Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21976 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21976 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9239/2024 R.G., proposto
DA
Comune di Pescia (PT), in persona del Sindaco pro tempore , autorizzato ad instaurare il presente procedimento in virtù di deliberazione adottata dalla Giunta Municipale il 12 aprile 2024, n. 66, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Castel di Casio (BO), ove elettivamente domiciliato (indirizzo pec per notifiche e comunicazioni: EMAIL, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
‘ RAGIONE_SOCIALE, con sede in Pescia (PT), in persona del presidente del consiglio di amministrazione pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata (indirizzo pec per notifiche e comunicazioni: EMAIL ), giusta procura in allegato al ricorso introduttivo del presente procedimento;
TARSU TARI TIA ACCERTAMENTO DENUNCIA DELLE SUPERFICI PRODUTTIVE DI RIFIUTI SPECIALI
PARCHEGGIO E DEPOSITO
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana il 20 ottobre 2023, n. 1043/04/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell ‘ 11 giugno 2025 dal Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
1. Il Comune di Pescia (PT) ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana il 20 ottobre 2023, n. 1043/04/2023, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione d egli avvisi di accertamento n. 4413/2015, prot. n. 39031, del 17 novembre 2020, n. 23435/2016, prot. n. 39031, del 17 novembre 2020, n. 214/2017, prot. n. 39031, del 17 novembre 2020, n. 155/2018, prot. n. 39031, del 17 novembre 2020, e n. 37/2019, prot. n. 39031, del 17 novembre 2020, tutti notificati l’1 dicembre 2020, da parte del medesimo Comune nei confronti della ‘ RAGIONE_SOCIALE, con riguardo alla TARI relativa agli anni 2015, 2016, 2017, 2018 e 2019, per infedeltà della dichiarazione del 31 marzo 2016 (con riguardo all’indicazione della sola superficie dei locali adibiti ad uffici e servizi per mq. 82 per l’assoggettamento a tributo ed alla esenzione della superficie dei locali adibiti ad opificio per mq. 2.000 e di un’area scoperta pertinenziale all’o pificio con destinazione a parcheggio per mq. 3.000), in riferimento ad uno stabilimento per la produzione di cartone fibrato per calzature in Pescia (PT) alla INDIRIZZO ha accolto l’appello proposto dalla ‘ RAGIONE_SOCIALE nei confronti del Comune di Pescia (PT) avverso la
sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Pistoia il 28 gennaio 2022, n. 17/01/2022, con compensazione delle spese giudiziali.
2. Il giudice di appello ha riformato la decisione di prime cure – che aveva respinto, dopo la relativa riunione per connessione, i ricorsi originari della contribuente -sul presupposto che: a) la natura di ‘ atti impositivi in rettifica ‘ , con cui il Comune aveva ricalcolato, senza bisogno di alcun accertamento in loco , le maggiori superfici – a suo dire – soggette a tributo, dimostrava che la contribuente aveva assolto gli oneri dichiarativi e dimostrativi previsti a suo carico dalla disciplina sulla TARI; b) in tale quadro fattuale, risultava errata in diritto la tesi del l’ente impositore, secondo cui la sola superficie dello stabilimento sottratta al prelievo sarebbe quella « fisicamente ingombrata da impianti/macchinari »; c) una volta chiarito che nella determinazione della superficie imponibile non bisognava tener conto della parte di essa in cui si formano in via prevalente rifiuti speciali smaltiti in proprio dal produttore e, dunque, della superficie adibita allo svolgimento di ‘ lavorazioni industriali ‘, non aveva alcun senso distinguere tra locali interni ed aree esterne, in quanto anche queste ultime, se adibite ad attività costituenti parte del ciclo di lavorazione industriale dell’azienda risultavano inscindibilmente connesse con la lavorazione industriale di riferimento; d) nel caso di specie, tale situazione di esclusione sussisteva, oltre che per i locali adibiti a lavorazione industriale (per mq. 1.555 nel 2015 e mq. 1.458), anche per le aree di manovra degli autocarri, di carico e scarico e di immagazzinamento delle materie prime e dei prodotti finiti (per mq. 2.821).
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato a tre motivi.
Con il primo motivo (contraddistinto in rubrica con la lettera
‘ A ‘) , si denuncia: « A. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 649 della Legge 27/12/2013 n. 147, ai sensi dell’art. 360, comma n. 2 e 3 c.p.c. ».
Con il secondo motivo (contraddistinto in rubrica con la lettera ‘ B ‘), si denuncia: « B. Violazione e falsa applicazione del DLGS 507/93 e del D.L 328/97 e D.L. 8/99, ai sensi dell’art. 360, comma n. 2 e 3 c.p.c. ».
I predetti motivi -la cui stretta ed intima connessione (prospettata dallo stesso ricorrente con una unitaria illustrazione) consiglia la trattazione congiunta per la comune attinenza alla regolarità formale e sostanziale degli atti impositivi -sono fondati.
4.1 Secondo il ricorrente, « la sentenza qui impugnata merita di essere censurata, in quanto ha escluso, contravvenendo alla normativa vigente, la tassabilità dei locali e delle aree esterne accessorie a locali tassabili destinate alla sosta dei mezzi di carico e scarico di materie prime e prodotti finiti, richiamando la normativa di cui al capo di impugnazione e precisamente l’art. 1, commi 649 della Legge 27/12/2013 n. 147, in tal modo ha errato, poiché ha falsato l’interpretazione della norma » (pagina 4 del ricorso).
A suoi dire: « Nel caso trattato l’esclusione dalla tassazione delle aree scoperte/pertinenziali/operative è stato riconosciuto su errata applicazione della normativa vigente, poiché dette aree oltre che operative sono produttive di rifiuti, poiché è prevista la presenza dell’uomo, tant’è che la stessa contribuente ammette la presenza di aree, erroneamente
detassate, destinate a parcheggio, dunque ammette la presenza dell’uomo » (pagina 6 del ricorso).
4.2 Secondo la sentenza impugnata, « il Comune non poteva limitarsi ad escludere dalla superficie rilevante per l’applicazione della TARI solo quella superfice dei locali della Cartiera destinati a lavorazioni industriali fisicamente ingombrata da impianti/macchinari, ma avrebbe dovuto ritenere esclusa anche la restante superficie di tali locali che, invece, negli Avvisi è stata assoggettata a tributo in rettifica di quanto dichiarato dal contribuente (restante superficie ammontante pacificamente a mq. 1.555 nel 2015 e a mq. 1.458 dal 2016 in poi). Identica conclusione deve essere raggiunta per quanto riguarda la superficie delle aree esterne non edificate, che negli Avvisi è stata assoggettata a TARI per la sua intera consistenza di mq. 2.821 in tutti i periodi d’imposta. Infatti, una volta chiarito che, a norma dell’art. 1 c. 649 L. 147/2013, nella determinazione della superficie soggetta a tributo non si tiene conto della parte di essa in cui si formano in via prevalente rifiuti speciali smaltiti in proprio dal produttore e, dunque, della superficie adibita allo svolgimento di ‘lavorazioni industriali’, non ha alcun senso distinguere tra locali interni ed aree esterne, in quanto anche queste ultime, se adibite ad attività che costituiscono parte del ciclo di lavorazione industriale dell’azienda risultano inscindibilmente connesse con la lavorazione industriale di riferimento (cfr. sul punto il portato della risoluzione 2/DF del 9 dicembre 2014)».
4.3 Giova premettere che il regime fiscale dei rifiuti ha subito nel tempo numerose modifiche legislative, a partire dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), prevista dal d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, che è stata sostituita dalla
TIA 1 (tariffa di igiene ambientale), introdotta dall’art. 49 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (c.d. ‘ Decreto Ronchi ‘), quest’ultima, a sua volta, dalla TIA 2 (tariffa integrata ambientale), di cui all’art. 238 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (c.d. ‘ Codice dell’Ambiente ‘); la TIA 2 è stata sostituita dal TARES (tributo comunale sui servizi), previsto dall’art. 14 del d.l. 6 dicembre 2011 n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che è stato, a sua volta, sostituito dalla TARI (tassa sui rifiuti), istituita dall’art. 1, commi 639 ss., della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (c.d. ‘ Legge di stabilità 2014 ‘), con decorrenza dall’1 gennaio 2014. Con l’art. 1, commi 639 ss., della legge 27 dicembre 2013, n. 147, è stata introdotta l’imposta unica comunale (la c.d. IUC), una sorta di service tax comprensiva delle tre distinte forme di prelievo comunale dell’IMU (Imposta municipale unica), di natura patrimoniale, della TASI (Imposta comunale sui servizi indivisibili) e della TARI (Imposta comunale sui rifiuti), a sua volta fondata sui due presupposti del possesso di immobili, collegato alla loro natura e al loro valore, e dell’erogazione e fruizione di servizi comunali.
La TARI, destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, è disciplinata dai commi da 641 a 668, che individuano i presupposti della stessa (comma 641) e i criteri di determinazione della tariffa, come stabiliti dal d.P.R. 27 aprile 1999 n. 158 (commi 650 e 651), sulla base del principio del ” chi inquina paga ” (commi 652 e 654) di cui all’art. 14 della direttiva n. 2008/98/CEE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008. Essa ha sostituito i preesistenti tributi dovuti ai Comuni da cittadini, enti ed imprese quale pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, conservandone, peraltro, la medesima
natura tributaria, per cui, come più volte è stato ritenuto da questa Corte, sono estensibili alla TARI -come anche al TARES (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 27 gennaio 2022, n. 2373; Cass., Sez. Trib., 21 novembre 2023, n. 32216; Cass., Sez. Trib., 23 gennaio 2024, n. 2268; Cass., Sez. Trib., 2 giugno 2025, n. 14781) – gli orientamenti di legittimità formatisi per i tributi omologhi che l’hanno preceduta, quali la TARSU e la TIA (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 22 settembre 2017, n. 22130; Cass., Sez. 5^, 26 gennaio 2018, n. 1963; Cass., Sez. 5^, 15 maggio 2019, n. 12979; Cass., Sez. 5^, 16 novembre 2021, n. 34635; Cass., Sez. Trib., 23 dicembre 2022, n. 37757; Cass., Sez. Trib., 16 ottobre 2023, n. 28730; Cass., Sez. Trib., 9 luglio 2024, n. 18734; Cass., Sez. Trib., 22 marzo 2025, n. 7656). 4.4 La tesi sostenuta dall’ente impositore e condivisa dal giudice di prime cure – è che l’esenzione prevista per la TARI dall’art. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (sulla falsariga dell’art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 , per la TARSU, e dell’art. 14, comma 10, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, per il TARES), riguarderebbe soltanto le aree fisicamente occupate dagli impianti e dai macchinari, ma non anche tutti i locali destinati alle lavorazioni industriali e tutte le aree esterne non edificate destinate alla viabilità e alla sosta dei mezzi di carico e scarico di materie prime e prodotti finiti.
4.5 Secondo la tipizzazione fattane dall’art. 184, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. ‘ Codice dell’ambiente ‘), nel solco già tracciato dall’art. 2 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, la categoria dei ‘ rifiuti speciali ‘ comprende, in linea di massima: a) i rifiuti prodotti nell’esercizio di attività agricole, agro-industriali e della silvicoltura e della pesca; b) i rifiuti
prodotti dalle attività di costruzione e demolizione, nonché i rifiuti derivanti dalle attività di scavo; c) i rifiuti prodotti nell’ambito delle lavorazioni industriali; d) i rifiuti prodotti nell’ambito delle lavorazioni artigianali; e) i rifiuti prodotti nell’ambito delle attività commerciali; f) i rifiuti prodotti nell’ambito delle attività di servizio; g) i rifiuti derivanti dall’attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue, nonché i rifiuti da abbattimento di fumi, dalle fosse settiche e dalle reti fognarie; h) i rifiuti derivanti da attività sanitarie.
Siffatta classificazione dei rifiuti speciali trova corrispondenza nella precisazione sancita a contrario dall’art. 183, lett. b -sexies ), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, secondo cui: « i rifiuti urbani non includono i rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso e i rifiuti da costruzione e demolizione prodotti nell’ambito di attività di impresa ».
4.6 Dunque, in base al coordinamento sistematico di tali disposizioni, si può ritenere, in linea di principio, che la destinazione di locali o aree alla produzione di rifiuti speciali nell’esercizio di attività agricole, commerciali, industriali o artigianali è rilevante ai fini dell’esenzione prevista dall’art. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, anche quando tali attività possano comportare, nei medesimi spazi, la generazione collaterale, accidentale o occasionale, di rifiuti urbani da imputarsi alla indispensabile ed inevitabile presenza del personale addetto alle mansioni concorrenti alla produzione di rifiuti speciali.
In definitiva, il citato art. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, richiede, puramente e semplicemente, che le superfici in questione siano destinate ad attività produttive di rifiuti speciali, al cui esercizio necessariamente partecipano i collaboratori dell’imprenditore (individuale o collettivo) contribuente, a prescindere dall’eventuale concomitanza della formazione di rifiuti urbani.
In altri termini, secondo la previsione legislativa, la presenza umana è ordinariamente insita nel processo produttivo di rifiuti speciali, che rappresentano il residuato o lo scarto fisiologico delle attività imprenditoriali. Per cui, non occorre una prova ulteriore (negativa) per escludere che i lavoratori impegnati nell’esercizio delle attività agricole, commerciali o industriali generino anche rifiuti urbani nell’ordinario esercizio delle loro mansioni. Ciò in quanto i rifiuti urbani generati in occasione ed a causa dell’esercizio di attività agricole, commerciali, industriali o artigianali non vengono in autonoma e separata considerazione ai fini dell’esclusione dalla TARI delle superfici destinate alla produzione di rifiuti speciali.
A tal proposito, questa Corte non ha mancato di precisare che l’art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (ma con la formulazione di principio estensibile all’art. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147), il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo, nell’ovvio presupposto che in un locale od area in cui si producano rifiuti speciali si formano anche, di norma, rifiuti ordinari, l’esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano solo rifiuti speciali, incombendo all’impresa contribuente l’onere di fornire all’ente impositore i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non
concorrano alla quantificazione della complessiva superficie imponibile (Cass., Sez. 5^, 4 aprile 2012, n. 5177; Cass., Sez. 5^, 13 settembre 2017, n. 21250). Più specificamente, si è detto che il connotato di generalità della tassa di cui si discute, ai s ensi dell’art. 61, comma 1, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, e l’espressa previsione del comma 3 della medesima disposizione, valgono ad affermare che la produzione di rifiuti speciali non integra un elemento escludente la produzione di rifiuti solidi urbani. È ben possibile, quindi, in base alla norma, la coesistenza della produzione dei due tipi di rifiuti, giacché la norma risolve giustappunto il problema relativo alla determinazione della tassa per i rifiuti urbani prendendo in considerazione un criterio allocativo spaziale ( id est , la destinazione della superficie dell’immobile). In questo senso la regola è che, ai fini della determinazione della superficie tassabile, non deve tenersi conto «di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali o per destinazione si formino, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi», fatto salvo l’esercizio del potere di assimilazione del comune per quanto riguarda i rifiuti speciali. La legge richiede, ai fini dello scorporo delle superfici da quelle tassabili, sia l’esistenza di caratteristiche strutturali o di destinazione del locale, sia il fatto che in esso si producano « di regola » rifiuti speciali, requisito quest’ultimo che non è integrato dalla mera occasionalità o possibilità, ma presuppone che il rifiuto speciale costituisca il prodotto normale e ordinario dell’attività ivi svolta (Cass., Sez. 5^, 24 luglio 2014, n. 16858).
Dunque, la produzione contestuale di rifiuti speciali e rifiuti urbani nell’esercizio della medesima attività agricola, commerciale industriale o artigianale non esclude che il contribuente possa beneficiare dell’esenzione ex art. 62,
comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (e quindi, anche ex art. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147), ma pone soltanto un onere informativo a suo carico circa l’esatta estensione delle superfici produttive dei distinti tipi di rifiuti, restando soggetto al tributo per la superficie produttiva di rifiuti urbani,
4.7 Ad ogni buon conto, il giudice di appello -oltre ad aver omesso di accertare, se non in termini insufficienti, l’oggetto della dichiarazione presentata dalla contribuente il 31 marzo 2013 -non ha fatto corretta applicazione dell ‘art.1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, secondo cui: « Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il Comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati. Con il medesimo regolamento il Comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione ».
4.8 Con riguardo a tale disposizione, l’esenzione dal tributo è prevista per quella parte di superficie ove i rifiuti speciali si formino « in via continuativa e prevalente », ed a condizione che i produttori (tenuti a provvedere a proprie spese) « ne
dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente », integrando, pur sempre, l’oggetto di un’allegazione il cui onere della prova grava sul contribuente che intende ottenere l’esenzione, in quanto, se è vero che l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria grava sull’amministrazione, il diritto all’esenzione va provato dal contribuente, costituendo le esenzioni, anche parziali, eccezione alla regola generale di pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (Cass., Sez. 5^, 23 aprile 2020, n. 8088; Cass., Sez. Trib., 13 dicembre 2022, n. 36472; Cass., Sez. Trib., 14 novembre 2023, n. 31702; Cass., Sez. Trib., 26 novembre 2024, n. 30505; Cass., Sez. Trib., 3 aprile 2025, nn. 8844, 8845 e 8846).
Quanto, infatti, alla non imponibilità delle aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, trattasi di causa di esclusione del tributo di risalente impianto, entrata, pertanto, nella disposizione in esame in sostanziale recepimento di quanto già previsto dall’art. 269, comma 2, del r.d. 14 settembre 1931, n. 1175, come sostituito dall’art. 21 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, e successivamente – nella vigenza del regime relativo alla TARSU (art. 62, comma 1, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507) -da una sequenza di decreti-legge (art. 2, comma 4bis , del d.l. 25 novembre 1996, n. 599, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 gennaio 1997, n. 5; art. 6 del d.l. 29 settembre 1997, n. 328, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1997, n. 410; art. 1, comma 3, del d.l. 26 gennaio 1999, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1999, n. 75) che ne hanno stabilizzato la disciplina a decorrere dall’anno 1997 (si vedano, altresì: con riferimento alla TIA, l’art. 49, comma 3, del d.lgs.
5 febbraio 1997, n. 22; con riferimento alla TIA2, l’art. 238, comma 1, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152).
In seguito, gli artt. 14, comma 4, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, come sostituito dall’art. 10, comma 3, lett. a), del d.l. 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 641, con riferimento al TARES, e 1, comma 641, della legge 27 dicembre 2013, con riferimento alla TARI, hanno confermato che le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili sono esenti, « ad eccezione delle aree scoperte operative », le quali legittimano l’esercizio del potere impositivo per il rapporto di connessione funzionale con « locali tassabili ». L’operatività consiste nell’idoneità a produrre rifiuti ulteriori rispetto al locale e all’area principale che già versa il tributo e non rappresenta, dunque, un’ulteriore estensione dell’attività svolta (Cass., Sez. Trib., 26 maggio 2023, n. 14718; Cass., Sez. Trib., 26 novembre 2024, n. 30505; Cass., Sez. Trib., 1 aprile 2025, n. 8609; Cass., Sez. Trib., 6 giugno 2025, n. 14816).
Peraltro, questa Corte ha già avuto modo di rilevare che il nesso di strumentalità, e di asservimento, che determina un collegamento funzionale con l’area produttiva, destinata alla lavorazione industriale, non esclude ex se l’applicazione del tributo per le superfici serventi, non essendo stato previsto tale collegamento funzionale fra aree come causa di esclusione dalla tassazione (tra le tante: Cass., Sez. Trib., 13 dicembre 2022, n. 36472; Cass., Sez. Trib., 23 gennaio 2024, n. 2268); dunque, l’esenzion e riguarda solo le aree accessorie ai locali tassabili e non anche quelle accessorie alle aree esenti perché produttive di rifiuti speciali, fermo restando che queste ultime possono ritenersi esenti « solo in quanto aree funzionalmente ed esclusivamente collegate all’esercizio dell’attività produttiva
e comunque produttive di rifiuti speciali .» (Cass., Sez. 5^, 15 maggio 2019, n. 12979; Cass., Sez. 5^, 23 aprile 2020, n. 8088; Cass., Sez. Trib., 13 dicembre 2022, n. 36472; Cass., Sez. Trib., 26 novembre 2024, n. 30505; Cass., Sez. Trib., 2 giugno 2025, n. 14816).
Più di recente, in tema di TARES, si è rimarcato che la tassazione è esclusa solo per le aree scoperte che, ai sensi del codice civile, presentano la condizione della pertinenza soggettiva e oggettiva rispetto al locale o all’area principale e purché non siano operative; laddove l’operatività consiste nell’idoneità a produrre rifiuti ulteriori rispetto al locale e all’area principale che già versa il tributo e non rappresenta dunque un’ulteriore estensione dell’attività svolta (Cass., Sez. Trib., 26 maggio 2023, n. 14718).
4.9 Si è aggiunto (Cass., Sez. Trib., 14 maggio 2025 n. 12902), così, che l’art.1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha, in effetti, una struttura tripartita in quanto contempla: a) superfici che vengono detassate perché ivi « si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali » (sempreché oggetto di « trattamento in conformità alla normativa vigente» da parte del relativo produttore »); b) superfici di produzione di rifiuti speciali assimilati agli urbani, che usufruiscono di una riduzione della quota variabile del tributo in proporzione « alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati »; c) (ancora una volta) superfici oggetto di detassazione perché costituite da « magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di (…) attività produttive » di rifiuti speciali non assimilabili (magazzini, questi, cui « si estende il divieto di assimilazione »).
Mentre, allora, la formazione « continuativa e prevalente » di rifiuti speciali (non riconducibili al potere di assimilazione il cui legittimo esercizio ascriverebbe la superfice di produzione dei relativi rifiuti assimilati alla categoria della riduzione tariffaria) dà senz’altro titolo alla detassazione, il collegamento di magazzini di materie prime e di merci alle aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili deve risultare strettamente funzionale, ed esclusivo, di modo che non possa concepirsi una loro utilizzazione (e la loro stessa esistenza) in assenza di quelle aree di produzione dei rifiuti speciali; e con la conseguenza che l’autonoma (ed ulteriore) produzione di rifiuti, per lo svolgimento di specifiche attività nei magazzini così considerati, ne ascriverebbe il regime a quello previsto nelle precedenti disposizioni (di detassazione o di riduzione tariffaria), secondo la rispettiva connotazione qualitativa (di assimilabilità o meno) e quantitativa (in termini di continuità prevalente o meno) dei rifiuti (così) ulteriormente prodotti.
In proposito, non può sottacersi che la risoluzione emanata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze il 9 dicembre 2014, n. 2/F, sia pure con specifico riguardo alla sfera industriale, ha chiarito che i magazzini intermedi di produzione ed i magazzini adibiti allo stoccaggio di prodotti finiti devono essere considerati esenti da TARI, a prescindere dall’intervento regolamentare del Comune, e che le aree scoperte asservite al ciclo produttivo che danno luogo alla generazione in via continuativa e prevalente di rifiuti speciali non assimilabili.
Per cui, anche con riferimento alle aree adibite a parcheggio, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte, che, nell’escludere dall’assoggettamento al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti – fra l’altro – « per il particolare uso cui sono stabilmente destinati », esige che sia provata dal
contribuente non solo la stabile destinazione del locale o dell’area ad un determinato uso (nella specie, il parcheggio di automezzi), ma anche la circostanza che tale uso non comporta produzione di rifiuti (Cass., Sez. 5^, 13 marzo 2015, n. 5047; Cass., Sez. 5^, 11 aprile 2018, n. 8908; Cass., Sez. 5^, 18 luglio 2019, n. 19328; Cass., Sez. 5^, 12 luglio 2021, n. 19739; Cass., Sez. 5^, 31 agosto 2022, n. 25630; Cass., Sez. Trib., 20 giugno 2023, n. 17564; Cass., Sez. Trib., 11 giugno 2024, n. 16265; Cass., Sez. Trib., 2 giugno 2025, n. 14816).
4.10 Ora, nel contrastare la convinzione espressa dal giudice di prime cure che l’area scoperta adibita a parcheggio costituiva superficie imponibile, non essendone stata provata dalla contribuente l’inidoneità alla produzione di rifiuti urbani , la sentenza impugnata ha finito, però, col desumere in modo astratto ed arbitrario l’intassabilità d i siffatta superficie dall’indimostrata premessa della sua destinazione ad attività costituenti parte del ciclo di lavorazione industriale e, quindi, dall’inscindibil e connessione con la lavorazione industriale di riferimento, senza preoccuparsi di indicare elementi suffragatori di tale corollario.
Pertanto, occorre rinnovare l’accertamento in fatto sulla destinazione dell’area scoperta pertinenziale all’opificio in relazione all’attività produttiva di rifiuti speciali .
4.11 Inoltre, non va trascurato che, s econdo l’esegesi di questa Corte, non appare condivisibile la tesi, sostenuta in dottrina, secondo cui, in base al dettato normativo del l’art. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nella determinazione delle superfici assoggettabili alla TARI non si deve tenere conto di quelle ove si formano i rifiuti speciali, senza operare alcuna distinzione tra quota fissa e variabile. Difatti, occorre rilevare che il successivo comma 651 richiama
espressamente il d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 (‘ Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani ‘, tutt’ora in vigore). L’art. 3 di tale d.P.R. (‘ Determinazione della tariffa ‘) così dispone: «1 . Sulla base della tariffa di riferimento di cui all’articolo 2, gli enti locali individuano il costo complessivo del servizio e determinano la tariffa, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativi al servizio e tenuto conto degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del servizio fornito e del tasso di inflazione programmato. 2. La tariffa è composta da una parte fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una parte variabile, rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione. 3. Le voci di costo da coprire rispettivamente, attraverso la parte fissa e la parte variabile della tariffa sono indicate al punto 3 dell’allegato 1 ». Tale allegato, al punto 3, relativo a ‘ Suddivisione della tariffa in parte fissa e parte variabile ‘ stabilisce testualmente: « Secondo quanto disposto al comma 4 dell’articolo 49 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, la tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione. La Tariffa si compone quindi di due parti:….La parte fissa (…) deve coprire i costi indicati nella seguente equi valenza (…). Gli enti locali che conferiscono a smaltimento i rifiuti indifferenziati presso impianti di terzi, richiedono che il
soggetto gestore dell’impianto evidenzi, all’interno del prezzo richiesto, la quota relativa ai costi riconducibili all’impiego del capitale (..), al fine di attribuirli nella parte fissa della tariffa. La parte variabile (…), invece, dipende dai quantitat ivi di rifiuti prodotti dalla singola utenza ». Ciò vuol dire che, nel sistema delineato dal legislatore, la quota fissa e la quota variabile devono coprire integralmente i costi sopportati per la gestione del ciclo dei rifiuti, sia per gli investimenti effettuati sia per l’esercizio del servizio. Inoltre, sempre secondo quanto si ricava dalla norma, la quota fissa incide in misura predeterminata, avendo la funzione di assicurare la copertura degli investimenti, laddove la quota variabile è determinata per ciascuna tipologia di utente in ragione della quantità dei rifiuti conferiti, al servizio fruito e così via. Sarebbe, per vero, del tutto illogico esentare dal versamento della quota fissa un operatore economico che, comunque, per conferire sicuramente al servizio pubblico almeno una parte dei rifiuti prodotti (quelli derivanti da uffici e servizi), ritrae dagli investimenti eseguiti per la gestione del ciclo dei rifiuti una indubbia utilità. Diversamente opinando, la norma non potrebbe andare esente da concreti dubbi di illegittimità costituzionale per violazione degli art. 3 e 53 Cost., risultando del tutto irrazionale una disposizione che esentasse totalmente dal pagamento della TARI soggetti che, comunque, fruiscono del relativo servizio. E ciò tanto più se si considera che per legge (art. 1, comma 654, della legge 27 dicembre 2013, n. 147) deve in ogni caso essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio, e che, conseguentemente, la parte di quota fissa non gravante sui produttori anche di rifiuti speciali finirebbe per ricadere sulle
altre utenze ed specialmente sulle utenze domestiche (vedasi, in motivazione: Cass., Sez. Trib., 15 maggio 2024, n. 13455). Va, poi, osservato che il tema della controversia è costituito dalla sussistenza dei presupposti dell’imposizione TARI e posto, inoltre, che oggetto del processo tributario è l’accertamento della legittimità della pretesa tributaria in quanto avanzata con l’atto impugnato ed alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in tale atto indicati, la questione relativa all’obbligo del pagamento della quota fissa non rappresenta una questione nuova bensì un profilo che, alla luce di richiamati principi giurisprudenziali, il giudice di appello investito della questione relativa alla spettanza o meno di tutte le somme indicate nell’avviso di accertamento doveva, comunque, scrutinare (vedasi, in motivazione: Cass., Sez. Trib., 15 maggio 2024, n. 13455). Pertanto, si deve riconoscere almeno la debenza della quota fissa della TARI per le annualità controverse.
Con il terzo motivo (contraddistinto in rubrica con la lett. ‘ C ‘) , si denuncia: « C. Nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art 112 cpc ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c.: riproposizione dei motivi contenuti nell’atto di costituzione in appello ».
Il ricorrente « denuncia la nullità della sentenza della Corte di Giustizia di secondo grado qui impugnata per omessa pronuncia sui motivi contenuti nell’atto di costituzione in appello proposti dall’Ente, rimasti completamente assorbiti e privi di qualsivoglia considerazione » (pagina 17 del ricorso).
5.1 Il predetto motivo è inammissibile.
5.2 Anzitutto, vi è carenza di autosufficienza in relazione al motivo di appello. Invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, è inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si
lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano ” nuove ” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (tra le tante: Cass., Sez. 2^, 20 agosto 2015, n. 17049; Cass., Sez. 5^, 21 novembre 2019, n. 30381; Cass., Sez. 5^, 23 luglio 2020, n. 15735; Cass., Sez. 5^, 24 dicembre 2020, n. 29522; Cass., Sez. 5^, 18 novembre 2021, n. 35135; Cass., Sez. 5^, 24 novembre 2021, n. 36393; Cass., Sez. 5^, 14 dicembre 2021, n. 39869; Cass., Sez. Trib., 23 dicembre 2022, n. 37753; Cass., Sez. 3^, 24 ottobre 2023, n. 29529; Cass., Sez. Trib., 23 gennaio 2024, n. 2316; Cass. Sez. Trib., 29 aprile 2025, n. 11238).
Il collegio non ignora che un recente arresto di questa Corte ha mitigato il rigore della richiamata esegesi, affermando che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, secondo il quale, ove si denunci la mancata pronuncia su motivi d’appello, è necessario che questi ultimi siano riportati nell’atto d’impugnazione, deve essere interpretato in maniera elastica, in conformità all’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte – oggi recepita dal nuovo testo dell’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ., come novellato dall’art. 3, comma 27, lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 – dovendosi perciò ritenere che la trascrizione del motivo non sia indispensabile, a condizione che il suo contenuto sia sufficientemente determinato in modo da renderlo pienamente comprensibile e ne sia fornita una specifica indicazione, tale da consentirne l’individuazione
nell’ambito dell’atto di appello (in termini: Cass., Sez. 1^, 2 maggio 2023, n. 11325).
Ad ogni buon conto, il ricorrente neppure ha assolto l’onere così attenuato, non avendo illustrato in modo esaustivo il contenuto censorio del motivo di appello.
5.3 Comunque, non vi è stata omessa pronunzia, ma, al più, tacito rigetto, dal momento che il giudice del gravame -come dà atto lo stesso ricorrente -ha valutato le prove fornite dalle parti.
Invero, è pacifico che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 30 gennaio 2020, n. 2153; Cass., Sez. 5^, 2 aprile 2020, n. 7662; Cass., Sez. 3^, 29 gennaio 2021, n. 2151; Cass., Sez. Trib., 3 agosto 2023, n. 23672; Cass., Sez. Trib., 13 agosto 2024, n. 22775; Cass., Sez. Trib., 25 maggio 2025, n. 13897).
Ed è stato, quindi, ritenuto che non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass., Sez. 6^-1, 4 giugno 2019, n. 15255). Per cui, la
violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omissione di pronuncia non è ravvisabile quando una decisione resa in grado di appello, ancorché mancante di un’espressa statuizione su un motivo di impugnazione, sia giustificata da argomentazioni logicamente e giuridicamente incompatibili con detto motivo, sì da comportarne l’implicita reiezione (tra le tante: Cass., Sez. 6^-5, 17 marzo 2022, n. 8710; Cass., Sez. 5^, 24 maggio 2022, nn. 16672 e 16673; Cass., Sez. 5^, 7 giugno 2022, n. 18253; Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2022, n. 19502; Cass., Sez. Trib., 29 novembre 2022, n. 35137; Cass., Sez. Trib., 26 giugno 2023, n. 18153; Cass., Sez. Trib., 27 maggio 2024, n. 14811).
Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi la fondatezza del primo motivo e del secondo motivo, nonché l’inammissibilità del terzo motivo, il ricorso può trovare accoglimento entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo ed il secondo motivo; dichiara l’inammissibilità del terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del l’11 giugno