRIZZO per le annualità 2013 -2018.
La RAGIONE_SOCIALE impugnava detto avviso innanzi alla CTP di Avellino, sostenendo che le aree per le quali era stata richiesta l’imposta erano state espropriate a suo favore che ne aveva acquisito la titolarità per conto dello Stato; che comunque si tratta di occupazioni disposte dallo Stato che ha diritto all’esenzione prevista dal d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 art. 49, lett. a).
La CTP adita accoglieva il ricorso applicando l’esenzione di cui all’invocato art. 49. Proposto appello da parte della RAGIONE_SOCIALE di riscossione, la CTR della Campania lo respingeva sul rilievo che si tratta di bene demaniale oggetto di concessione statuale, per cui deve escludersi il potere impositivo del Comune.
Avverso la sentenza indicata in epigrafe propone ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE affidato a sette motivi.
Si è costituita con controricorso la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che ha proposto anche controricorso incidentale, depositando, in prossimità dell’udienza, memorie difensive.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione del principio di rispondenza tra chiesto e pronunciato ex artt. 112 e 277 cod.proc.civ. per omessa pronuncia su un motivo di appello in ordine alla erronea individuazione del bene oggetto di imposizione; per avere la Commissione regionale omesso di motivare sulla prima censura di appello con la quale la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE contestava che le aree oggetto di imposizione fossero di proprietà della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in quanto la strada Ponte INDIRIZZO è destinata ad uso pubblico e non è di proprietà della RAGIONE_SOCIALE contribuente. Le aree di proprietà della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sono quelle su cui è stato costruito l’asse RAGIONE_SOCIALEle non oggetto di accertamento, diversamente dal tratto di area sottostante, alla INDIRIZZO, adibita ad uso pubblico oggetto di imposizione. Sia la contribuente che i giudici di merito hanno confuso le volumetrie necessarie per la costruzione dei cavalcavia con le fasce di rispetto e la strada comunale. Sulla questione la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi.
La seconda censura prospetta nullità della sentenza ex articolo 360, primo comma, numero 4, cod.proc.civ. in relazione all’articolo 132, numero 4, cod.proc.civ. per omessa ovvero apparente motivazione; per avere il decidente confermato la statuizione di primo grado . La ricorrente assume che se detta affermazione costituisce disamina della questione posta col primo motivo essa allora dell’essere censurata sotto il profilo della motivazione
apparente perché non reca alcun riferimento a elementi o documenti da cui desumere che tracciato RAGIONE_SOCIALEle abbia ricompreso la strada comunale.
La terza doglianza denuncia violazione del principio di rispondenza tra chiesto e pronunciato ex articoli 112 e 277 cod. proc. civ., per omessa pronuncia su motivo di appello in ordine all’onere della prova e correlata violazione dell’articolo 2697, secondo comma, cod.civ., in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 5), cod.proc.civ.. Assume la ricorrente che, a fronte della asserita acquisizione in proprietà di RAGIONE_SOCIALE della INDIRIZZO, essa aveva eccepito il difetto della relativa prova, tant’è che lo stesso giudice d’appello rilevava che . RAGIONE_SOCIALE aveva prodotto foto attestante la realtà del bene oggetto di imposizione così come indicato nell’atto accertativo eccependo la violazione dell’onere probatorio in quanto la RAGIONE_SOCIALE non aveva dimostrato che la INDIRIZZO era stata utilizzata per la realizzazione dell’RAGIONE_SOCIALE.
La quarta censura lamenta violazione del principio di rispondenza tra chiesto e pronunciato ex articoli 112 e 277 cod proc civ, per omessa pronuncia in ordine all’applicazione degli artt. 38 e 39 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 cit. La concessionaria sostiene di aver invocato il disposto dell’articolo 38 citato in rubrica secondo il quale , , sia il comma quattro , concludendo che nel caso in esame vi era stata sottrazione o limitazione dell’uso pubblico da parte della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a mezzo di viadotto RAGIONE_SOCIALEle sopra il levato in assenza di concessione.
Sostiene che, tuttavia, la CTR ha deciso sul punto, affermando che ciò che rileva non è la natura della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, bensì la natura demaniale oggetto di concessione statuale.
Con il quinto mezzo di ricorso, si deduce violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, primo comma , numero 3), cod. proc. civ., in relazione agli artt. 38 e 39 del decreto legislativo 15 novembre 1993, numero 507. Sostiene che, per effetto della concessione rilasciata dallo Stato, si era realizzata una occupazione dello spazio pubblico comunale che era soggetta a tassazione a norma dell’articolo 38, comma 2, del decreto legislativo 507/93 cit. e non era applicabile l’esenzione di cui all’articolo 49, lettera a, del citato decreto legislativo poiché la norma esonerativa è limitata al caso in cui l’occupazione sia effettuata direttamente dallo Stato, con esclusione delle opere, ancorché di proprietà dello Stato, realizzate e gestite in regime di concessione amministrativa, considerato che in tal caso la tassa è dovuta a norma del citato articolo 38, comma 2.
Il sesto strumento di ricorso denuncia nullità della sentenza per motivazione apparente ex articolo 132 cod.proc.civ.; per avere il decidente valorizzato la natura del bene ai fini dell’esenzione, senza tuttavia motivare l’iter logico giuridico del ragionamento.
8. Con la settima doglianza si lamenta la violazione dell’articolo 49 lettera del decreto legislativo 507 nel 1993; per avere CTR immotivatamente affermato che, benché l’elenco di cui all’articolo 49 citato fosse tassativo, era erroneo ritenere rilevante la mancata contemplazione del bene in oggetto nel novero delle esenzioni.
Evidenzia la ricorrente che si tratta di norma agevolatrice di stretta interpretazione, non applicabile ad ipotesi non ricadenti nella elencazione tassativa di cui all’articolo 7 del cit. dlgs., con la conseguenza che non può dedursi una automaticità di estensione a terzi della ragione di esenzione dall’imposta. Sostiene sul punto che in tema di Tosap, l’esenzione prevista per lo Stato e per gli altri enti dall’articolo 49 citato, postula che l’occupazione quale presupposto del tributo, sia ascrivibile al soggetto esente, sicché nel caso di occupazione di spazi rientranti nel demanio o nel patrimonio indisponibile dello stato da parte di una RAGIONE_SOCIALE concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica, alla stessa non spetta l’esenzione in quanto è di questa la gestione economica e funzionale annulla rilevando che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione solo al termine della concessione.
Con controricorso incidentale condizionato, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE denuncia violazione falsa applicazione dell’articolo 49, comma uno, lettera a, decreto legislativo numero 507 del 93, in relazione all’articolo 360, primo comma, numero 3, cod. proc. civ; assumendo che nel caso di accoglimento del ricorso principale lo spazio sovrastante la strada comunale non si deve ritenere sottratto alla disponibilità generalizzata per volontà della RAGIONE_SOCIALE controricorrente avendo lo Stato stesso pianificato e deciso la costruzione dell’RAGIONE_SOCIALE e la localizzazione del suo tracciato, inclusi i cavalcavia qui in esame. Dunque la costruzione dell’RAGIONE_SOCIALE è stata stabilita con risalenti leggi dello stato legge n. 21 maggio 1955, n. 463 e legge 24 luglio 1961, n. 729 per
esigenze istituzionali statali collegate alla necessità di un miglior collegamento del territorio nazionale per favorire lo sviluppo dello stesso e la relativa economia. Aggiunge che rispetto al rapporto concessorio è irrilevante che il soggetto concessionario sia di proprietà pubblica o privata, in quanto secondo il diritto europeo è indifferente che la proprietà di un’azienda sia pubblica o privata, essendo essenziale che sia comunque identico il quadro normativo in cui essa opera; alla luce dell’articolo 340 TFUE, i trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri facendo così salvo il principio di neutralità rispetto alla proprietà pubblica o privata delle imprese operanti nell’ordinamento europeo.
La RAGIONE_SOCIALE afferma che la giurisprudenza della Corte di giustizia UE ha chiarito che l’indifferenza rispetto alla natura pubblica o privata del regime proprietario non deve tradursi in forme di discriminazione con la conseguenza che la diversità che incorre tra forme di proprietà pubblica o privata non produce l’effetto di sottrarre regimi di proprietà esistenti negli Stati membri alle norme fondamentali del trattato FUE tra cui in particolare quelle di non discriminazione pergolati libertà di stabilimento e di libertà di circolazione dei capitali.
Il primo, secondo, terzo e sesto motivo, da esaminare preliminarmente, per ragioni di ordine logico-giuridico, vanno disattesi.
In tema di motivazione meramente apparente della sentenza, questa Corte ha più volte affermato che il vizio ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), e cioè dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo art. 36, comma 2, n. 4,
d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata ; l’obbligo del giudice «di specificare le ragioni del suo convincimento», quale «elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale» è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle Sezioni Unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che «l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità» e che «le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti» (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonché la giurisprudenza ivi richiamata).
Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e che presentano una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua
propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi» (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. Un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente -e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo -quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 14927 del 2017). In tale grave forma di vizio non incorre, dunque, la sentenza impugnata laddove i giudici di appello, statuendo sui motivi di appello incentrati sulla fondatezza della pretesa fiscale, hanno affermato che non ricorreva « una ipotesi in cui sorge l’obbligo del concessionario RAGIONE_SOCIALE di corrispondere la TOSAP per le occupazioni effettuate» non ricorrendo né il presupposto soggettivo trattandosi di bene di natura demaniale oggetto di concessione statuale. Non sussiste, del pari, alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che ricorre quando il giudice trascuri di esaminare una domanda od una eccezione, o quando sostituisca d’ufficio un’azione ad un’altra, a causa del travisamento dell’effettivo contenuto della domanda (cfr. Cass. n. 19214 del 06/07/2023); tale vizio riguarda, dunque, soltanto la decisione della controversia e non anche le ragioni di fatto e di diritto che vengono assunte a sostegno della decisione, ed è escluso quindi che ricorra laddove, come nel caso in esame, la pronuncia giudiziale sia rimasta nell’ambito della res in iudicium deducta , ovvero della fattispecie prospettata dalle parti in
causa, rimanendo irrilevante, in relazione alla violazione del suddetto principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ogni censura circa la pretesa erroneità del ragionamento decisorio logico-giuridico.
La quinta e settima censura del ricorso principale meritano accoglimento, assorbite le altre doglianze.
Richiamando i principi di diritto affermati da questa Corte in fattispecie del tutto sovrapponibile alla presente (cfr. Cass. n. 385 del 10/01/2022), il Collegio osserva che in sede di legittimità (cfr. Cass. nn 20974/2020, 18385/2019, 19693/2018, 11886/2017, 11689/2017) è già stato statuito che il presupposto impositivo della TOSAP è costituito -ai sensi degli artt. 38 e 39 del d.lgs. n. 507 del 1993 -dall’occupazione, di qualsiasi natura, di spazi ed aree, anche soprastanti o sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei Comuni o delle Province (circostanza riconosciuta dalla stessa ricorrente, alla pag. 1 del ricorso in cassazione, laddove fa riferimento al «cavalcavia RAGIONE_SOCIALEle soprastante la INDIRIZZO Comunale sita in INDIRIZZO in Avellino»), che comporti un’effettiva sottrazione della superficie all’uso pubblico; pertanto, ai fini della Tosap, rileva il fatto in sé della predetta occupazione, indipendentemente dall’esistenza o meno di una concessione od autorizzazione (cfr. Cass. nn. 11553/2003, 2555/2002), salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione previste dall’art. 49 d.lgs. 507/1993.
Nel caso in esame vi è la sottrazione o la limitazione dell’uso del suolo pubblico da parte della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a mezzo del viadotto RAGIONE_SOCIALEle sopraelevato in assenza della concessione od autorizzazione comunale prevista dall’art. 39 d.lgs. 507/1993 e si è realizzata, perciò, un’occupazione di fatto che è
comunque tassabile, salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione.
Va rilevato, invero, che non può esservi dubbio alcuno sul fatto che il viadotto impedisce l’utilizzazione edificatoria del fondo sottostante, né sulla scorta di quanto precede assume rilievo la sua eventuale appartenenza al Demanio statale, come invece argomentato nella recente giurisprudenza amministrativa, citata dalla ricorrente nella memoria difensiva.
Inoltre, va considerato che l’art. 38, comma 2, del d. lgs. n. 507/93 prevede che «sono, parimenti, soggette alla tassa le occupazioni di spazi soprastanti il suolo pubblico, di cui al comma 1, con esclusione dei balconi, verande, bow -windows e simili infissi di carattere stabile, nonché le occupazioni sottostanti il suolo medesimo, comprese quelle poste in essere con condutture ed impianti di servizi pubblici gestiti in regime di concessione amministrativa». Detta norma non può che essere interpretata nel senso che l’occupazione a mezzo di impianti di servizi pubblici è soggetta alla tassa sia che si tratti di spazi sottostanti che sovrastanti lo spazio pubblico, ben potendo esistere impianti che si sviluppano sopra il suolo per i quali non si giustificherebbe un diverso trattamento normativa.
Infine, non può revocarsi in dubbio che il viadotto RAGIONE_SOCIALEle costituisca un impianto ai fini della norma di che trattasi in quanto esso è costituito da una costruzione completata da strutture, quali gli impianti segnaletici e di illuminazione, che ne aumentano l’utilità.
Con riguardo poi all’eventuale esenzione per l’occupazione effettuata dall’impresa che ha provveduto, in forza di concessione conferita dallo Stato, all’esecuzione del lavoro pubblico costituito dalla rete RAGIONE_SOCIALEle di cui fa parte il viadotto in questione,
questa Corte ritiene che l’occupazione medesima debba considerarsi propria dell’ente concessionario e vada, dunque, assoggettata alla tassa ai sensi dell’art. 38, comma 2, del d.lgs. n.507 del 1993, in quanto la RAGIONE_SOCIALE concessionaria è l’esecutrice della progettazione e della realizzazione dell’opera pubblica (art. 143, comma 1, del Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163) a fronte del corrispettivo costituito dal diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati (art. 143, comma 2) per la durata, di regola, non superiore a trenta anni (art. 143, comma 6) ed a nulla rileva il fatto che il viadotto sia di proprietà del demanio e che, al termine della concessione, anche la gestione di esso ritorni in capo allo Stato poiché, nel periodo di durata della concessione stessa, il bene, che pure è funzionale all’esercizio di un servizio di pubblica utilità, è gestito in regime di concessione da un ente che agisce in piena autonomia e non quale mero sostituto dello Stato nello sfruttamento dei beni; 3.10. ne deriva che l’esenzione prevista dall’art. 49, lett. a, del citato decreto non spetta in quanto non si configura l’occupazione da parte dello Stato.
Infine, come già evidenziato da questa Corte (cfr. Cass. n. 10351 del 18/4/2023 in motiv. relativamente alla COSAP, ma sulla base di principi applicabili anche all’odierna fattispecie) inconferente è anche il riferimento all’asserita appartenenza dell’RAGIONE_SOCIALE al demanio statale ex art. 822 c.c. (come invece argomentato dalla ricorrente mediante richiamo anche a recente giurisprudenza amministrativa) ed è altresì marginale e priva di decisività l’indagine sulla effettiva proprietà dell’infrastruttura RAGIONE_SOCIALEle e del pontone che occupa, per proiezione, la strada provinciale sottostante, atteso che la dedotta proprietà statale dell’RAGIONE_SOCIALE e così del viadotto non interferisce con la circostanza -integrativa del presupposto di applicazione del TOSAP da parte del Comune di Avellino -secondo cui, nel periodo di durata della concessione, la
RAGIONE_SOCIALE disponeva del viadotto, per la relativa gestione quale concessionaria, ed in tal modo essa realizzava la condotta di «occupazione» del sottostante suolo provinciale.
Sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va, dunque, accolto limitatamente al quinto e settimo motivo, assorbito i restanti e respinti il primo, il secondo, il terzo ed il sesto motivo e dichiarato assorbito il ricorso incidentale condizionato; l’impugnata sentenza cassata; inoltre, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., e il ricorso originario della contribuente va rigettato.
Le spese di lite dei gradi di merito sono compensate tra le parti in ragione del progressivo consolidarsi dei principi giurisprudenziali nella fattispecie applicati, mentre le spese di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto ed il settimo motivo di ricorso, respinti il primo, il secondo, il terzo motivo, assorbiti i restanti nonché il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente; compensa tra le parti le spese processuali dei gradi di merito; condanna la controricorrente al pagamento delle spese di legittimità in favore della ricorrente, liquidate in misura pari ad Euro 3.800,00 per compensi, oltre ad Euro 200 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, se dovuti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, in data 16.1.2024.
Il Presidente NOME COGNOME