Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11476 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11476 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24903/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona dal legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore -intimata- avverso SENTENZA di C.T.R. del LAZIO, n. 657/2020 depositata il 06/02/2020
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La soc. RAGIONE_SOCIALE impugna la sentenza della C.T.R. del Lazio che, accogliendo parzialmente l’appello dell’RAGIONE_SOCIALE ha rigettato il ricorso della società contribuente per l’annullamento dell’avviso di pagamento della TARI relativa agli anni 2012 -2017, in relazione all’assoggettamento al tributo anche dei magazzini strumentali.
La C.T.R., richiamata la giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto esenti dal tributo i locali dell’opificio industriale, considerando invece assoggettabili i magazzini (per mq. 13.336) e gli uffici (mq. 496), in quanto da qualificarsi come aree operative generiche, come tali non legittimanti l’esonero.
L’RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
Con memoria ex art. 380 bis c.p.c. la società ricorrente rappresenta che sono intervenute la sentenza della C.T.P. del Lazio n. 305/2020 e la sentenza della C.T.R. del Lazio n. 3870/2022, entrambe passate in cosa giudicata e pronunciate nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in relazione alle medesime aree, per l’anno di imposta 2008, ed indi ribadisce le conclusioni assunte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La soc. RAGIONE_SOCIALE formula quattro motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi: sull’eccezione formulata dall’appellante in relazione all’inesistenza della notifica dell’atto di appello, essendo il messaggio PEC con il quale il difensore della società appellante
aveva trasmesso l’atto, mancante di relata; sull’eccezione formulata in primo grado dalla società contribuente, e riproposta in sede di gravame, relativa al difetto di sottoscrizione autografa o digitale dell’atto impositivo; sull’eccezione, anch’essa riproposta in appello, di nullità dell’avviso per difetto di motivazione, nonché per violazione del principio di chiarezza degli atti impositivi; sull’eccezione, riproposta in sede di gravame, di tardività ed inammissibilità delle difese di RAGIONE_SOCIALE.p.a. contenute nella memoria del 13 giugno 2018, con riguardo al disposto dell’art. 23 d.lgs. 546 del 1992 del 1992.
Con il secondo motivo lamenta, ex art. 360, comma 1 n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per difetto di motivazione ‘dell’eventuale rigetto implicito’ delle eccezioni formulate con la comparsa di risposta, in violazione degli artt. 132 n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 36 n. 4 d.lgs. 546 del 1992.
Con il terzo motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 649 della l. 147 de 2013 in relazione all’affermata assoggettabilità a tributo delle aree adibite a magazzini strumentali alla produzione. Ritiene inconferenti le pronunce di legittimità richiamate dalla sentenza impugnata e sottolinea che l’interpretazione offerta dalla decisione conduce a non ritenere mai applicabile l’esclusione dall’assoggettabilità a tassazione di cui all’art. 1 comma 649 della l. 147 del 2013. Ricorda che la disposizione, come modificata dall’art. 2, comma 1 della l. 68 del 2014, stabilisce all’ultimo periodo che ‘il Comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive, ai quali non si estende il divieto di assimilazione’, il che impone di estendere il medesimo divieto alle aree funzionalmente collegate alle zone produttive esentate, quali sono appunto i magazzini intermedi di produzione e quelli di
stoccaggio di prodotti finiti, in quanto produttivi di rifiuti speciali. Osserva che una simile impostazione è recepita dalla risoluzione n. 2/DF del MEF. Invero, la disposizione di cui all’art. 1 comma 649 della l. 147 del 2013, ultima parte, va letta con quella contenuta nella prima parte secondo cui ‘nella determinazione della superficie assoggettabile alla TA.RI. non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via prevalente e continuativa, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente’. Sicché, in considerazione del verificarsi della condizione della produzione in via continuativa e prevalente di rifiuti speciali, anche i magazzini intermedi di produzione e quelli adibiti allo stoccaggio debbono essere esentati dal tributo. L’art. 1, comma 649 cit., infatti, secondo la risoluzione del Ministero, va letto ‘nel senso di consentire una tassazione più equilibrata e più rispondente alla reale fruizione del servizio, evitando l’applicazione della TARI nella situazione in cui il presupposto del tributo non sorge, come nel caso delle superfici utilizzate per le lavorazioni industriali o artigianali, ove si formano in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali’ con la precisazione che ‘ovviamente, nel rispetto della norma, l’esclusione dalla tassa avviene a condizione che i produttori di rifiuti speciali ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente’.
Con il quarto motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per avere omesso di pronunciare, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sulla contestazione relativa all’inidoneità del servizio di raccolta dei rifiuti per capacità dei contenitori e per frequenza della raccolta urbana a ricevere i rifiuti prodotti, formulata con l’originario ricorso e ribadita in appello.
Va preliminarmente sgombrato il campo dall’eccezione di giudicato esterno formulata dalla società ricorrente con la memoria
ex art. 380 bis c.p.c.. A tal proposito appare opportuno richiamare la pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui ‘Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva
nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale ‘norma agendi’ cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta. (Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006; il principio è stato costantemente ribadito dalla giurisprudenza successiva di questa sezione: cfr. fra le tante: Sez. 5, Ordinanza n. 13152 del 16/05/2019; Sez. 5, Sentenza n. 16675 del 29/07/2011; Sez. 5, Sentenza n. 9512 del 22/04/2009).
7. Ora, entrambe le sentenze prodotte, corredate dell’attestazione di passaggio in giudicato, riguardano avvisi di pagamento relativi all’anno di imposta 2018. Benché le pronunce accolgano il ricorso della società contribuente sulla base della considerazione che l’AMA non ha contestato che nelle aree oggetto dell’atto impositivo si producessero solo rifiuti speciali, vi è, come già chiarito da questa Sezione, che: ‘In materia di TARSU, l’accertamento relativo allo smaltimento in proprio di rifiuti speciali integra un elemento della fattispecie privo di durevolezza, in quanto suscettibile di modifiche e variazioni, dall’uno all’altro periodo di imposta, con la conseguenza che la parte non può utilmente invocare, sotto tale profilo, il giudicato esterno relativo ad altre annualità’ (Sez. 5 – , Ordinanza n. 2305 del 23/01/2024).
8. La prima doglianza, con cui si prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulle eccezioni sollevate in primo grado e riproposte in appello, oltre che sull’eccezione di inesistenza della motivazione, è inammissibile.
Invero, ‘È configurabile la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza; ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività. (Sez. 3, Ordinanza n. 12131 del 08/05/2023, Cass. Sez. 3, 06/11/2020, n. 24953; Sez. 6 2, Ordinanza n. 6174 del 14/03/2018; in precedenza: Sez. 3, Sentenza n. 14486 del 29/07/2004).
Il secondo motivo con cui si propone la medesima questione, ma sotto il diverso profilo della violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., per difetto assoluto di motivazione, impone la verifica sulla correttezza dell’implicita reiezione delle eccezioni formulate dal ricorrente con la comparsa di risposta in grado di appello.
Il rilievo inerente all’improcedibilità dell’appello per inesistenza della notifica, a causa dell’assenza del documento informatico prescritto dall’art. 3 bis della l. 53/1994 è infondato. Deve, infatti, osservarsi che la parte ricorrente non contesta né la tardività dell’appello, né la tardiva costituzione dell’appellante, né, infine, di avere subito un qualsivoglia pregiudizio del diritto di difesa, tanto che si è costituita nei termini e difesa nel merito, senza eccepire di non avere ricevuto l’atto di appello in termine utile per la costituzione tempestiva, né di non avere potuto
verificare la conformità dell’atto. Questa Corte ha ritenuto, enunciando un principio che per la sua generalità può essere esteso all’eccezione in esame, che anche ‘In caso di notificazione dell’appello a mezzo PEC e di costituzione della parte appellante in modalità analogica, l’omesso deposito degli originali o duplicati telematici dell’atto d’impugnazione e della relativa notificazione non determina l’improcedibilità dell’appello, atteso che il destinatario della notifica telematica, venuto in possesso dell’originale dell’atto, è in grado di effettuare direttamente la verifica di conformità, dovendosi privilegiare il principio di “strumentalità delle forme” processuali senza vuoti formalismi, alla luce del rilievo attribuito dagli artt. 6 CEDU, 47 della Carta UE e 111 Cost. all’effettività dei mezzi di azione e difesa in giudizio, configurati come diretti al raggiungimento di una decisione di merito. (Nella specie, la S.C. ha affermato l’insussistenza dei presupposti la declaratoria di improcedibilità dell’appello avendo l’appellante, all’atto della sua costituzione in modalità analogica, depositato le copie analogiche dell’atto di appello con le relate di notifica unitamente all’attestazione della conformità di tali copie agli originali informatici, e la parte appellata espressamente dato atto, nella sua comparsa di costituzione, che l’atto di citazione in appello era stato notificato al suo difensore). (Sez. 3 – , Ordinanza n. 6583 del 12/03/2024, Rv. 670511 – 01). Si deve, infatti, in ogni caso, privilegiare il principio di “strumentalità delle forme” processuali senza vuoti formalismi, alla luce del rilievo attribuito dagli artt. 6 CEDU, 47 della Carta UE e 111 Cost. all’effettività dei mezzi di azione e difesa in giudizio, configurati come diretti al raggiungimento di una decisione di merito.
L’eccezione relativa alla nullità dell’atto impositivo per essere il medesimo stato sottoscritto mediante indicazione a stampa del nominativo del funzionario, ex art. 87 l. 549 del 1995, anziché con sottoscrizione autografa o mediante firma digitale, è
parimenti infondato. Questa Sezione ha, invero, recentemente chiarito che ‘In tema di atti di liquidazione e accertamento di tributi regionali e locali, prodotti da sistemi informativi automatizzati, ai sensi dell’art. 1, comma 87, della l. n. 549 del 1995, alla firma autografa è equiparata l’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, il quale deve essere individuato, unitamente alla fonte dei dati utilizzati, con un apposito provvedimento di livello dirigenziale, sicché non è necessaria alcuna autorizzazione della sostituzione della firma autografa con l’indicazione a stampa del soggetto predetto. ‘ (Sez. 5, Ordinanza n. 11045 del 24/04/2024).
13. La doglianza relativa al difetto di motivazione dell’atto impositivo è infondata. E’, infatti, la stessa parte ricorrente a sottolineare che questo contiene sia l’indicazione delle tariffe relative alle diverse tipologie di aree, nonché i relativi coefficienti stabiliti da norme regolamentari, e la superficie delle aree interessate, con la conseguenza che il mero calcolo, consistente in una semplice moltiplicazione, non abbisogna di ulteriore motivazione. Secondo questa Corte, infatti, ‘In tema di TARSU la verifica dell’adeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica va condotta in base alla disciplina dettata, per l’accertamento dei tributi di competenza degli enti locali, dall’art. 1, comma 162, della l. n. 296 del 2006, sicché, ove la rettifica venga effettuata sulla base della variazione della superficie tassabile o della tariffa o della categoria, deve ritenersi sufficiente l’indicazione nell’atto della maggiore superficie accertata o della diversa tariffa o categoria ritenute applicabili, in quanto tali elementi, integrati con gli atti generali (quali i regolamenti o altre delibere comunali), sono idonei a rendere comprensibili i presupposti della pretesa tributaria, senza necessità di indicare le fonti probatorie e le indagini effettuate per rideterminare la superficie tassabile, potendo ciò avvenire nell’eventuale successiva
fase contenziosa ‘ . (Cass. Sez. 5, 31/07/2019, n. 20620). Si tratta di un orientamento certamente applicabile anche in relazione all’avviso di pagamento della TARI.
Il terzo motivo è fondato.
La censura attiene alla non assoggettabilità a tributo delle aree adibite a magazzini strumentali alla produzione ed allo stoccaggio dei prodotti finiti, sulla base della considerazione che nei predetti locali si producono in via prevalente e continuativa rifiuti speciali.
Per dare soluzione al quesito posto, occorre, dunque, partire dal testo della disposizione di cui all’art. 1, comma 649 della l. 147 del 2013, ove si prevede che ‘Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati. Con il medesimo regolamento il comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione. Al conferimento al servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani di rifiuti speciali non assimilati, in assenza di convenzione con il comune o con l’ente gestore del servizio, si applicano le sanzioni di cui all’art. 256, comma 2 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152′.
L’ incipit della norma introduce la regola generale secondo cui ‘non si tiene conto’ nella determinazione delle superfici assoggettate alla TARI di quelle parti ove si formano ‘in via prevalente e continuativa’ rifiuti speciali, sulla base del presupposto che al loro smaltimento deve provvedere il produttore.
Viene altresì previsto che il regolamento comunale debba indicare le aree laddove si producono rifiuti speciali non assimilabili ai rifiuti urbani, nonché ‘i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive’. La legge individua, dunque, un collegamento fra le aree produttive ed i locali adibiti a deposito di materiali che consente l’assimilazione dei secondi alle prime, ai fini dell’esonero dall’imposta, basato su quattro presupposti: il primo è che il collegamento sia funzionale, il secondo è che il collegamento sia esclusivo, il terzo è che in essi debbono prodursi, in via prevalente e continuativa, rifiuti speciali, il quarto riguarda la condizione di avere il produttore provveduto al trattamento dei rifiuti speciali ivi prodotti in conformità con la normativa vigente.
Il magazzino deve, quindi, essere, prima di tutto, ‘servente’ rispetto all’opificio, in secondo luogo ‘esclusivamente connesso all’attività produttiva’, ovverosia non adibito ad altro, in terzo luogo, consistere in un’area ove si producono, così come per i locali produttivi in senso stretto, rifiuti speciali, in modo stabile e del tutto preponderante rispetto ai rifiuti urbani assimilabili. L’assoggettamento alla parte variabile dell’imposta (essendo sempre dovuta quella fissa, circostanza questa non contestata dalla ricorrente) è dunque condizionato non alla semplice denominazione del locale, ma alle sue caratteristiche concrete ed all’esistenza o meno del suo collegamento funzionale ed esclusivo con l’attività produttiva.
Questa è peraltro -come ben sottolineato dalla società contribuenteanche l’interpretazione della disposizione di cui
all’art. 1 comma 649 della l. 147 del 2013, fornita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con la Risoluzione n. 2/DF del 9 dicembre 2014, in risposta ad un quesito sull’assoggettabilità alla TARI di aree scoperte e capannoni adibiti a stoccaggio di materie prime, magazzini intermedi di produzione e magazzini di stoccaggio dei prodotti finiti. Il MEF ha, infatti, affermato che ‘Il primo periodo del comma 649 della legge m. 147 del 2013 deve essere raccordato con il terzo periodo dello stesso comma che attribuisce ai comuni il compito di individuare con regolamento le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e merci funzionalmente es esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione’ in quanto ‘la previsione del primo periodo è finalizzata a dettare un principio generale rispetto a quanto dettato nel terzo periodo’ e di conseguenza il potere previsto in capo ai comuni ‘è esercitato nel solo ambito in cui è consentito’. Si realizzerebbe altrimenti ‘una ingiustificata duplicazione di costi, poiché i soggetti produttori di rifiuti speciali, oltre a far fronte al prelievo comunale, dovrebbero anche sostenere il costo per lo smaltimento in proprio degli stessi rifiuti’.
Si tratta di considerazioni che si pongono in linea con una razionale lettura della disposizione e che subordinano comunque l’esclusione dall’imposta alla produzione in via prevalente e continuativa di rifiuti speciali nelle aree per le quali si chiede l’esenzione dal tributo che, come preteso dal testo normativo, siano funzionalmente ed esclusivamente collegate all’attività produttiva. D’altro canto, questa Sezione ha già chiarito che ‘per i produttori di rifiuti speciali non assimilabili agli urbani non si tiene (…) conto della parte dell’area dei magazzini, funzionalmente ed esclusivamente collegata all’esercizio dell’attività produttiva, occupata da materie prime e/o merci, merceologicamente rientranti nella categoria dei rifiuti speciali non assimilabili, la cui lavorazione
genera comunque rifiuti speciali non assimilabili, fermo restando l’assoggettamento dei magazzini destinati allo stoccaggio di semilavorati e/o prodotti finiti connessi a lavorazioni produttive di rifiuti assimilati, dei magazzini di attività commerciali, dei magazzini relativi alla logistica, dei magazzini di deposito di merci e/o mezzi di terzi’ (così v. Cass. n. 18689/24 con richiamo, tra le altre, a Cass., Sez. 5, del 28/03/2023, n. 8753 e n. 8754; Cass., Sez. 5, del 30/03/2023, n. 9032).
Ciò premesso, risulta tuttavia evidente che in tema di onere probatorio incombe sul contribuente la prova del collegamento funzionale e continuativo dei magazzini (siano essi di stoccaggio di merci e materie prime da lavorare, intermedi di produzione o finali di prodotti finiti), nonché la prova della prevalenza e continuità della produzione di rifiuti speciali e del loro smaltimento o trattamento a carico del produttore (cfr. sul generale principio che pone in capo al contribuente l’onere probatorio circa la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell’esenzione della parte variabile del tributo: Cass. Sez. 5, del 6/07/2022 n. 21335, nonché ancora Cass., Sez. 5, del 28/03/2023, n. 8753 e n. 8754).
L’accoglimento del terzo motivo comporta l’assorbimento del quarto ed implica la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, cui è demandata anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
In accoglimento del terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2025 .
Il Presidente
NOME COGNOME