Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32034 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32034 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
Oggetto: cessazione attività -esenzione IVA -onere prova
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5219/2022 R.G. proposto da AGENZIA DELLE RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
COGNOME NOME COGNOME, n.q. di soci della società RAGIONE_SOCIALE, cancellata dal Registro delle Imprese in data 29.1.2010;
-intimati – avverso la sentenza n. 2569/2/17 della Commissione Tributaria Regionale della Calabria, depositata in data 19.7.2021, non notificata.
Il
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 22 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza n. 2569/2/17 la Commissione Tributaria Regionale della Calabria rigettava l’appello proposto avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Vibo Valentia n. 881/2/17 con la quale il giudice aveva accolto il ricorso introduttivo proposto avverso l’ avviso di accertamento n. TD9030201255/2015 per IVA relativa all’anno di imposta 2009 notificato alla società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione in data 22.12.2014.
La controversia traeva origine dalla presentazione, in data 22.12.2010, del modello VR/2010 per il rimborso IVA a seguito della cessazione dell’attività. Nella sentenza impugnata si legge che il ricorso introduttivo lamentava l’errata determinazione del valore residuo di determinati beni strumentali destinati ad autoconsumo. Censurava, inoltre, la ritenuta inapplicabilità dell’esenzione prevista dall’art. 10 n. 8 bis d.P.R. n. 633/72 per l’immobile ceduto in data 23/12/2009 e identificato al foglio 37, part. 975, sub 45, e dell’esenzione prevista dall’art. n. 10 ter, d.P.R. n. 633/1972, per gli immobili individuati al foglio 37, part. 975, sub 43 e 48, acquistati in data 17.9.2005 per adibirli a pertinenza delle abitazioni principali dei soci, come espressamente dichiarato negli atti di acquisto. La prospettazione difensiva veniva condivisa sia dal giudice di prime cure che da quello di appello.
Avverso tale sentenza l ‘Agenzia ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre censure, mentre i contribuenti sono rimasti intimati.
Considerato che:
1. Il primo motivo di ricorso del l’Agenzia deduce, in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., l’apparenza e apoditticità della motivazione espressa dalla CTR.
La censura non può trovare ingresso.
2.1. Si deve ribadire che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016). Inoltre, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, dev ‘ essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). 2.2. Nel caso di specie, la motivazione espressa dalla CTR è la seguente: «L’appello è infondato. Come correttamente ritenuto dal giudice di primo grado, il contribuente ha diritto all’esenzione di cui all’art. 10, comma 8 bis e ter, d.P.R. 633/1972. Non risulta il dedotto vizio di ultrapetizione, atteso che nell’accertamento, contrariamente a quanto ritenuto dall’appellante, si fa espresso riferimento alla ri-
chiesta di esenzione ex comma 8 bis, e la norma risulta correttamente applicata, in aderenza alle circolari emesse sul punto. Per il resto, nelle controdeduzioni di primo grado l’ Agenzia sostiene il difetto di prova nella destinazione degli immobili dell’impresa cessata – destinazione provata attraverso la produzione dei contratti relativi – restando irrilevante l’erronea indicazione pacificamente emendabile anche in sede contenziosa, essendo, la dichiarazione, una manifestazione di scienza e non di volontà».
Il Collegio osserva che dal testo suddetto non risulta una acritica adesione alla sentenza di primo grado, dal momento che sono esaminate le censure alla base dell’appello . Inoltre, la ratio decidendi espressa dalla CTR è chiara seppure contenuta in poche righe e ha addentellati nel compendio probatorio raccolto nel processo. Il giudice afferma che sussiste il diritto all’esenzione e che la destinazione degli immobili è stata dimostrata dai soci con la produzione dei contratti di compravendita dei cespiti e riposa su un accertamento fattuale che rispetta il minimo costituzionale.
3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la lesione dell’art. 112 cod. proc. civ. per ultrapetizione in cui sarebbe incorso il giudice, dal momento che il ricorrente non ha eccepito l’applicabilità dell’esenzione di cui all’art. 10 n. 8-ter del d.P.R. n. 633/1972 (che disciplina gli immobili strumentali) per l’immobile identificato al foglio 37 (già 29), part. 975, sub 45 e il giudice di primo grado avrebbe errato nell’affermare che la categoria catastale dei beni ceduti li faccia rientrare nei beni strumentali. Continua la ricorrente, la sentenza di secondo grado a sua volta si sarebbe pronunciata oltre la domanda, esaminando un motivo di nullità della sentenza di prime cure, per inesatto inquadramento del titolo di esenzione IVA, non dedotto dalla parte interessata.
4. Il motivo è inammissibile. Si reitera il consolidato orientamento di questa Corte, in base al quale l’interpretazione operata dal giudice di appello riguardo al contenuto e all’ampiezza della domanda giudiziale è assoggettabile al controllo di legittimità limitatamente alla valutazione della logicità e congruità della motivazione. A tal riguardo, il sindacato della Corte di cassazione comporta l’identificazione della volontà della parte in relazione alle finalità dalla medesima perseguite, in un ambito in cui, in vista del predetto controllo, tale volontà si ricostruisce in base a criteri ermeneutici assimilabili a quelli propri del negozio, diversamente dall’interpretazione riferibile ad atti processuali provenienti dal giudice, ove la volontà dell’autore è irrilevante e l’unico criterio esegetico applicabile è quello della funzione obiettivamente assunta dall’atto giudiziale (tra varie, Cass. 8 agosto 2006, n. 17947 e 21 febbraio 2014, n. 4205) (Cass. Sez. Un, Sentenza n. 27435 del 2017). Con la doglianza in disamina la ricorrente censura la ricognizione della materia giustiziabile operata dalla CTR e avrebbe dovuto contrastarla deducendo il vizio motivazionale e unicamente sotto il profilo della logicità e congruità della motivazione, derivandone l’inammissibilità del mezzo di impugnazione.
5. Con il terzo motivo la ricorrente deduce, ex art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., la lesione dell’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 in combinato disposto con l’art. 2697 cod. civ. da parte della sentenza impugnata nella parte in cui sembrerebbe onerare l’Agenzia della prova della destinazione degli immobili dell’impresa cessata. 6. Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi , la quale, come sopra considerato, ha accertato che i soci hanno dimostrato la destinazione degli immobili dell’impresa cessata ai fini dell’esenzione . Inoltre, il giudice ha accertato che la destinazione è stata provata attraverso la produzione in giudizio dei contratti di compravendita.
Il ricorso è conclusivamente rigettato. Non vi è necessità di provvedere sulle spese di lite dal momento che i contribuenti sono rimasti intimati.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22.10.2024