Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24240 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24240 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/09/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 16728-2017, proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE , cf. 04487481006, elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, dal quale è rappresentata e difesa –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE , cf CODICE_FISCALE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis-
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 8654/14/2016 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 19.12.2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 14 maggio 2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME,
Premesso che
Dalla sentenza impugnata e dagli atti difensivi RAGIONE_SOCIALE parti si evince che, a seguito di una ispezione ed una verifica di militari della GdF presso la sede della ricorrente, l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE notificò un avviso d’accertamento
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE -Attività di solidarietà sociale -Esenzione da imposte Requisiti
con cui, reputando insussistenti i requisiti necessari a configurare la qualità di RAGIONE_SOCIALE in capo alla associazione, e applicando di conseguenza la tassazione prevista per le società commerciali ai fini IRES, IRAP e IVA, relativamente all’anno d’imposta 2009 fu intimato il pagamento di € 34.674,97.
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE impugnò l’atto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che con sentenza n. 13998/12/2015 dichiarò il ricorso inammissibile perché tardivo.
L’appello, con cui l’RAGIONE_SOCIALE investì della controversia la Commissione tributaria regionale del Lazio, fu respinto con la sentenza n. 8654/14/2016. Il giudice regionale ritenne l’impugnazione ammissibile, ma nel merito rigettò le ragioni della contribuente, sia in ordine alla denunciata nullità dell’avviso d’accertamento, per la denunciata mancata notifica del processo verbale di constatazione su cui era fondato, sia in riferimento alla sussistenza dei presupposti per la fruizione del regime fiscale agevolato, negata dall’ufficio . Nella specie, e con riferimento ai soggetti cui l’RAGIONE_SOCIALE forniva prestazioni assistenziali, la pronuncia ora al vaglio di questa Corte affermò che la disciplina applicabile era quella regolata dall’art. 10 del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, che, nella previsione del perseguimento di finalità di solidarietà sociale, individuava quali beneficiari ‘persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali e familiari’. Tali condizioni, in cui era necessario che versassero i fruitori RAGIONE_SOCIALE prestazioni erogate dalla RAGIONE_SOCIALE, non risultavano in alcun modo dimostrate, venendo pertanto meno i presupposti RAGIONE_SOCIALE esenzioni fiscali reclamate dalla contribuente.
Per la cassazione della sentenza la ricorrente ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria, cui resiste l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Nell’adunanza camerale del 14 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
Considerato che
Con il primo motivo l a ricorrente si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. Erroneamente il giudice regionale ha ritenuto che il verbale della GdF fosse conosciuto dalla contribuente, essendone stata consegnata copia, laddove del medesimo era
stata denunciata la mancata consegna e conoscenza da parte della contribuente.
Il motivo è inammissibile. Trattandosi di sentenza pubblicata il 19 dicembre 2016, al giudizio trova applicazione la formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., che, introdotta dall’art. 54, primo comma, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito della legge 7 agosto 2012, n. 134, è entrata in vigore dal giorno 11 settembre 2012 e dunque anteriormente alla pubblicazione della sentenza impugnata. Pertanto nel ricorso per cassazione non sono più ammissibili le censure per contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza, e al di fuori RAGIONE_SOCIALE quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; 20/11/2015, n. 23828; 12/10/2017, n. 23940). Con la nuova formulazione del n. 5 dunque lo specifico vizio denunciabile per cassazione deve essere relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia. Ne deriva che il mancato esame di elementi istruttori non integra di per sé il fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Nella fattispecie ora esaminata il giudice d’appello, sia pur sinteticamente, prende in esame la doglianza della contribuente, respingendola, e a tal fine valorizza che nell’atto impositivo si attesta che una copia del verbale fosse stata consegnata alla parte. Si tratta, con evidenza, di una affermazione che implica una valutazione di fatto e d ‘altronde, per mera completezza, dalle difese della contribuente, nel ricorso e nelle memorie, è palese la conoscenza dell’atto. Si ammette di aver ricevuto una ispezione del 2009, si elabora la difesa in ordine al terzo motivo,
riferendo RAGIONE_SOCIALE indagini eseguite dai militari con audizione dei genitori dei ragazzi tenuti presso l’RAGIONE_SOCIALE (pag. 11, punto 3.4), ci si contraddice nella memoria, perché sui medesimi fatti si dice che fossero stati raccontati al legale rappresentante dai genitori, mentre nel ricorso si fa esplicito richiamo all’ispezione del 2009.
Quanto ai dubbi che si tenta di ingenerare con la memoria illustrativa in ordine alla attinenza dell ‘ispezione al 2009, secondo l’assunto che essa afferirebbe contraddittoriamente ad un anno d’imposta non ancora concluso, si tratta di una difesa priva di ogni pregio, perché in que sto caso l’ispezione non ha riguardato la contabilità dell’anno medesimo, ma la co nstatazione dell’assenza dei requisiti per fruire RAGIONE_SOCIALE agevolazioni fiscali.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 115 cod. proc. civ., 2697 cod. civ., 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., quanto alla mancata osservanza RAGIONE_SOCIALE regole sull’onere della prova. Erroneamente il giudice d’appell o avrebbe invertito l’onere della prova, pretendendo dalla contribuente la prova che i beneficiari RAGIONE_SOCIALE prestazioni erogate dalla RAGIONE_SOCIALE si trovassero nella condizione di ‘soggetti svantaggiati’ .
A parte l’incomprensibile richiamo al vizio di nullità processuale, cui fa riferimento il parametro di censura contenuto nel numero 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., il motivo è infondato perché la prova della sussistenza dei presupposti per la fruizione di agevolazioni fiscali in tema di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE spetta rigorosamente al beneficiario e dunque all ‘associazione .
L’onere probatorio a carico dell’ente è peraltro tanto più marcato quando si consideri che in materia di agevolazioni fiscali, l’art. 10, secondo comma, lett. a), del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, recante la disciplina tributaria di enti non commerciali ed RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, deve essere interpretato restrittivamente, trattandosi di previsione relativa ad esenzioni, sicché la nozione di “persone svantaggiate” ivi contenuta va riferita a categorie di individui in condizioni oggettive di disagio per situazioni psico fisiche particolarmente invalidanti, ovvero per stati di devianza, degrado, grave precarietà economico familiare, emarginazione sociale, mirando la norma a colmare una siffatta condizione deteriore in cui si trovi, negli ambiti specifici da essa individuati, una particolare categoria di soggetti rispetto alla generalità dei consociati, ma
non può intendersi fino a ricomprendere una finalità di prevenzione dell’insorgere RAGIONE_SOCIALE situazioni di patologia o di devianza sociale (ex multis, cfr. Cass., 28 marzo 2014, n. 7311; 18 settembre 2015, n. 18396; 26 giugno 2020, n. 12804).
Ebbene, le stesse prospettazioni difensive sviluppate dalla contribuente nel ricorso non consentono di identificare l’appartenenza dei soggetti cui l’ente destinava la propria attività ad una di queste categorie, ma, soprattutto, ai fini del rispetto del principio di specificità del motivo, manca ogni riferimento a quale documentazione e in quale momento dell’iter processuale la ricorrente abbia portato all’attenzione del giudice di merito le eventuali prove sulla tipologia di soggetti destinatari dell’atti vità sociale. Se poi, con le difese articolate nel ricorso, la contribuente intenda ottenere una rivalutazione dei fatti, ossia una rivalutazione nel merito dei fatti, ciò è inammissibile in sede di legittimità.
Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 4 della l. n. 381/1991 e dell’art. 10 d.lgs. n. 460 del 1997. Erroneamente il giudice regionale avrebbe affermato che l’associazione non potesse qualificarsi come RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, mancando la prova che le prestazioni fossero erogate a soggetti riconducibili nella categoria RAGIONE_SOCIALE persone svantaggiate.
Il motivo è infondato e soprattutto eccentrico rispetto alla motivazione. Al di là del corretto richiamo all’art. 10 del d.lgs. 460 del 1997, il giudice regionale ha evidenziato che l’associazione non ha allegato una sola prova sulle condizioni dei destinatari RAGIONE_SOCIALE prestazioni erogate (non solo una certificazione pubblica, ma qualunque certificazione o prova RAGIONE_SOCIALE condizioni di disagio). Per quanto già illustrato con riferimento al secondo motivo e per le osservazioni appena sviluppate, qualunque conclusione diversa da quelle illustrate dalla CTR autorizzerebbe un arbitrario ed incontrollabile accesso ai benefici fiscali.
Il ricorso va dunque rigettato. Le spese processuali seguono le regole della soccombenza e vanno liquidate nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
NUMERO_DOCUMENTO La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE spese di lite, che si liquidano nell’imposto di € 4.500,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 14 maggio 2024