Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16727 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16727 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso nr. 28585-2018 RG proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso e con
domicilio digitale eletto presso l’ indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL
-controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Sindaco pro tempore
-intimato – avverso la sentenza n. 1124/2/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della RAGIONE_SOCIALE, depositata il 4/6/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del l’11 /6/2024 dal Consigliere Relatore AVV_NOTAIO NOME COGNOME
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), quale concessionaria del Comune di Fucecchio per la riscossione della Tariffa d’Igiene Ambientale (T.I.A.), propone ricorso, affidato a undici motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della RAGIONE_SOCIALE, in sede di rinvio da Cass. n. 10788/2016, aveva respinto l’appello avverso la sentenza n della Commissione tributaria provinciale di Firenze, con cui era stato accolto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) avverso fattura di pagamento NUMERO_DOCUMENTO 2002 -2005, ed ha da ultimo depositato memoria difensiva;
la società contribuente resiste con controricorso ed ha da ultimo depositato memoria difensiva;
il Comune di Fucecchio è rimasto intimato
CONSIDERATO CHE
1.1 con il primo motivo la società ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato laddove la Commissione tributaria regionale aveva omesso di pronunciarsi circa il motivo di appello relativo alla «omessa declaratoria di debenza della T.I.A. con riferimento ai locali diversi dai magazzini e sale di lavorazione» della società contribuente;
1.2. la censura è fondata;
1.3. la Commissione tributaria regionale ha affermato quanto segue: «… parte dei locali … utilizzati sono destinati ad attività (ufficio) che non producono rifiuti speciali e che dunque non possono andare esenti dalla T.I.A. A propria volta, RAGIONE_SOCIALE non ha formulato censure, con l’appello originariamente proposto avverso la sentenza della C.T.P., nei confronti di quella parte della sentenza che affermava la illegittimità del tributo in ordine alle superfici produttive di rifiuti solidi urbani»;
1.4. emerge, tuttavia, dal contenuto dell’atto di appello (ritualmente trascritto in parte qua nel ricorso) che la Concessionaria aveva specificamente impugnato la pronuncia di primo grado nella parte in cui era stato disposto l’integrale annullamento della fattura impugnata, anche con riguardo ai locali in cui la stessa contribuente aveva riconosciuto di produrre rifiuti solidi urbani;
1.5. ciò posto, la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sussiste sia quando il giudice trascuri di esaminare una domanda od una eccezione, sia quando sostituisca d’ufficio un’azione ad un’altra, a causa del travisamento dell’effettivo contenuto della domanda (cfr. Cass. n. 19214/2023);
1.6. nel caso in esame ricorre dunque il suddetto vizio in relazione alla pronuncia d’appello che ha omesso di provvedere sul suddetto motivo di gravame, ritenendo, erroneamente che l’appellata avesse omesso di censurare in parte qua la sentenza di primo grado, così travisando il contenuto effettivo della censura;
1.7. occorre inoltre evidenziare l’infondatezza dell’eccezione, sollevata da parte controricorrente, nella memoria difensiva da ultimo depositata, nei seguenti termini:«Il Comune di Fucecchio, ente titolare del potere impositivo, dopo aver interposto appello avverso la sentenza della C.T.P. di Firenze n. 148/4/07 parzialmente accolto dalla C.T.R. RAGIONE_SOCIALE con la sentenza n. 54/9/2008, non si è costituito nel giudizio di rinvio ritualmente riassunto dalla comparente … e ha quindi prestato acquiescenza alla sentenza C.T.P. di Firenze n. 148/04/07, con ogni conseguente effetto anche riguardo al giudizio … deciso dalla C.T.R. RAGIONE_SOCIALE con la sentenza n.
1124/2/2018. Da tanto discende, per riguardo ai profili di merito espressione del potere impositivo, che la sentenza C.T.P. di Firenze n. 148/04/2007, quanto alla posizione del Comune, è coperta da giudicato irretrattabile»;
1.8. è d’uopo, infatti, evidenziare che la controricorrente non ha contestato, nel corso del giudizio, che la gestione TIA – nelle annualità di riferimento – fosse stata effettivamente affidata, nell’esercizio di una facoltà di legge ed in forza di specifica convenzione annuale prorogabile, a RAGIONE_SOCIALE (attuale RAGIONE_SOCIALE), e ciò per quanto riguarda, tra il resto, proprio le attività qui rilevanti di accertamento (applicazione della tariffa) e riscossione;
1.9. si tratta, quindi, di affidamento che la Società ha opposto in giudizio sulla base della Convenzione in atti, ed appunto attestante il conferimento della gestione integrata dei rifiuti urbani ed assimilati alla suddetta società RAGIONE_SOCIALE;
1.10. ne deriva che, in base a quanto previsto dall’art. 49 d.lgs 22/1997, comma 9 («la tariffa è applicata dai soggetti gestori nel rispetto della convenzione e del relativo disciplinare») e comma 13 («la tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio»), la fattura opposta, rientrando nell’attività di applicazione-gestione-riscossione della tariffa, doveva essere emessa dalla società affidataria nell’ambito dei propri fini istituzionali (si osserva come analoga disciplina sia contenuta nel co.3 dell’art. 238 del d.lgs. 152/2006 – TU Ambiente – vigente all’esito dell’emanazione della normativa regolamentare di attuazione, secondo cui la tariffa «è applicata e riscossa dai soggetti affidatari del servizio di gestione integrata sulla base dei criteri fissati dal regolamento di cui al comma 6»), e neppure varrebbe obiettare che, trattandosi di materia impositiva, la legittimazione all’accertamento non potrebbe che spettare, in via esclusiva, all’ente pubblico in quanto titolare della relativa pretesa, oltre che destinatario finale dell’introito (cfr. Cass. n. 17491/2017);
1.11. va infatti considerato che – ferma restando la natura tributaria e non corrispettiva della TIA1 (cfr. Corte Cost. sent. n. 238/2009) – non si verte tuttavia, nella specie, di estrinsecazione autoritativa di attività impositiva, bensì di attuazione in concreto di una pretesa impositiva i cui
presupposti applicativi e parametri economici di debenza sono stati, in effetti, precedentemente tutti individuati proprio dal Comune, nell’osservanza di quanto stabilito dalla legge;
1.12. in altri termini, se è vero che l’attività impositiva delegata dalla legge statale non può che spettare in via esclusiva all’ente locale (comma 8, art.49 cit.: «la tariffa è determinata dagli enti locali, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativi al servizio»), inteso quale soggetto attivo e responsabile dell’imposizione, altrettanto indubbio è che l’emissione dell’avviso di accertamento non rientra nell’esercizio di siffatta attività, quanto in quella di gestione e recupero del tributo secondo la disciplina già emanata dallo stesso Comune con le delibere di approvazione dei regolamenti concernenti il servizio raccolta rifiuti e della relativa tariffa;
1.13. non viene dunque qui inficiato il principio secondo cui «l’affidamento da parte dell’ente locale della gestione dei rifiuti urbani ad un gestore esterno, ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, non comporta, né consente, il trasferimento del potere di determinare la tariffa prevista dal successivo art. 49; sia perché deve essere l’ente impositore, assumendosene la responsabilità politica, ad individuare il gettito ritenuto sufficiente per la gestione del servizio da affidare a terzi, sia perché, altrimenti, operando il gestore in regime di monopolio, la tariffa sarebbe sostanzialmente determinata al di fuori di ogni tipo di controllo, sia quello privato della concorrenza, sia quello politico» (cfr. Cass. SSUU n. 8313/2010), posto che l’attività che doveva essere esercitata dalla affidataria RAGIONE_SOCIALE non si concretava in alcun modo nella ‘determinazione’ della tariffa applicabile (nei suoi presupposti generali di an e quantum ), ma soltanto nell’accertamento e nel recupero di un credito predeterminato in ragione delle delibere comunali in materia;
1.14. in ambito analogo (ICI) è stato affermato il principio di legittimità secondo cui «qualora il Comune, in applicazione dell’art. 52 del d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446, che regola la potestà regolamentare generale delle Province e dei Comuni in materia di entrate, anche tributarie, affidi il servizio di accertamento e riscossione della tassa, mediante apposita convenzione, ai soggetti terzi indicati nelle norme suddette, il potere di accertamento del
tributo spetta non già al Comune, ma al soggetto concessionario, ai quali è pertanto attribuita anche la legittimazione processuale per le relative controversie» (cfr. Cass. n. 1138 del 21/01/2008; così 6772/2010 e 20852/2010), e lo stesso principio è inoltre desumibile – sebbene a contrario – anche da quella giurisprudenza di legittimità formatasi proprio in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani ex art. 49 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, dalla quale si evince che, fermo restando il potere del Comune di accertare e riscuotere la ‘tassa’ di smaltimento (TARSU) in vigore prima della sua sostituzione ad opera della ‘tariffa’ (TIA), tale potere va invece riconosciuto – all’esito del regime transitorio di introduzione di quest’ultima, come qui rilevante – proprio al «soggetto che gestisce il servizio» in forza di concessione; e ciò anche per quanto concerne la legittimazione processuale nelle relative controversie (cfr. Cass. nn. 4893/2013; 1179/2004);
1.15. con riguardo al caso in esame, quindi, la Concessionaria aveva la facoltà ed il potere di proporre autonoma impugnazione alla sentenza di primo grado (come è dato riscontrare sulla base di quanto dianzi illustrato), non potendo ritenersi che la legittimazione processuale ad avanzare impugnazione avverso la suddetta spettasse unicamente al Comune di Fucecchio, limitatosi ad intervenire nel giudizio, il che esclude che la pronuncia dei Giudici di prime cure fosse divenuta definitiva sulla scorta della sola mancata impugnazione da parte dell’ente locale, come eccepito dalla controricorrente;
2.1. con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., nullità della sentenza per motivazione apparente circa il rigetto dell’appello ;
2.2. la censura va disattesa;
2.3. per costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le molte, Cass. 26 giugno 2017, n. 15883; Cass. 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. sez. unite 3 novembre 2016, n.22232; Cass. 6 giugno 2012, n. 9113; Cass. 27 luglio 2007, n. 16736), ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorché il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza un’approfondita
disamina logica o giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento;
2.4. nella fattispecie in esame la sentenza impugnata, seppure in modo non del tutto lineare, esplicita in maniera sufficiente la ratio decidendi circa l’infondatezza della pretesa tributaria in relazione alla produzione non solo di rifiuti solidi urbani, ma anche di rifiuti speciali «smaltiti con procedure a carico diretto di chi li origina», consentendo il controllo del percorso logico -giuridico che ha portato alla decisione, tant’è che, con i restanti motivi, la Concessionaria ha potuto censurare compiutamente gli errori di diritto che, secondo la suddetta parte, giustificano comunque la richiesta cassazione dell’impugnata sentenza;
3.1. con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., omessa pronuncia della Commissione tributaria regionale ci rca il motivo di gravame relativo all’inammissibilità del ricorso introduttivo della contribuente avverso fattura di pagamento;
3.2. la censura è inammissibile avendo questa Corte, con la pronuncia di rinvio dianzi citata, espressamente preso in esame la suddetta censura, dichiarandola inammissibile («Preliminarmente va dato atto che la controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per cassazione con riferimento alla non impugnabilità della fattura. L’eccezione è inammissibile, in primo luogo perché attinente al merito del ricorso originariamente proposto dalla contribuente e non già all’ammissibilità del ricorso per cassazione e, in secondo luogo, risultando che la sentenza impugnata su detta questione si è espressamente pronunciata in senso sfavorevole alla società RAGIONE_SOCIALE, che avrebbe, quindi, dovuto impugnare detta statuizione con ricorso incidentale condizionato onde poter ottenere, in caso di accoglimento del ricorso principale, la riforma in parte qua della sentenza di secondo grado»);
4.1. con il quarto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia circa il motivo di gravame relativo alle tardive deduzioni della contribuente, formulate solo in grado di appello, circa la non
assimilabilità dei propri rifiuti ed il superamento dei limiti quantitativi di assimilazione adottati dal Comune;
4.2. le doglianze sono inammissibili avendo la Commissione tributaria regionale implicitamente respinto le doglianze laddove ha ritenuto non tassabili i locali in quanto produttivi di rifiuti speciali smaltiti a carico del produttore;
4.3. come è noto, infatti, non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata, in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, non occorrendo una specifica argomentazione in proposito (cfr. Cass. n. 2151/2021; Cass. n. 15255/2019; Cass. n. 20718/2018);
5.1. con il quinto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Commissione tributaria regionale omesso di accertare la natura dei rifiuti prodotti nei locali per i quali era stata chiesta l’esenzione di pagamento;
5.2. con il sesto e settimo motivo la ricorrente ha riproposto le suddette censure, anche sotto il profilo della violazione di norme di diritto (art. 7 e all. D, G, H ed I d.lgs. n. 22/1997, artt. 13 -17 della deliberazione C.C. di Fucecchio n. 24/2003 e «dei corrispondenti articoli della deliberazione C.C. di Fucecchio n. 17/2002» ), circa l’omessa individuazione dell’effettiva natura dei rifiuti, definiti dalla Commissione tributaria regionale «tossici o speciali», nonostante le specifiche previsioni regolamentari relative all’assimilazione dei rifiuti;
5.3. con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, lamentando che la Commissione tributaria regionale abbia omesso di valutare che «la pericolosità dei rifiuti prodotti dalla … ( ndr . contribuente) … era esclusa dall’esame dei ‘codici rifiuto’ riportati nei M.U.D. … »;
5.4. con il nono motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, circa l’insussistenza del
superamento dei limiti quantitativi di assimilazione dei rifiuti, allegato dalla contribuente;
5.5. con il decimo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione degli artt. 19 -25 «della deliberazione C.C. di Fucecchio n. 24/2003 e dei corrispondenti articoli della deliberazione C.C. di Fucecchio n. 17/2002», che disponevano il generale assoggettamento a tariffa di ogni locale o vano ricadente nel territorio comunale, compresi «tutti i vani di stabilimenti, opifici industriali»;
5.6. con l’undicesimo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione dell’art. 49 d.lgs. n. 22/1997 in combinato disposto con il d.P.R. n. 158/1999 per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente escluso dalla tassazione le superfici delle utenze «non domestiche», ovvero dei locali industriali, sebbene con riguardo alla TIA non operi «l’esclusione delle sale di lavorazione prevista in regime TARSU»;
5.7. il nono motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, non avendo la Commissione tributaria regionale in alcun modo argomentato circa una produzione quantitativa di rifiuti speciali «eccedente i limiti di ‘assimilazione’», come invece lamentato dalla ricorrente;
5.8. le rimanenti doglianze, da esaminare congiuntamente, in quanto strettamente connesse, sono fondate nei limiti di seguito indicati;
5.9. l’atto impugnato ha ad oggetto la tariffa d’igiene ambientale (TIA) la quale (come affermato da Corte costituzionale con sentenza n. 238 del 2009) costituisce una mera variante della TARSU di cui conserva anche la relativa qualifica di tributo ( ex plurimis cfr. Cass. n. 5360 del 27/02/2020; Cass. n. 10787 del 25/05/2016);
5.10 . l’art. 49 d.lgs. n. 22 del 1997 (cd. Decreto Ronchi) pone la regola dell’assoggettabilità all’imposta di tutti i locali esistenti nel territorio comunale in quanto potenzialmente produttivi di rifiuti, ed il comma 3 della citata disposizione, infatti, stabilisce che «la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso
privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale»;
5.11. la tariffa è suddivisa in una quota fissa, concernente le componenti essenziali del servizio (riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti), e in una quota variabile in rapporto alle quantità di rifiuti conferiti al servizio e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio (comma 4);
5.12. poiché la quota fissa è destinata a finanziare i costi essenziali del servizio nell’interesse dell’intera collettività, essa è sempre dovuta per intero sul mero presupposto del possesso o della detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, mentre ogni valutazione in ordine alla quantità dei rifiuti concretamente prodotti dal singolo o al servizio effettivamente erogato in suo favore può incidere solo ed esclusivamente sulla parte variabile della tariffa (cfr. Cass. nn. 5578/2023; 8222/2022; 5360/2020; 14038/2019);
5.13 . il comma 14 dell’art. 49 dispone che «sulla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di avere avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi»;
5.14. da tali dati emerge il carattere «universale» della TIA, essendo ad essa soggetti tutti i locali siti nel territorio dell’ente comunale impositore (cfr. Cass. n. 5360 del 2020 cit.), salva la riduzione della quota variabile della tariffa in relazione ai rifiuti speciali assimilati a quelli urbani, smaltiti in proprio dal contribuente;
5.15 . quanto ai rifiuti speciali non assimilati, trova applicazione l’art. 62, comma 3, d.lgs. n. 507 del 1993, dettato in tema di TARSU e applicabile anche alla TIA (cfr. Cass. n. 9859 del 2016) il quale dispone che «nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali»;
5.16. ne consegue che le superfici interessate da attività che producono rifiuti speciali non assimilati sono escluse dal computo della complessiva superficie tassabile;
5.17. peraltro, come chiarito da questa Corte, «grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell’esenzione prevista per le aree produttive di rifiuti speciali non assimilati, poiché questa regola, già vigente con riferimento alla tassa per la raccolta dei rifiuti solidi urbani, di cui la TIA rappresenta una mera variante successiva, risulta specificamente desumibile per tale tributo dal regime delineato dall’art. 49 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, il quale, dopo aver stabilito, al comma terzo, un ‘ applicazione generalizzata della tariffa, fa salvo, al comma 14, il riconoscimento di un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi» (cfr. Cass. n. 3756 del 09/03/2012; Cass. n. 10787 del 25/05/2016);
5.18. il contribuente ha, dunque, l’onere di dimostrare l’effettivo e corretto avviamento al recupero attraverso valida documentazione che dimostri il conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati a detta attività in base alle norme del d.lgs. n. 22 del 1997;
5.19. in tema di ripartizione dell’onere probatorio spetta, invero, al contribuente fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti esclusivamente i rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta), che pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile, in applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, posto che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale è onere dell’amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell’obbligazione tributaria (nella specie, l’occupazione di aree nel territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull’interessato (oltre all’obbligo di denuncia ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70), un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopra descritte dalla
superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. 13 settembre 2017, n. 21250; 4 aprile 2012, n. 5377);
5.20. a tal fine, in mancanza di specifica contestazione al riguardo, sia il MUD che i registri di carico e scarico possono anche essere ritenuti elementi comprovanti il superamento della soglia stabilita dal Comune, ai fini dell’esclusione dall’assimilazione d ei rifiuti speciali non pericolosi agli urbani;
5.21. diversamente, tale circostanza, da sola, non è sufficiente ai fini dell’esclusione dalla tassazione, dovendo la società fornire la prova non solo della produzione di rifiuti speciali in misura superiore ai valori stabiliti dal Comune, ma anche di avere provveduto al loro effettivo smaltimento mediante imprese specializzate, producendo copia dei relativi contratti e/o delle relative fatture, in quanto ratio dell’esclusione dell’imposta, in tale caso, è di evitare un’indebita duplicazione di costi in ca po ai soggetti che producono tali rifiuti e che sono tenute a pagare imprese specializzate per il loro smaltimento in quantità maggiori di quelle previste dalla deliberazione comunale (cfr. Cass. n. 10812 del 2016; sull’insufficienza della sola produzione documentale dei MUD cfr. anche Cass. n. 15481 del 2019);
5.22. in definitiva, mentre la dimostrazione da parte del contribuente dell’effettivo e corretto avviamento al recupero dei rifiuti urbani assimilati determina il diritto ad una riduzione tariffaria quantificata in concreto – a consuntivo – in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero, la produzione di rifiuti speciali (non assimilabili o non assimilati) comporta la riduzione della superficie tassabile, prevista dal citato d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3;
5.23. venendo al caso in esame, la sentenza impugnata non ha fatto buon governo dei principi sopra esposti;
5.24. in particolare, la Commissione tributaria regionale non ha chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto che la contribuente produca «rifiuti speciali» non assimilati, non avendo fatto riferimento ad alcuna delle specifiche previsioni regolamentari del Comune, dianzi indicate, circa le diverse categorie dei rifiuti, né sono state indicate le prove fornite dalla
contribuente per usufruire dell’esenzione in relazione allo smaltimento dei suddetti rifiuti a proprio carico, senza dar conto, altresì, sia dell’irrilevanza dell’eventuale presenza di rifiuti speciali non assimilabili ai fini dell’integrale esenzione del pagamento del tributo in esame, essendo stato annullato l’atto impugnato anche relativamente al pagamento della quota fissa della TIA, sia dell’eventuale sussistenza di fattori oggettivi e permanenti che potessero determinare l’impossibilità di produrre rifiuti nei locali sottoposti a tassazione (avendo la Commissione tributaria regionale al contrario affermato che «parte dei locali … utilizzati sono destinati ad attività (ufficio) che non producono rifiuti speciali e che dunque non possono andare esenti dalla T.I.A.»);
6. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, vanno accolti il primo, il quinto, il sesto, il settimo, l’ottavo, il decimo e l’undicesimo motivo nei limiti dianzi illustrati, respinte le rimanenti censure, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della RAGIONE_SOCIALE in diversa composizione, che riesaminerà la controversia attendendosi ai principi di diritto sopra esposti, ed a cui resta demandata anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il quinto, il sesto, il settimo, l’ottavo, il decimo e l’undicesimo motivo nei limiti di cui in motivazione, respinte le rimanenti censure; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della RAGIONE_SOCIALE in diversa composizione, cui demanda di pronunciare anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da