Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21966 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21966 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31863/2018 R.G., proposto
DA
‘ RAGIONE_SOCIALE, con sede in Pescia (PT), in persona del presidente del consiglio di amministrazione pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
Comune di Pescia (PT), in persona del Sindaco pro tempore , autorizzato a resistere nel presente procedimento in virtù di deliberazione adottata dalla Giunta Municipale il 29 novembre 2018, n. 67, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Castel di Casio (BO), elettivamente domiciliato presso l’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma, giusta procura in calce al controricorso di costituzione nel presente procedimento;
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Toscana il 9 luglio 2018, n. 1334/03/2018;
TARSU TARI TIA ACCERTAMENTO DENUNCIA DELLE SUPERFICI PRODUTTIVE DI RIFIUTI SPECIALI PARCHEGGIO E DEPOSITO
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell11 giugno 2025 dal Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
La RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Toscana il 9 luglio 2018, n. 1334/03/2018, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di sei avvisi di accertamento nn. 1104, 1105, 1106, 1107, 1108 del 16 settembre 2015 e prot. n. 27871 del 16 settembre 2015 da parte del Comune di Pescia (PT), per infedeltà della dichiarazione del 30 settembre 1997 (con riguardo all’indicazione della sola superfici e dei locali adibiti ad uffici e servizi per mq. 82 per l’assoggettamento a tributo ed alla esenzione della superficie dei locali adibiti ad opificio per mq. 2.000 e di un’area scoperta pertinenziale all’opificio con destinazione a parcheggio per mq. 3.000), in riferimento alla TARSU relativa agli anni 2009, 2010, 2011 e 2012, alla TARES relativa all’anno 2013 ed alla TARI relativa all’anno 2014, con riguardo ad uno stabilimento per la produzione di cartone fibrato per calzature in Pescia (PT) alla INDIRIZZO INDIRIZZO, ha accolto l’appello proposto dal Comune di Pescia (PT) nei confronti della medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Pistoia il 4 maggio 2016, n. 208/02/2016, con compensazione tra le parti nella misura di 1/3 e condanna alla rifusione della soccombente nella misura di 2/3 delle spese giudiziali.
Il giudice di appello ha riformato la decisione di prime cure – che aveva accolto il ricorso originario della contribuente -nel senso di confermare gli atti impositivi con riguardo alla misura dei tributi dovuti per ciascuna annata e di rideterminare le
sanzioni amministrative nell’importo complessivo di € 9.894,00 ex art. 12, comma 5, del d.lgs. 18 novembre 1997, n. 472.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1 Preliminarmente, la controricorrente ha eccepito l’« inesistenza del ricorso per difetto di procura alle liti », mancando la firma del difensore in calce alla procura conferitagli dal legale rappresentante della ricorrente.
1.2 L’eccezione è infondata.
1.3 Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, in caso di ricorso per cassazione nativo digitale, notificato e depositato in modalità telematica, l’allegazione mediante strumenti informatici – al messaggio di posta elettronica certificata (p.e.c.) con il quale l’atto è notificato ovvero mediante inserimento nella ” busta telematica ” con la quale l’atto è depositato -di una copia, digitalizzata, della procura alle liti redatta su supporto cartaceo, con sottoscrizione autografa della parte e autenticata con firma digitale dal difensore, integra l’ipotesi, ex art. 83, terzo comma, cod. proc. civ., di procura speciale apposta in calce al ricorso, con la conseguenza che la procura stessa è da ritenere valida in difetto di espressioni che univocamente conducano ad escludere l’intenzione della parte di proporre ricorso per cassazione (in termini: Cass., Sez. Un., 19 gennaio 2024, n. 2077).
1.4 Nella specie, la consultazione del fascicolo telematico d’ufficio ha confermato la replica della ricorrente (in memoria illustrativa), secondo cui « sia il file del ricorso notificato, sia quello della procura allegata alla notifica, risultano sottoscritti con firma digitale dal difensore, come risulta dai corrispondenti
file depositati e dal materiale (ivi compresa l’attestazione di conformità) che, anche a suo tempo, è stato depositato in sede di costituzione <> come da normativa ratione temporis vigente (v. art. 9 c. 1 bis e ss. L. 53/1994) ».
In particolare, si evince ivi l’attestazione del difensore che il ricorso « è documento informatico nativo sottoscritto con firma digitale » e che « l’allegata copia informatica autenticata con firma digitale della procura speciale rilasciata su supporto cartaceo da RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante, per la proposizione del suddetto ricorso e per il susseguente giudizi o (…) è conforme in tutte le sue componenti al corrispondente documento analogico (… ), dalla quale è stata (…) estratta con modalità telematiche».
Per cui, la firma digitale del difensore garantiva la piena validità della procura conferita in formato cartaceo dalla ricorrente.
Con il primo motivo, si denuncia: « 1. Violazione dell’art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ .», per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che « i locali destinati alle lavorazioni industriali possano essere esentati dall’obbligo di pagamento della TARSU, della TARES e della TIA solo se -e per la superficie in cui -sia provata dal contribuente l’assenza di frequentazione da parte di persone e dunque la conseguente impossibilità di produzione di rifiuti solidi urbani in aggiunta ai rifiuti speciali derivanti dall’attività industriale; ritenendo cioè erroneamente che, ove nei locali dell’opificio industriale vero e proprio vi sia frequentazione di persone, le relative superfici debbano essere assoggettate a tributo » (pagina 9 del ricorso).
Con il secondo motivo, si denuncia: « 2. Violazione dell’art. 62, comma 2, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ .», per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che « il passaggio e stazionamento di autisti di mezzi su di un’area scoperta a corredo di un opificio industriale determini l’assoggettamento di tale area all’obbligo di pagamento della TARSU, della TARES e della TIA » (pagina 9 del ricorso).
Con il terzo motivo, si denuncia: « 3. Violazione dell’art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. », per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che « la mera destinazione a viabilità e parcheggio di mezzi di un’area scoperta a corredo di un opificio industriale determini l’assoggettamento della stessa all’obbligo di pagamento della TARSU, della TARES e della TIA, omettendo qualsiasi indagine circa la natura dei mezzi in transito e/o in sosta egli scopi/modalità di tali operazioni » (pagina 9 del ricorso).
I predetti motivi -la cui stretta ed intima connessione consiglia la trattazione congiunta per la comune attinenza alla questione della produzione (e della tassazione) di rifiuti urbani in relazione alla presenza umana all’interno di superfici destinate alla produzione di rifiuti speciali ovvero di superfici annesse a queste ultime -sono fondati.
5.1 Sulla premessa che: « Esaminando il comportamento della contribuente si può affermare che la denuncia 3/9/97 non è affatto chiara in quanto si comunica che l’area esterna di pertinenza dell’attività esercitata della superficie di circa 2350 mq. produce esclusivamente rifiuti speciali », la sentenza impugnata ha rilevato che « il complesso della Cartiera è costituito da 82 mq. di superficie ad uso ufficio per cui viene corrisposto il relativo tributo, mentre vi sono 2000 mq. che costituiscono l’edificio e 3 000 mq. di area scoperta, che la
stessa contribuente dichiara adibita a parcheggio (vedasi richiesta di riesame in autotutela del 12/10/15) ». Da qui la formulazione del giudizio generale che: « Il Comune non nega che la Cartiera produca rifiuti speciali smaltiti direttamente dal contribuente, ma rileva che quest’ultimo non ha fornito la prova che l’area adibita a fabbrica e quella scoperta siano improduttive di rifiuti solidi urbani ».
5.2 Giova premettere che il regime fiscale dei rifiuti ha subito nel tempo numerose modifiche legislative, a partire dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), prevista dal d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, che è stata sostituita dalla TIA 1 (tariffa di igiene ambientale), introdotta dall’art. 49 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (c.d. ‘ Decreto Ronchi ‘), quest’ultima, a sua volta, dalla TIA 2 (tariffa integrata ambientale), di cui all’art. 238 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (c.d. ‘ Codice dell’Ambiente ‘); la TIA 2 è stata sostituita dal TARES (tributo comunale sui servizi), previsto dall’art. 14 del d.l. 6 dicembre 2011 n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che è stato, a sua volta, sostituito dalla TARI (tassa sui rifiuti), istituita dall’art. 1, commi 639 ss., della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (c.d. ‘ Legge di stabilità 2014 ‘), con decorrenza dall’1 gennaio 2014. Con l’art. 1, commi 639 ss., della legge 27 dicembre 2013, n. 147, è stata introdotta l’imposta unica comunale (la c.d. IUC), una sorta di service tax comprensiva delle tre distinte forme di prelievo comunale dell’IMU (Imposta municipale unica), di natura patrimoniale, della TASI (Imposta comunale sui servizi indivisibili) e della TARI (Imposta comunale sui rifiuti), a sua volta fondata sui due presupposti del possesso di immobili, collegato alla loro natura e al loro valore, e dell’erogazione e fruizione di servizi comunali.
La TARI, destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, è disciplinata dai commi da 641 a 668, che individuano i presupposti della stessa (comma 641) e i criteri di determinazione della tariffa, come stabiliti dal d.P.R. 27 aprile 1999 n. 158 (commi 650 e 651), sulla base del principio del ” chi inquina paga ” (commi 652 e 654) di cui all’art. 14 della direttiva n. 2008/98/CEE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008. Essa ha sostituito i preesistenti tributi dovuti ai Comuni da cittadini, enti ed imprese quale pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, conservandone, peraltro, la medesima natura tributaria, per cui, come più volte è stato ritenuto da questa Corte, sono estensibili alla TARI -come anche al TARES (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 27 gennaio 2022, n. 2373; Cass., Sez. Trib., 21 novembre 2023, n. 32216; Cass., Sez. Trib., 23 gennaio 2024, n. 2268; Cass., Sez. Trib., 2 giugno 2025, n. 14781) – gli orientamenti di legittimità formatisi per i tributi omologhi che l’hanno preceduta, quali la TARSU e la TIA (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 22 settembre 2017, n. 22130; Cass., Sez. 5^, 26 gennaio 2018, n. 1963; Cass., Sez. 5^, 15 maggio 2019, n. 12979; Cass., Sez. 5^, 16 novembre 2021, n. 34635; Cass., Sez. Trib., 23 dicembre 2022, n. 37757; Cass., Sez. Trib., 16 ottobre 2023, n. 28730; Cass., Sez. Trib., 9 luglio 2024, n. 18734; Cass., Sez. Trib., 22 marzo 2025, n. 7656). 5.3 La tesi sostenuta dall’ente impositore e condivisa dal giudice di appello è che l’esenzione prevista per la TARSU dall’art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, riguarderebbe soltanto « le superfici (strettamente intese) caratterizzate dall’impossibilità materiale di produzione di rifiuti urbani, mentre ogni altra superficie caratterizzata, anche in astratto, dalla possibile presenza dell’uomo,
indipendentemente dalla sua destinazione, sarebbe assoggettata al tributo » (pagina 3 della memoria illustrativa). Dunque, per quanto si è detto, analogo principio deve valere anche per il TARES e per la TARI, essendo stata ribadita tale esclusione, rispettivamente, dall’art. 14, comma 10, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e dall’art. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147.
5.4 Secondo la tipizzazione fattane dall’art. 184, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. ‘ Codice dell’ambiente ‘), nel solco già tracciato dall’art. 2 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, la categoria dei ‘ rifiuti speciali ‘ comprende, in linea di massima: a) i rifiuti prodotti nell’esercizio di attività agricole, agro-industriali e della silvicoltura e della pesca; b) i rifiuti prodotti dalle attività di costruzione e demolizione, nonché i rifiuti derivanti dalle attività di scavo; c) i rifiuti prodotti nell’ambito delle lavorazioni industriali; d) i rifiuti prodotti nell’ambito delle lavorazioni artigianali; e) i rifiuti prodotti nell’ambito delle attività commerciali; f) i rifiuti prodotti nell’ambito delle attività di servizio; g) i rifiuti derivanti dall’attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue, nonché i rifiuti da abbattimento di fumi, dalle fosse settiche e dalle reti fognarie; h) i rifiuti derivanti da attività sanitarie.
Siffatta classificazione dei rifiuti speciali trova corrispondenza nella precisazione sancita a contrario dall’art. 183, lett. b -sexies ), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, secondo cui: « i rifiuti urbani non includono i rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi
compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso e i rifiuti da costruzione e demolizione prodotti nell’ambito di attività di impresa ».
5.5 Dunque, in base al coordinamento sistematico di tali disposizioni, si può ritenere, in linea di principio, che la destinazione di locali o aree alla produzione di rifiuti speciali nell’esercizio di attività agricole, commerciali, industriali o artigian ali è rilevante ai fini dell’esenzione prevista dall’art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (nonché dagli artt. 14, comma 10, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147), anche quando tali attività possano comportare, nei medesimi spazi, la generazione collaterale, accidentale o occasionale, di rifiuti urbani da imputarsi alla indispensabile ed inevitabile presenza del personale addetto alle mansioni concorrenti alla produzione di rifiuti speciali.
In definitiva, il citato art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (al pari dei corrispondenti artt. 14, comma 10, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147), richiede, puramente e semplicemente, che le superfici in questione siano destinate ad attività produttive di rifiuti speciali, al cui esercizio necessariamente partecipano i collaboratori dell’imprenditore (individuale o collettivo) contribuente, a prescindere dall’eventuale concomitanza della formazione di rifiuti urbani. In altri termini, secondo la previsione legislativa, la presenza umana è ordinariamente insita nel processo produttivo di rifiuti speciali, che rappresentano il residuato o lo scarto fisiologico delle attività imprenditoriali. Per cui, non occorre una prova
ulteriore (negativa) per escludere che i lavoratori impegnati nell’esercizio delle attività agricole, commerciali o industriali generino anche rifiuti urbani nell’ordinario esercizio delle loro mansioni. Ciò in quanto i rifiuti urbani generati in occasione ed a causa dell’esercizio di attività agricole, commerciali, industriali o artigianali non vengono in autonoma e separata considerazione ai fini dell’esclusione dalla TARSU, dal TARES o dalla TARI delle superfici destinate alla produzione di rifiuti speciali.
A tal proposito, questa Corte non ha mancato di precisare che l’art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo, nell’ovvio presupposto che in un locale od area in cui si producano rifiuti speciali si formano anche, di norma, rifiuti ordinari, l’esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano solo rifiuti speciali, incombendo all’impresa contribuente l’onere di fornire all’ente impositore i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrano alla quantificazione della complessiva superficie imponibile (Cass., Sez. 5^, 4 aprile 2012, n. 5177; Cass., Sez. 5^, 13 settembre 2017, n. 21250). Più specificamente, si è detto che il connotato di generalità della tassa di cui si discute, ai sensi dell’art. 61, comma 1, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, e l’espressa previsione del comma 3 della medesima disposizione, valgono ad affermare che la produzione di rifiuti speciali non integra un elemento escludente la produzione di rifiuti solidi urbani. È ben possibile, quindi, in base alla norma, la coesistenza della produzione dei due tipi di rifiuti, giacché la norma risolve giustappunto il problema relativo alla determinazione della tassa per i rifiuti urbani prendendo in
considerazione un criterio allocativo spaziale ( id est , la destinazione della superficie dell’immobile). In questo senso la regola è che, ai fini della determinazione della superficie tassabile, non deve tenersi conto «di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali o per destinazione si formino, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi», fatto salvo l’esercizio del potere di assimilazione del comune per quanto riguarda i rifiuti speciali. La legge richiede, ai fini dello scorporo delle superfici da quelle tassabili, sia l’esistenza di caratteristiche strutturali o di destinazione del locale, sia il fatto che in esso si producano « di regola » rifiuti speciali, requisito quest’ultimo che non è integrato dalla mera occasionalità o possibilità, ma presuppone che il rifiuto speciale costituisca il prodotto normale e ordinario dell’attività ivi svolta (Cass., Sez. 5^, 24 luglio 2014, n. 16858).
Dunque, la produzione contestuale di rifiuti speciali e rifiuti urbani nell’esercizio della medesima attività agricola, commerciale industriale o artigianale non esclude che il contribuente possa beneficiare dell’esenzione ex art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, ma pone soltanto un onere informativo a suo carico circa l’esatta estensione delle superfici produttive dei distinti tipi di rifiuti, restando soggetto al tributo per la superficie produttiva di rifiuti urbani,
5.6 Ad ogni buon conto, il giudice di appello -oltre ad aver omesso di accertare, se non in termini insufficienti, l’oggetto della dichiarazione presentata dalla contribuente il 30 settembre 1997 (come si evince dall’inciso riportato al par. 5.1, il cui tenore rimane ambiguo ed ermetico) -non ha tenuto conto che i presupposti per l’esc lusione da tassazione delle superfici produttive di rifiuti speciali non assimilati sono variati
nel tempo in corrispondenza delle mutazioni susseguitesi in ambito legislativo.
Difatti, con riguardo alla TARSU ed al TARES, vanno considerati -per la simmetria del contenuto normativo – gli artt. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, e 14, comma 10, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, a tenore dei quali, rispettivamente: « 3. Nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti »; « 10. Nella determinazione della superficie assoggettabile al tributo non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano di regola rifiuti speciali, a condizione che il produttore ne dimostri l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente ». Non a caso, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato, in relazione all’art. 14, comma 10, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, che la nozione di « superficie (…) ove si formano di regola rifiuti speciali » deve essere interpretata nel senso che l’esclusione dalla tassa riguarda la sola « parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano solo rifiuti speciali » (Cass., Sez. Trib., 23 gennaio 2024, n. 2268), in tal modo reiterando l’esegesi formatasi con riguardo all’art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, secondo cui, con formulazione speculare, « sono escluse dalla superficie imponibile quelle sole parti dell’immobile in cui, per struttura e destinazione, il contribuente provi si formino esclusivamente rifiuti speciali » (Cass., Sez. 5^, 4 aprile 2012, n. 5377; Cass., Sez. 5^, 24 luglio 2014, n. 16858; Cass., Sez. 5^, 13
settembre 2017, n. 21250; Cass., Sez. 5^, 28 marzo 2018, n. 7647; Cass., Sez. 5^, 18 dicembre 2019, n. 33751; Cass., Sez. 5^, 5 febbraio 2020, n. 2610; Cass., Sez. 5^, 29 ottobre 2021, n. 30866; Cass., Sez. Trib., 13 dicembre 2022, n. 36472; Cass., Sez. Trib., 29 maggio 2023, n. 15070; Cass., Sez. Trib., 26 novembre 2024, n. 30505; Cass., Sez. Trib., 31 maggio 2025, n. 14665).
Diversamente, con riguardo alla TARI, ai sensi dell’art.1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147: « Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il Comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati. Con il medesimo regolamento il Comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione ».
Con riguardo a tale disposizione, l’esenzione dal tributo è ora prevista per quella parte di superficie ove i rifiuti speciali si formino « in via continuativa e prevalente », ed a condizione che i produttori (tenuti a provvedere a proprie spese) « ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente », integrando, pur sempre, l’oggetto di un’allegazione il
cui onere della prova grava sul contribuente che intende ottenere l’esenzione, in quanto, se è vero che l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria grava sull’amministrazione, il diritto all’esenzione va provato dal contribuente, costituendo le esenzioni, anche parziali, eccezione alla regola generale di pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (Cass., Sez. 5^, 23 aprile 2020, n. 8088; Cass., Sez. Trib., 13 dicembre 2022, n. 36472; Cass., Sez. Trib., 14 novembre 2023, n. 31702; Cass., Sez. Trib., 26 novembre 2024, n. 30505; Cass., Sez. Trib., 3 aprile 2025, nn. 8844, 8845 e 8846).
5.7 Analogamente, l’ente impositore ha ritenuto e il giudice di appello ha condiviso -che l’area scoperta adibita a parcheggio costituiva superficie imponibile, non essendone stata provata dalla contribuente l’inidoneità alla produzione di rifiuti urbani. Per cui, secondo il giudice di appello: « Dell’area scoperta si è detto che viene adibita a parcheggio e quindi trattasi di area frequentata da persone e pertanto presuntivamente produttiva di rifiuti in considerazione del naturale flusso giornaliero di auto nel parcheggio e del correlato stazionamento di persone ».
Ma, anche in questo caso, è evidente che la sentenza impugnata ha finito col desumere -senza alcun accertamento in concreto la tassabilità dell’area scoperta dall’astratta presunzione della presenza umana in correlazione alla sua destinazione a parcheggio.
Quanto, infatti, alla non imponibilità delle aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, trattasi di causa di esclusione del tributo di risalente impianto, entrata, pertanto, nella disposizione in esame in sostanziale recepimento di
quanto già previsto dall’art. 269, comma 2, del r.d. 14 settembre 1931, n. 1175, come sostituito dall’art. 21 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, e successivamente – nella vigenza del regime relativo alla TARSU (art. 62, comma 1, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507) -da una sequenza di decreti-legge (art. 2, comma 4bis , del d.l. 25 novembre 1996, n. 599, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 gennaio 1997, n. 5; art. 6 del d.l. 29 settembre 1997, n. 328, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1997, n. 410; art. 1, comma 3, del d.l. 26 gennaio 1999, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1999, n. 75) che ne hanno stabilizzato la disciplina a decorrere dall’anno 1997 (si vedano, altresì: con riferimento alla TIA, l’art. 49, comma 3, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22; con riferimento alla TIA2, l’art. 238, comma 1, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152).
In seguito, gli artt. 14, comma 4, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, come sostituito dall’art. 10, comma 3, lett. a), del d.l. 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 641, con riferimento al TARES, e 1, comma 641, della legge 27 dicembre 2013, con riferimento alla TARI, hanno confermato che le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili sono esenti, « ad eccezione delle aree scoperte operative », le quali legittimano l’esercizio del potere impositivo per il rapporto di connessione funzionale con « locali tassabili ». L’operatività consiste nell’idoneità a produrre rifiuti ulteriori rispetto al locale e all’area principale che già versa il tributo e non rappresenta, dunque, un’ulteriore estensione dell’attività svolta (Cass., Sez. Trib., 26 maggio 2023, n. 14718; Cass., Sez. Trib., 26 novembre 2024, n. 30505; Cass., Sez. Trib., 1 aprile 2025, n. 8609; Cass., Sez. Trib., 6 giugno 2025, n. 14816).
Peraltro, questa Corte ha già avuto modo di rilevare che il nesso di strumentalità, e di asservimento, che determina un collegamento funzionale con l’area produttiva, destinata alla lavorazione industriale, non esclude ex se l’applicazione del tributo per le superfici serventi, non essendo stato previsto tale collegamento funzionale fra aree come causa di esclusione dalla tassazione (tra le tante: Cass., Sez. Trib., 13 dicembre 2022, n. 36472; Cass., Sez. Trib., 23 gennaio 2024, n. 2268); dunque, l’esenzion e riguarda solo le aree accessorie ai locali tassabili e non anche quelle accessorie alle aree esenti perché produttive di rifiuti speciali, fermo restando che queste ultime possono ritenersi esenti « solo in quanto aree funzionalmente ed esclusivamente collegate all’esercizio dell’attività produttiva e comunque produttive di rifiuti speciali .» (Cass., Sez. 5^, 15 maggio 2019, n. 12979; Cass., Sez. 5^, 23 aprile 2020, n. 8088; Cass., Sez. Trib., 13 dicembre 2022, n. 36472; Cass., Sez. Trib., 26 novembre 2024, n. 30505; Cass., Sez. Trib., 2 giugno 2025, n. 14816).
Più di recente, in tema di TARES, si è rimarcato che la tassazione è esclusa solo per le aree scoperte che, ai sensi del codice civile, presentano la condizione della pertinenza soggettiva e oggettiva rispetto al locale o all’area principale e purché non siano operative; laddove l’operatività consiste nell’idoneità a produrre rifiuti ulteriori rispetto al locale e all’area principale che già versa il tributo e non rappresenta dunque un’ulteriore estensione dell’attività svolta (Cass., Sez. Trib., 26 maggio 2023, n. 14718).
Si è aggiunto (Cass., Sez. Trib., 14 maggio 2025 n. 12902), così, che l’art.1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha, in effetti, una struttura tripartita in quanto contempla: a) superfici che vengono detassate perché ivi « si formano, in
via continuativa e prevalente, rifiuti speciali » (sempreché oggetto di « trattamento in conformità alla normativa vigente» da parte del relativo produttore »); b) superfici di produzione di rifiuti speciali assimilati agli urbani, che usufruiscono di una riduzione della quota variabile del tributo in proporzione « alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati »; c) (ancora una volta) superfici oggetto di detassazione perché costituite da « magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di (…) attività produttive » di rifiuti speciali non assimilabili (magazzini, questi, cui « si estende il divieto di assimilazione »).
Mentre, allora, la formazione « continuativa e prevalente » di rifiuti speciali (non riconducibili al potere di assimilazione il cui legittimo esercizio ascriverebbe la superfice di produzione dei relativi rifiuti assimilati alla categoria della riduzione tariffaria) dà senz’altro titolo alla detassazione, il collegamento di magazzini di materie prime e di merci alle aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili deve risultare strettamente funzionale, ed esclusivo, di modo che non possa concepirsi una loro utilizzazione (e la loro stessa esistenza) in assenza di quelle aree di produzione dei rifiuti speciali; e con la conseguenza che l’a utonoma (ed ulteriore) produzione di rifiuti, per lo svolgimento di specifiche attività nei magazzini così considerati, ne ascriverebbe il regime a quello previsto nelle precedenti disposizioni (di detassazione o di riduzione tariffaria), secondo la rispettiva connotazione qualitativa (di assimilabilità o meno) e quantitativa (in termini di continuità prevalente o meno) dei rifiuti (così) ulteriormente prodotti.
In proposito, non può sottacersi che la risoluzione emanata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze il 9 dicembre 2014, n. 2/F, sia pure con specifico riguardo alla sfera industriale, ha chiarito che i magazzini intermedi di produzione ed i magazzini adibiti allo stoccaggio di prodotti finiti devono essere considerati esenti da TARI, a prescindere dall’intervento regolamentare del Comune, e che le aree scoperte asservite al ciclo produttivo che danno luogo alla generazione in via continuativa e prevalente di rifiuti speciali non assimilabili.
Per cui, anche con riferimento alle aree adibite a parcheggio, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte, che, nell’escludere dall’assoggettamento al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti – fra l’altro – « per il particolare uso cui sono stabilmente destinati », esige che sia provata dal contribuente non solo la stabile destinazione del locale o dell’area ad un determinato uso (nella specie, il parcheggio di automezzi), ma anche la circostanza che tale uso non comporta produzione di rifiuti (Cass., Sez. 5^, 13 marzo 2015, n. 5047; Cass., Sez. 5^, 11 aprile 2018, n. 8908; Cass., Sez. 5^, 18 luglio 2019, n. 19328; Cass., Sez. 5^, 12 luglio 2021, n. 19739; Cass., Sez. 5^, 31 agosto 2022, n. 25630; Cass., Sez. Trib., 20 giugno 2023, n. 17564; Cass., Sez. Trib., 11 giugno 2024, n. 16265; Cass., Sez. Trib., 2 giugno 2025, n. 14816). 5.8 Pertanto, occorre rinnovare l’accertamento in fatto sulla destinazione dell’area scoperta pertinenziale all’opificio in relazione all’attività produttiva di rifiuti speciali.
Con il quarto motivo, si denuncia: « 4. Violazione degli artt. 1, comma 161, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e 70 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. », per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che, in caso di
infedele dichiarazione del contribuente con riguardo alle superfici tassabili, il termine decadenziale per l’esercizio del potere impositivo decorra dal 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui la dichiarazione risulta essere stata presentata, e no n dal 31 dicembre dell’anno in cui la dichiarazione risulta essere stata presentata.
Secondo la ricorrente, l’ente impositore sarebbe decaduto dall’esercizio della potestà impositiva con riguardo alla TARSU relativa all’anno 2009, essendo stato notificato l’avviso di accertamento n. 1104 del 16 settembre 2015 soltanto il 24 settembre 2015, a fronte della scadenza del termine quinquennale il 31 dicembre 2014.
6.1 Il predetto motivo è fondato.
6.2 La disposizione che, in tema di TARSU, disciplina l’obbligo di denuncia, secondo la quale la denuncia dei locali ed aree tassabili va presentata al Comune « entro il 20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione » (art. 70, comma 1, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507), impone di differenziare la detenzione o occupazione dei locali che sia in corso fin dall’inizio del periodo di imposta e, comunque, prima del 20 gennaio, dal caso in cui tale situazione si sia verificata in epoca successiva; nel primo caso il termine di decadenza decorre dall’anno corrente, nel secondo caso dal 20 gennaio dell’anno successivo (Cass., Sez. 5^, 21 giugno 2016, n. 12795; Cass., Sez. 5^, 3 novembre 2016, n. 22224; Cass., Sez. 5^, 1 febbraio 2019, n. 3058; Cass., Sez. 6^-5, 29 aprile 2020, n. 8275; Cass., Sez. 5^, 11 dicembre 2020, n. 28255; Cass., Sez. 5^, 23 giugno 2021, n. 17874; Cass., Sez. 5^, 24 giugno 2021, n. 18070; Cass., Sez. 5^, 17 giugno 2022, n. 19531; Cass., Sez. Trib., 26 luglio 2023, n. 22694; Cass., Sez. Trib., 22 marzo 2024, n. 7824; Cass., Sez. Trib., 12 novembre
2024, nn. 29124 e 29204; Cass., Sez. Trib., 15 marzo 2025, nn. 6927 e 6929).
Questa Corte ha posto in rilievo, al riguardo, il chiaro dettato normativo che fa riferimento al « 20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione », e non anche al 20 gennaio « dell’anno » successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione, – ed ha rimarcato che laddove il legislatore avesse inteso postergare il momento dichiarativo « all’anno successivo » l’avrebbe espressamente previsto, così come è avvenuto, ad esempio, con l’art. 10, comma 4, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, che, in tema di ICI, dispone che « i soggetti passivi devono dichiarare gli immobili posseduti nel territorio dello Stato, … entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui il possesso ha avuto inizio ‘» cioè l’anno successivo a quello oggetto di imposizione (Cass., Sez. 5^, 3 novembre 2016, n. 22224).
Condividendone le argomentazioni, il collegio ritiene di dover dare ulteriore continuità a quest’orientamento, che è nettamente consolidato nella più recente giurisprudenza di legittimità.
Per cui, si deve disattendere l’orientamento ormai minoritario di questa Corte (in tal senso: Cass., Sez. 5^, 30 ottobre 2018, n. 27578; Cass., Sez. 6^-5, 2 luglio 2018, n. 17219; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2020, n. 22900), secondo il quale l’espressione « entro il 20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione » riguarda, sempre e comunque, l’anno successivo a quello relativo alla tassa da pagare, con il corollario che, a prescindere dal momento in cui, nell’anno di riferimento, ha inizio l’occupazione (o detenzione), la denuncia deve essere presentata entro il 20 gennaio dell’anno successivo, iniziando a decorrere da tale data, per l’ente
impositore, il termine di decadenza previsto dall’art. 1, comma 161, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
6.3 Posto, quindi, che, in tema di TARSU, il tenore letterale della disposizione sull’obbligo di denuncia contenuta nell’art. 70, comma 1, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, secondo cui la denuncia dei locali ed aree tassabili va presentata al Comune entro il 20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione, impone di differenziare la detenzione o occupazione dei locali che sia in corso fin dall’inizio del periodo di imposta e, comunque, prima del 20 gennaio, dal caso in cui tale situazione si sia verificata in epoca successiva; nel primo caso, il termine di decadenza di cui all’art. 1, comma 161, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, decorre dall’anno corrente, nel secondo caso dal 20 gennaio dell’anno successivo, nel caso di specie, in cui è stata contestata l’infedeltà della denuncia presentata il 30 settembre 1997, per la continuità ininterrotta del possesso fino all’anno di riferimento (2009), la decadenza era compiutamente maturata al 31 dicembre 2014 e l’avviso di accertamento era stato tardivamente notificato il 24 settembre 2015.
6.4 Ne discende che la sentenza impugnata si è discostata da tale principio con la conclusione che, « avendo il contribuente omesso una corretta ed esatta dichiarazione il quinquennio decorre dall’anno successivo a quello in cui la dichiarazione va fatta e conseguentemente l’avviso tempestivamente notificato ».
Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi la fondatezza dei motivi dedotti, il ricorso può trovare accoglimento e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana (ai sensi dell’art. 1, comma 1,
lett. a), della legge 31 agosto 2022, n. 130), in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio dell’11 giugno