Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21963 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21963 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
RAGIONE_SOCIALE ;
-intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 298/6/18 depositata il 8.2.2018;
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 17 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Emerge dalla sentenza impugnata, oltre che dagli atti di parte che, a seguito di attività ispettiva svolta dalla Guardia di Finanza di Novara, l’RAGIONE_SOCIALE delle entrate notificò avviso un di accertamento a RAGIONE_SOCIALE (titolare di un contratto con il concessionario della rete telematica RAGIONE_SOCIALE e possessore di numerosi apparecchi, collocati presso vari esercenti della zona), esercente il
ORDINANZA
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello RAGIONE_SOCIALE presso i cui uffici è domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
ruolo di gestore di apparecchi elettronici di intrattenimento che restituiscono le vincite in denaro di cui all’art. 110, comma 6, T.U.L.P.S.
2.Con tale atto si rilevò che la contribuente (la quale prestava i servizi normalmente posti in essere da qualsiasi gestore di apparecchi di gioco quali installazione, manutenzione, aggiornamento etc.) aveva stipulato con la società RAGIONE_SOCIALE un contratto per i servizi di facility management che prevedeva, tra l’altro, la fornitura di un servizio di raccolta delle giocate, da effettuarsi mediante lo scassettamento dei valori rinvenuti nei singoli apparecchi, la contabilizzazione degli stessi e la consegna alla società RAGIONE_SOCIALE affinché potesse adempiere ai propri obblighi nei confronti del concessionario della rete telematica.
3.Per la prestazione di tale esercizio venivano emesse periodicamente fatture aventi come oggetto ‘raccolta giocate’.
4.Tali fatture venivano emesse in regime di esenzione di imposta ex art. 10, comma 1, n. 6 del d.P.R. n. 633 del 1972.
5.Il regime di esenzione non venne considerato corretto dall’RAGIONE_SOCIALE e, pertanto, venne emesso un avviso di accertamento contenente, per quel che rileva in questa sede, la sanzione per omessa regolarizzazione di fatture passive relative ai rapporti con la RAGIONE_SOCIALE nonché l’indebita esposizione nella dichiarazione di un credito IVA pari a 93.344,00 euro e venivano irrogate le sanzioni per illegittima detrazione di imposta e per dichiarazione infedele con indicazione di un’imposta inferiore a quella dovuta.
6.L’avviso venne impugnato, la RAGIONE_SOCIALE annullò la sola sanzione per infedele dichiarazione IVA e confermò nel resto l’atto impugnato.
7.La decisione venne appellata, il giudice di seconde cure accolse l’appello principale del contribuente e respinse quello incidentale
dell’RAGIONE_SOCIALE. Nel dettaglio la C.T.R. ritenne che l’esenzione IVA sulle operazioni di raccolta delle giocate non potesse essere limitata ai soli casi in cui l’operazione fosse intercorsa tra il concessionario e il gestore di apparecchi ovvero tra il concessionario e l’esercente il locale di ubicazione degli apparecchi atteso che ‘una simile interpretazione di contenuto restrittivo risulta contraria alla lettera della normativa di riferimento.’ Ancora più nel dettaglio il giudice di merito affermò che il termine terzi, contenuto nell’art. 1, comma 497, della l. n. 311 del 2004 non potesse che avere ‘una nozione ampia, potendovi essere compresi oltre al proprietario degli apparecchi o l’esercente ogni soggetto che svolga attività di raccolta delle giocate’. A ciò si aggiunse che ove il legislatore avesse voluto imporre restrizioni soggettive non avrebbe utilizzato il termine ‘anche’ bensì ‘esclusivamente’.
Il giudice proseguì ritenendo che l’attività posta in essere dalla RAGIONE_SOCIALE avesse natura non meramente accessoria o strumentale ma consistesse, direttamente, nella raccolta di giocate dovendosi così ritenere provata ‘l’effettività e la natura della prestazione’. A ciò, infine, si aggiunse che ‘un diverso trattamento fiscale tra coloro che intervengono nella medesima filiera finirebbe con il creare distorsioni e disparità di trattamento tra soggetti svolgenti una fase di un unico processo e l’IVA applicata sulla prestazione dell’intermediario/mandatario finirebbe con il costituire una componente di costo con conseguente traslazione dell’onere sul giocatore, su cui incide già l’effetto del prelievo unico erariale.’
8.Ricorre avverso la prefata decisione l’RAGIONE_SOCIALE con tre motivi, RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo del ricorso, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 1, n. 6 del d.P.R. n. 633 del 1972, come interpretato dall’art. 1, comma 497, della l. n. 311 del 2004.
Secondo l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente il giudice di seconde cure avrebbe errato nel riconoscere l’esenzione pur in assenza di un rapporto diretto tra concessionario ed esercente.
2.Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 12 e 14 delle disposizioni preliminari al codice civile con riferimento all’art. 10, comma 1, n. 6 e 9 del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 1, comma 497, della l.n. 311 del 2004.
Il giudice di seconde cure nel riconoscere l’esenzione, nella sostanza, avrebbe interpretato la norma in modo non conforme al diritto dovendosi effettuare un’interpretazione restrittiva e non ampliativa delle disposizioni agevolative.
3.Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 per aver respinto l’appello incidentale dell’agenzia così escludendo l’applicabilità della sanzione per infedele dichiarazione IVA e per indebita detrazione d’imposta, in assenza di elementi che potessero escludere la colpevolezza della contribuente.
4.Il ricorso è fondato.
La società RAGIONE_SOCIALE, come innanzi evidenziato, era titolare di un contratto con il concessionario della rete telematica RAGIONE_SOCIALE e possessore di numerosi apparecchi collocati presso vari esercenti della zona. La contribuente forniva gli ordinari servizi di competenza ossia, installazione, manutenzione, aggiornamento etc. RAGIONE_SOCIALE, al fine di adempiere ai propri obblighi verso il concessionario della rete telematica, aveva stipulato un
contratto di facility management che prevedeva un servizio di raccolta delle giocate.
La raccolta delle giocate realizzata dalla società RAGIONE_SOCIALE, diversamente da quanto ritenuto dalla C.T.R., non costituiva, e non costituisce, attività rientrante nella previsione agevolativa di cui all’art. 10, primo comma, n. 6 del d.P.R. n. 633 del 1972 atteso che tale attività viene svolta al di fuori di qualsiasi rapporto con il concessionario.
L’art. 10, primo comma, n. 6, d.P.R. n. 633 del 1972, nella formulazione applicabile ratione temporis , stabilisce infatti che sono esenti dall’i.v.a. «le operazioni relative all’esercizio del lotto, delle lotterie nazionali, dei giochi di abilità e dei concorsi pronostici riservati allo RAGIONE_SOCIALE e agli enti indicati nel decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496, ratificato con legge 22 aprile 1953, n. 342, e successive modificazioni, nonché quelle relative all’esercizio dei totalizzatori e delle scommesse di cui al regolamento approvato con decreto del Ministro per l’agricoltura e per le foreste 16 novembre 1955, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 26 novembre 1955, e alla legge 24 marzo 1942, n. 315, e successive modificazioni, ivi comprese le operazioni relative alla raccolta delle giocate». L’art. 1, comma 497, l. 30 dicembre 2004, n. 311, ha esteso l’esenzione alla raccolta delle giocate con gli apparecchi da intrattenimento di cui all’art. 110, sesto comma, Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza di cui al r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (apparecchi per il gioco lecito che consentono vincite in denaro), anche ai rapporti tra i concessionari della rete per la gestione telematica ed i terzi incaricati della raccolta stessa. Ai fini di un corretto inquadramento del fenomeno va rammentato che la gestione in via telematica del gioco messo a disposizione con tali apparecchi è riservata allo RAGIONE_SOCIALE che la
esercita per mezzo di un’apposita rete, di proprietà dell’RAGIONE_SOCIALE.
Tale rete è affidata in concessione a soggetti terzi, i quali sono tenuti ad assicurare la corretta ed efficace gestione telematica degli apparecchi nonché del gioco lecito effettuato anche mediante videoterminali di gioco e sono titolari dell’autorizzazione amministrativa (c.d. nulla osta) per l’installazione e la messa in esercizio degli apparecchi. I concessionari sono, al tempo stesso, sia fornitori di collegamenti telematici e di servizi di verifica, sia gestori ed operatori del gioco lecito, assumendo la responsabilità, oltre che del regolare svolgimento del gioco, della raccolta delle giocate. Essi possono effettuare la raccolta delle giocate avvalendosi di una propria organizzazione o di terzi, nella persona degli esercenti, ossia di coloro che detengono i locali in cui le macchine sono installate e nei quali vengono materialmente effettuate le giocate, ovvero dei gestori, ossia, dei possessori degli apparecchi, cui è affidata, tra le altre attività, quella di raccolta delle giocate. Tali soggetti economici collaborano con il concessionario, in quanto possessori degli apparecchi o titolari degli esercizi presso cui gli apparecchi vengono installati, ma non assumono alcun ruolo indipendente nella gestione e nell’esercizio del gioco lecito. Frequente è nella prassi la situazione in cui il concessionario affida la gestione del collegamento telematico e del servizio di raccolta del gioco ad un soggetto gestore, il quale, poi, con distinti contratti, incarica diversi esercenti della gestione della raccolta delle singole puntate e dell’erogazione delle vendite, previa fornitura degli apparecchi utilizzati per l’effettuazione di tali puntate.
La normativa nazionale, nella parte in cui prevede, per la concessione della gestione del servizio del gioco del lotto automatizzato e degli altri giochi numerici a quota fissa, un modello a concessionario unico, a differenza degli altri giochi, dei concorsi
pronostici e delle scommesse, ai quali si applica un modello a più concessionari, è coerente con gli artt. 49 e 56 T.F.U.E., in quanto finalizzata alla protezione dei consumatori e alla prevenzione delle frodi e dell’incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco (cfr. Corte Giust., 19 dicembre 2018, RAGIONE_SOCIALE).
Dal riferito quadro ordinamentale può ritenersi che l’esenzione dall’i.v.a. in esame presuppone che le operazioni si riferiscano alla raccolta di giocate poste in essere nell’esercizio di attività di gioco riservate allo RAGIONE_SOCIALE. Una siffatta limitazione si evince dalla formulazione dell’art. 1, l.n. 311 del 2004, sia nella parte in cui subordina l’estensione della norma agevolatrice al fatto che il gioco sia effettuato con gli apparecchi da intrattenimento di cui all’art. 110, sesto comma, T.U.L.P.S., la cui gestione è riservata allo RAGIONE_SOCIALE, sia nella parte in cui, prendendo atto della riserva statale della gestione di tale gioco e del suo esercizio mediante affidamento della relativa rete (o delle relative reti) a concessionari, riconosce analoga esenzione dall’i.v.a. all’attività di raccolta delle giocate posta in essere da terzi a ciò incaricati dai concessionari medesimi. La riserva della gestione del gioco in capo ai concessionari, cui è consentito di affidare a terzi l’attività di raccolta delle giocate, conduce a ritenere, che solamente alle operazioni relative a tale attività va riconosciuta l’esenzione dall’imposta, la quale, dunque, trova applicazione solo nell’ambito dei rapporti tra il concessionario e l’esercente e di quelli tra il concessionario e il gestore, in quanto entrambi i soggetti indicati provvedono per incarico del concessionario alla raccolta delle giocate. Non è configurabile, infatti, un’attività di raccolta delle giocate posta in essere da soggetti privi di un affidamento diretto da parte del concessionario, avuto riguardo alla riserva esclusiva dell’attività in suo favore e alla impossibilità per il soggetto cui è stato affidato tale compito da parte del concessionario di subaffidarlo a terzi.
Per tale ragione, l’eventuale attività legittimamente posta in essere nell’ambito dei rapporti instaurati fra l’esercente e il gestore può riguardare solo ulteriori prestazioni di servizi diverse da quelle della raccolta delle giocate rese al concessionario (quali, ad esempio, la messa a disposizione dei locali, la vigilanza sul corretto funzionamento delle macchine, l’informativa agli utenti, l’organizzazione di attività ausiliarie all’attività di raccolta delle scommesse) e, in quanto tale, esula dalla fattispecie agevolatrici in esame.
Nella specie l’attività oggetto delle fatture passive si è concretata nello svolgimento da parte di un ulteriore soggetto dell’attività di raccolta per conto del gestore RAGIONE_SOCIALE.
La società RAGIONE_SOCIALE ha svolto, quindi, un’attività nell’interesse del gestore che si colloca al di fuori del perimetro normativo innanzi delineato. Di talché le attività interessate dal rilievo operato dall’RAGIONE_SOCIALE finanziaria vanno assoggettate all’i.v.a., con aliquota ordinaria.
5.La conclusione di cui innanzi è altresì imposta dall’ordinamento eurounitario.
Giova rilevare che l’art. 13, parte B, lett. f), dir. 77/388/CE (sesta direttiva in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme) prevede che gli Stati membri esonerano «le scommesse, le lotterie e altri giochi d’azzardo con poste di denaro, salvo condizioni e limiti stabiliti da ciascuno RAGIONE_SOCIALE membro». Si tratta di un’esenzione – da interpretarsi in senso restrittivo, in quanto derogatrice del principio generale secondo cui l’IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo – motivata da considerazioni di ordine pratico, in quanto le operazioni di gioco d’azzardo mal si
prestano all’applicazione dell’i.v.a., e non, come nel caso relativo a determinate prestazioni di servizi d’interesse generale in ambito sociale, dalla volontà di garantire a tali attività un trattamento più favorevole in materia di IVA (così, Corte Giust., 14 luglio 2011 NOME; Corte Giust., 10 ottobre 2010, NOME).
Tuttavia, in materia di giochi d’azzardo con poste di denaro, gli Stati membri non solo sono liberi di determinare le condizioni e i limiti dell’esenzione, ma dispongono altresì di un margine di valutazione discrezionale che consente loro di impedire in tutto o in parte attività di tale natura o di limitarle e prevedere a tale fine modalità di controllo più o meno rigorose (cfr. Corte Giust., 10 ottobre 2010, COGNOME).
Inoltre, la giurisprudenza unionale si è espressa nel senso che l’operazione di scommessa presa in considerazione della richiamata disposizione unionale esimente è caratterizzata dall’attribuzione di una possibilità di guadagno agli scommettitori a fronte dell’assunzione del rischio di dover corrispondere le relative vincite. Conseguentemente, ha escluso che potesse essere qualificata quale operazione di scommessa la prestazione di servizi consistente nel fornire personale, i locali e le attrezzature necessari per la raccolta delle scommesse, laddove l’oggetto e le quotazioni di tali scommesse sono stabiliti dal beneficiario di tale prestazione (cfr. Corte Giust., 13 luglio 2006, RAGIONE_SOCIALE).
Ad opposte conclusioni è pervenuta laddove coloro che ricevono le giocate sono noti agli scommettitori, possono rifiutare una scommessa senza essere obbligati a giustificare tale rifiuto e sono incaricati di pagare le vincite agli scommettitori, operando in nome proprio nella raccolta delle scommesse, benché per conto dell’organizzatore delle scommesse (cfr. Corte Giust., 14 luglio 2011, COGNOME).
Deve inoltre ricordarsi che alle prestazioni accessorie si applica la stessa disciplina tributaria in materia di i.v.a. della prestazione principale, presuppone, così come desumibile dalla giurisprudenza unionale richiamata, che entrambe le prestazioni siano indirizzate in favore del medesimo destinatario, al fine di consentirgli di fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore (cfr. Corte Giust., 25 febbraio 1999, CPP, Corte Giust., 22 ottobre 1998, COGNOME e COGNOME).
Quanto innanzi non opera nel caso in esame atteso che la prestazione principale ha quale diretto beneficiario un soggetto (il concessionario), mentre quella ritenuta accessoria uno diverso (il gestore).
6.In relazione al primo motivo del ricorso trova nella presente fattispecie, in conclusione, applicazione il principio di diritto pronunciato da Cass. n. 16951 del 2021 secondo cui l’esenzione dall’i.v.a. prevista dall’art. 10, primo comma, n. 6, d.P.R. n. 633 del 1972, si applica anche alle operazioni che si riferiscono alla raccolta delle giocate effettuate con gli apparecchi di intrattenimento di cui all’art. 110, sesto comma, T.U.L.P.S. di cui al r.d. n. 773 del 1931, ma solo limitatamente a quelle poste in essere dai concessionari con i gestori e dai medesimi concessionari con gli esercenti e con esclusione, dunque, di quelle poste in essere dai gestori con gli esercenti, in relazione alle quali è inconfigurabile un’attività di raccolta delle giocate per assenza di un affidamento diretto dal concessionario.
7.È fondato altresì il secondo motivo del ricorso in quanto le norme fiscali che stabiliscono agevolazioni o esenzioni sono di stretta interpretazione, ai sensi dell’art. 14 delle preleggi, così come costantemente ribadito da questa Corte (ex multis, Cass. n. 28055
del 2021; Cass. n. 17010 del 2021; Cass. n. 12852 del 2021; S.U. n. 10013 del 2021; Cass. n. 23692 del 2020; Cass. n. 7387 del 2020).
Ne consegue che il giudice di merito ha errato nell’affermare che il termine terzi, contenuto nell’art. 1, comma 497, della l. n. 311 del 2004 non potesse che avere ‘una nozione ampia, potendovi essere compresi oltre al proprietario degli apparecchi o l’esercente ogni soggetto che svolga attività di raccolta delle giocate’ così come ha errato nel ritenere che le disposizioni di riferimento non dovessero essere interpretate restrittivamente.
È pure fondato il terzo motivo del ricorso.
Il giudice di merito ha respinto l’appello incidentale dell’RAGIONE_SOCIALE ritenendo provata l’assenza di dolo da parte della società contribuente in forza della norma di comune esperienza secondo cui avendo affidato ad un professionista qualificato lo svolgimento di prestazioni tecniche (nella specie la dichiarazione dei redditi per l’anno 2011), perché non dispone le competenze necessarie per svolgerle di persona, avrebbe assolto al suo dovere di diligenza.
La RAGIONE_SOCIALET.RRAGIONE_SOCIALE ha invero affermato ‘.. è norma di comune esperienza cje un soggetto affida a professionista qualificato lo svolgimento di prestazioni tecniche perché non dispone delle competenze necessarie a svolgerle personalmente. Proprio per tale motivo è impossibilitato a svolgere alcun controllo diretto sull’attività tecnico -professionale demandata, così che non è configurabile alcuna negligenza nel comportamento di COGNOME che, invece, ha provato la propria buona fede e lo spirito di collaborazione. Essa, infatti, ha svolto motu proprio alcune attività la cui effettività non è contestata dall’Ufficio e cioè, inter alia, la presentazione di nuova corretta dichiarazione per il tramite di diverso professionista, la denuncia penale del Dott. COGNOME.
Quanto innanzi è in contrasto con i principi espressi da questa Corte e si fonda sull’errata parificazione tra i requisiti necessari ai fini
della sussistenza della buona fede e quelli, differenti, necessari ai fini della sussistenza dell’attuazione del dovere di diligenza gravante sul contribuente.
In tema di sanzioni amministrative, infatti, per violazioni di norme tributarie, l’art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dall’art. 3 l. n. 689 del 1981, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. È comunque sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza (Cass. n. 2139 del 2021). Con particolare riferimento alla fattispecie in esame Cass. n. 19422 del 2018 (in questo senso altresì Cass. n. 6930 del 2017) ha affermato che in tema di sanzioni per le violazioni di disposizioni tributarie, la prova dell’assenza di colpa grava, secondo le regole generali dell’illecito amministrativo, sul contribuente, il quale, dunque, risponde per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del professionista incaricato della relativa trasmissione telematica ove non dimostri di aver vigilato sullo stesso, nonché il comportamento fraudolento del medesimo professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento, mediante la falsificazione di modelli F24 ovvero di altre modalità di difficile riconoscibilità da parte del mandante. (Nella specie, in applicazione del principio, la RAGIONE_SOCIALE. ha
ritenuto che il contribuente non avesse assolto a tale onere probatorio, essendosi limitato a presentare una denuncia nei confronti del commercialista, senza neppure allegare le modalità con le quali avrebbe celato il proprio comportamento fraudolento).
La buona fede assume rilievo poi solo in presenza di elementi positivi idonei ad ingenerare, nell’autore della violazione, il convincimento della liceità del suo operato (come, ad esempio, nel caso di una assicurazione in tal senso ricevuta dalla RAGIONE_SOCIALE), per avere egli tenuto una condotta il più possibile conforme al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso (Cass.15770 del 2003; Cass. n. 5426 del 2006).
Va al riguardo richiamato il contenuto dell’art. 10 dello statuto del contribuente il quale prevede che ‘Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente qualora egli si sia conformato alle indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti conseguenti a ritardi omissioni od errori dell’amministrazione stessa.’ Lo stesso articolo prosegue affermando che ‘le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta..’.
La disposizione innanzi riportata rende ancora più evidente l’errore in cui è incorso il giudice di merito.
L’indagine che avrebbe dovuto essere effettuata per escludere la violazione del dovere di diligenza da parte di RAGIONE_SOCIALE non era quindi, diversamente da quanto sostanzialmente affermato dal giudice di merito, quella volta a verificare se la contribuente avesse agito nella convinzione il proprio operato fosse lecito e, quindi, in
buona fede ma a verificare l’adozione da parte di RAGIONE_SOCIALE di tutte le condotte necessarie, sub specie di vigilanza, per controllare l’operato del professionista. La mancata indagine in tal senso è ancor più evidente laddove si consideri che il giudice di merito ha valorizzato una condotta non coeva ma successiva alla presentazione della dichiarazione da parte del professionista, condotta che, alla luce dei principi innanzi espressi, non può avere alcuna incidenza sulla valutazione del dovere di diligenza della società.
Da quanto innanzi emerge che sussiste la violazione del dovere di diligenza da parte del contribuente laddove, dopo aver incaricato il professionista per la redazione della dichiarazione, non abbia vigilato sullo stesso ovvero non abbia adottato alcun comportamento positivo dal quale possa evincersi l’assenza di colpa, senza che rilevi al riguardo il convincimento della liceità del suo operato.
Ciò è proprio quanto verificatosi nella specie.
In conclusione il ricorso deve essere accolto, per l’effetto la sentenza cassata e la causa deve essere rinviata, anche per la quantificazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, che si atterrà ai principi innanzi specificati.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17 maggio 2024