Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20454 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20454 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5086/2024 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COMUNE DI SERRARA COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in NAPOLI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO CAMPANIA n. 7066/2023 depositata il 19/12/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 7066/2023, depositata il 19/12/2023, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, nel confermare la decisione di primo grado, respingeva l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE
I giudici distrettuali affermavano che ; aggiungendo che ; aggiungendo che .
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi; – resiste con controricorso il Comune di Serrara Fontana, eccependo l’inammissibilità dei motivi di ricorso.
La contribuente ha depositato memorie difensive in prossimità dell’udienza.
MOTIVI DI DIRITTO
1.Il primo motivo deduce ; per avere erroneamente il decidente affermato che la superficie tassabile risultava dalla rilevazione operata dal tecnico comunale sulla base dell’elaborato grafico planimetrico fornito all’ente comunale dalla società.
Si assume che dagli atti depositati emerge un divario macroscopico tra la superficie oggetto di tassazione mediante avviso di accertamento emesso dal Comune di Serrara Fontana e l’elaborato grafico prodotto dalla società ricorrente; asserendo che, nella perizia asseverata fornita all’ente in data 01.06.2017, il professionista certificava che ‘la superficie dei locali produttivi di rifiuti dell’attività di albergo all’insegna Hotel Terme San Michele è di mq. 1944,61’ specificando come dalla stessa si fossero escluse ‘le superfici dell’attività termale e cucina in quanto produttivi di rifiuti speciali smaltiti a cura e spese della Società con apposito contratto’.
Si deduce altresì che a causa della pandemia e delle stringenti limitazioni imposte, la società ricorrente comunicava con le apposite denunce l’inutilizzabilità del ristorante e del centro benessere.
Diversamente, l’avviso di accertamento impugnato sottoponeva a tassazione una superficie di mq. 3.797,01 comprensiva del reparto termale, del reparto dedicato alla ristorazione, della cucina e delle aree esterne attrezzate e non attrezzate, motivo per il quale risulta evidente l’illegittimità dell’atto e della sentenza impugnata.
La censura è inammissibile sotto vari profili.
2.1. In primo luogo, la società pur trascrivendo la perizia, per il principio di autosufficienza, che impone l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, non specifica anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicché la mancata “localizzazione” del documento basta per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, senza necessità di soffermarsi sull’osservanza del principio di autosufficienza dal versante “contenutistico” ( Cass. n. 5478/2018; Cass. n.28184/2020; Cass. n.34395/2023).
In disparte detto profilo di inammissibilità e l’anomala formulazione del motivo prospettato come violazione del d.lgs. n. 546/1992, laddove la società lamenta, in primo luogo, una discrasia tra la superficie rilevata dal perito di parte e quella individuata dal perito comunale denunciata con il canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., si osserva che dietro la denuncia di un errore percettivo, la censura in esame cela in realtà la confutazione della valutazione che il giudice del merito ha svolto delle risultanze istruttorie, sulla base di un giudizio che in quanto tale non è sindacabile in sede di legittimità. e ciò sia perché la contestazione
della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi la propria, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (Cass., sez. 6-5, 15/05/2018, n. 11863; Cass., sez. 6-5, 17/12/2017, n. 29404; Cass., sez. 1, 02/08/2016).
Il mezzo in rassegna spinge la Corte verso un’inammissibile rivalutazione delle questioni di merito oggetto di controversia, in particolare verso ad una rivisitazione dell’accertamento di fatto operato dai giudici distrettuali secondo cui . E’ con tale giudizio che si scontra la valutazione di segno diverso contenuta nel motivo di censura, la quale resta pertanto sul piano dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie; il giudizio sulla irrilevanza o non attendibilità di una perizia di parte è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su vizio motivazionale (Cass. n. 34189 del 2022).
In realtà non può dubitarsi che nella fattispecie in esame la CTR abbia inteso comunque affermare che l’ente comunale abbia dato prova, attraverso la richiamata documentazione, della superficie
tassabile; mentre la perizia stragiudiziale, ancorché asseverata con giuramento, non è dotata di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, e ad essa si può solo riconoscere valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito, ma della quale non è obbligato in nessun caso a tenere conto. Né presenta le caratteristiche necessarie per rientrare nella nozione di “documento decisivo” ai sensi dell’art. 395, n. 3, cod. proc. civ., essendo per sua natura inidonea a fornire al giudice elementi probatori potenzialmente in grado di sovvertire la decisione della controversia (Cass. n.1914 del 23 gennaio 2023; Cass. maggio 2015, n. 9029/2015; Cass. n. 8621/2018; Cass.n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021).Il mezzo, peraltro, non si confronta con la pronuncia impugnata laddove contiene un accertamento di fatto secondo cui . In realtà non può dubitarsi che nella fattispecie ln esame la CTR abbia inteso comunque affermare che l’ente comunale abbia dato prova, attraverso la richiamata documentazione, della superficie tassabile; mentre la perizia stragiudiziale, ancorché asseverata con giuramento, non è dotata di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, e ad essa si può solo riconoscere valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice
di merito, ma della quale non è obbligato in nessun caso a tenere conto. Né presenta le caratteristiche necessarie per rientrare nella nozione di “documento decisivo” ai sensi dell’art. 395, n. 3, cod. proc. civ., essendo per sua natura inidonea a fornire al giudice elementi probatori potenzialmente in grado di sovvertire la decisione della controversia (Cass. n.1914 del 23 gennaio 2023; Cass. maggio 2015, n. 9029/2015; Cass. n. 8621/2018).
Del resto, la Corte d’appello ha chiarito che la riduzione della superficie è stata accertata dal tecnico comunale sulla base della planimetria presentata al Comune dalla società.
Non consta, pertanto, neppure la predicata apparenza motivazionale, bensì un percorso argomentativo che ben lascia cogliere la ratio decidendi in merito alla irrilevanza della denuncia di inizio attività, in conformità con la giurisprudenza di legittimità, e agli oneri probatori gravanti sul contribuente che rivendica l’esenzione ovvero la riduzione tariffaria. Il percorso argomentativo è comprensibile e intellegibile; come chiarito ancor di recente da questa Corte, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (v. Cass. 3819 del 2020). È stato messo, inoltre, in evidenza dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016) che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio
convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
3. Il secondo motivo di ricorso lamenta la ; per avere la Corte di Giustizia di II grado erroneamente valutato il valore delle apposite denunce di inizio e fine occupazione presentate nei termini previsti, ai sensi dell’art. 70 del d.lgs. n. 507/1993 in cui è stata dichiarata la superficie occupata, utilizzata e soggetta a tassazione ai fini della TARI, la Categoria, il periodo di occupazione e produzione di rifiuti, nonché la apposita richiesta di riduzione della TARI per il periodo di non occupazione e produzione rifiuti con la conseguente interruzione del servizio di raccolta. Si assume che, nella specie, la società ricorrente aveva richiesto espressamente di calcolare e pagare la tassa per il periodo di effettiva occupazione e produzione rifiuti dettagliatamente documentato, ben prima anche della scadenza della prima rata.
Si prospetta ancora l’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso in violazione del d.lgs. n. 507/1993 ben prima della scadenza del termine di pagamento, senza tener conto del periodo di occupazione dichiarato e documentato, della riduzione richiesta e senza apportare alcuna rettifica rispetto quanto dichiarato.
4. Il secondo motivo di ricorso è parimenti inammissibile, perché nel corpo del mezzo espone critiche in fatto ed in diritto contemporaneamente e senza alcuna gradazione o distinzione tra loro, dando luogo ad una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, con l’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze
relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793). Si tratta quindi di censure non ontologicamente distinte dallo stesso ricorrente e quindi non autonomamente individuabili, senza un inammissibile intervento di selezione e ricostruzione del mezzo d’impugnazione da parte di questa Corte.
Ad ogni buon conto, l’inammissibilità resta, sia pure sotto altro profilo, anche operando, in base ad altro orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 39169/2021, che richiama Cass. n. 26790/2018, Cass. n. 19893/2017, Cass. n. 7009/2017, Cass, Sez. Un., n. 9100/2015, Cass., Sez. Un., n. 17931/2013; Cass., Sez. Un., n. 32415/2021), una risistemazione dei motivi, una loro scissione, come se fossero separati, alternativi o subordinati, ricostruendoli, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione rilevante, in relazione alle questioni sostanziali sollevate. In tale prospettiva, infatti, i motivi si presentano, in larga misura, aspecifici, non confrontandosi con le ragioni poste a base della sentenza impugnata, né confutandole, limitandosi ad una riedizione delle difese in precedenza svolte, come se anche il giudizio di esame fosse un ulteriore, inammissibile, grado di merito (Cass. nn.39169 e 36881 del 2021; Cass. n. 3397/2024).
4.1.La censura, laddove propone il vizio cassatorio di cui al n. 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c. concerne l’erronea valutazione della denuncia di inizio e chiusura dell’attività alberghiera non si confronta con le statuizioni della sentenza impugnata secondo cui , così
ponendosi in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte e con la normativa di settore.
Vale osservare, a tal proposito, che la denuncia di inizio attività che si presenta nel corso dell’anno non è equivalente alla denuncia che il contribuente deve presentare ai sensi dell’art. 70 d.lgs. n. 507/1993, anche se essa contiene una variazione della superficie, atteso che la denuncia di cui all’art. 70 cit., per poter assurgere rilevanza per l’annualità oggetto della presente controversia, avrebbe dovuto essere presentata prima dell’inizio dell’annualità di imposta.
Avuto, in particolare, riguardo, all’onere di denuncia, questa Corte ha chiarito che il presupposto impositivo della tassa sui rifiuti è l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti (art. 62, comma 1, d.lgs. 507/93); mentre, non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione (art. 62, comma 2, d.lgs. cit.), in quanto l’art. 62 del cit. d.lgs. pone a carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti.
La detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, in quanto potenzialmente idonee ad ospitare attività antropiche inquinanti ed a costituire un carico per il gestore del servizio, è dunque il presupposto della tassazione, indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti (Cass. n. 13455/2024), il che esclude l’esenzione laddove, pur occupando i locali, si deduca che essi non producano rifiuti urbani.
Pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale spetta all’amministrazione provare i fatti che costituiscono
fonte dell’obbligazione tributaria (nella specie l’occupazione di aree del territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull’interessato (oltre all’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 70 del d.lgs. n. 507 del 1993) un onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopradescritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (cfr. Cass. nn. 21250/17 e 10634/19; Cass. nn. 22130/17, 12979/19, 13322/22, 21335/22; Cass. n. 5293/2022; n. 533/2022; Cass. n. 13455/2024),
Deve, osservarsi, peraltro, che l’esclusione della superficie destinata ad attività termale e ad attività di ristorazione è questione che non risulta sottoposta al vaglio del giudice di merito, come emerge dalla sentenza che non indica tra i motivi dedotti dalla società la necessità della chiusura per emergenza Covid, circostanza che osta all’esame di dette allegazioni proposte per la prima volta nel giudizio di legittimità. Ricorre, allora, in questo caso, l’orientamento di questa Corte secondo cui, qualora con l’impugnazione per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, quantomeno allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, in quanto i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere già nel primo grado di giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, né rilevabili d’ufficio (cfr., su tale principio, tra le tante, Cass. n. 5429/2023, che richiama Cass. n. 20694/2018, Cass. n. 19560/2020, Cass. n. 28036/2020, Cass. n. 8125/2021, Cass. n. 11708/2021, Cass. n. 28714/2021, Cass. n.
30863/2021, Cass. n. 36393/2021, Cass. n. 40984/2021, Cass. n. 8362/2022, Cass. n. 35885/2022).
5. L’ultimo motivo prospetta <errata ed illegittima applicazione della tariffa -Richiesta di riduzione – Violazione art. 1, comma 649, della legge n. 147/2013 in relazione all'art. 360, primo comma, n.3), c.p.c., per avere la Corte d'appello negato alla contribuente il beneficio della parziale esenzione dalla TARI sulla base della sola circostanza della mancata utilizzazione di una struttura alberghiera per alcuni mesi dell'anno. Si obietta che il d.lgs. n. 507 del 1993 contempla, all'art. 66, dei temperamenti dell'imposizione per le situazioni che obiettivamente possono comportare una minore utilizzazione del servizio, come nel caso dell'uso stagionale, previsto dalla lett. b) del co. 3 di tale disposizione.
La società afferma che, con pec del 07.09.2020, aveva richiesto la sospensione della licenza per causa di forza maggiore, per l'esecuzione di lavori di adeguamento, nonché per fine stagione anno 2020; che, nonostante la comunicazione di chiusura parziale dei locali per la pandemia Covid, il Comune ha erroneamente applicato la tariffa ' Alberghi con ristorante' allorquando avrebbe dovuto applicare la tariffa ' Alberghi senza ristorante'.
Inoltre, si deduce, che l'art. 38 del Regolamento Comunale prevede che se il periodo di occupazione è inferiore a n. 183 giorni con o senza autorizzazione, come nel caso della ricorrente, va applicata la tariffa giornaliera che è di gran lunga diversa e inferiore a quella applicata.
6.Con specifico riferimento alla quaestio iuris controversa, si è rilevato, per un verso, che le riduzioni di natura agevolativa di cui alla l. n. 147 del 2013, art. 1, comma 659, essendo meramente eventuali, sono subordinate ad un'esplicita previsione del regolamento comunale che ne condiziona l'an e il quantum (v. Cass., 19 agosto 2020, n. 17334 cui adde, ex plurimis, Cass., 29 marzo 2023, n. 8858) e, per il restante, che nel caso di esercizi
alberghieri dotati di licenza annuale, essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti, ai fini della esenzione dalla tassa non è sufficiente la sola denuncia di chiusura ma occorre allegare e provare la «concreta inutilizzabilità» della struttura (così Cass., 27 dicembre 2018, n. 33426; Cass., 9 novembre 2016, n. 22756; v. Cass., 12 maggio 2021, n. 12624 e Cass. n. 16138/2024 con riferimento alla TARI).
Nella fattispecie non è controverso che l'Ente impositore abbia normato riduzioni tariffarie che afferiscono (anche) a «utenze non domestiche non stabilmente attive» (art. 33 del regolamento); alla stregua, pertanto, dell'articolazione del motivo di ricorso va rilevato che alcuna censura viene proposta in relazione all'accertamento operato dal giudice del gravame in termini consentanei alla giurisprudenza della Corte -quanto, dunque, all'onere di allegare e provare la «concreta inutilizzabilità» della struttura alberghiera in questione -di natura oggettiva, cioè riferita al locale o all'area che per sua natura o per il particolare uso cui è stabilmente destinato risulti in condizioni di obiettiva inutilizzabilità nel corso dell'anno solare», e non, dunque, la mera scelta soggettiva operata dal contribuente in ordine alla inutilizzazione del bene detenuto. L'art. 66 del d.lgs. n. 507 del 1993 contempla dei temperamenti all'imposizione per le situazioni che obiettivamente possono comportare una minore utilizzazione del servizio, come nel caso dell'uso stagionale, previsto dalla lett.b) del comma 3 di tale disposizione. La tassa in questione è dovuta – in forza del disposto del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1 – per effetto dell'occupazione o della detenzione di locali ed aree scoperte, a qualsiasi uso adibite, ponendo una presunzione iuris tantum di produttività, superabile solo dalla prova contraria del detentore dell'area – disponendo, altresì, che le circostanze escludenti la produttività e la tassabilità debbano essere dedotte dal
contribuente o nella denuncia originaria o in quella in variazione, ed essere debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi rilevabili direttamente, o a mezzo di idonea documentazione (Cass. n. 19459 del 2003; Cass. n. 19173 del 2004; Cass,n. 9214 del 13/04/2018).
Il presupposto del tributo -così come delineato dalle richiamate disposizioni di cui alla l. n. 147 del 2013, art. 1, cit. -si correla alla detenzione dell'unità immobiliare suscettibile di produrre rifiuti urbani, così che a detti fini rileva l'inidoneità alla produzione di rifiuti di natura oggettiva, cioè riferita al locale o all'area che per sua natura o per il particolare uso cui è stabilmente destinato risulti in condizioni di obiettiva inutilizzabilità nel corso dell'anno solare , e non, dunque, la mera scelta soggettiva operata dal contribuente in ordine alla inutilizzazione del bene detenuto.
6.1.La causa di esclusione dell'obbligo del tributo è integrata dalle condizioni di obiettiva impossibilità di utilizzo dell'immobile, condizioni che non possono essere individuate nella mancata utilizzazione dello stesso legata alla volontà o alle esigenze del tutto soggettive dell'utente, e neppure al mancato utilizzo di fatto del locale o dell'area, non coincidendo – com'è evidente – le prime ed il secondo con l'obiettiva non utilizzabilità dell'immobile, ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2 (Cass., 27 dicembre 2018, n. 33426; Cass., 9 novembre 2016, n. 22756; Cass., 21 gennaio 2013, n. 1332; Cass., 13 giugno 2012, n. 9633; Cass., 28 ottobre 2009, n. 22770; Cass., 12 agosto 2004, n. 15658).
6.2.La mancata utilizzazione della struttura alberghiera per alcuni mesi dell'anno, dunque, non può di per sé corrispondere alla previsione di esenzione dal tributo di cui al d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2., (Cass. n. 9633 del 2012; Cass. n. 22770 del 2009), ben potendo lo stesso essere utilizzato per esigenze proprie del gestore o del personale. Se la struttura, come nel caso in esame, è dotata di licenza annuale, non è sufficiente la sola
denuncia di chiusura per alcuni mesi senza allegazione e prova della concreta inutilizzabilità della struttura alberghiera, atteso che, ai fini dell'esenzione, la società contribuente avrebbe potuto richiedere la licenza stagionale. Si è, infatti, affermato, come sopra precisato, che la tassa è dovuta ove sussista la obiettiva possibilità di usufruire del servizio a prescindere dalla fruizione, essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti.
7.In definitiva, l'uso stagionale degli immobili non esclude la ricorrenza del presupposto impositivo, qual legato alla disponibilità dell'area produttrice di rifiuti (d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, c. 1; v., ex plurimis, Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459; con riferimento al d.lgs. n. 507 del 1993, art. 66, Cass., 23 maggio 2019, n. 14037 cui adde Cass., 3 dicembre 2019, n. 31460): la mancata utilizzazione della struttura alberghiera in questione per alcuni mesi dell'anno di per sè non può corrispondere alla previsione di esenzione dal tributo. L'art. art. 62, comma 2, d.lgs. n. 507/1993 (a l'art. 33 del Regolamento presuppone una licenza stagionale) indica come causa di esclusione dell'obbligo del tributo le condizioni di "obiettiva" impossibilità di utilizzo dell'immobile, che -di certo -non possono essere individuate nella mancata utilizzazione dello stesso legata alla volontà o alle esigenze del tutto soggettive dell'utente (Cass. 18316/04, 17524/09), e neppure al mancato utilizzo di fatto del locale o dell'area, non coincidendo -com'è evidente le prime ed il secondo con l'obiettiva non utilizzabilità dell'immobile, ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2 (Cfr Cass. n. 22576/2016; Cass. n. 9633 del 13/06/2012; Cass. 22770/09).
Quindi, se la struttura è dotata di licenza annuale non è sufficiente la sola denuncia di chiusura invernale senza allegazione e prova
della concreta inutilizzabilità della struttura, potendo richiedere la società, a tal fine, la licenza stagionale. La tassa è quindi, dovuta ove sussista la obiettiva possibilità di usufruire del servizio a prescindere dalla fruizione essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti, con i limiti giù evidenziati che non ricorrono nella fattispecie. Occorre considerare, dunque, che parte contribuente deve adeguatamente provare di avere diritto ad esenzioni o riduzioni in ragione del carattere stagionale della attività sulla scorta delle previsioni regolamentari del Comune adottate in relazione alla normativa vigente (art. 33 del Regolamento TARI; v. Cass. n.21181/2024).
7.1.Quanto alle allegazioni relative alla chiusura per esecuzione di opere di ristrutturazione o durante il periodo Covid, nonché deducenti l'erronea applicazione delle tariffe ovvero l'erronea applicazione dell'art. 38 del Regolamento comunale , si osserva che anche le censure in rassegna sono inammissibili, in quanto che presuppongono la proposizione delle relative questioni già nella fase di merito, in primis, nel giudizio di prime cure. Le questioni sollevate risultano infatti essere poste per la prima volta davanti questa Corte, non facendone menzione la sentenza impugnata (nella esposizione delle censure svolte dalla ricorrente ovvero nella trattazione delle medesime) e non specificando d'altro canto la società nel ricorso di averla fatta valere nei precedenti gradi di giudizio (v. al riguardo Cass. 32804/2019), per cui "qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell'inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo
abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa"(Cass. n. 20147/2021; Cass. n. 16502/2017, in motiv; Cass. n. 9138/2016).
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, difatti, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio (v. Cass. Sez. 3, 09/01/2002 n. 194; Cass. del 09/07/2013 n. 17041; Cass. n. 2033/2017; Cass. n. 25319/2017; Cass. n. 907/2018).
D'altra parte, vale osservare che per ottenere l'applicazione delle tariffe degli alberghi , la società avrebbe dovuto presentare la denuncia ai sensi dell’art. 70 d.lgs. n. 507/1993, attraverso la quale avrebbe dovuto comunicare al Comune la dismissione (obiettiva inutilizzabilità) del ristorante.
8.Infine, il motivo relativo alla tariffa giornaliera risulta infondato, in quanto l’art. 33 del regolamento comunale definisce utenze non domestiche non stabilmente attive quelle utilizzate per lo svolgimento di attività stagionali o per un periodo non continuativo non superiore a 183 giorni l’anno da provarsi in base alla licenza; ne consegue che la presenza della licenza annuale esclude l’applicabilità della norma regolamentare in rassegna.
9.Segue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in, favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 4.500,00, per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura
del 15% ed altri accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione