Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20451 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20451 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27121/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COMUNE DI SERRARA COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in NAPOLI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 6092/2022 depositata il 14/09/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 6092/2022, depositata il 14.09.2022, la Commissione tributaria regionale della Campania, nel confermare la sentenza dei giudici di prossimità, respingeva l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE dichiarando la legittimità dell’avviso di accertamento Tari relativo all’annualità di imposta 2020, emesso dal Comune di Serrara Fontana.
I giudici distrettuali affermavano che .
I giudici distrettuali non riconoscevano, pertanto, al contribuente il beneficio della parziale esenzione dalla TARI sulla base delle denunce di inizio e chiusura dell’attività alberghiera , in quanto la mancata utilizzazione di una struttura alberghiera per alcuni mesi dell’anno di per sè non può corrispondere alla previsione di esenzione dal tributo di cui al d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2 che indica come causa di esclusione dell’obbligo del tributo le condizioni di ‘obiettiva’ impossibilità di utilizzo dell’ immobile, non riscontrabili nella mancata utilizzazione dello stesso legata alla volontà o alle esigenze del tutto soggettive dell’utente; aggiungendo che, se l’albergo è dotato di una licenza annuale, non è sufficiente la sola denuncia di chiusura invernale senza allegazione e prova della concreta inutilizzabilità della struttura. Inoltre, statuivano, quanto alla superficie tassabile della struttura alberghiera, che la rilevazione dell’area era stata operata dal tecnico comunale sulla base dell’elaborato grafico planimetrico fornito all’ente comunale dalla società in data 01.06.2017 con prot. n. 4205, non smentita da contrari elementi probatori idonei a dimostrare una modifica della superficie tassabile.
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi; – resiste con controricorso il Comune di Serrara Fontana, eccependo l’inammissibilità dei motivi di ricorso.
La società ha depositato memorie illustrative in prossimità dell’udienza.
Il P.G. ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
MOTIVI DI DIRITTO
1.Il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, primo comma, n.3), c.p.c., deduce la violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 546/1992. La società ricorrente assume che dagli atti depositati emerge una discrasia tra la superficie tassata e l’elaborato grafico prodotto dalla società ricorrente, atteso che quest’ultimo documento rappresenta che le superfici destinata ad attività termale e alla cucina, in quanto produttive di rifiuti speciali, smaltiti a cura e spese della società con contratto apposito, sono escluse dalla tassazione a norma dell’art. 1, comma 649, della legge n. 147/2013, come confermato dall’art. 26 del Regolamento comunale.
A tal fine, la società allega al ricorso la documentazione concernente i contratti di smaltimento e relative fatture, in guisa che risulterebbe incomprensibile il comportamento del Comune che non ha inteso valutare a tal fine le denunce di inizio e chiusura attività.
2. La seconda censura, introdotta ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), c.p.c., deduce ; per avere il Collegio d’appello erroneamente valutato il contenuto della denuncia di inizio e fine occupazione, in cui veniva dichiarata anche la superficie occupata . Nella illustrazione del motivo, la contribuente si duole della successione temporale degli atti, avendo il C omune notificato prima l’avviso di accertamento e poi l’avviso di pagamento, deducendo che l’atto impugnato ha disconosciuto implicitamente le riduzioni rivendicate con la denuncia e documentate, di guisa che l’avviso è illegittimo in
quanto emesso prima della scadenza del termine di pagamento e privo di motivazione.
L’ultimo mezzo del ricorso prospetta ; ritenendo erronea la statuizione secondo la quale le strutture alberghiere con licenza annuale possono fruire delle riduzioni tariffarie solo per oggettiva inutilizzabilità delle strutture, ribadendo che la tassa è correlata all’occupazione e detenzione delle aree e sussiste fino al giorno in cui cessa l’occupazione. Assume che l’art. 38 del regolamento prevede che se il periodo di occupazione è inferiore a 183 giorni con o senza autorizzazione, va applicata la tariffa giornaliera che è inferiore a quella applicata e l’insussistenza del servizio di raccolta dei rifiuti nel periodo invernale.
La prima censura non supera il vaglio di ammissibilità.
In disparte l’anomala formulazione del motivo prospettato come violazione del d.lgs. n. 546/1992, laddove la società lamenta, in primo luogo, una discrasia tra la superficie rilevata dal perito di parte e quella individuata dal perito comunale denunciata con il canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., il mezzo non considera che la pronuncia impugnata contiene un accertamento di fatto secondo cui .
In realtà non può dubitarsi che nella fattispecie ln esame la CTR abbia inteso comunque affermare che l’ente comunale abbia dato prova, attraverso la richiamata documentazione, della superficie tassabile. Pertanto, la , dando luogo a dei semplici indizi, comporta che non possa assurgere al vizio denunciato (cfr. Cass. maggio 2015, n. 9029/2015; Cass. n. 8621/2018).
4.1.Dietro la denuncia di un errore percettivo, la censura in esame cela in realtà la confutazione della valutazione che il giudice del merito ha svolto delle risultanze istruttorie, sulla base di un giudizio che in quanto tale non è sindacabile in sede di legittimità. e ciò sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi la propria, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (Cass., sez. 65, 15/05/2018, n. 11863; Cass., sez. 6-5, 17/12/2017, n. 29404; Cass., sez. 1, 02/08/2016).
4.2. Il mezzo in rassegna spinge la Corte verso un’inammissibile rivalutazione delle questioni di merito oggetto di controversia, in particolare verso ad una rivisitazione dell’accertamento di fatto operato dai giudici distrettuali secondo cui . E’ con tale giudizio che si scontra la valutazione di segno diverso contenuta nel motivo di censura, la quale resta pertanto sul piano dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie; il giudizio sulla irrilevanza o non attendibilità di una perizia di parte è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su vizio motivazionale (Cass. n. 34189 del 2022).
4.3. Nella illustrazione del motivo in rassegna, la società afferma altresì che la denuncia conteneva l’esatta superficie tassabile, con esclusione delle aree ove si producono rifiuti speciali auto-smaltiti, invocando l’applicazione dell’art. 1, comma 649, della legge n. 147/2013, il quale stabilisce che ; nonché il disposto dell’art, 26 del Regolamento comunale per la disciplina dell’Imposta Unica Comunale del Comune di Serrara Fontana il quale prevede che .
Anche detto profilo del motivo in rassegna è inammissibile.
Sta di fatto che il Giudice regionale non ha statuito su tale ragione di contestazione; nel corpo della decisione vi è un generico riferimento , non consentendo di stabilire se la suddetta questione fosse stata oggetto del ricorso originario. Ricorre, allora, in questo caso, l’orientamento di questa Corte secondo cui, qualora con l’impugnazione per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, quantomeno allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, in quanto i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere già nel primo grado di giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, né rilevabili d’ufficio (cfr., su tale principio, tra le tante, Cass. n. 5429/2023, che richiama Cass. n. 20694/2018, Cass. n. 19560/2020, Cass. n. 28036/2020, Cass. n. 8125/2021, Cass. n. 11708/2021, Cass. n. 28714/2021, Cass. n. 30863/2021, Cass. n. 36393/2021, Cass. n. 40984/2021, Cass. n. 8362/2022, Cass. n. 35885/2022).
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, difatti, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (v. Cass. Sez. 3, 09/01/2002 n. 194; Cass. del 09/07/2013 n. 17041; Cass. n. 2033/2017; Cass. n. 25319/2017; Cass. n. 907/2018; v. al riguardo Cass. 32804/2019), per cui “qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della
questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa” (Cass. n. 16502/2017, in motiv; Cass. n. 9138/2016; Cass. n. 7009/2017; Cass. n. 26874 e n. 26790 del 2018; Cass. n. Cass. nn.39169 e 36881 del 2021; Cass. n. 20147/2021;Cass. n. 3397/2024).
5. Il secondo motivo di ricorso è parimenti inammissibile, perché nel corpo del mezzo espone critiche in fatto ed in diritto contemporaneamente e senza alcuna gradazione o distinzione tra loro, dando luogo ad una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, con l’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793). Si tratta quindi di censure non ontologicamente distinte dallo stesso ricorrente e quindi non autonomamente individuabili, senza un inammissibile intervento di selezione e ricostruzione del mezzo d’impugnazione da parte di questa Corte.
Ad ogni buon conto, l’inammissibilità resta, sia pure sotto altro profilo, anche operando, in base ad altro orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 39169/2021, che richiama Cass. n. 26790/2018, Cass. n. 19893/2017, Cass. n. 7009/2017, Cass, Sez. Un., n. 9100/2015, Cass., Sez. Un., n. 17931/2013; Cass., Sez. Un., n. 32415/2021), una risistemazione dei motivi, una loro scissione, come se fossero separati, alternativi o subordinati, ricostruendoli, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione rilevante, in relazione alle questioni sostanziali
sollevate (come detto: inesistenza giuridica dell’atto tassato e sua sostituzione con quello successivo, sua erronea qualificazione giuridica e registrazione di ufficio, quantificazione del tributo e relative sanzioni, rischio di una doppia imposizione e sussistenza del litisconsorzio necessario con la controparte dell’atto). In tale prospettiva, infatti, i motivi si presentano, in larga misura, aspecifici, non confrontandosi con le ragioni poste a base della sentenza impugnata, né confutandole, limitandosi ad una riedizione delle difese in precedenza svolte, come se anche il giudizio di esame fosse un ulteriore, inammissibile, grado di merito.
6.La censura, laddove propone il vizio cassatorio di cui al n. 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c. comprende confusamente sia la critica alla motivazione dell’avviso sia all’erronea valutazione della denuncia di inizio e chiusura dell’attività alberghiera.
6.1.Quanto all’erronea valutazione del contenuto della denuncia di inizio attività essa non si confronta con la sentenza impugnata, atteso che i giudici regionali hanno così statuito .
Il presupposto del tributo -così come delineato dalle richiamate disposizioni di cui alla l. n. 147 del 2013, art. 1, cit. -si correla alla detenzione dell’unità immobiliare suscettibile di produrre rifiuti urbani, così che a detti fini rileva l’inidoneità alla produzione di rifiuti di natura oggettiva, cioè riferita al locale o all’area che per sua natura o per il particolare uso cui è stabilmente destinato risulti
in condizioni di obiettiva inutilizzabilità nel corso dell’anno solare, e non, dunque, la mera scelta soggettiva operata dal contribuente in ordine alla inutilizzazione del bene detenuto.
8.Con specifico riferimento alla quaestio iuris controversa, si è rilevato, per un verso, che le riduzioni di natura agevolativa di cui alla l. n. 147 del 2013, art. 1, comma 659, essendo meramente eventuali, sono subordinate ad un’esplicita previsione del regolamento comunale che ne condiziona l’an e il quantum (v. Cass., 19 agosto 2020, n. 17334 cui adde, ex plurimis, Cass., 29 marzo 2023, n. 8858) e, per il restante, che nel caso di esercizi alberghieri dotati di licenza annuale, essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti, ai fini della esenzione dalla tassa non è sufficiente la sola denuncia di chiusura ma occorre allegare e provare la «concreta inutilizzabilità» della struttura (così Cass., 27 dicembre 2018, n. 33426; Cass., 9 novembre 2016, n. 22756; v. Cass., 12 maggio 2021, n. 12624 e Cass. n. 16138/2024 con riferimento alla TARI).
Alla stregua, pertanto, dell’articolazione del motivo di ricorso va rilevato che alcuna censura viene proposta in relazione all’accertamento operato dal giudice del gravame in termini consentanei alla giurisprudenza della Corte quanto all’onere di allegare e provare la «concreta inutilizzabilità» di natura oggettiva della struttura alberghiera in questione, cioè riferita al locale o all’area che per sua natura o per il particolare uso cui è stabilmente destinato risulti in condizioni di obiettiva inutilizzabilità nel corso dell’anno solare», e non, dunque, per la mera scelta soggettiva operata dal contribuente in ordine alla parziale utilizzazione del bene detenuto.
La causa di esclusione dell’obbligo del tributo è integrata dalle condizioni di obiettiva impossibilità di utilizzo dell’immobile, condizioni che non possono essere individuate nella mancata
utilizzazione dello stesso legata alla volontà o alle esigenze del tutto soggettive dell’utente, e neppure al mancato utilizzo di fatto del locale o dell’area, non coincidendo – com’è evidente – le prime ed il secondo con l’obiettiva non utilizzabilità dell’immobile, non coincidendo le summenzionate circostanze con l’obiettiva non utilizzabilità dell’immobile, ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2 (Cass., 27 dicembre 2018, n. 33426; Cass., 9 novembre 2016, n. 22756; Cass., 21 gennaio 2013, n. 1332; Cass., 13 giugno 2012, n. 9633; Cass., 28 ottobre 2009, n. 22770; Cass., 12 agosto 2004, n. 15658).
8.1.La mancata utilizzazione della struttura alberghiera per alcuni mesi dell’anno, dunque, non può di per sé corrispondere alla previsione di esenzione dal tributo di cui al d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2., (Cass. n. 9633 del 2012; Cass. n. 22770 del 2009), ben potendo lo stesso essere utilizzato per esigenze proprie del gestore o del personale. Se la struttura, come nel caso in esame, è dotata di licenza annuale, non è sufficiente la sola denuncia di chiusura per alcuni mesi senza allegazione e prova della concreta inutilizzabilità della struttura alberghiera, atteso che, ai fini dell’esenzione, la società contribuente avrebbe potuto richiedere la licenza stagionale. Si è, infatti, affermato, come sopra precisato, che la tassa è dovuta ove sussista la obiettiva possibilità di usufruire del servizio a prescindere dalla fruizione, essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti.
8.2.In definitiva, l’uso stagionale degli immobili non esclude la ricorrenza del presupposto impositivo, qual legato alla disponibilità dell’area produttrice di rifiuti (d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, c. 1; v., ex plurimis, Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459;
con riferimento al d.lgs. n. 507 del 1993, art. 66, Cass., 23 maggio 2019, n. 14037 cui adde Cass., 3 dicembre 2019, n. 31460).
9.L’art. art. 62, comma 2, d.lgs. n. 507/1993 (a l’art. 33 del Regolamento presuppone una licenza stagionale) indica come causa di esclusione dell’obbligo del tributo le condizioni di “obiettiva” impossibilità di utilizzo dell’immobile, che – di certo non possono essere individuate nella mancata utilizzazione dello stesso legata alla volontà o alle esigenze del tutto soggettive dell’utente (Cass. 18316/04, 17524/09), e neppure al mancato utilizzo di fatto del locale o dell’area, non coincidendo – com’è evidente – le prime ed il secondo con l’obiettiva non utilizzabilità dell’immobile, ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2 (Cass. n. 22576/2016; Cass. n. 9633 del 13/06/2012; Cass. 22770/09).
Quindi, se la struttura è dotata di licenza annuale non è sufficiente la sola denuncia di chiusura invernale senza allegazione e prova della concreta inutilizzabilità della struttura, potendo richiedere la società, a tal fine, la licenza stagionale. La tassa è quindi, dovuta ove sussista la obiettiva possibilità di usufruire del servizio a prescindere dalla fruizione essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti, con i limiti giù evidenziati che non ricorrono nella fattispecie. Occorre considerare, dunque, che parte contribuente deve adeguatamente provare di avere diritto ad esenzioni o riduzioni in ragione del carattere stagionale della attività sulla scorta delle previsioni regolamentari del Comune adottate in relazione alla normativa vigente (art. 33 del Regolamento TARI; v. Cass. n.21181/2024).
Quanto alla dedotta illegittima emissione dell’avviso prima della scadenza del termine di pagamento ed alla sua presumibile illegittimità per aver disconosciuto l’esenzione senza motivare (la censura non è chiara nella sua sintetica formulazione), si profilano i
medesimi vizi di inammissibilità già esposti al paragrafo 4.3., non essendovi traccia nella decisione impugnata di siffatto motivo, ove si legge soltanto la seguente argomentazione .
10. La giurisprudenza consolidata in materia determina dunque anche l’assorbimento dell’ultimo motivo nella parte in cui si insiste sulla proporzionalità tra entità della tariffa e periodo effettivo di apertura dell’attività alberghiera, pur essendo la società in possesso della licenza annuale.
10.1. Il motivo in esame si rivela, inoltre, infondato, sia per le ragioni già esposte per cui ciò che rileva ai fini della tassazione è l’obiettiva inutilizzabilità della struttura, sia in quanto l’art. 33 del regolamento comunale definisce utenze non domestiche non stabilmente attive quelle utilizzate per lo svolgimento di attività stagionali o per un periodo non continuativo non superiore a 183 giorni l’anno da provarsi in base alla licenza; ne consegue che la presenza della licenza annuale esclude l’applicabilità della norma regolamentare in rassegna.
10.2. Quanto alla eccepita contrazione dell’attività alberghiera per la sospensione della licenza per causa di forza maggiore per l’esecuzione di lavori di adeguamento nonché per fine stagione anno 2020 ovvero per la mancata raccolta dei rifiuti, emerge dalla stessa sentenza impugnata che dette circostanze non sono state mai allegate e discusse nel giudizio di merito, il che osta ad un loro esame nel giudizio di legittimità; risultando, invece, che la società aveva comunicato l’inizio dell’ attività ricettiva alla data del 21 luglio 2020.
Da quanto suesposto non può che rilevarsi la correttezza della decisione impugnata, laddove ha ritenuto di non concedere alla contribuente le riduzioni delle tariffe TARI sulla base della sola
circostanza che l’attività alberghiera della contribuente era espletata esclusivamente in alcuni mesi dell’anno.
Sotto altro versante, secondo quanto disposto dall’art. 1, comma 641 della legge 147/2013, il presupposto della TARI, come già chiarito, è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali ed aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani, ponendo una presunzione iuris tantum di produttività, superabile solo dalla prova contraria del detentore dell’area, disponendo la normativa citata che le circostanze escludenti la produttività e la tassabilità debbano essere dedotte dal contribuente o nella denuncia originaria o in quella in variazione, ed essere debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi rilevabili direttamente, o a mezzo di idonea documentazione (cfr. Cass. Civ.22756/19, 19459/03, 19173/04). Pertanto, non è possibile concedere al contribuente il beneficio della parziale esenzione dalla TARI sulla base della sola circostanza che egli abbia comunicato all’ente impositore che l’attività alberghiera è stata espletata esclusivamente in alcuni mesi dell’anno, quando egli non abbia adempiuto all’onere di comprovare la spettanza di tale esenzione alla stregua degli elementi formali suindicati e, prima ancora, all’onere di previa informazione al Comune. In sostanza, la mancata utilizzazione di una struttura alberghiera per alcuni mesi dell’anno di per sè non può corrispondere alla previsione di esenzione dal tributo di cui al d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2: la norma, infatti, indica come causa di esclusione dell’obbligo del tributo le condizioni di ‘obiettiva’ impossibilità di utilizzo dell’immobile, che di certo -non possono essere individuate nella mancata utilizzazione dello stesso legata alla volontà o alle esigenze del tutto soggettive dell’utente (Cass. 18316/04, 17524/09), e neppure al mancato utilizzo di fatto del locale o dell’area, non coincidendo com’è evidente le prime ed il secondo con l’obiettiva non utilizzabilità dell’immobile, ai sensi del
d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2 (Cfr Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9633 del 13/06/2012; Cass. 22770/09). Quindi, se l’albergo è dotato di una licenza annuale, non è sufficiente la sola denuncia di chiusura invernale senza allegazione e prova della concreta inutilizzabilità della struttura.
10.3.Il presupposto impositivo della TARI rimane, pur sempre, correlato alla occupazione o alla conduzione di locali ed aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso privato, così che, pur valendo il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile ovvero dell’esenzione, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell’imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio comunale (Cass., 7 luglio 2022, n. 21490; Cass., 6 luglio 2022, n. 21335; Cass., 15 maggio 2019, n. 12979; Cass., 22 settembre 2017, n. 22130; Cass., 13 agosto 2004, n. 15867 cui adde Cass., 17 settembre 2019, n. 23059; Cass., 3 marzo 2010, n. 5036; Cass., 15 aprile 2005, n. 7915; v., altresì, Cass., 12 dicembre 2019, n. 32741, cit.; Cass., 23 febbraio 2018, n. 4602; Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 31 luglio 2015, n. 16235).
11.Segue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in, favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 4.500, 00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione