Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32718 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32718 Anno 2024
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23664/2021 R.G. proposto da : COMUNE DI NAPOLI, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati NOME (CODICE_FISCALE, NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente e ricorrente in via incidentale- avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. della Campania n. 1703/2021 depositata il 25/02/2021;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
la C.T.P. di Napoli, con la sentenza n. 9737/31/2019, rigettava il ricorso proposto dall’Università degli Studi di Napoli Federico II avverso l’avviso di rettifica n. 839259/26 del 28/09/2018, relativo all’omesso pagamento dell’IMU per l’annualità 2012 per un importo complessivo di 2.124.109,00;
la C.T.R. della Campania, con la sentenza n. 1703/1/2021, depositata il 25 febbraio 2021 e non notificata, accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Università degli Studi di Napoli Federico II ritenendo non dovuta l’IMU solamente per gli immobili indicati ai nn. da 176 a 190 del ‘prospetto di liquidazione” allegato all’atto impugnato (ad esclusione del n.185), in quanto ritenuti in possesso della SUN/Vanvitelli e per quelli indicati ai nn. da 54 a 57; da 90 a 97; 138; 141; 142; da 149 a 154; 159; da 166 a 174; 185 ‘in quanto detenuti e destinati dall’Ateneo appellante allo svolgimento dell’attività istituzionale’, rigettando le ulteriori censure proposte da parte contribuente;
il Comune di Napoli ha proposto, sulla base di tre motivi, ricorso per la cassazione della detta sentenza, notificato in data 18 settembre 2021, cui ha resistito l’Università degli Studi di Napoli Federico II con controricorso, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso;
l’Università degli Studi di Napoli Federico II ha, a sua volta, impugnato, sulla base di cinque motivi, la medesima sentenza con ricorso notificato in data 23 settembre 2021, chiedendo ‘riunirsi’ le
due impugnazioni. Il Comune di Napoli ha resistito con controricorso, eccependo in via preliminare, l’inammissibilità di tale ricorso; 5. l’Università degli Studi di Napoli Federico II ha depositato memorie ex art. 378 c.p.c. in data 12 settembre 2024.
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo di ricorso (indicato sub. B1.) l’ente impositore ha lamentato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 1, 2 e 3 del d.lgs. n. 504/1992, dell’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201/2011, con riferimento all’art. 4 del D.M. 25.3.1991. Ha assunto che Commissione Tributaria Regionale, aderendo alla tesi dell’Università Federico II, aveva erroneamente ritenuto che il ‘possessore’ degli immobili in esame, come tale sog getto passivo d’imposta dell’IMU, fosse l’Università Vanvitelli (ex S.U.N.) e non la Federico II sebbene fosse pacifico -in quanto non contestato- che quest’ultimo Ateneo, rispetto agli immobili in questione, nel 2012 risultasse, in parte, ‘proprietario’ e d, in parte, titolare del diritto di ‘uso perpetuo’, come desumibile anche da due elenchi di immobili in atti, basando il proprio convincimento sul disposto di cui all’art. 4 del D.M. 25.3.1991 da cui sarebbe risultato che i beni in questione erano gravati da un diritto d’uso in favore dell’Università Vanvitelli e che l’Università Federico II non avrebbe avuto la possibilità di continuare a utilizzarli (a differenza del comodante che, ex art. 1804 c.c., può far cessare l’uso del comodatario), essendogli sta ta sottratta, ex lege , la disponibilità di tali immobili. Ha rilevato che, per contro, non era stata fornita la prova, mediante un atto formalmente e sostanzialmente idoneo allo scopo, che la Federico II, in forza del persistente proprio diritto di proprie tà o diritto reale d’uso (solo in parte compresso da un concorrente diritto d’uso della Vanvitelli, peraltro neppure perfezionato/formalizzato) non poteva ‘utilizzare’ gli immobili de quibus e che, per contro, essendo normativamente previsto l’utilizzo congiunto delle strutture
dell’Università, in assenza della prevista convenzione e/o di qualsivoglia atto traslativo del diritto d’uso (ritualmente formalizzato/trascritto) che, individuando specificatamente alcune strutture, ne avesse trasferito il possesso alla Vanvitelli, la sentenza impugnata era da ritenere errata in punto di corretto accertamento del soggetto passivo d’imposta per gli immobili de quibus ;
2. con il secondo motivo (indicato sub. b.2.) ha dedotto, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3, c.p.c. la violazione o falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs.504/1992 in connessione all’art. 3, comma 1, del medesimo d.lgs., assumendo che era erronea l’affermazione dei giudici di appello secondo cui, anche a volere ritenere la Università Federico II possessore (ex art. 13, comma 2, d.l. 6 dicembre 2011 n. 201), andava tenuto conto che trattavasi di immobili destinati allo svolgimento, con modalità non commerciali, di attività didattiche, per i quali spettava l’esenzione di cui all’art. 7, comma l, lett. i), d.lgs. n. 504/92 non avendo i giudici di appello considerato che, in merito alla possibilità di beneficiare della esenzione – ex art 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504/1992 – nell’ipotesi di utilizzazione c.d. indiretta dei suindicati immobili, per finalità istituzionali, da parte di altro Ente non commerciale (ossia l’Università Vanvitelli), la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte si era pronunciata, in via di principio, nel senso di escludere la possibilità di beneficiare di detta esenzione e ciò anche laddove l’utilizzazione indiretta avvenisse per finalità istituzionali e ad opera di enti non commerciali in quanto sarebbe mancato il requisito di cui alla lett. c), trattandosi di Atenei distinti e fra loro autonomi. Nella specie, dunque, non ricorrendo <> l’ Università Federico II non poteva beneficiare di tale esenzione;
3. con l’ultimo motivo (indicato sub. II) ha rilevato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs. 504/1992 in connessione alla corretta applicazione dell’art. 2697, primo comma, c.c. e dell’art. 115, primo comma, c.p.c.;
3.1. ha assunto che relativamente agli ‘immobili indicati ai nn. 54 a 57; 90 a 97; 138; 141; 142; 149 a 154; 159; 166 a 174; 185..’ che secondo la prospettazione l’Università Federico II erano esenti da IMU, beneficiando dell’esenzione dello stesso art. 7, comma 1, lett. i), del d. lgs. 504/92 in quanto da essa detenuti e destinati allo svolgimento dell’attività istituzionale, la C.T.R. Campania aveva accolto l’appello sul presupposto che il Comune di Napoli non aveva contestato la circostanza di fatto che gli immobili in questione erano realmente destinati dall’Ateneo allo svolgimento dell’attività istituzionale con modalità “non commerciali” atteso che le sole contestazioni sollevate dall’ente riguardavano gli immobili utilizzati dalla SUN e dall’Azienda Policlinico, non considerando che, con le proprie difese, il Comune aveva evidenziato che, per beneficiare della esenzione, occorreva la prova da parte contribuente del presupposto oggettivo dell’effettivo svolgimento dell’attività istituzionale, con modalità non commerciali, apparendo chiara, già sotto tale profilo, la violazione delle disposizioni sopra richiamate. Ha osservato, ancora, che, anche a prescindere da ciò, risultava evidente che la sentenza impugnata aveva violato il disposto di cui all’art. 2697 c.c. non avendo considerato che era onere dell’Ateneo appellante provare che l’attività istituzionale (didattica) venisse da esso svolta, in ognuno degli edifici in questione, con modalità non commerciali, prova nella specie non fornita in concreto;
l’Università degli Studi di Napoli Federico II con il primo motivo del proposto ricorso – da qualificarsi come ricorso incidentale (vedi, per tutte, Cass. n. 36057/2021) deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c. nullità della sentenza per violazione e falsa
applicazione dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992 e dell’art. 7, comma 1, lett. i) d.lgs. 504/92 per aver la Commissione rigettato il motivo di appello proposto dall’Ateneo relativamente alle unità immobiliari sub n. 16, 25 e 26 su cui gravava il diritto di uso in capo alla Azienda Universitaria Ospedaliera Policlinico (AOU), applicando erroneamente l’art. 3, comma 1, d.lgs. 504/92 ed, ancora, in violazione dell’art. 7, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 504/92 e 13 d.l. 201/2011 giacché gli immobili in questione concessi all’ AOU rientravano nella norma di esenzione essendo destinati ad attività oggettivamente esenti e, comunque, risultavano trasferiti in uso gratuito ad ente strumentalmente collegato all’Ateneo;
5. con il secondo motivo ha dedotto, ai sensi dell’art.360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 111, sesto comma Cost., dell’ art. 132 c.p.c., 36, comma 2, n. 4, d. lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 24 Cost., per aver la C.T.R. fondato la decisione di rigetto sulle unità immobiliari nn. 16, 25 e 26 su di un profilo errato in diritto e, comunque, adottando una motivazione meramente apparente senza avere tenuto conto dei motivi e dei documenti allegati in atti idonei a dimostrare che le predette unità immobiliari trasferite all’Ateneo Federico II, giusta concessione in uso gratuito e perpetuo dal Demanio ex art. 46 del R.D. n. 1592 del 31/08/1933, non erano rimasti nella disponibilità e/o detenzione dell’Ateneo ricorrente nell’anno 2012 (né in quelli precedenti e successivi), perché sub-concessi in uso gratuito ad altro soggetto passivo sin dal 1.4.1995, ovvero l’anno in cui gli immobili (in concessione all’Ateneo) insistenti sulla INDIRIZZO erano stati assegnati all’istituita AOU per finalità assistenziali/sanitarie, oltre che universitarie (per la ex facoltà di medicina dell’Ateneo), come era emerso dagli atti di causa;
6. con il terzo motivo ha dedotto, ai sensi dell’art.360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., , illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 212/2000 e dell’ art. 3 legge n.
241/90, nonché del combinato disposto degli artt. 9, comma 7, d.lgs. n. 23/2011 e 1, comma 162, legge n. 296/2006 e dell’art. 5, legge n. 212/2000 non risultando in alcuna parte dell’atto impugnato indicate le ragioni di una diversità oggettiva o soggettiva rispetto al dichiarato, se non una mera “differenza” di IMU rispetto a quella liquidata (e non accertata), senza alcun abbinamento dei pagamenti effettuati, né indicazione dei criteri di calcolo e della fonte degli interessi;
7. con il quarto motivo ha lamentato, ai sensi dell’art.360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 111, sesto comma Cost., dell’ art. 132 cod. proc. civ., 36, comma 2, n. 4, d. lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 24 della Cost., per aver la C.T.R. adottato una motivazione del tutto generica e meramente apparente;
8. con il quinto motivo ha dedotto, ai sensi dell’art.360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e ss. d.lgs. n. 504/92, nonché dell’art. 11 del Regolamento IMU del Comune, ed ancora degli artt. 24 e 97 Cost. Ha assunto che la C.T.R non aveva applicato le norme che indiv iduano l’ iter istruttorio che il Comune avrebbe dovuto osservare ai fini della legittima liquidazione del tributo né aveva applicato il principio dell’obbligo del contraddittorio alla luce della più recente interpretazione di legittimità;
9. in via preliminare e generale vanno rigettate le eccezioni di inammissibilità dei rispettivi ricorsi, formulate da entrambe le parti, dovendosi osservare che, diversamente da quanto vorrebbe sostenersi nelle rispettive difese, non si tratta, di motivi in toto inammissibili, perché i prospettati errori logico-giuridici non implicano affatto, sempre e comunque, la rivisitazione nella presente sede di legittimità di aspetti fattuali, quanto, prevalentemente, profili di stretta rilevanza tecnico-giuridica; inoltre, non può fondatamente sostenersi che essi siano sempre carenti del requisito di specificità
ed autosufficienza, dal momento che , per lo più, proprio la natura prettamente giuridica delle doglianze in essi trasversalmente contenuta esclude che la loro illustrazione richiedesse (sempre) l’inserimento, la trascrizione o lo specifico richiamo di elementi diversi rispetto a quelli indicati e richiamati ed ulteriori dalla normativa asseritamente violata in rapporto alle domande ed eccezioni di parte (il cui atteggiarsi nel corso dei vari gradi del processo risulta, per lo più, pacifico tra le parti);
10. il primo ed il secondo motivo del ricorso principale – i quali possono essere esaminati congiuntamente in quanto fra loro connessi – sono privi di fondamento;
10.1. va premesso, sotto il profilo normativo, che la legge n. 245/1990 – Norme sul piano triennale di sviluppo dell’università e per l’attuazione del piano quadriennale 1986-1990 -ha così stabilito: art. 7. ‘1. Le disposizioni di cui agli articoli 2, 4 e 6 si applicano anche al piano quadriennale di sviluppo dell’università 1986-1990, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 maggio 1989, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 111 del 15 maggio 1989. 2. Per le finalità di cui al comma 1, sono istituite ed attivate, con modifica statutaria, tutte le nuove strutture espressamente previste dal piano di cui al comma 1. Il Politecnico di Bari, la facoltà di magistero presso l’Università di Catania e la II Università di Napoli, sono istituiti con le modalità di cui agli articoli 8, 9 e 10. 3. Le università possono indicare, con delibera del senato accademico, sentito il consiglio di amministrazione per quanto concerne le risorse necessarie, le priorità nell’attivazione delle strutture e dei corsi previsti nel piano di cui al comma 1.4. Per la costituzione della facoltà con corsi attivati alla data di pubblicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1 del presente articolo e previste dal piano predetto quali strutture decentrate da altre università si applicano, nel caso in cui alle stesse non siano assegnati almeno cinque
professori di ruolo di cui tre di prima fascia, le disposizioni di cui al comma 6 dell’art. 2’. Il successivo art. 10 (Istituzione della II Università di Napoli), a sua volta, ha stabilito: ‘1. È istituita, nell’area metropolitana di Napoli, la II Università. Essa è compresa fra quelle previste dall’art. 1, secondo comma, n. 1), del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore, approvato con regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 e successive modificazioni e integrazioni. 2. Con decreto del Ministro, adottato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su parere conforme delle competenti commissioni parlamentari, sono dettate le disposizioni per disciplinare, secondo quanto previsto dagli articoli 2 e 4, la costituzione delle facoltà e l’attivazione dei relativi corsi di laurea nonchè le modalità attuative delle previsioni del piano quadriennale di sviluppo 1986-1990, ivi compreso lo scorporo dall’Ateneo Federico II di Napoli della I facoltà di medicina ed il passaggio della stessa alla II Università, con le relative dotazioni organiche, scientifiche, didattiche e strumentali. Il decreto deve comunque prevedere che l’istituzione della II Università di Napoli avvenga contestualmente alla costituzione di più facoltà.’ In forza del su ccessivo D.M. 25/09/1991 è stata previsto, all’art. 4, che: ‘ La facoltà di medicina e chirurgia con i relativi corsi di laurea è istituita a decorrere dall’anno accademico 1992-1993 scorporando dall’Ateneo “Federico II” la prima facoltà di medicina e chirurgia con tutte le relative dotazioni organiche, scientifiche, didattiche e strumentali. La seconda Università di Napoli subentra in tutti i rapporti giuridici facenti capo all’Università “Federico II” relativi al funzionamento della prima facoltà di medicina e chirurgia in atto alla data di inizio dell’anno accademico 1992-93. Fino all’apprestamento delle strutture da adibire a Policlinico della facoltà di medicina e chirurgia della seconda Università di Napoli, quest’ultima funzionerà nelle strutture attualmente utilizzate dalla prima facoltà di medicina e chirurgia dell’Università’ ‘Federico II”. Con apposita convenzione le
due università disciplinano i reciproci rapporti in ordine alla gestione delle strutture utilizzate congiuntamente dalle due facoltà’;
10.2. orbene ancorché difetti, allo stato degli atti, la prova di uno specifico titolo avente natura costitutiva di un diritto reale (concessione «in gratuito e perpetuo uso») in favore dell’ex S.U.N. non può dubitarsi della correttezza della seconda ratio decidendi della C.T.R., anch’essa oggetto di censura;
10.3. invero questa Corte ha avuto modo di chiarire che, a certe e determinate condizioni, l’utilizzazione indiretta del bene può consentire il riconoscimento dell’esenzione in oggetto precisando, sia pure in relazione ad altra agevolazione, ma sulla scorta di un principio avente carattere generale, che «In tema di imposta comunale sugli immobili, l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504 del 1992 spetta non soltanto se l’immobile è direttamente utilizzato dall’ente possessore (nella specie, una fondazione di religione e di culto) per lo svolgimento di compiti istituzionali, ma anche se il bene, concesso in comodato gratuito, sia utilizzato da un altro ente non commerciale per lo svolgimento di attività meritevoli previste dalla norma agevolativa, al primo strumentalmente collegato ed appartenente alla stessa struttura del concedente (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25508 del 18/12/2015; richiamata, in motivazione, da Cass., Sez. 5 – Ordinanza n. 24308 del 30/09/2019 e da Cass. Sez. 5 -Sentenza n. 6795 dell’11/03/2020)» (così Cass., Sez. T, 12 maggio 2021, n. 12539, richiamata da Cass., Sez. T., 16 febbraio 2023, n. 4953). In tale direzione si è avuto modo di rimarcare che detto ordine di idee concerne «l’ipotesi nella quale «il comodatario sostanzialmente utilizzi il bene in attuazione dei compiti istituzionali dell’ente concedente, con il quale sussista uno stretto rapporto di strumentalità che potrebbe definirsi “compenetrante”», ovverosia il caso «in cui l’immobile è concesso in comodato a un altro ente non commerciale appartenente alla stessa struttura dell’ente concedente
per lo svolgimento di un’attività meritevole prevista dalla norma agevolativa. In questo senso, quindi, si è rilevato che «Secondo un indirizzo giurisprudenziale che si è venuto affermando nella giurisprudenza della Corte, l’esenzione spetta non soltanto se l’immobile è direttamente utilizzato dall’ente possessore per lo svolgimento di compiti istituzionali, ma anche se il bene, concesso in comodato gratuito, sia utilizzato da un altro ente non commerciale per lo svolgimento di attività meritevoli previste dalla norma agevolativa, al primo strumentalmente collegato ed appartenente alla stessa struttura del concedente» (v., ora, la l. 30 dicembre 2023, n. 213, art. 1, comma 71, lett. a);
10.4. nella fattispecie in esame l’uso indiretto è fondato proprio sulle cennate disposizioni (l. n. 245 del 1990, art. 10; d.m. 25 marzo 1991, art. 4) che impongono, ex lege , una reciproca integrazione di attività che sia funzionale alla costituzione della nuova Università, allo scorporo delle attività corrispondenti alla prima facoltà di medicina e chirurgia (con tutte le relative dotazioni organiche, scientifiche, didattiche e strumentali, ed il subentro della II Università di Napoli in tutti i rapporti giuridici facenti capo all’Università “Federico II” relativi al funzionamento della prima facoltà di medicina e chirurgia) ed all’uso, relativamente alle attività oggetto di scorporo, delle strutture utilizzate dalla prima facoltà di medicina e chirurgia dell’Università “Federico II (e da destinare a Policlinico della facoltà di medicina e chirurgia della seconda Università di Napoli). Sebbene, dunque, il regime convenzionale previsto, nella disciplina dell’uso, dal richiamato art. 4 del D.M. 25 marzo 1991 sembrerebbe escludere il possesso (del concessionario) fondato su di un diritto reale (di uso), è, quindi, indubbio che l’uso indiretto risponde all’esercizio di attività es enti da ricondurre alle sopra citate disposizioni e l’integrazione fra i due enti è ‘imposta’ a livello normativo con riferimento alle attività da dismettere ed ai beni da assumere in uso per lo svolgimento delle nuove attività. Tanto
consente di escludere la fondatezza delle censure del Comune di Napoli con riferimento ai menzionati locali;
11. il terzo motivo è da ritenere inammissibile in quanto il Comune ricorrente, pur deducendo apparentemente una violazione di norme di legge devolve all’esame della Corte una erronea ricognizione della fattispecie concreta e, pertanto, finisce col sollecitare un inammissibile riesame del merito del giudizio (vedi Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053). Come, difatti, questa Corte ha in più occasioni rimarcato, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa laddove l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito che è sottoposta al sindacato di legittimità nei limiti delineati (ora) dall’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (v., ex plurimis, Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., 11 gennaio 2016, n. 195; Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., 11 agosto 2004, n. 15499). Invero la C.T.R., con motivazione logica, congrua e adeguata, ha desunto la prova dell’ utilizzo a fini istituzionali dei beni in questione dalla concreta articolazione in fatto delle difese del Comune né la generica deduzione svolta sull’onere della prova è idonea ad inficiare l’accertamento in fatto della impugnata s entenza. Occorre ricordare che – la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da
tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.. (Cass., 25 marzo 2022, n. 9695; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione), violazioni che nel caso di specie non appaiono ravvisabili;
i primi due motivi del ricorso incidentale -che possono essere esaminati congiuntamente in quanto fra loro connessi -sono in parte inammissibili ed in parte infondati;
12.1. escluso che possa parlarsi di motivazione apparente – in quanto la C.T.R. (v. ff.8-9) ha specificato le ragioni per cui non poteva essere riconosciuta la chiesta esenzione evidenziando, fra l’altro, che l’Ateneo non aveva chiarito e documentato ‘la n atura (reale o obbligatoria) del titolo in base al quale l’Università ha trasferito all’Azienda Policlinico il diritto di utilizzarli’ – risulta di tutta evidenza che la contribuente finisce per censurare la ricostruzione in fatto ad opera dei primi giudici i quali hanno ritenuto, come detto, che l’università non aveva chiarito e documentato la natura del titolo in base al quale era stato trasferito all’ azienda Policlinico il diritto di utilizzare i beni in questione;
12.2. l’Università degli Studi di Napoli Federico II continua a sottolineare, in ricorso, che si stratta di beni ‘in uso’ all’ AOU ma non chiarisce la natura giuridica del relativo rapporto e parla poi, del tutto genericamente, di un rapporto strumentale fra università ed AOU. Nella memoria conclusiva ribadisce che: ‘ Per completezza, si aggiunga che nel corso del lungo contenzioso, l’Ateneo negli altri giudizi (ad es. anno 2017) per provare che gli immobili indicati ai nn. 16, 25 e 26 – in INDIRIZZO COGNOME i, 5 erano proprio quelli ‘concessi in uso all’Azienda Universitaria Ospedaliera Policlinico (AOU) e, che,
quindi, non dovevano né essere dichiarati, né assoggettati ad IMU nel 2017 (né in annualità precedenti o successive) in capo all’Ateneo’ ha depositato ‘in primo grado anche un elenco ricognitivo dei n. 3 cespiti di cui è causa concessi in uso all’AOU (sub doc.2 alla memoria di I grado), a firma del Direttore Generale dell’Ateneo e del Direttore Amministrativo dell’AOU a piena conferma, dell’illegittimità dell’atto impugnato. Elenco, per inciso, idoneo a superare il dubbio che hanno avuto le precedenti sentenze (2012) che avevano ritenuto non documentato in atti l’avvenuta concessione in uso di detti immobili all’AOU’. Se la Commissione Regionale, nel decidere sull’annualità 2012, avesse conferito rilevanza ai documenti in atti attestanti il diritto di uso di retto dei cespiti de quo in capo all’AOU Federico II, avrebbe dovuto annullare la pretesa IMU limitatamente agli stessi, come esposto nel ricorso ‘: alla luce di tali considerazioni risulta palese il tentativo di sollecitare in questa sede una inammissibile rivalutazione di elementi fattuali, peraltro con il riferimento a ‘documenti’ che non vengono adeguatamente richiamati – ai fini dell’autosuffic ienza del ricorso – e che non si comprende neanche allorquando sarebbero stati prodotti nel corso del giudizio;
13. il terzo motivo deve essere parimenti disatteso: si tratta di censura che costituisce mera riproposizione dell’eccezione di nullità del provvedimento impositivo motivatamente disattesa dai giudici di appello e, peraltro, la parte non mette la Corte nella condizione di ripercorrere il contenuto dell’avviso di accertamento impugnato nei suoi tratti contenutistici essenziali. La censura è, dunque, sotto tale profilo, inammissibile per difetto di specificità ex art. 366 c.p.c. dovendosi in questa sede dare seguito al principio di diritto secondo il quale in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì
amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo (cfr. Cass. nn. 16147/2017, 2928/2015, 8312/2013). Tale condizione di ammissibilità del mezzo non è stata concretizzata dalla ricorrente in via incidentale nella sua formulazione, non essendo stata affatto riportata, quanto meno per estratto e nei punti rilevanti, la motivazione dell’atto impositivo impugnato sia in relazione ai presupposti impositivi sia con riferimento ai chiesti interessi la cui motivazione, a dire della contribuente, sarebbe ‘criptica e non comprensibile’;
il quarto motivo è infondato, non sussistendo una motivazione mancante o meramente apparente: il motivo, in realtà, prospettando una insussistente ‘apparenza della motivazione’ quanto alla questione relativa all’ IMU già pagata ed alla tematica di interessi non dovuti, solleva una serie di deduzioni in fatto non suffragate dalla specifica indicazione di elementi decisivi che sarebbero stati del tutto pretermessi dai giudici di merito;
15. il quinto motivo è privo di fondamento alcuno dovendosi osservare da un lato che parte contribuente non specifica l’esatto contenuto della disposizione regolamentare che sarebbe stata violata e, per altro verso, che nel caso in esame non sussisteva un diritto al contraddittorio preventivo. Infatti secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’obbligo generale di contraddittorio preventivo esiste unicamente per i c.d. ‘tributi armonizzati’, mentre per i c.d. ‘tributi non armonizzati’ occorre una specifica previsione normativa (tra le tante: Cass., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24823;
Cass., Sez. VI/V, 31 maggio 2016, nn. 11283, 11284, 11285 e 11286; Cass., Sez. V, 15 marzo 2017, nn. 6757 e 6758; Cass., Sez. VI/V, 7 ottobre 2020, nn. 21616 e 21618; Cass., Sez. V, 1° dicembre 2020, n. 27382; Cass., Sez. V, 16 dicembre 2021, n. 40482; Cass., Sez. V, 21 dicembre 2021, nn. 41041, 41106, 41110, 41116 e 41119; Cass., Sez. V, 10 gennaio 2022, n. 366; Cass., Sez. V, 23 maggio 2022, n. 16481). Per i tributi (“non armonizzati”, come l’IRPEF, l’IRAP, le imposte di registro, ipotecaria e catastale, i tributi locali), l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di instaurare il contraddittorio nel corso del procedimento non sussiste per gli accertamenti c.d. ‘a tavolino’, per cui non si pone la questione di un’eventuale inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212. Quindi, in via generale, solo nell’ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, è già stata operata dal legislatore una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio, attraverso la comminatoria di nullità dell’atto impositivo nel caso di violazione del termine dilatorio di sessanta giorni per consentire al contribuente l’interlocuzione con l’amministrazione finanziaria con decorrenza dalla conclusione delle operazioni di controllo. La Corte costituzionale, pur rilevando che « la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributari o, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale», ha, nondimeno, osservato che « dalla pluralità dei moduli procedimentali legislativamente previsti e dal loro ambito applicativo, emerge con evidenza la varietà e la frammentarietà delle norme che disciplinano l’istituto e la difficoltà di assumere una di esse a modello generale » (così Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47), precisando, quindi, che: «Il principio enunciato dall’art. 12, comma 7, statuto contribuente -la partecipazione procedimentale del contribuente -ancorché esprima
una esigenza di carattere costituzionale, non può essere esteso in via generale tramite una sentenza di questa Corte; comunque la soluzione proposta dal rimettente potrebbe creare disfunzioni nel sistema tributario, imponendo un’unica tipologia partecipati va per tutti gli accertamenti, anche ‘a tavolino’», per poi desumerne che: «Di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali evidenziati, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti» (Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47). Nella specie, quindi, esulandosi dal campo dei c.d. ‘tributi armonizzati’ ed essendo stato l’accertamento svolto ‘a tavolino’, in assenza di una specifica previsione della disciplina nazionale e regionale, non può affermarsi l’esistenza di un obbligo di co ntraddittorio preventivo, la cui mancanza possa invalidare l’atto impositivo (cfr. su tali principi, tra le tante, Cass. Sez. T. 3 maggio 2023, n. 11518);
16. alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, stante la infondatezza dei motivi dedotti dalle parti, entrambi i ricorsi devono essere rigettati;
16.1. le spese giudiziali del presente giudizio vanno compensate in ragione della reciproca soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso principale nonché il ricorso incidentale; dichiara interamente compensate fra le parti le spese processuali; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente principale nonché della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto
per il ricorso principale ed incidentale, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione