Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14178 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14178 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33304/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (NTLGPP64E02D508F) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 1949/2019 depositata il 02/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La società RAGIONE_SOCIALE, che gestisce una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) per persone in condizioni di disabilità, ha impugnato il diniego di rimborso di credito IVA per l’anno 2011 davanti alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Roma che, con sentenza n. 5651/2018, ha accolto il ricorso.
L’appello erariale è stato a sua volta rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale (CTR) del Lazio la quale, con la sentenza in epigrafe, ha disatteso il motivo d’appello dell’Ufficio secondo cui la RSA deve essere equiparata alle case di riposo le cui operazioni sono esenti da IVA, ritenendo che tra le due strutture non sia possibile una piena equiparazione poiché garantiscono diversi tipi di prestazioni: secondo i giudici d’appello nelle RSA prevale l’aspetto sanitario, essendo previste dal SSN al fine di garantire diversi tipi di prestazioni, come confermato dalla legge n. 41/1993 della Regione Lazio che definisce le RSA come finalizzate a fornire « ospitalità, prestazioni sanitarie, assistenziali e di recupero funzionale e di inserimento sociale », così da assicurare « oltre alle prestazioni di tipo alberghiero…assistenza medica, assistenza infermieristica, assistenza riabilitativa di recupero e mantenimento ».
La CTR ha ritenuto, quindi, che « l’autentico discrimine » debba porsi con riguardo al regime della loro operatività: ove i servizi siano resi da strutture convenzionate con il Servizio Sanitario Nazionale le prestazioni sono esenti da IVA ai sensi dell’art. 10 n. 19 del d.P.R. n. 633/1972; diversamente, in caso di operatività al di fuori del regime di convenzione, come nel caso in esame, le stesse prestazioni sono da assoggettare ad IVA.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate che si è affidata ad un motivo.
Ha resistito con controricorso la contribuente, che ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 1 d.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 2 legge regionale n.
41/1993, avendo la CTR errato ad assimilare la RSA ad un ente ospedaliero, cliniche e case di cura convenzionate in quanto queste strutture rientrano nella previsione di cui all’art. 10 n. 21 del d.P.R. n. 633/1972 relativo alle case di riposo; si aggiunge che il regime non dipende dalla qualifica soggettiva del soggetto prestatore del servizio ma dal contenuto delle prestazioni rese.
2. Va disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla controricorrente, la quale osserva che il motivo tende in realtà alla rivalutazione dei fatti, perché la doglianza denunzia, invece, l’erroneità dei criteri utilizzati per qualificare giuridicamente i fatti, cioè un c.d. ‘vizio di sussunzione’. Si è, infatti, in presenza di una doglianza che investe non la ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di merito, ma la individuazione che questi ha compiuto della norma da applicare al fatto, riconducibile all’ipotesi di falsa applicazione della legge, usualmente definita ‘vizio di sussunzione’. Come noto, il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c. consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre esula dallo stesso l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, prospettabile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione e il cui esame, a differenza dalla censura per violazione di legge, è mediato dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., n. 3340 del 2019; Cass., n. 10320 del 2018; Cass., n. 24155 del 2017). Le espressioni ‘violazione o falsa applicazione di legge’, di cui all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto e quello afferente all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Mentre il vizio di violazione di legge
investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata, il vizio di falsa applicazione di legge consiste o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista -pur rettamente individuata e interpretata -non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione (cfr. Cass., n. 640 del 2019; Cass. n. 18782 del 2005). Fa, dunque, parte del sindacato di legittimità, secondo il paradigma della « falsa applicazione di norme di diritto », controllare se la fattispecie concreta, assunta così come ricostruita dal giudice di merito, è stata ricondotta a ragione o a torto alla fattispecie giuridica astratta individuata dal giudice di merito come idonea a dettarne la disciplina oppure al contrario doveva essere ricondotta ad altra fattispecie giuridica (così, Cass. n. 13747 del 2018).
3. Nel merito il motivo è fondato.
3.1. Va premesso che ai sensi dell’art. 10 n. 19 d. P.R. n. 633/1972 sono esenti IVA « le prestazioni di ricovero e cura rese da enti ospedalieri o da cliniche e case di cura convenzionate nonché da società di mutuo soccorso con personalità giuridica e da ONLUS, compresa la somministrazione di medicinali, presidi sanitari e vitto, nonché le prestazioni di cura rese da stabilimenti termali »; inoltre, secondo l’art. 10 n. 21 dello stesso decreto sono esenti « le prestazioni proprie dei brefotrofi, orfanotrofi, asili, case di riposo per anziani e simili, delle colonie marine, montane e campestri e degli alberghi e ostelli per la gioventù di cui alla legge 21 marzo 1958 n. 326, comprese le somministrazioni di vitto, indumenti e medicinali, le prestazioni curative e le altre prestazioni accessorie ».
3.2. La differenza tra l’ipotesi di cui al n. 19 e quella al n. 21 va ravvisata nella diversa prestazione ‘essenziale’ resa dalle diverse strutture considerate: nella prima prestazione essenziale è quella sanitaria e di cura mentre nella seconda il contenuto precipuo è quello dell’alloggio a favore di persone meritevoli di particolare protezione e tutela, quali sono gli anziani, i minori, gli orfani, e solo eventualmente consiste in altre attività di assistenza e cura. La somministrazione di indumenti, medicinali e dello stesso vitto, nonché le prestazioni curative e le altre prestazioni agli ospiti della casa, vengono definite prestazioni “accessorie”, rispetto a quella, essenziale, dell’alloggio (Cass. n. 11353 del 2001) e la loro erogazione è solo eventuale, dipendendo dalle condizioni e dalle esigenze degli ospiti. Nello stesso senso si esprimono i documenti di prassi dell’Agenzia (v. risposte n. 221/2022, n. 400/2021; risposta n. 221/2019; risoluzioni n. 188/E del 2002 e n. 164/E del 2005), mentre dalla giurisprudenza unionale si desume che l’erogazione di prestazioni di sostegno e cura agli ospiti non impedisce il riconoscimento dell’esenzione alle case di riposo (v. Corte giust. 21 gennaio 2016, causa C -335/14, Le Jardins ).
Nella sentenza impugnata manca un accertamento coerente con questa cornice normativa e giurisprudenziale, avendo i giudici di merito dato prevalenza al dato normativo (e formale) relativo alla definizione di RSA desumibile dalla legge regionale Lazio n. 41/1993, in cui si prevede che le RSA forniscano, oltre che ospitalità, « prestazioni sanitarie, assistenziali e di recupero funzionale e di inserimento sociale », senza alcuna indagine in concreto sulla prevalenza del dato sanitario -assistenziale.
Non rileva il difforme precedente relativo all’anno 2012 (Cass. n. 13275 del 2023), citato in memoria dalla contribuente, perché in quel caso, si legge nell’ordinanza, vi era stato un
« riconoscimento in concreto » da parte del giudice del merito, mentre nella pronuncia in esame manca siffatto accertamento.
Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto e la causa deve essere rinviata al giudice del merito per nuovo esame.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 26/02/2025.