Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21989 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21989 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12621/2018 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA 4232/2017 depositata il 23/10/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ dal Consigliere NOME COGNOME
n. 11/06/2025
FATTI DI CAUSA
La CTP di Varese, con la sentenza n. 55/2016, pronunziando sulla impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE avverso gli avvisi di accertamento TARSU annualità 2009 -2013, notificati dalla RAGIONE_SOCIALE in qualità di ente gestore dei servizi pubblici locali per conto del Comune di Origgio (VA), accoglieva parzialmente il ricorso disponendo, in relazione alla tipologia di rifiuti prodotti, la riduzione del 40% della tassa rifiuti prevista dall’art. 11, comma 3, dell’allora vigente regolamento comunale TARSU.
La CTR Lombardia, con sentenza n. 4232/2017, accoglieva parzialmente il ricorso in appello proposto da RAGIONE_SOCIALE limitatamente al quantum dovuto in punto di sanzioni -disapplicando quelle per omessa denuncia irrogate in relazione all’edificio n. 25 (ritenendo che tale denuncia di occupazione fosse stata presentata dalla dante causa di RAGIONE_SOCIALE) ed applicando, invece, l’istituto del cumulo giuridico di cui all’art. 12, comma 5, d.lgs. 472/1997 rispetto all’omessa denuncia di occupazi one dell’edificio n. 27 mentre ribadiva l’imponibilità ai fini TARSU dei locali oggetto di accertamento, seppure a fronte della riduzione del 40% della tariffa prevista dall’art. 11, comma 3 del Regolamento comunale, come già riconosciuto dalla CTP di Varese nel precedente grado di giudizio.
Contro detta sentenza la RAGIONE_SOCIALE popone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati con successiva memoria.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
FATTI DI CAUSA
Con il primo motivo la società contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 221, comma 4 e 226, comma 2, d.lgs. n. 152/2006, nonché dell’art. 195, comma 2, lett. e), d.lgs. n. 152/2006 e dell’ All. E) al d.lgs. n. 152/2006 ed, ancora, dell’art. 62, c. 3, d.lgs. n. 507/1993.
Assume che, erroneamente, la CTR non aveva considerato che negli immobili oggetto degli avvisi di accertamento la contribuente produceva, in via prevalente e continuativa, rifiuti qualificabili come imballaggi terziari che non possono, per legge, essere immessi nel circuito dei rifiuti urbani, con la conseguenza che la stessa doveva essere esentata dal pagamento della TARSU su tutto l’immobile ad eccezione delle aree adibite ad uffici, ristoro, spogliatoi e servizi igienici, ben delineate e delimitate rispetto alle aree produttive dei summenzionati rifiuti speciali, come emergeva chiaramente dalle planimetrie prodotte e confermato durante il sopralluogo effettuato dalla RAGIONE_SOCIALE
Rileva, altresì, che i giudici di appello, erroneamente interpretando la normativa di riferimento ed omettendo di valutare adeguatamente le risultanze istruttorie, avevano affermato che non risultavano individuate le aree in concreto destinate alla produzione di rifiuti speciali e le altre aree, invece, destinate al transito dei dipendenti o ad operazioni di preparazione della merce che possono ben produrre rifiuti urbani e che la contribuente non aveva specificatamente indicato in quali aree del magazzino si provvedeva a disimballare i colli e che, almeno in parte, i rifiuti da essa definiti come ‘terziari’ potevano, in realtà, essere smaltiti come secondari.
Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’ art. 360, primo comma n. 4 c.p.c. violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa statuizione in merito alla domanda subordinata relativa alla rideterminazione
dell’importo dovuto ex art. 59, c. 4 d.lgs. n. 507/1993 per carenza del servizio di raccolta rifiuti da parte del Comune di Origgio.
Il primo motivo è infondato.
3.1. Vertendosi in regime TARSU vanno richiamati i principi formulati da questa Corte in materia in forza dei quali si è rilevato che:
la causale di esenzione dalla TARSU, posta dal d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, c. 3, con riferimento alle superfici ove si producono (di regola) rifiuti speciali tossici o nocivi («allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti»), costituisce deroga alla regola generale (di cui allo stesso d.lgs. n. 507, cit., art. 62, c. 1) secondo la quale il pagamento del tributo è dovuto da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (v., ex plurimis, Cass., 16 aprile 2019, 10634; Cass., 5 settembre 2016, n. 17622; Cass., 24 luglio 2014, n. 16858; Cass., 6 luglio 2012, n. 11351; Cass., 9 marzo 2012, n. 3756; Cass., 14 gennaio 2011, n. 775), ed integra, pe rtanto, il contenuto di un’eccezione «i cui presupposti spetterà al contribuente allegare e provare» (così Cass., 19 aprile 2019, 11035);
-in relazione alla presunzione ( iuris tantum ) di produzione di rifiuti urbani posta dal d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, c. 1, cit. (v. Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459) questa Corte ha, poi, rilevato, da un lato, che il mero autosmaltimento dei rifiuti non può integrare la causale di esonero dal pagamento del tributo (d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, c. 3), -indipendentemente, quindi, dalla considerazione della tipologia oggettiva dei rifiuti prodotti (urbani o speciali) e, per di più, del potere di assimilazione spettante all’Ente locale, – e, per il restante, che, ai fini della tassazione, «non rileva il collegamento funzionale con l’area produttiva, destinata alla lavorazione industriale, delle aree destinate all’immagazzinamento
dei prodotti finiti, come di tutte le altre aree di uno stabilimento industriale, tra cui quelle adibite a parcheggio, a mensa e ad uffici, non essendo stato previsto tale collegamento funzionale fra aree come causa di esclusione dalla tassazione» (così Cass., 5 maggio 2010, n. 10813; Cass., 4 dicembre 2009, n. 25573; Cass., 30 luglio 2009, n. 17724; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19461);
– questa Corte ha, ancora, precisato che lo stabilire se determinati locali di uno stesso edificio, benché destinati ad uffici, depositi, mostre ecc. e non propriamente all’attività produttiva, siano parimenti idonei a produrre rifiuti speciali, costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito (Cass., 22 dicembre 2016, n. 26725; Cass., 11 agosto 2004, n. 15517; Cass., 17 febbraio 1996, n. 1242); ed ha rimarcato che il d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, c. 3, con riferimento alla nozione di superficie «ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi», va interpretato nel senso che l’esclusione dalla tassa riguarda la sola «parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano solo rifiuti speciali» (Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 4 aprile 2012, n. 5377; v., altresì, Cass., 24 luglio 2014, n. 16858).
3.2. Osserva, il collegio che la CTR accertata la produzione di rifiuti da imballaggi terziari ha, tuttavia, precisato che: ‘ non è possibile ritenere che tutte le aree ove possono transitare i dipendenti non producano in qualche misura anche rifiuti diversi dai rifiuti terziari e come tali suscettibili di smaltimento a cura del Comune e la contribuente per contro non ha specificamente indicato in quali aree del magazzino si provveda a disimballare i colli (operazione che certo non avviene nei corselli di transito tra le scaffalature e non ha quindi provato, come era suo onere, il presupposto della detassazione )’.
Risulta, quindi, che i giudici, hanno riscontrato che la società contribuente non aveva provato di avere generato, ad esito della propria attività, in via esclusiva rifiuti da imballaggio terziario non
assimilabili agli urbani, e che partimenti non aveva provveduto ad identificare in modo certo le superfici in cui tali rifiuti erano stati generati, così da farne valere l’esenzione ai fini TARSU ai sensi dell’art. 62, comma 3 D.Lgs. 507/1993: appare evide nte, dunque, che non può ritenersi ravvisabile la lamentata violazione di legge atteso che i giudici di appello hanno ritenuto, con motivazione in fatto non censurabile in questa sede, che la parte non aveva offerto prova della sussistenza dei presupposti all’esenzione con riferimento alle aree indicate.
Anche il secondo motivo non coglie nel segno.
4.1. La RAGIONE_SOCIALE sostiene che -a fronte del volume di rifiuti prodotto nei locali oggetto di causa -non avrebbe potuto nemmeno astrattamente usufruire del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti strutturato da parte del Comune, in ragione delle modalità operative e dei limiti di conferimento previsti dall’Ente nell’ambito della propria delibera di assimilazione, con conseguente richiesta di applicazione della riduzione al 40 per cento della TARSU dovuta (come previsto dall’art. 59, comma 4 D.Lgs. 507/1993 nei casi in cui il servizio di raccolta, sebbene istituito ed attivato, non sia stato svolto nella zona di esercizio dell ‘attività dell’utente ovvero sia stato effettuato in grave violazione delle prescrizioni del regolamento di gestione del servizio), domanda su cui la C.T.R. di Milano non si era pronunziata.
4.2. In effetti la sentenza non si occupa della riduzione tecnica di cui al d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 59, comma 4 (<>), ragione per cui non si può parlare di rigetto implicito -come eccepito da parte controricorrente -perché la CTR esamina i presupposti dell’imposizione, ma quelli della riduzione tecnica sono però distinti e autonomi (affermare che sussistono i primi non implica necessariamente l’affermazione che il servizio di raccolta è stato svolto correttamente).
4.3. Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, deve, tuttavia, ritenersi che alla Corte sia consentito di decidere nel merito dell’eccezione della quale si assume l’omesso esame, alla stessa stregua dei fatti introdotti in giudizio dalle parti e non risultando, per l’appunto, necessario al cun ulteriore accertamento in fatto (Cass., 1° marzo 2019, n. 6145; Cass. Sez. U., 2 febbraio 2017, n. 2731; Cass., 3 marzo 2011, n. 5139; Cass., 1° febbraio 2010, n. 2313; Cass., 28 luglio 2005, n. 15810; Cass., 23 aprile 2001, n. 5962).
Occorre, allora, rilevare che il presupposto della richiesta riduzione (servizio di raccolta, sebbene istituito ed attivato, <>) viene fondato sullo smaltimento di rifiuti da imballaggi terziari, ciò significa che – per come deduce la stessa ricorrente -si trattava di rifiuti non assimilabili da smaltire a sua cura e onere sicchè la censura non coglie nel segno.
Va considerato, in sostanza, che, per quanto riguarda la parte di rifiuti da imballaggio terziario, che non risultavano conferibili al servizio pubblico, la stessa società avrebbe dovuto in ogni caso provvedere allo smaltimento in proprio, per cui gli stessi non potevano essere computati ai fini di fare valere un presunto inadempimento da parte del Comune nella gestione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti assimilati.
Conseguentemente il ricorso deve essere rigettato e parte ricorrente va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in favore della controricorrente come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità liquidate in € 6.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge, se dovuti; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data