Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3711 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3711 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12985/2018 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. MARCHE n. 216/2017 depositata il 24/03/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento del 4 dicembre 2007, l’Agenzia delle Entrate procedeva alla rettifica della dichiarazione IVA presentata dalla contribuente per l’anno 2004, recuperando la maggiore imposta dovuta, avuto riguardo a: fatturazioni effettuate nei confronti di ditte sanmarinesi in violazione dell’art. 71 d.P.R. n. 633 del 1972; acquisti in sospensione d’imposta in difetto dei requisiti delineati ex L. n. 28 del 1997; indebita detrazione IVA su servizi accessori correlati a contratto di noleggio di autovetture; indebita deduzione di costi relativi a ‘servizi e consulenza aziendale’. La CTP di Ancona accoglieva parzialmente il ricorso della contribuente. La CTR delle Marche ha rigettato l’appello dell’Agenzia, la quale si affida a ricorso per cassazione articolato su tre censure. La contribuente resiste con controricorso e memorie. Il Sost. P.G. NOME COGNOME ha fatto pervenire conclusioni scritte con le quali ha chiesto l’accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8 e 71 d.P.R. n. 633 del 1972 e del D.M. 24 dicembre 1993, avuto riguardo all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la CTR riconosciuto l’applicabilità del regime di non imponibilità IVA sulle esportazioni a San Marino, pur a fronte dell’inadempimento degli obblighi formali previsti dalla disciplina di riferimento.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 36, co. 2, D.Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., per avere la CTR reso una motivazione
apparente a supporto della statuizione in base alla quale ‘ le violazioni di carattere puramente formale non precludono il diritto all’esenzione dell’IVA’.
Con il terzo motivo si contesta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 e dell’art. 21 d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per avere la CTR ‘ valutato esistenti e inerenti costi privi, in realtà, di un livello documentale sufficiente per consentire un adeguato giudizio di inerenza ‘, essendo richiesta la prova di ‘ un effettivo collegamento strumentale tra le operazioni di cui si chiede la detrazione e quelle oggetto dell’attività di impresa ‘.
Il primo motivo è infondato.
In effetti la CTR adotta una posizione condivisibile nella misura in cui depotenzia la rilevanza del profilo formale degli adempimenti.
Giova premettere che le peculiarità degli scambi commerciali con la Repubblica di San Marino hanno indotto il legislatore nazionale a introdurre nel d.P.R. n. 633 del 1972 (c.d. ‘Decreto IVA’), con l’art. 71, una particolare disciplina sostanzialmente derivata dall’art. 8, volta ad equiparare le cessioni verso operatori sammarinesi alle esportazioni e a consentirne la classificazione nel novero delle operazioni non imponibili, secondo modalità da definire con appositi decreti ministeriali, l’ultimo dei quali è quello del 24 dicembre 1993.
Esso è stato preceduto dall’accordo interinale di commercio e unione doganale con la CEE del 27 novembre 1992, il quale, all’art. 5, stabilisce che ” gli scambi commerciali tra la Comunità e la Repubblica di San Marino vengono effettuati in esenzione da tutti i dazi all’importazione e all’esportazione “, senza però che il territorio sammarinese sia fatto rientrare nel territorio doganale comunitario. Allo scopo di rendere efficace il conseguente aggiornamento delle procedure amministrative dell’interscambio italo-sammarinese, il Ministro degli esteri italiano e il Segretario di
Stato sammarinese hanno proceduto, in data 10 novembre 1993, allo scambio di lettere diplomatiche nelle quali le alte Parti hanno concordato che sull’esemplare della fattura restituito dall’acquirente deve essere applicata una marca sammarinese ” debitamente perforata con l’indicazione della data ” e apposto anche un ” timbro a secco circolare contenente intorno allo stemma ufficiale sammarinese la seguente dicitura ‘Rep. San Marino – Uff. Tributario ‘” (punto 3). Ciò rimanda al D.M. 26 gennaio 1983, art. 1, ove già si parlava di esemplare della fattura restituito dall’acquirente e munito ” della marca in uso nella Repubblica di San Marino, (…) debitamente perforata con l’indicazione della data ” e ” del timbro a secco circolare, contenente intorno allo stemma ufficiale sammarinese la seguente dicitura Repubblica di San Marino – Ufficio tributario “.
Con il precitato D.M. 24 dicembre 1993, attuativo dell’art. 71 del Decreto IVA e dell’accordo italo-sammarinese, si stabilisce che gli operatori economici italiani i quali cedono beni ad operatori economici aventi sede, residenza o domicilio nella Repubblica di San Marino sono tenuti ad emettere, in quadruplice esemplare, la fattura di cui all’art. 21 d.P.R. n. 633 del 1972: tre di tali esemplari devono essere consegnati o spediti all’acquirente, che ne restituisce uno agli effetti di quanto stabilito ai successivi art. 3, n. 3), e art. 4 del cit. D.M. (art. 1); i beni ceduti devono essere trasportati o spediti nel territorio sammarinese dal cedente o dall’acquirente o da terzi per loro conto (art. 2) e l’operatore economico italiano deve, tra l’altro, registrare a norma dell’art. 21 d.P.R. n. 633 del 1972 la fattura emessa (art. 3).
Più in dettaglio, l’art. 4 del D.M. cit. prescrive: ” In relazione alle cessioni di cui all’art. 1, si applicano le disposizioni di cui agli artt. 8 e 9 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modifiche e integrazioni, a condizione che l’operatore italiano: a) sia in possesso dell’esemplare della fattura indicata all’art. 3, n. 3; b) ne
abbia preso nota a margine delle corrispondenti scritture eseguite nel registro di cui all’art. 23 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modifiche ed integrazioni; c) abbia provveduto a redigere, per la sola parte fiscale, ed a presentare l’elenco riepilogativo delle cessioni di cui all’art. 6 D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 1993 n. 75 (…) “. Inoltre, a mente dell’art. 3, sull’esemplare della fattura restituito dall’acquirente ” è (…) applicata la marca di cui al successivo art. 6, debitamente perforata con l’indicazione della data, e munito di timbro a secco circolare contenente intorno allo stemma ufficiale sammarinese la seguente dicitura ‘Rep. di San Marino – Uff. Tributario ‘” e, a mente dell’art. 6, ” L’ufficio tributario sammarinese sull’esemplare della fattura di cui all’art. 1 appone una marca non avente valore facciale, stampata su carta filigranata, recante le seguenti caratteristiche: 1) nella parte sinistra: la riproduzione della Statua della Libertà; 2) a fianco della predetta riproduzione, dall’alto verso il basso, le seguenti scritte: Repubblica di San Marino; “imposta assolta” ovvero “in franchigia: il numero progressivo di ciascuna marca; “originale”; “imposta sulle importazioni “.
Per la circolare del 7 agosto 2000 n. 158 – Min. Finanze – il mancato rispetto di una della condizioni citate nel D.M. 24 dicembre 1993 (art. 4) comporta l’imponibilità dell’operazione, ribadendosi in particolare che uno dei tre esemplari consegnati al cessionario sammarinese ” dovrà da questi essere restituito munito della marca apposta dall’ufficio tributario di San Marino, con timbro a secco dello stesso “.
Ciò detto, com’è noto, in via generale, per beneficiare dell’esenzione prevista per le cessioni all’esportazione di cui all’art. 8 del cd. ‘Decreto IVA’, la destinazione della merce all’esportazione deve essere provata mediante documentazione doganale, ovvero vidimazione doganale sulla fattura o su un
esemplare della bolla di accompagnamento o del documento di trasporto, oppure secondo modi e tempi previsti da appositi decreti ministeriali per le spedizioni postali, oppure mediante attestazioni di pubbliche amministrazioni del Paese di destinazione dell’avvenuta presentazione dei beni alle autorità competenti di quel Paese, mentre strumenti di origine privata, quale ad esempio la documentazione bancaria dell’avvenuto pagamento, non possono costituire prova idonea allo scopo (Cass. n. 21809 del 2012). Ciò è ricavabile dalla disciplina doganale ai sensi dell’art. 346 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Cass. n. 20487 del 2013) e degli artt. 792, 793 e 795 del Regolamento CEE 2 luglio 1993, n. 2454 (Cass. n. 3193 del 2015).
Pertanto la previsione del D.M. 24 dicembre 1993, secondo cui uno dei tre esemplari consegnati al cessionario sammarinese deve da questi essere restituito munito della marca con timbro a secco apposto dall’ufficio tributario di San Marino, tiene il posto, per le esportazioni dall’Italia verso quella Repubblica, della documentazione doganale e di quella assimilata ordinariamente prevista dalla normativa generale per assicurare la certezza e la incontrovertibilità delle esportazioni extracomunitarie mediante un’adeguata rappresentazione documentale.
Nello specifico, questa Corte ha anche puntualizzato che ‘ In tema d’IVA, in caso di cessioni extracomunitarie di beni dall’Italia verso la Repubblica di San Marino, per dimostrare l’effettività dell’operazione al fine di beneficiare dell’esenzione prevista dall’art. 8 del d.P.R. n. 633 del 1972, è necessario che uno dei tre esemplari della fattura consegnati al cessionario sia restituito munito della marca con timbro a secco apposto dall’ufficio tributario di San Marino, che tiene il posto della documentazione doganale e di quella assimilata prevista dalla normativa generale ‘ (Cass. n. 19536 del 2016). In particolare, ‘si rende necessario, per la certezza ed incontrovertibilità delle operazioni
extracomunitarie, che le fatture restituite dall’acquirente sammarinese abbiano l’apposizione del “timbro a secco” circolare contenente intorno allo stemma ufficiale sammarinese la dicitura:”Repubblica di San Marino – Ufficio Tributario” (Cass. n. 13035 del 2015) .
La su riportata giurisprudenza nomofilattica, in tema di rapporti doganali fra Italia e San Marino, va riconsiderata nel quadro della giurisprudenza unionale, alla cui luce appare corroborata.
Il regime di non imponibilità delle operazioni all’esportazione fuori dall’Unione europea risponde al principio dell’imposizione dei beni o dei servizi nel luogo di destinazione e presuppone che il potere di disporre del bene come proprietario sia stato trasmesso all’acquirente, che il fornitore provi -rigorosamente -che tale bene sia stato spedito o trasportato in un altro Stato membro ed abbia, in seguito, lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione (così, Cass. n. 4408 del 2018). L’art. 8, primo comma, lett. a), d.P.R. n. 633 del 1972, imponeva, nella specie, che l’esportazione risultasse da documento doganale, o da vidimazione apposta dall’ufficio doganale su un esemplare della fattura ovvero su un esemplare della bolla di accompagnamento.
Questa Corte ha costantemente affermato che, in mancanza di attestazione della dogana di partenza, deve essere offerta in ogni caso una prova certa ed incontrovertibile, quale l’attestazione di pubbliche amministrazioni del paese di destinazione dell’avvenuta presentazione delle merci in dogana, poiché il regime probatorio dell’esportazione deve essere ricavato dalla disciplina doganale, e precisamente dall’art. 346, T.U. 23 gennaio 1973, n. 43, il quale consente di dare la prova dell’esportazione anche per mezzo di documentazione rilasciata da pubblica amministrazione o da dogana estera (cfr. Cass. n. 25454 del 2018; Cass. n. 4161 del 2018; Cass. n. 16971 del 2016).
Con la conseguenza che in difetto di una siffatta prova
documentale l’operazione deve considerarsi come non effettuata e, pertanto, deve essere equiparata ad una cessione nel territorio nazionale, assoggettata ad IVA.
Significativamente, la normativa unionale non detta una disciplina relativa alla prova che i soggetti passivi sono tenuti a fornire per beneficiare del regime di non imponibilità, rimettendo agli Stati membri la definizione delle condizioni per assicurare la corretta e semplice applicazione di questo regime e per prevenire ogni possibile frode, evasione e abuso, nel rispetto, in particolare, dei principi di certezza del diritto e di proporzionalità (v., in tal senso, tra varie, Corte giust., causa C-492/13, Traum, punto 27; causa C307/16, NOME COGNOME ) .
In proposito, è d’uopo osservare che i principi di certezza del diritto e di proporzionalità vanno bilanciati, perché vanno contemperate le esigenze che ne sono alla base: da un lato, quindi, occorre che le norme siano chiare e precise e la loro applicazione sia prevedibile, soprattutto quando comporti oneri finanziari, in modo da consentire ai soggetti passivi di conoscere i propri obblighi fiscali prima di concludere un’operazione (Corte giust., causa C-495/17, RAGIONE_SOCIALE, punti 55-57); dall’altro, che gli Stati membri ricorrano a mezzi che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l’obiettivo perseguito dal diritto interno, arrechino il minor pregiudizio possibile al conseguimento degli obiettivi e ai principi stabiliti dalla normativa unionale (Corte giust., causa C-307/16, cit., punto 34).
Questo bilanciamento va condotto, inoltre, alla luce del principio di neutralità, di modo che le misure nazionali senz’altro eccedono quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA qualora subordinino l’operatività del regime di non imponibilità al rispetto di obblighi formali, senza considerare i requisiti sostanziali e, in particolare, senza porsi la questione se questi ultimi siano stati soddisfatti (Corte giust., causa C-21/115, Euro Tyre, punto
Qualora, dunque, sia certa la sussistenza dei requisiti sostanziali di applicazione del regime in questione, l’inosservanza di obblighi quali la dichiarazione di vincolo al regime doganale dell’esportazione (Corte giust., causa C-275/18, NOME COGNOME) o, più in generale, l’espletamento delle formalità doganali (Corte giust., causa C-656/19, COGNOME PLUS Kereskedelmi és Szolgéltató Kft), in situazioni in cui era pacifico, rispettivamente, che i beni erano stati effettivamente esportati e che le cessioni rispondevano, per le caratteristiche oggettive, alle condizioni previste all’articolo 146, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA (Corte giust. causa C275/18, cit., punto 30), nonché che « i beni interessati dalle operazioni di cui trattasi nel procedimento principale sono stati trasportati fuori dell’Unione dai loro acquirenti e che l’uscita effettiva di tali beni dal territorio dell’Unione è attestata, per ciascuna delle cessioni in questione, da un visto apposto dall’autorità doganale di uscita su un modulo in possesso del soggetto passivo » (Corte giust., causa C-656/19, cit., punto 57), è inidonea a incidere sull’operatività del regime di non imponibilità.
Il secondo motivo di ricorso è fondato.
Difetta, infatti, l’enucleazione dei presupposti sostanziali a sostegno della perorata applicabilità del regime di non imponibilità. Il sindacato di legittimità sulla motivazione postula la verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090 del 2022; Cass. n. 22598 del 2018).
In altri termini, il controllo del vizio di legittimità rimane
circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto ” minimo costituzionale ” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario -in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità.
Nella specie, la CTR si limita ad affermare l’irrilevanza degli obblighi meramente formali, ma non si sofferma in alcun modo sull’enucleazione della prova delle condizioni sostanziali necessarie per l’applicazione del regime.
Indubbiamente, non è possibile pretendere che il trasportatore produca, al fine di dimostrare la reale esistenza dell’esportazione, una dichiarazione di esportazione, escludendo ogni altro elemento di prova (Corte giust. in causa C-495/17, cit., punto 49). Tuttavia, come già incisivamente chiarito da questa Corte (v. Cass. n. 15067 del 2022 non massimata), con il richiamato art. 8, primo comma, lett. a), d.P.R. n. 633 del 1972, che esige, quale prova della destinazione della merce all’esportazione, la vidimazione apposta dall’ufficio doganale sulla fattura o su un esemplare della bolla di accompagnamento o anche, se quest’ultima non è prescritta, del documento di trasporto, oppure secondo modi e tempi previsti da appositi decreti ministeriali per le spedizioni postali, il legislatore nazionale ha esercitato la facoltà conferita dall’art. 131 della ‘Direttiva IVA’, stabilendo con chiarezza, secondo il principio di certezza, le condizioni per ritenere soddisfacente la prova del rispetto del requisito sostanziale dell’esportazione, e all’uopo contemplando, in base al principio di proporzionalità, un ventaglio
di documenti, comprendenti sia la documentazione doganale, sia, in funzione delle esigenze di semplificazione burocratica e speditezza dei traffici commerciali, altri documenti commerciali (fattura; bolla di accompagnamento o altro documento di trasporto), formati dagli stessi operatori privati, purché, però, recanti la ‘ vidimazione dell’ufficio doganale ‘.
Nella specie, la CTR ha evidenziato l’irrilevanza dell’inadempimento degli oneri formali, ma non si è in alcun modo peritata di chiarire quale sia stata la prova offerta dalla parte contribuente a dimostrazione della riconducibilità delle operazioni compiute nel perimetro dell’esenzione.
Il terzo motivo è fondato e va accolto.
La contestazione erariale attiene a congruità e inerenza del costo. La CTR basa il proprio accertamento di fatto su tre profili: la sussistenza di un verbale del consiglio di amministrazione che affida l’incarico, ma che di per sé stesso non vale di sicuro a ‘certificare’ la strumentalità del costo all’attività d’impresa; la fatturazione del costo, la quale men che meno prova l’inerenza, apparendo alla stregua di dato a tal fine neutro; l’avvenuto pagamento, che non testimonia a sua volta la strumentalità del costo.
In realtà, al contribuente spetta l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità del costo (Cass. n. 21184 del 2014; Cass. n. 13300 del 2017). La fatturazione dei corrispettivi non è sufficiente a denotarne l’inerenza e la congruità occorrendo, al contrario, la specifica allegazione di quegli elementi necessari per
determinare l’utilità effettiva o potenziale conseguita dalla consociata che riceve il servizio.
Il ricorso va, in ultima analisi, accolto in relazione al secondo e al terzo mezzo, rigettato il primo motivo. La sentenza d’appello va cassata e la causa rinviata per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado delle Marche, in diversa composizione.
Per questi motivi
Accoglie il secondo e il terzo motivo del ricorso e rigetta il primo motivo; cassa la sentenza d’appello; rinvia la causa per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado delle Marche, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 15/01/2025.