Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 320 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 320 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
Istituto PostelegrafoniciEsenzione IresInsussistenza
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29038/2016 R.G. proposto da:
ISTITUTO RAGIONE_SOCIALE, in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME, dall’avv. NOME COGNOME, dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 2696/2016, depositata in data 5/05/2016, non notificata; udita la relazione della causa tenuta nella pubblica udienza del 03/10/2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME udito il sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avv. NOME COGNOME per l’Avvocatura Generale dello Stato.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate, a seguito del controllo ex art. 36bis d.P.R. n. 600 del 1973 della dichiarazione presentata per il 2007 dall’Istituto RAGIONE_SOCIALE, emetteva, a fini IRES, cartella nei confronti dell’INPS, che vi era subentrato , per il tardivo versamento delle imposte dichiarate.
La Commissione tributaria provinciale di Roma (CTP) accoglieva il ricorso.
La Commissione tributaria regionale (CTR) del Lazio, accogliendo l’appello erariale e riformando la sentenza appellata , rigettava il ricorso introduttivo; in particolare evidenziava che l’art. 74 t.u.i.r. prevede un elenco tassativo di organi ed enti non soggetti a IRES, tra i quali non rientra l’Istituto RAGIONE_SOCIALE ; la lett. b) della medesima disposizione prevede che non costituisca esercizio di attività commerciale quella relativa ad attività previdenziale, assistenziale e sanitaria da parte di enti pubblici, per cui, relativamente a detta attività, non era revocabile in dubbio la non assoggettabilità dello stesso all’I RES, che sussisteva invece per le altre attività esercitate.
Contro tale decisione propone ricorso per cassazione la società, sulla base di tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
La causa è stata rimessa alla pubblica udienza del 3/10/2024, per la quale l’Istituto ricorrente ha depositato memoria.
Il PM, in persona del sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha depositato memoria rassegnando conclusioni scritte per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’INPS deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 74, comma 1, d.P.R. n. 917 del 1986 e 22 d.P.R. n. 542 del 1953, evidenziando, quanto alla ritenuta inapplicabilità dell’art. 74 , comma 1, che l’art. 1 d.P.R. n. 542 del 1953 prevede che « l’RAGIONE_SOCIALE è ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, sottoposto alla tutela e alla vigilanza del Ministro per le Poste e telecomunicazioni» e che l’art. 22 del medesimo d.P.R. prevede espressamente che « l’Istituto è considerato Amministrazione dello Stato agli effetti di tutte le imposte e tasse, anche per quanto riguarda l’applicazione dei tributi sulle erogazioni che esso dispone », natura confermata dal comma 5.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Istituto deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 73, comma 1, e 74, comma 2, d.P.R. n. 917 del 1986, e degli artt. 2 d.P.R. n. 542 del 1953 e 2 d.m. 12 giugno 1995, n. 329 , evidenziando che l’ ente svolge esclusivamente attività previdenziale ed assistenziale nel settore dei servizi postali e quindi non commerciale.
Col terzo motivo di ricorso, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. cv., si deduce illogicità della motivazione, laddove la CTR, affermando che, per le attività non istituzionali, l’ente è soggetto a IRES, e ultrapetizione, rispetto ai motivi di appello dell’ufficio .
Il primo e il secondo motivo vanno esaminati congiuntamente e sono infondati.
2.1. Occorre premettere che nel d.P.R. n. 917/1986, in tema di soggettività IRES , l’art. 73, comma 1, lett. c) prevede siano soggetti a tale imposta gli «enti pubblici e privati diversi dalle società che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale» (e analogamente il previgente art. 88, comma 1, e prima ancora, l’art. 2 lett. c ) d.P.R. n. 598 del 1973, in tema di IRPEG).
Occorre precisare che nel d.P.R. n. 645 del 1958 la soggezione al rapporto tributario era propria delle «persone fisiche e giuridiche, le società e le associazioni» (art. 8). Inoltre, l’art. 151 espressamente escludeva dall’imposta sulle società gli enti ed istituti di previdenza e di assistenza sociale.
L’art. 74 t.u.i.r., poi, contiene due disposizioni di portata differente, il comma 1, che esclude, per gli enti espressamente citati, la soggettività passiva IRES a prescindere dall’attività dagli stessi effettivamente esercitata; ed il comma 2 che, invece, stabilisce una presunzione di non commercialità di alcune attività svolte da enti pubblici i quali, però, rimangono assoggettati a imposizione in relazione ad altre attività, rilevanti a fini fiscali, eventualmente esercitate.
Il comma 1 in particolare esclude dall’IRES gli organi e le amministrazioni dello Stato anche se dotati di personalità giuridica, con elencazione pacificamente ritenuta tassativa da questa Corte (Cass. 14/06/2023, n. 16997; Cass. 29/01/2021, n. 2078).
L’art. 74, comma 2, t.u.i.r., esclude invece la riconducibilità di alcune attività istituzionali alle categorie produttive di reddito di impresa. In particolare, esclude che abbiano natura commerciale l’esercizio di funzioni statali (lett. a), l’esercizio di attività previdenziali, assistenziali e sanitaria da parte di enti pubblici istituiti esclusivamente a tal fine nonché l’esercizio di attività previdenziali e assistenziali da parte di enti privati di previdenza obbligatoria (lett. b).
Per usufruire della decommercializzazione prevista dal comma 2 occorre quindi appartenere alla categoria degli enti pubblici ed essere istituiti esclusivamente al fine di svolgere attività previdenziali, assistenziali o sanitarie, dovendo nelle norme istitutive dell’ente pubblico essere esplicitato che il fine dello stesso ente sia soltanto quello di svolgere attività previdenziali, assistenziali o sanitarie con assoluta esclusione di altri fini (come evidenziato anche nella circolare dell’Agenzia delle Entrate 29/08/1991 n. 26/11/562).
Secondo questa Corte, le previsioni previgenti, corrispondenti a quelle in esame, consentivano di ritenere che in tema di IRPEG, l’esenzione dal relativo pagamento sancita dall’art. 88, primo comma, del d.P.R. n. 917/1986, riguardasse solo gli organi e le amministrazioni dello Stato, gli enti territoriali, i consorzi ed associazioni tra enti locali, nonché gli enti gestori di demani collettivi, non anche gli enti pubblici istituiti esclusivamente al fine dell’esercizio di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie, che, invece, erano assoggettati al pagamento in forza del combinato disposto di cui agli artt. 87, primo comma, lett. c), 88, secondo comma, e 108 del d.P.R. cit. che assegnava rilievo all’attività, non commerciale, per cui detti enti sono stati istituiti.
Ne consegue che il reddito complessivo di questi ultimi va determinato sommando i vari redditi, compresi quelli fondiari, che mantengono la loro autonomia impositiva e non confluiscono nell’unica categoria del reddito d’impresa (Cass. 16/02/2018, n. 3807; Cass. 07/05/2014, n. 9791; Cass. 24/04/2015, n. 8322; Cass. 19/10/2012, n. 17994).
Dalla riportata disciplina emerge chiaramente, innanzitutto, che l’esclusione dall’imposta è prevista dal t.u.i.r. solo per organi e amministrazioni dello Stato, enti territoriali, consorzi e associazioni tra enti locali nonchè enti gestori di demani collettivi e non anche per gli enti pubblici istituiti esclusivamente al fine dell’esercizio di attività
previdenziali, assistenziali e sanitarie. Per questi enti, non è previsto un regime di esclusione assoluta dall’imposta, ma una particolare disciplina applicativa dell’imposta medesima, che esclude dalla imposizione l’attività previdenziale .
2.2. L’Istituto RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE), originariamente istituito, con altra denominazione, dalla l. n. 1408 del 1942, poi modificata dalla l. n. 208 del 1952, e riformato dal d.P.R. n. 542 del 1953, era definito, dall’art. 1 di quest’ultimo , come ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, sottoposto alla tutela ed alla vigilanza del Ministero delle poste e telecomunicazioni.
L’art. 6, comma 11, del d.l. n. 487 del 1993 , conv. in l. n. 71 del 1994, ha previsto poi che entro un anno dalla legge di conversione fossero, con decreto del Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, di concerto con il Ministro del tesoro e con il Ministro per la funzione pubblica, rideterminate l’organizzazione e le funzioni dell’Istituto postelegrafonici; il che è poi avvenuto attraverso l’emanazione del DM 12 giugno 1995, n. 329, il quale definisce l’IPOST quale ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, ribadendone la qualificazione,
L’ente è inserito nella tabella prevista dall’art. 1 della l. n. 70 del 1975 tra gli enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e assistenza.
Quindi, in sintesi, si tratta di un ente pubblico non economico, in linea con la natura giuridica dei rinnovati enti previdenziali (INPDAP e INPS) che si occupa(va) della previdenza e quiescenza del personale delle Poste, fintanto che questo era ente pubblico esso stesso. L’Istituto è stato poi soppresso dal d.l. n. 78 del 2010 e la gestione è confluita in INPS.
2.3. Ciò premesso, il primo motivo afferma l a spettanza all’Istituto della esenzione (o della non soggezione) dall’IRES in forza dell’art. 74, comma 1, t.u.i.r., perché, ferma la ritenuta natura tassativa dell’elenco
contenuto in tale disposizione, esso, agli effetti delle disposizioni fiscali, avrebbe natura di «amministrazione dello Stato», in forza di una espressa previsione in tale senso dell’art. 22 d.P.R. n. 542 del 1953 che, appunto, dispone che « l’Istituto è considerato Amministrazione dello Stato agli effetti di tutte le imposte e tasse».
Il secondo motivo perviene allo stesso risultato evidenziando l’esclusiva attività previdenziale dell’Istituto.
La difesa erariale replica evidenziando che l’Istituto ha sempre dichiarato e pagato l’IRES e la stessa controversia ha ad oggetto una cartella emessa ai sensi dell’art. 36 -bis d.P.R. n. 600 del 1973 avente ad oggetto il tardivo versamento dell’imposta dichiarata, precisando che la dichiarazione aveva ad oggetto redditi fondiari e di capitale.
2.4. Le tesi del ricorrente poste a fondamento dei primi due motivi non sono fondate.
Negli artt. 20 (riproduttivo dell’art. 10 della l egge n. 1408 del 1942) e 22 (riproduttivo dell’art. 8 della legge del 1942) del DM n. 542 del 1953, l’Istituto veniva definito come amministrazione dello Stato, ai fini della difesa in giudizio tramite l’Avvocatura dello Stato nonché «agli effetti di tutte le imposte e tasse, anche per quanto riguarda l’applicazione dei tributi sulle erogazioni da esso disposte».
La disposizione prosegue prevedendo che «Esso gode della esenzione delle tasse postali e telegrafiche di ogni specie, anche per quanto concerne i conti correnti ed il servizio delle riscossioni, ivi compreso il diritto fisso per l’eventuale protesto. Le tasse di iscrizione alle varie gestioni, i premi, i contributi ordinari e straordinari, i reintegri dovuti dall’Istituto sono esenti da imposte, tasse o diritti. I crediti per le somme dovute dall’istituto a titolo assistenziale od assicurativo, non sono soggetti a pignoramento, sequestro o cessione per qualsiasi titolo. Le domande per il conseguimento dei benefici dell’Istituto ed i documenti che le corredano sono esenti da tasse di
bollo. L’Istituto è considerato Amministrazione dello Stato anche ai fini delle istruttorie necessarie per l’esercizio della sua attività assistenziale e previdenziale».
Ciò premesso, in primo luogo, infatti, la tesi del ricorrente non tiene conto del l’art. 42 d.P.R. n. 601 del 1973 il quale prevede che «Con effetto dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate e cessano di avere applicazione le disposizioni concernenti esenzioni e agevolazioni tributarie, anche sotto forma di regimi fiscali sostitutivi, diverse da quelle considerate nel decreto stesso o in altri decreti emanati in attuazione della legge 9 ottobre 1971, n. 825, comprese le norme che estendono in qualsiasi forma ad altri soggetti e agli atti da essi stipulati il trattamento tributario previsto per lo Stato e per gli atti stipulati dallo Stato».
Del resto, ciò è del tutto coerente con la disciplina IRPEG e poi IRES di cui agli artt. 88, comma 2, e poi 74, comma 2, t.u.i.r. che, regolando ex novo l’intera materia, contemplano espressamente l ‘ astratta soggezione degli enti di previdenza a imposta ma non per l’attività previdenziale , il che priva di senso l’equiparazione all’amministrazione dello Stato laddove intesa anche con riferimento alla nuova disciplina delle imposte dirette.
Giova evidenziare che questa Corte ha affermato il principio per cui, data la natura di stretta interpretazione delle norme di agevolazione o di esenzione, quale è quella in parola, non ne è consentita la trasposizione da un sistema di imposta ad un altro (Cass. 14/05/2010, n. 11787).
In secondo luogo, e con riferimento in particolare al secondo motivo, il ricorrente non esplicita mai la natura dei redditi assoggettata a imposizione, laddove la difesa erariale assume essere pacifico che si tratti di redditi di capitale e di redditi fondiari, cui, come visto in precedenza, non si applica l’esenzione dell’art. 74 , comma 2; ed in tal
senso assume rilevanza quanto affermato dalla CTR in merito alla non commercialità dell’attività previdenziale e alla tassabilità dei redditi relativi ad attività diverse.
2.5. La CTR, quindi, nel ritenere inapplicabile una generale esenzione IRES dell’Istituto, valida per ogni attività svolta, sia ai sensi dell’equiparazione alle amministrazioni dello Stato sia per la natura dell’attività svolta, è conforme alla giurisprudenza sopra citata in tema di interpretazione delle norme del t.u.i.r. in tema di soggettività passiva IRES ed alle considerazioni appena svolte.
I primi due motivi vanno quindi respinti.
Il terzo motivo è inammissibile ; esso è formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n, 5 cod. proc. civ., ma senza che sia indicato compiutamente il fatto materiale di cui sarebbe stato omesso l’esame; la censura è altresì inammissibile laddove deduce una motivazione illogica (vizio non deducibile ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., nella formulazione vigente: vedi Cass., Sez. U., 7/04/2014, n. 8054 secondo cui è deducibile solo la mancanza assoluta o l’apparenza della motivazione) ma anche laddove prospetta una generica ultrapetizione, peraltro senza mai specificare quali fossero i redditi da esso Istituto dichiarati e di cui era stato omesso il versamento.
Alla soccombenza segue condanna al pagamento delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna l’ INPS, in persona del l.r.p.t., al pagamento delle spese di lite in favore d ell’ Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 4.900,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 , della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 3 ottobre 2024.