Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32040 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32040 Anno 2024
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17067/2023 R.G. proposto da : COMUNE DI NAPOLI, elettivamente domiciliato in roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati NOME (CODICE_FISCALE, NOME (CODICE_FISCALE);
contro
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI NOME, elettivamente domiciliata in NAPOLI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende ed ai fini del presente giudizio domiciliata digitalmente al suo indirizzo pec:
EMAIL;
– controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA n. 643/2023 depositata il 18/01/2023;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. la C.T.P. di Napoli, con la sentenza n. 6443/15/2021, accoglieva, in parte, il ricorso proposto dall’Università degli Studi di Napoli Federico II avverso l’avviso di rettifica n. 556654/62, relativo all’omesso pagamento dell’IMU per l’annualità 2015 per complessivi euro 2.691.438,67 relativamente ad alcune delle complessive 243 unità immobiliari risultanti in possesso di detto Ateneo (in specie, in proprietà o uso perpetuo) elencate nel prospetto contenuto nello stesso avviso di rettifica. I primi giudici, nel rigettare le ulteriori contestazioni dedotte da parte contribuente, ritenevano che, per quanto concerneva gli immobili di cui ai numeri da 188 a 199 nonché quelli nn. 201 e 202 di cui all’ atto di accertamento, risultava che gli stessi erano stati c oncessi in godimento gratuito all’Università degli studi di Napoli Luigi COGNOME (ex S.U.N.) ai sensi dell’art. 4 del D.M. del 25/03/1991 in attuazione della legge n. 245/1990 e, pertanto, non sussisteva, con riferimento a tali immobili, la legittimazione passiva dell’Università ricorrente e che, in ogni caso, l’IMU non era dovuta in quanto gli immobili in questione, utilizzati dalla ex RAGIONE_SOCIALE e da questa destinati allo svolgimento di attività didattiche con modalità non commerciali, beneficiavano l’esenzione di cui all’art.7, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 504/92; che parimenti l’immobile di cui al sub 157 (INDIRIZZO non era detenuto dall’Ateneo ma era stato sub-concesso a titolo gratuito alla Regione Campania, come
da delibera dell’Agenzia del demanio del 2011 (in atti); che gli immobili indicati ai nn. 54, 56 e 57, nonché ai nn 69, 72, 105, 153, 156, 170 erano detenuti e destinati dall’Ateneo allo svolgimento dell’attività istituzionale con modalità “non commerciale”, e di conseguenza erano esenti dal pagamento dell’ IMU ex art. 7, comma 1,lett i) d.lgs. n. 546/92 cit. (a prescindere dalla loro categoria catastale), anche in considerazione del fatto che il Comune non aveva contestato la circostanza che tali immobili erano realmente destinati dall’Ateneo allo svolgimento dell’attività istituzionale con modalità “non commerciale”; che quanto agli immobili indicati ai nn. 55 e 70 (cat. D/1) gravati da diritto reale di servitù a favore dell’Enel ai sensi dell’art. 9, comma 1 del d.lgs. n. 23/2011 al quale fa riferimento il c. 1 dell’art. 13 d.l. n. 201/2011 e alla luce dei chiarimenti di cui alla circ. n. 3/DF del 18 maggio 2012, l’IMU doveva essere assolta dall’Enel;
2. la Corte di giustizia tributaria di II grado della Campania, con la sentenza n. 643/03/23, (secondo quanto testualmente indicato in dispositivo) rigettava l’appello principale del Comune ed accoglieva l’appello della parte contribuente, con condanna dell’ente impositore al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. In particolare giudici di appello ritenevano prive di fondamento le censure del Comune, rigettavano i motivi di impugnazione proposti da parte contribuente relativi al difetto di moti vazione dell’atto impugnato ed alla violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale, confermando le statuizioni della sentenza di primo grado relative alla non debenza del tributo quanto alle unità immobiliari individuate dai primi giudici precisando che riguardo all’immobile n. 170 la C.T.P. aveva chiaramente evidenziato che l’esenzione non spettava perché tale bene veniva utilizzato quale centro congressi e, quindi, non destinato all’attività istituzionale dell’Ateneo, e che il rilievo rel ativo all’immobile n.100 -che, a dire dell’Università contribuente, corrispondeva ad un ‘sub’ catastalmente inesistente – non appariva
chiaro in quanto non era stato precisato se tale bene avesse costituito oggetto di tassazione, oltre ad essere erroneamente indicato nell’atto impugnato, sicchè l’appellante non aveva neppure interesse ad impugnare al riguardo;
il Comune di Napoli ha proposto, sulla base di sette motivi, ricorso per la cassazione della detta sentenza, cui ha resistito l’Università degli Studi di Napoli Federico II con controricorso, formulando, a sua volta, ricorso incidentale condizionato;
l’Università degli Studi di Napoli Federico II ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. in data 12 settembre 2024.
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo di ricorso (indicato sub. B.) l’ente impositore ha lamentato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 4 c.p.c., omessa pronuncia sull’appello di controparte e sulle relative controdeduzioni del Comune rispetto alle unità immobiliari indicate ai nn. 16, 25 e 26, in relazione alla violazione dell’obbligo di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. Ha rilevato come nella gravata sentenza -in cui si faceva riferimento all’accoglimento dell’appello di parte contr ibuente, con correlativa statuizione di cui al dispositivo – non vi era traccia alcuna né dell’appello dell’Ateneo riguardante gli immobili di INDIRIZZO (indicati ai nn. 16, 25 e 26 del prospetto di liquidazione dell’avviso impugnato), né delle relative controdeduzioni del Comune;
con il secondo motivo (indicato sub. Bbis ) ha lamentato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 4 c.p.c. violazione dell’art. 111, comma 6, della Costituzione e dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. in combinato disposto con l’art. 156, comma 2, c.p.c. con conseguente nullità della sentenza per inesistenza della motivazione sull’accoglimento dell’appello di controparte e rigetto delle relative eccezioni del Comune sulle unità immobiliari indicate ai nn. 16, 25 e 26. Ha dedotto che nel caso in esame la gravata sentenza aveva omesso ogni motivazione in merito ai cespiti di INDIRIZZO
riformando solo apparentemente la sentenza di C.T.P di Napoli n. 6443/2021 su tali cespiti in quanto le uniche statuizioni sostanziali su tali immobili indicati ai nn. 16, 25 e 26 erano contenute nella sentenza di primo grado e, pertanto, anche a prescindere dall’accoglimento del precedente motivo di ricorso e difettando nella sentenza impugnata ogni motivazione in ordine all’accoglimento dell’appello sui cespiti 16, 25 e 26 la pronunzia impugnata andava annullata;
3. con il terzo motivo (indicato sub. C.) ha lamentato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 1, 2 e 3 del d.lgs. n. 504/1992, dell’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201/2011, con riferimento all’art. 4 del D.M. 25.3.1991. Ha assunto che Commissione Tributaria Regionale, aderendo alla tesi dell’Università Federico II, aveva erroneamente ritenuto che il ‘possessore’ degli immobili in esame, come tale soggetto passivo d’imposta dell’IMU, fosse l’Università Vanvitelli (ex S.U.N.) e non la Federico II, (come, invece, ritenuto dal Comune di Napoli) sebbene fosse pacifico -in quanto non contestato- che quest’ultimo Ateneo, rispetto ai quattordici immobili in questione, nel 2015 risultasse in parte ‘proprietario’ e in parte titolare del diritto di ‘uso perpetuo’, come desumibile anche da due elenchi di immobili in atti, basando il proprio convincimento sul disposto di cui all’art. 4 del D.M. 25.3.1991 da cui sarebbe risultato che i beni in questione erano gravati da un diritto d’uso in favore dell’Università Vanvitelli, rispetto a cui l’Università Federico II non avrebbe avuto la possibilità di continuare a utilizzarli (a differenza del comodante che, ex art. 1804 c.c., può far cessare l’uso del comodatario), essendogli stata sottratta, ex lege , la disponibilità di tali immobili. Ha rilevato che, per contro, non era stata fornita la prova, mediante un atto formalmente e sostanzialmente idoneo allo scopo, che la Federico II, in forza del persistente proprio diritto di proprietà o diritto reale d’uso (solo in parte compresso da un
concorrente diritto d’uso della COGNOME, peraltro neppure perfezionato/formalizzato) non poteva ‘utilizzare’ gli immobili de quibus e che, per contro, essendo normativamente previsto l’utilizzo congiunto delle strutture dell’Università, in assenza della prevista Convenzione e/o di qualsivoglia atto traslativo del diritto d’uso (ritualmente formalizzato/trascritto) che, individuando specificatamente alcune strutture, ne avesse trasferito il possesso alla Vanvitelli, la sentenza impugnata era da ritenere errata in punto di corretto accertamento del soggetto passivo d’imposta per i quattordici immobili sopra elencati;
4. con il quarto motivo (indicato sub. C. bis ) ha dedotto, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. la violazione o falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs.504/1992 in connessione all’art. 3, comma 1, del medesimo d.lgs., assumendo che era erronea l’affermazione dei giudici di appello secondo cui, anche a volere ritenere la Università Federico II possessore (ex art. 13, comma 2, d.l. 6 dicembre 2011 n. 201), andava tenuto conto che trattavasi di immobili destinati allo svolgimento con modalità non commerciali di attività didattiche, per i quali spettava l’esenzione di cui all’art. 7, comma l, lett. i), d.lgs. n. 504/92 non avendo i giudici di appello considerato che, in merito alla possibilità di beneficiare della esenzione – ex art 7, c. 1, lett. i, del d lgs. n. 504/1992 – nell’ipotesi di utilizzazione c.d. indiretta dei suindicati immobili, per finalità istituzionali, da parte di altro Ente non commerciale (ossia l’Università Vanvitelli), la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte si era pronunciata, in via di principio, nel senso di escludere la possibilità di beneficiare di detta esenzione e ciò anche laddove l’utilizzazione indiretta avvenisse per finalità istituzionali e ad opera di enti non commerciali in quanto difetterebbe il requisito di cui alla lett. c), trattandosi di Atenei distinti e fra loro autonomi. Nella specie, dunque, non ricorrendo <> sicchè l’ Università Federico II non poteva beneficiare di tale esenzione;
5. con il quinto motivo (indicato sub. D.) ha dedotto, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per contrasto della motivazione della – da cui risultava il rigetto dell’appello di controparte sulla unità immobiliare indicata al n.170 con la sua parte dispositiva in relazione alla violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, e 156, secondo comma, c.p.c. atteso che la sentenza impugnata, pur avendo statuito nelle conclusioni per l’accoglimento tout court dell’appello dell’Ateneo , in sostanza ne aveva motivato il rigetto per il cespite indicato al n. 170. Ha precisato che se ritenuto che, nel caso in esame, il contrasto fra la motivazione ed il dispositivo era solo apparente, la Suprema Corte poteva limitarsi a dar atto di ciò ovvero di indicare il rimedio della correzione dell’errore materiale allo scopo, con la conseguenza che in difetto di ricorso per cassazione da parte dell’Ateneo con riferimento a detto immobile su tale statuizione si era formato un giudicato interno. In via subordinata e cautelativa nell’ipotesi di una riforma del dispositivo della sentenza anche per tale immobile indicato al n. 170, a sostegno di quanto contenuto nella motivazione della sentenza qui gravata e, dunque, a chiarimento del fatto che l’appello dell’Ateneo su tale cespite è da ritenersi rigettato, ha richiamato le argomentazioni già svolte nel corso del giudizio;
6. con il sesto motivo (indicato sub. E.) ha rilevato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs. 504/1992 in connessione alla corretta applicazione d ell’art. 2697, primo comma, cod. civ. e dell’art. 115, primo comma, cod. proc. civ. lamentando che i giudici di appello non avevano considerato che dalla documentazione versata in atti dalla parte contribuente poteva facilmente rilevarsi che gli immobili indicati ai nn. 69, 72, 105, 153
e 156 del prospetto di liquidazione che per l’Università Federico II non erano in realtà utilizzati esclusivamente per lo svolgimento di attività meritevoli di esenzione ed infatti dalla documentazione versata in atti emergeva che: – gli immobili indicati al punto 54 e 57 del prospetto di liquidazione erano utilizzati rispettivamente quali punto ristoro ed alloggio del custode del dipartimento di farmacia; l’immobile al punto 56 era un locale ad uso del dipartimento di farmacia ma per il quale non veniva indicata l’attività svolta..; l’immobile al punto 69 era adibito a guardiania e centrale telefonica; – l’immobile al punto 72 era una cabina elettrica (locale tecnico); – l’ immobile di INDIRIZZO piano 5/6 (punto 105 del prospetto di liquidazione) è utilizzato per uffici contabili ed altre attività diverse da quelle didattiche, come si evince dalla documentazione allegata; – l’immobile al punto 153 era stato indicato come ingresso di INDIRIZZO ; – per quanto riguardava la sottoposizione a tassazione degli immobili adibiti ad uffici amministrativi il MEF, chiamato, a seguito di presentazione di interpello, a pronunciarsi sull’estensibilità dell’esenzione ex art.7 agli uffici amministrativi e tecnici delle casse edili -strettamente e direttamente strumentali all’espletamento della predetta funzione, con la risoluzione n.8/2015 aveva affermato il principio per cui, il diritto all’esenzione invocata sussiste tutte le volte in cui gli uffici amministrativi e tecnici sono destinati integralmente ed esclusivamente allo svolgimento di attività riconducibili agli scopi statutari (nello specifico didattica e ricerca) dello stesso ente con la conseguenza che alla luce di quanto illustrato è innegabile che l’attività svolta negli uffici di segreteria, di economato, ecc. di un Ateneo poteva considerarsi solo indirettamente riconducibile all’attività dello stesso e pertanto, sugli stessi, doveva essere assolta l’imposta;
7. con il settimo motivo (indicato sub. E.) ha rilevato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione
di norme di diritto di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs. 504/1992 non avendo i giudici di merito considerato che quanto alle cabine elettriche – immobili di cui al n. 55 e 70 -era da ritenere non conforme a diritto l’individuazione della soggettività passiva in capo all’Enel S.p.A. atteso che, gli artt. 9 e 13 contemplano quali soggetti passivi del tributo il proprietario dell’immobile ovvero il titolare del diritto di usufrutto, di uso, di abitazione, di enfiteusi o di superficie sull’immobile ma non il titolare del diritto di servitù con la conseguenza che per gli immobili in questione, soggetti a servitù, l’imposta resta a carico della ricorrente ed in tale senso richiama i principi fissati da Cass.13795/2019);
7.1. l’ente ricorrente ha chiesto, infine, riformare il capo della sentenza relativo alla condanna del Comune alle spese del doppio grado di giudizio e ciò, in quanto tale statuizione (peggiorativa rispetto a quella del giudice di 1° grado che, invece, correttamente aveva compensato le spese in ragione della ‘reciproca soccombenza’) non aveva tenuto conto che sia in 1° che in 2° grado, per quanto suesposto, vi era stato un accoglimento solo parziale del ricorso e dell’appello di controparte;
con il proposto ricorso incidentale condizionato la parte contribuente ha formulato due motivi:
8.1. con il primo motivo ha lamentato, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione degli artt. 7 legge n. 212/2000 e 3 legge n. 241/90, nonché del combinato disposto degli artt. 9, comma 7, d.lgs. n. 23/2011 e 1, comma 162, L. n. 296/2006 nonché dell’ art. 5, legge n. 212/2000 osservando che, a fronte degli specifici motivi dedotti quanto alla nullità dell’ atto di accertamento impugnato per difetto di motivazione, la Corte di giustizia di secondo grado aveva adottato una motivazione apparente, con affermazioni perplesse ed inconciliabili con la fattispecie in causa che non consentivano, quindi, di individuare le effettive ragioni poste a fondamento del dispositivo;
8.2. con il secondo motivo ha dedotto, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., nullità illegittimità della sentenza per violazione dell’art. 32 del Regolamento TARI del Comune di Napoli, dell’art. 12, comma 7, legge 212/2000, e dell’ art. 97 Cost. osservando che la decisione era da ritenere erronea in diritto anche nella parte in cui i giudici di appello avevano rigettato la censura relativa al vizio del procedimento per la mancata attivazione del previo contraddittorio;
va, in primo luogo, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla controricorrente dovendosi osservare che, diversamente da quanto vorrebbe sostenersi, non si tratta di motivi in toto inammissibili, perché i prospettati errori logico-giuridici non implicano affatto, sempre e comunque, la rivisitazione nella presente sede di legittimità di aspetti fattuali, quanto, prevalentemente, profili di stretta rilevanza tecnico-giuridica; inoltre, non può fondatamente sostenersi che essi siano sempre carenti del requisito di specificità ed autosufficienza, dal momento che, per lo più, proprio la natura prettamente giuridica delle doglianze in essi trasversalmente contenuta esclude che la loro illustrazione richiedesse (sempre) l’inserimento, la trascrizione o lo specifico richiamo di elementi diversi rispetto a quelli indicati e richiamati ed ulteriori dalla normativa asseritamente violata in rapporto alle domande ed eccezioni di parte (il cui atteggiarsi nel corso dei vari gradi del processo risulta, per lo più, pacifico tra le parti);
10. il primo motivo è da ritenere infondato in quanto non vi è stata una vera e propria omessa pronunzia, ma semmai una omessa motivazione per come appresso chiarito;
11. il secondo motivo appare fondato in quanto dal tenore generale della sentenza risulta essere stato, comunque, accolto l’appello della contribuente quanto agli immobili elencati ai nn. 16, 25 e 26 ma con una motivazione del tutto assente;
11.1. occorre rilevare, infatti, che nella parte motiva della pronuncia i giudici di appello hanno affermato: ‘Il secondo motivo è invece fondato’ (con la precisazione che tale motivo riguardava anche le suindicate unità immobiliari) e il dispositivo è nel senso dell’accoglimento dell’appello, ma nella parte motiva non sono state enucleate le ragioni dell’accoglimento del motivo di censura relativo alle suddette unità immobiliari sicchè la sentenza, sul punto, non può che essere annullata, occorrendo una specifica motivazione sul motivo di appello relativo alla dedotta esenzione quanto alle unità immobiliari elencate ai nn. 16, 25 e 26;
il terzo ed il quarto motivo di ricorso – i quali possono essere esaminati congiuntamente in quanto fra loro connessi – sono privi di fondamento;
12.1. va premesso, sotto il profilo normativo, che la legge n. 245/1990 – Norme sul piano triennale di sviluppo dell’università e per l’attuazione del piano quadriennale 1986-1990 -ha così stabilito: art. 7. ‘1. Le disposizioni di cui agli articoli 2, 4 e 6 si applicano anche al piano quadriennale di sviluppo dell’università 1986-1990, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 maggio 1989, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 111 del 15 maggio 1989. 2. Per le finalità di cui al comma 1, sono istituite ed attivate, con modifica statutaria, tutte le nuove strutture espressamente previste dal piano di cui al comma 1. Il Politecnico di Bari, la facoltà di magistero presso l’Università di Catania e la II Università di Napoli, sono istituiti con le modalità di cui agli articoli 8, 9 e 10. 3. Le università possono indicare, con delibera del senato accademico, sentito il consiglio di amministrazione per quanto concerne le risorse necessarie, le priorità nell’attivazione delle strutture e dei corsi previsti nel piano di cui al comma 1.4. Per la costituzione della facoltà con corsi attivati alla data di pubblicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1 del presente articolo e previste dal piano
predetto quali strutture decentrate da altre università si applicano, nel caso in cui alle stesse non siano assegnati almeno cinque professori di ruolo di cui tre di prima fascia, le disposizioni di cui al comma 6 dell’art. 2’. Il successivo art. 10 (Istit uzione della II Università di Napoli), a sua volta, ha stabilito: ‘1. È istituita, nell’area metropolitana di Napoli, la II Università. Essa è compresa fra quelle previste dall’art. 1, secondo comma, n. 1), del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore, approvato con regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 e successive modificazioni e integrazioni. 2. Con decreto del Ministro, adottato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su parere conforme delle competenti commissioni parlamentari, sono dettate le disposizioni per disciplinare, secondo quanto previsto dagli articoli 2 e 4, la costituzione delle facoltà e l’attivazione dei relativi corsi di laurea nonchè le modalità attuative delle previsioni del piano quadriennale di sviluppo 1986-1990, ivi compreso lo scorporo dall’Ateneo Federico II di Napoli della I facoltà di medicina ed il passaggio della stessa alla II Università, con le relative dotazioni organiche, scientifiche, didattiche e strumentali. Il decreto deve comunque prevedere che l’istituzione della II Università di Napoli avvenga contestualmente alla costituzione di più facoltà.’ In forza del successivo D.M. 25/09/1991 è stata previsto, all’art. 4, che: ‘ La facoltà di medicina e chirurgia con i relativi corsi di laurea è istituita a decorrere dall’anno accademico 1992-1993 scorporando dall’Ateneo “Federico II” la prima facoltà di medicina e chirurgia con tutte le relative dotazioni organiche, scientifiche, didattiche e strumentali. La seconda Università di Napoli subentra in tutti i rapporti giuridici facenti capo all’Università “Federico II” relativi al funzionamento della prima facoltà di medicina e chirurgia in atto alla data di inizio dell’anno accademico 1992-93. Fino all’apprestamento delle strutture da adibire a Policlinico della facoltà di medicina e chirurgia della seconda Università di Napoli, quest’ultima funzionerà nelle
strutture attualmente utilizzate dalla prima facoltà di medicina e chirurgia dell’Università’ ‘Federico II”. Con apposita convenzione le due università disciplinano i reciproci rapporti in ordine alla gestione delle strutture utilizzate congiuntam ente dalle due facoltà’; 12.2. orbene ancorché difetti, allo stato degli atti, la prova di uno specifico titolo avente natura costitutiva di un diritto reale (concessione «in gratuito e perpetuo uso») in favore dell’ex SRAGIONE_SOCIALE. non può dubitarsi della correttezza della seconda ratio decidendi della C.T.R., anch’essa oggetto di censura;
12.3. invero questa Corte ha avuto modo di chiarire che, a certe e determinate condizioni, l’utilizzazione indiretta del bene può consentire il riconoscimento dell’esenzione in oggetto precisando, sia pure in relazione ad altra agevolazione, ma sulla scorta di un principio avente carattere generale, che «In tema di imposta comunale sugli immobili, l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504 del 1992 spetta non soltanto se l’immobile è direttamente utilizzato dall’ente possessore (nella specie, una fondazione di religione e di culto) per lo svolgimento di compiti istituzionali, ma anche se il bene, concesso in comodato gratuito, sia utilizzato da un altro ente non commerciale per lo svolgimento di attività meritevoli previste dalla norma agevolativa, al primo strumentalmente collegato ed appartenente alla stessa struttura del concedente (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25508 del 18/12/2015; richiamata, in motivazione, da Cass., Sez. 5 – Ordinanza n. 24308 del 30/09/2019 e da Cass. Sez. 5 -Sentenza n. 6795 dell’11/03/2020)» (così Cass., Sez. T, 12 maggio 2021, n. 12539, richiamata da Cass., Sez. T., 16 febbraio 2023, n. 4953). In tale direzione si è avuto modo di rimarcare che detto ordine di idee concerne «l’ipotesi nella quale «il comodatario sostanzialmente utilizzi il bene in attuazione dei compiti istituzionali dell’ente concedente, con il quale sussista uno stretto rapporto di strumentalità che potrebbe definirsi “compenetrante”», ovverosia il
caso «in cui l’immobile è concesso in comodato a un altro ente non commerciale appartenente alla stessa struttura dell’ente concedente per lo svolgimento di un’attività meritevole prevista dalla norma agevolativa. In questo senso, quindi, si è rilevato che «Secondo un indirizzo giurisprudenziale che si è venuto affermando nella giurisprudenza della Corte, l’esenzione spetta non soltanto se l’immobile è direttamente utilizzato dall’ente possessore per lo svolgimento di compiti istituzionali, ma anche se il bene, concesso in comodato gratuito, sia utilizzato da un altro ente non commerciale per lo svolgimento di attività meritevoli previste dalla norma agevolativa, al primo strumentalmente collegato ed appartenente alla stessa struttura del concedente» (v., ora, la l. 30 dicembre 2023, n. 213, art. 1, comma 71, lett. A);
12.4. nella fattispecie in esame l’uso indiretto è fondato proprio sulle cennate disposizioni (l. n. 245 del 1990, art. 10; d.m. 25 marzo 1991, art. 4) che impongono, ex lege , una reciproca integrazione di attività che sia funzionale alla costituzione della nuova Università, allo scorporo delle attività corrispondenti alla prima facoltà di medicina e chirurgia (con tutte le relative dotazioni organiche, scientifiche, didattiche e strumentali, ed il subentro della II Università di Napoli in tutti i rapporti giuridici facenti capo all’Università “Federico II” relativi al funzionamento della prima facoltà di medicina e chirurgia) ed all’uso, relativamente alle attività oggetto di scorporo, delle strutture utilizzate dalla prima facoltà di medicina e chirurgia dell’Università “Federico II (e da destinare a Policlinico della facoltà di medicina e chirurgia della seconda Università di Napoli). Sebbene, dunque, il regime convenzionale previsto, nella disciplina dell’uso, dal richiamato art. 4 del D.M. 25 marzo 1991 sembrerebbe escludere il possesso (del concessionario) fondato su di un diritto reale (di uso), è, quindi, indubbio che l’uso indiretto risponde all’esercizio di attività es enti da ricondurre alle sopra citate disposizioni e l’integrazione fra i due enti è ‘imposta’ a
livello normativo con riferimento alle attività da dismettere ed ai beni da assumere in uso per lo svolgimento delle nuove attività. Tanto consente di escludere la fondatezza delle censure del Comune di Napoli con riferimento ai menzionati locali, con la precisazione che simili conclusioni non appaiono smentite alla luce del richiamato pronunciamento del Consiglio di Stato;
13. il quinto motivo è inammissibile per carenza di interesse posto che è pacifico che l’appello dell’Università sulla imponibilità ai fini IMU dell’ unità immobiliare 170 è stato respinto e di ciò vi è conferma dal tenore del controricorso atteso che la stessa contribuente – la quale, non ha proposto ricorso incidentale in propositoha riconosciuto che: «L’uso dell’espressione ‘chiaramente’, fa intendere che la Commissione ha rigettato il motivo di appello dell’Ateneo su detta unità immobiliare n. 170 per cui si insta per il rigetto del motivo di ricorso’, nel discende che l’ente impositore non ha alcun interesse all’ impugnazione della sentenza sul punto;
14. il sesto motivo è da ritenere, anch’ esso, inammissibile in quanto il Comune ricorrente, pur lamentando apparentemente una violazione di norme di legge, devolve all’esame della Corte una erronea ricognizione della fattispecie concreta ( deducendo mere allegazioni in fatto sulla natura e destinazione di singole unità immobiliari) e, pertanto, finisce col sollecitare un inammissibile riesame del merito del giudizio (vedi Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053). Come, difatti, questa Corte ha in più occasioni rimarcato, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa laddove l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito che è sottoposta al sindacato di legittimità nei limiti delineati (ora) dall’art.
360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (v., ex plurimis, Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., 11 gennaio 2016, n. 195; Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., 11 agosto 2004, n. 15499). Invero la C.T.R., con motivazione logica, congrua e adeguata, valutato il tenore complessivo delle difese delle parti ed esaminata la documentazione versata in atti, ha ritenuto che trattavasi di immobili non assoggettabili ad IMU, ricostruzione che il Comune cerca di inficiare prospettando una rilettura delle complessive risultanze istruttorie né, per altro verso, la generica deduzione svolta sull’onere della prova è idonea ad inficiare l’accertamento in fatto della impugnata sentenza. Occorre ricordare che la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.. (Cass., 25 marzo 2022, n. 9695; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione), violazioni che nel caso di specie non appaiono ravvisabili;
15. il settimo motivo è fondato. Si legge nella sentenza impugnata: «Gli immobili indicati ai nn. 55 e 70 corrispondono, ciascuno, a cabina elettrica, per la quale, ai sensi dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23/2011, al quale fa riferimento il comma 1, dell’articolo 13, del d.l. n. 201/2011, ed alla luce dei chiarimenti resi
dall’Amministrazione finanziaria (Circolare n. 3/DF, del 18 maggio 2012), pacificamente, l’IMU deve essere assolta dall’Enel, quale soggetto del diritto reale di servitù sullo stesso, come da allegato la dichiarazione a firma del Rettore». Orbene le censure formulate con tale motivo colgono nel segno in quanto a parte la contestazione relativa al difetto di prova della sussistenza di una servitù in favore di ENEL regolarmente trascritta, ciò non escluderebbe il titolo proprietario che fonda la soggettività passiva (in tema di servitù di uso pubblico vedi Cass., 30 settembre 2019, n. 24264; Cass., 22 maggio 2019, n. 13795);
16. il ricorso incidentale è infondato;
16.1 il primo motivo deve essere disatteso: si tratta di censura che costituisce mera riproposizione dell’eccezione di nullità del provvedimento impositivo motivatamente disattesa dai giudici di appello e, peraltro, la parte non mette la Corte nella condizione di ripercorrere il contenuto dell’avviso di accertamento impugnato nei suoi tratti contenutistici essenziali. La censura è, dunque, sotto tale profilo, inammissibile per difetto di specificità ex art. 366 c.p.c. dovendosi in questa sede dare seguito al principio di diritto secondo il quale in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo (cfr. Cass. nn.
16147/2017, 2928/2015, 8312/2013). Tale condizione di ammissibilità del mezzo non è stata concretizzata dalla ricorrente in via incidentale nella sua formulazione, non essendo stata affatto riportata, quanto meno per estratto e nei punti rilevanti, la moti vazione dell’atto impositivo impugnato sia in relazione ai presupposti impositivi sia con riferimento agli interessi ed alle sanzioni;
16.2. il secondo motivo è privo di fondamento alcuno dovendosi osservare da un lato che parte ricorrente non specifica l’esatto contenuto della disposizione regolamentare che sarebbe stata violata e, per altro verso, che nel caso in esame non sussisteva un diritto al contraddittorio preventivo. Infatti secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’obbligo generale di contraddittorio preventivo esiste unicamente per i c.d. ‘tributi armonizzati’, mentre per i c.d. ‘tributi non armonizzati’ occorre una specifica previsione normativa (tra le tante: Cass., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24823; Cass., Sez. VI/V, 31 maggio 2016, nn. 11283, 11284, 11285 e 11286; Cass., Sez. V, 15 marzo 2017, nn. 6757 e 6758; Cass., Sez. VI/V, 7 ottobre 2020, nn. 21616 e 21618; Cass., Sez. V, 1° dicembre 2020, n. 27382; Cass., Sez. V, 16 dicembre 2021, n. 40482; Cass., Sez. V, 21 dicembre 2021, nn. 41041, 41106, 41110, 41116 e 41119; Cass., Sez. V, 10 gennaio 2022, n. 366; Cass., Sez. V, 23 maggio 2022, n. 16481). Per i tributi (“non armonizzati”, come l’IRPEF, l’IRAP, le imposte di registro, ipotecaria e catastale, i tributi locali), l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di instaurare il contraddittorio nel corso del procedimento non sussiste per gli accertamenti c.d. ‘a tavolino’, per cui non si pone la questione di un’eventuale inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212. Quindi, in via generale, solo nell’ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, è già stata operata dal legislatore una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio,
attraverso la comminatoria di nullità dell’atto impositivo nel caso di violazione del termine dilatorio di sessanta giorni per consentire al contribuente l’interlocuzione con l’amministrazione finanziaria con decorrenza dalla conclusione delle operazioni di controllo. La Corte costituzionale, pur rilevando che « la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all’evoluzione del sist ema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale», ha, nondimeno, osservato che « dalla pluralità dei moduli procedimentali legislativamente previsti e dal loro ambito applicativo, emerge con evidenza la varietà e la frammentarietà delle norme che disciplinano l’istituto e la difficoltà di assumere una di esse a modello generale » (così Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47), precisando, quindi, che: «Il principio enunciato dall’art. 12, comma 7, statuto contribuente -la partecipazione procedimentale del contribuente -ancorché esprima una esigenza di carattere costituzionale, non può essere esteso in via generale tramite una sentenza di questa Corte; comunque la soluzione proposta dal rimettente potrebbe creare disfunzioni nel siste ma tributario, imponendo un’unica tipologia partecipativa per tutti gli accertamenti, anche ‘a tavolino’», per poi desumerne che: «Di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali evidenziati, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti» (Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47). Nella specie, quindi, esulandosi dal campo dei c.d. ‘tributi armonizzati’ ed essendo stato l’accertamento svolto ‘a tavolino’, in assenza di una specifi ca previsione della disciplina nazionale e regionale, non può affermarsi l’esistenza di un obbligo di
contraddittorio preventivo, la cui mancanza possa invalidare l’atto impositivo (cfr. su tali principi, tra le tante, Cass. Sez. T. 3 maggio 2023, n. 11518);
17. in conclusione vanno accolti il secondo ed il settimo motivo del ricorso principale, vanno rigettati il primo, il terzo ed il quarto e va dichiarata l’inammissibilità del quinto e del sesto; va rigettato il ricorso incidentale e, in relazione ai motivi accolti, la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui va demandata anche la regolamentazione delle spese di questo grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il settimo motivo del ricorso principale, rigetta il primo, il terzo ed il quarto e dichiarata l’inammissibilità del quinto e del sesto; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda anche la regolamentazione delle spese di questo grado di giudizio; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente in via incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Sezione Tributaria in data