Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32029 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32029 Anno 2024
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18885/2023 R.G. proposto da : COMUNE DI NAPOLI, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati NOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI NOME, elettivamente domiciliata in NAPOLI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende ed ai fini del presente giudizio domiciliata digitalmente al suo indirizzo pec:
EMAIL;
– controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA n. 1093/2023 depositata il 09/02/2023;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. la C.T.P. di Napoli, con la sentenza n. 8706/2021, accoglieva, in parte, il ricorso proposto dall’Università degli Studi di Napoli Federico II avverso l’avviso in rettifica IMU, n. 56481451, relativo all’omesso pagamento per l’annualità 2017 di euro 1.736.125,00, oltre sanzioni e interessi, per complessivi euro 2.359.144 relativamente ad alcune delle complessive 249 unità immobiliari risultanti in possesso di detto Ateneo (in specie, in proprietà o uso perpetuo) elencate nel prospetto contenuto nello stesso avviso di rettifica. I primi giudici, nel rigettare le ulteriori contestazioni dedotte da parte contribuente, ritenevano che, per quanto concerneva gli immobili di cui ai numeri da 188 a 199 nonché quelli nn. 201 e 202 di cui all’ atto di accertamento, risultava che gli stessi erano stati concessi in godimento gratuito all’Università degli studi di Napoli Luigi COGNOME (ex S.U.N.) ai sensi dell’art. 4 del D.M. del 25/03/1991 in attuazione della legge n. 245/1990 e, pertanto, non sussisteva, con riferimento a tali immobili, la legittimazione passiva dell’Università ricorrente e che, in ogni caso, l’IMU non era dovuta in quanto gli immobili in questione, utilizzati dalla ex RAGIONE_SOCIALE e da questa destinati allo svolgimento di attività didattiche con modalità non commerciali, beneficiavano l’esenzione di cui all’art.7, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 504/92; che gli immobili indicati ai nn. 59 a 62, 74, 75, 77, 110, 158, 161, 175 erano detenuti e destinati dall’Ateneo allo svolgimento dell’attività istituzionale con modalità “non commerciale” e, di conseguenza, erano esenti dal pagamento dell’IMU ex art. 7, comma
1, lett. i) d.lgs. n. 546/92 cit. (a prescindere dalla loro categoria catastale), anche in considerazione del fatto che il Comune non aveva contestato la circostanza che tali beni erano realmente destinati dall’Ateneo allo svolgimento dell’attività istituzionale con modalità “non commerciale;
2. la Corte di giustizia tributaria di II grado della Campania, con la sentenza n. 1093/14/23, rigettava l’appello principale del Comune ed accoglieva, parzialmente l’appello della parte contribuente, con condanna dell’ente impositore al pagamento delle sp ese del doppio grado di giudizio. In particolare giudici di appello ritenevano prive di fondamento le censure del Comune, rigettavano i motivi di impugnazione proposti da parte contribuente relativi al difetto di motivazione dell’atto impugnato ed alla vio lazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale. Osservavano che per quanto concerneva gli immobili ai nn. 16, 25 e 26 in INDIRIZZO, subconcessi in uso gratuito all’Azienda Universitaria Ospedaliera Policlinico (AOU), occupati dal l’istituto di credito Intesa San Paolo, ex Banco di Napoli, trattavasi di immobili che non erano nella disponibilità dell’Ateneo ma concessi in uso all’AOU Federico II che -‘subentrata all’Ateneo’ – li aveva locati (al Banco di Napoli), come era dato evincere dai contratti di locazione già prodotti in atti dall’Ateneo, precisando che, contrariamente a quanto rilevato dal Comune, l’esenzione era applicabile anche in relazione a tali immobili, in quanto concessi in comodato gratuito all’AOU, ente non commerc iale. Rilevavano, ancora, che l’immobile n. INDIRIZZO (INDIRIZZO risultava concesso a titolo gratuito alla Regione Campania che vi ha ivi collocato i propri uffici per l’Agenzia diritto allo Studio Universitario della Regione Campania ADISURC, come da delibera dell’Agenzia del demanio del 2011, prodotta in atti ed, in ogni caso, l’immobile era destinato allo svolgimento di attività esente IMU (in quanto didattica) ex art. 7, comma 1, lett. i), d.lgs. 504/92 sul piano oggettivo e rispondeva anche al requisito soggettivo di
appartenenza di due enti non commerciali (Regione/Ateneo). L’immobile indicato al n. 115 (INDIRIZZO) corrispondeva, invece, ad un sub catastale inesistente (n.99 del Foglio 1, sez. Pennino) sicchè nessuna imposta era dovuta;
il Comune di Napoli ha proposto, sulla base di sei motivi, ricorso per la cassazione della detta sentenza, cui ha resistito l’Università degli Studi di Napoli Federico II con controricorso, formulando, a sua volta, ricorso incidentale condizionato;
l’Università degli Studi di Napoli Federico II ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. in data 12 settembre 2024;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo di ricorso (indicato sub. B1.) l’ente impositore ha lamentato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 1, 2 e 3 del d.lgs. n. 504/1992, dell’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201/2011, con riferimento all’art. 4 del D.M. 25.3.1991. Ha assunto che Commissione Tributaria Regionale, aderendo alla tesi dell’Università Federico II, aveva erroneamente ritenuto che il ‘possessore’ degli immobili in esame, come tale sog getto passivo d’imposta dell’IMU, fosse l’Università Vanvitelli (ex S.U.N.) e non la Federico II sebbene fosse pacifico -in quanto non contestato- che quest’ultimo Ateneo, rispetto agli immobili in questione, nel 2017, in parte, ‘proprietario’ ed, in parte, titolare del diritto di ‘uso perpetuo’, come desumibile anche da due elenchi di immobili in atti, basando il proprio convincimento sul disposto di cui all’art. 4 del D.M. 25.3.1991 da cui sarebbe risultato che i beni in questione erano gravati da un diritto d’uso in favore dell’Università Vanvitelli e che l’Università Federico II non avrebbe avuto la possibilità di continuare a utilizzarli (a differenza del comodante che, ex art. 1804 c.c., può far cessare l’uso del comodatario), essendogli stata sottratt a, ex lege , la disponibilità di tali immobili. Ha rilevato che, per contro, non era stata fornita la prova, mediante un atto formalmente e
sostanzialmente idoneo allo scopo, che la Federico II, in forza del persistente proprio diritto di proprietà o diritto reale d’uso (solo in parte compresso da un concorrente diritto d’uso della Vanvitelli, peraltro neppure perfezionato/formalizzato) non po teva ‘utilizzare’ gli immobili de quibus e che, per contro, essendo normativamente previsto l’utilizzo congiunto delle strutture dell’Università, in assenza della prevista convenzione e/o di qualsivoglia atto traslativo del diritto d’uso (ritualmente formalizzato/trascritto) che, individuando specificatamente alcune strutture, ne avesse trasferito il possesso alla Vanvitelli, la sentenza impugnata era da ritenere errata in punto di corretto accertamento del soggetto passivo d’imposta per gli immobili de quibus ;
2. con il secondo motivo (indicato sub. b.2.) ha dedotto, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3, c.p.c. la violazione o falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs.504/1992 in connessione all’art. 3, comma 1, del medesimo d.lgs., assumendo che era erronea l’affermazione dei giudici di appello secondo cui, anche a volere ritenere la Università Federico II possessore (ex art. 13, comma 2, d.l. 6 dicembre 2011 n. 201), andava tenuto conto che trattavasi di immobili destinati allo svolgimento, con modalità non commerciali, di attività didattiche, per i quali spettava l’esenzione di cui all’art. 7, comma l, lett. i), d.lgs. n. 504/92 non avendo i giudici di appello considerato che, in merito alla possibilità di beneficiare della esenzione – ex art 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504/1992 – nell’ipotesi di utilizzazione c.d. indiretta dei suindicati immobili, per finalità istituzionali, da parte di altro Ente non commerciale (ossia l’Università Vanvitelli), la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte si era pronunciata, in via di principio, nel senso di escludere la possibilità di beneficiare di detta esenzione e ciò anche laddove l’utilizzazione indiretta avvenisse per finalità istituzionali e ad opera di enti non commerciali in quanto sarebbe mancato il requisito di cui alla lett. c), trattandosi
di Atenei distinti e fra loro autonomi. Nella specie, dunque, non ricorrendo <> l’ Universi tà Federico II non poteva beneficiare di tale esenzione;
3. con il terzo motivo (indicato sub. C3) ha rilevato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs. 504/1992 in connessione alla corretta applicazione d ell’art. 2697, primo comma, cod. civ. e dell’art. 115, primo comma, cod. proc. civ. lamentando che i giudici di appello non avevano considerato che dalle medesime allegazioni di parte contribuente poteva facilmente rilevarsi che gli immobili indicati dal n. 59 a 62 nonché di quelli indicati ai nn. 74, 75, 77, 110, 158, 161, 175, 54, 56 e 57 del prospetto di liquidazione che per l’Università Federico II gli stessi non erano, in realtà, utilizzati esclusivamente per lo svolgimento di attività meritevoli di esenzione ed, infatti, dalla documentazione versata in atti emergeva che: – gli immobili indicati ai punti da 59 a 62 del prospetto di liquidazione erano utilizzati rispettivamente quali punto ristoro ed alloggio del custode del dipartimento di farmacia; l’immobile al punto 61 era un locale ad uso del dipartimento di farmacia ma per il quale non veniva indicata l’attività svolta.. ; l’immobile al punto 158 era stato indicato come ingresso di INDIRIZZO; – l’immobile al punto 161 era in uso al centro Musei ma non era specificata la destinazione d’uso dello stesso; l’immobile di INDIRIZZO (punto 175 del prospetto di liquidazione) era utilizzato con finalità tipicamente commerciali in quanto adibito a centro congressi; per quanto riguardava la sottoposizione a tassazione degli immobili adibiti ad uffici amministrativi (INDIRIZZO, tali immobili risultavano utilizzati per uffici contabili ed altre attività diverse da quelle didattiche;
4. con il quarto motivo (indicato sub. C.4) ha rilevato, ai sensi dell’art.360, primo 4comma, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs. 504/1992 non avendo i giudici di merito considerato che quanto alle cabine elettriche – immobili di cui al n. 55 e 70 -era da ritenere non conforme a diritto l’individuazione della soggettività passiva in capo all’Enel S.p.A. atteso che, gli artt. 9 e 13 contemplano quali soggetti passivi del tributo il proprietario dell’immobile ovvero il titolare del diritto di usufrutto, di uso, di abitazione, di enfiteusi o di superficie sull’immobile ma non il titolare del diritto di servitù con la conseguenza che per gli immobili in questione, soggetti a servitù, l’imposta resta a carico della contribuente;
5. con il quinto motivo (indicato sub. D.5.) ha rilevato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione di norme di disposizioni di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs. 504/1992 in connessione con la corretta applicazione dell’art. 2697, primo comma, cod. civ. e dell’art. 115, primo comma, cod. proc. civ. lamentando che i giudici di appello non avevano considerato che, con riferimento alle unità immobiliari site alla INDIRIZZO ed individuate ai progressivi 16, 25 e 26 del prospetto di liquidazione, non era stato provato che su tali tre immobili la Federico II aveva trasferito altro diritto reale alla A.O.U., e la mera disponibilità di detti immobili da parte dell’A.O.U. non era giuridicamente qualificabile come una delle fattispecie tassativamente previste dall’art. 3 del D.Lgs. n. 504/1992, norma prevista per l’ICI e tutt’ora in vigore per l’IMU;
6. con il sesto motivo (indicato sub. E6.) ha rilevato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 20 (commi 3, 4 e 5) del Regolamento Comunale IMU (anni 2017/18) in connessione alla violazione dell’art. 2697 c.c. In via cautelativa, ha chiesto
l’annullamento e/o la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui in riforma/integrazione della sentenza di CTP n. 8706/21, la C.T.R. aveva affermato che gli immobili indicati ai nn. da 37 a 42 e da 184 a 192, nonché quelli indicati ai nn. 78; 113; 114; 116; 117; 170; 171; 173; 180; 181; 248; 249, erano quelli detenuti dall’Ateneo ma non destinati allo svolgimento dell’attività istituzionale, perché locati (e quindi utilizzati ‘con modalità commerciale’ per i fitti riscossi) oppure occupati da stude nti (da 178 a 186, in INDIRIZZO), su cui l’Ateneo aveva regolarmente dichiarato e regolarmente versato l’IMU nell’anno 2017 a mezzo delle compensazioni effettuate in dichiarazione IMU non considerando che l’ente impositore aveva espressamente rappresentato che l’Ateneo non aveva corrisposto alcuna somma per gli importi dovuti. Nel rilevare che ‘verosimilmente’ l’assenza di un materiale pagamento dipendeva dal fatto che lo stesso, come documentato dall’Ateneo, era avvenuto virtualmente, ‘in compensazione’ con supposte eccedenze IMU (che sarebbero risultate dalla dichiarazione IMU per l’anno d’imposta 2016) -eccedenze che, tuttavia, nella misura in cui dipendevano dall’esito dei ricorsi in Cassazione non erano ancora definitivamente maturate con conseguente interesse ‘seppur potenziale’ del Comune all’impugnazione anche delle predette statuizioni;
7.1. l’ente ricorrente ha chiesto, infine, riformare il capo della sentenza relativo alla condanna del Comune alle spese del doppio grado di giudizio e ciò in quanto tale statuizione (peggiorativa rispetto a quella del giudice di 1° grado che, invece, correttamente aveva compensato le spese in ragione della ‘reciproca soccombenza’) non aveva tenuto conto che sia in 1° che in 2° grado, per quanto sopra esposto, vi era stato un accoglimento solo parziale del ricorso e dell’appello della università contribuen te;
8. con il proposto ricorso incidentale condizionato l’Università degli Studi di Napoli Federico II ha formulato due motivi:
8.1. con il primo motivo ha lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione degli artt. 7 L. n. 212/2000 e 3 legge n. 241/90, nonché del combinato disposto degli artt. 9, comma 7, d.lgs. n. 23/2011 e 1, comma 162, legge n. 296/2006 nonché art. 5, legge n. 212/2000 osservando che, a fronte degli specifici motivi dedotti quanto alla nullità dell’ atto di accertamento impugnato per difetto di motivazione, la Corte di giustizia di secondo grado aveva adottato una motivazione apparente, con affermazioni perplesse ed inconciliabili con la fattispecie in causa che non consentivano, quindi, di individuare le effettive ragioni poste a fondamento del dispositivo;
8.2. con il secondo motivo ha lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., nullità illegittimità della sentenza per violazione dell’art. 32 del Regolamento TARI del Comune di Napoli, art. 12, comma 7, Legge 212/2000, e 97 Cost. osservando che la decisione era da ritenere erronea in diritto anche nella parte in cui i giudici di appello avevano rigettato la censura relativa al vizio del procedimento per la mancata attivazione del previo contraddittorio; 9. va, in primo luogo, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale formulata dalla controricorrente dovendosi osservare che, diversamente da quanto vorrebbe sostenersi, non si tratta di motivi in toto inammissibili, perché i prospettati errori logico-giuridici non implicano affatto, sempre e comunque, la rivisitazione nella presente sede di legittimità di aspetti fattuali, quanto, prevalentemente, profili di stretta rilevanza tecnicogiuridica; inoltre, non può fondatamente sostenersi che essi siano sempre carenti del requisito di specificità ed autosufficienza, dal momento che, per lo più, proprio la natura prettamente giuridica delle doglianze in essi trasversalmente contenuta esclude che la loro illustrazione richiedesse (sempre) l’inserimento, la trascrizione o lo specifico richiamo di elementi diversi rispetto a quelli indicati e richiamati ed ulteriori dalla normativa asseritamente violata in
rapporto alle domande ed eccezioni di parte (il cui atteggiarsi nel corso dei vari gradi del processo risulta, per lo più, pacifico tra le parti);
10. il primo ed il secondo motivo del ricorso principale – i quali possono essere esaminati congiuntamente in quanto fra loro connessi – sono privi di fondamento;
10.1. va premesso, sotto il profilo normativo, che la legge n. 245/1990 – Norme sul piano triennale di sviluppo dell’università e per l’attuazione del piano quadriennale 1986-1990 -ha così stabilito: art. 7. ‘1. Le disposizioni di cui agli articoli 2, 4 e 6 si applicano anche al piano quadriennale di sviluppo dell’università 1986-1990, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 maggio 1989, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 111 del 15 maggio 1989. 2. Per le finalità di cui al comma 1, sono istituite ed attivate, con modifica statutaria, tutte le nuove strutture espressamente previste dal piano di cui al comma 1. Il Politecnico di Bari, la facoltà di magistero presso l’Università di Catania e la II Università di Napoli, sono istituiti con le modalità di cui agli articoli 8, 9 e 10. 3. Le università possono indicare, con delibera del senato accademico, sentito il consiglio di amministrazione per quanto concerne le risorse necessarie, le priorità nell’attivazione delle strutture e dei corsi previsti nel piano di cui al comma 1.4. Per la costituzione della facoltà con corsi attivati alla data di pubblicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1 del presente articolo e previste dal piano predetto quali strutture decentrate da altre università si applicano, nel caso in cui alle stesse non siano assegnati almeno cinque professori di ruolo di cui tre di prima fascia, le disposizioni di cui al comma 6 dell’art. 2’. Il successivo art. 10 (Istituzione della II Università di Napoli), a sua volta, ha stabilito: ‘1. È istituita, nell’area metropolitana di Napoli, la II Università. Essa è compresa fra quelle previste dall’art. 1, secondo comma, n. 1), del testo unico delle leggi
sull’istruzione superiore, approvato con regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 e successive modificazioni e integrazioni. 2. Con decreto del Ministro, adottato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su parere conforme delle competenti commissioni parlamentari, sono dettate le disposizioni per disciplinare, secondo quanto previsto dagli articoli 2 e 4, la costituzione delle facoltà e l’attivazione dei relativi corsi di laurea nonchè le modalità attuative delle previsioni del piano quadriennale di sviluppo 1986-1990, ivi compreso lo scorporo dall’Ateneo Federico II di Napoli della I facoltà di medicina ed il passaggio della stessa alla II Università, con le relative dotazioni organiche, scientifiche, didattiche e strumentali. Il decreto deve comunque prevedere che l’istituzione della II Università di Napoli avvenga contestualmente alla costituzione di più facoltà.’ In forza del successivo D.M. 25/09/1991 è stata previsto, all’art. 4, che: ‘La facoltà di medicina e chirurgia con i relativi corsi di laurea è istituita a decorrere dall’anno accademico 1992-1993 scorporando dall’Ateneo “Federico II” la prima facoltà di medicina e chirurgia con tutte le relative dotazioni organiche, scientifiche, didattiche e strumentali. La seconda Università di Napoli subentra in tutti i rapporti giuridici facenti capo all’Università “Federico II” relativi al funzionamento della prima facoltà di medicina e chirurgia in atto alla data di inizio dell’anno accademico 1992-93. Fino all’apprestamento delle strutture da adibire a Policlinico della facoltà di medicina e chirurgia della seconda Università di Napoli, quest’ultima funzionerà nelle strutture attualmente utilizzate dalla prima facoltà di medicina e chirurgia dell’Università’ ‘Fed erico II”. Con apposita convenzione le due università disciplinano i reciproci rapporti in ordine alla gestione delle strutture utilizzate congiuntamente dalle due facoltà’;
10.2. orbene ancorché difetti, allo stato degli atti, la prova di uno specifico titolo avente natura costitutiva di un diritto reale (concessione «in gratuito e perpetuo uso») in favore dell’ex S.U.N.,
non può dubitarsi della correttezza della seconda ratio decidendi della C.T.R., anch’essa oggetto di censura;
10.3. invero questa Corte ha avuto modo di chiarire che, a certe e determinate condizioni, l’utilizzazione indiretta del bene può consentire il riconoscimento dell’esenzione in oggetto precisando, sia pure in relazione ad altra agevolazione, ma sulla scorta di un principio avente carattere generale, che «In tema di imposta comunale sugli immobili, l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504 del 1992 spetta non soltanto se l’immobile è direttamente utilizzato dall’ente possessore (nella specie, una fondazione di religione e di culto) per lo svolgimento di compiti istituzionali, ma anche se il bene, concesso in comodato gratuito, sia utilizzato da un altro ente non commerciale per lo svolgimento di attività meritevoli previste dalla norma agevolativa, al primo strumentalmente collegato ed appartenente alla stessa struttura del concedente (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25508 del 18/12/2015; richiamata, in motivazione, da Cass., Sez. 5 – Ordinanza n. 24308 del 30/09/2019 e da Cass. Sez. 5 -Sentenza n. 6795 dell’11/03/2020)» (così Cass., Sez. T, 12 maggio 2021, n. 12539, richiamata da Cass., Sez. T., 16 febbraio 2023, n. 4953). In tale direzione si è avuto modo di rimarcare che detto ordine di idee concerne l’ipotesi nella quale «il comodatario sostanzialmente utilizzi il bene in attuazione dei compiti istituzionali dell’ente concedente, con il quale sussista uno stretto rapporto di strumentalità che potrebbe definirsi “compenetrante”», ovverosia il caso «in cui l’immobile è concesso in comodato a un altro ente non commerciale appartenente alla stessa struttura dell’ente concedente per lo svolgimento di un’attività meritevole prevista dalla norma agevolativa. In questo senso, quindi, si è rilevato che secondo un indirizzo giurisprudenziale che si è venuto affermando nella giurisprudenza della Corte, l’esenzione spetta non soltanto se l’immobile è direttamente utilizzato dall’ente possessore per lo
svolgimento di compiti istituzionali, ma anche se il bene, concesso in comodato gratuito, sia utilizzato da un altro ente non commerciale per lo svolgimento di attività meritevoli previste dalla norma agevolativa, al primo strumentalmente collegato ed appartenente alla stessa struttura del concedente (v., ora, la l. 30 dicembre 2023, n. 213, art. 1, comma 71, lett. A);
10.4. nella fattispecie in esame l’uso indiretto è fondato proprio sulle cennate disposizioni (l. n. 245 del 1990, art. 10; d.m. 25 marzo 1991, art. 4) che impongono, ex lege , una reciproca integrazione di attività funzionale alla costituzione della nuova Università, allo scorporo delle attività corrispondenti alla prima facoltà di medicina e chirurgia (con tutte le relative dotazioni organiche, scientifiche, didattiche e strumentali, ed il subentro della II Università di Napoli in tutti i rapporti giuridici facenti capo all’Università “Federico II” relativi al funzionamento della prima facoltà di medicina e chirurgia) ed all’uso, relativamente alle attività oggetto di scorporo, delle strutture utilizzate dalla prima facoltà di medicina e chirurgia dell’Uni versità “Federico II’ e da destinare a Policlinico della facoltà di medicina e chirurgia della seconda Università di Napoli). Sebbene, dunque, il regime convenzionale previsto, nella disciplina dell’uso, dal richiamato art. 4 del D.M. 25 marzo 1991 sembrerebbe escludere il possesso (del concessionario) fondato su di un diritto reale (di uso), è, quindi, indubbio che l’uso indiretto risponde all’esercizio di attività esenti da ricondurre alle sopra citate disposizioni e l’integrazione fra i due enti è ‘imposta’ a livello normativo con riferimento alle attività da dismettere ed ai beni da assumere in uso per lo svolgimento delle nuove attività. Tanto consente di escludere la fondatezza delle censure del Comune di Napoli con riferimento ai menzionati locali, con la precisazione che simili conclusioni non appaiono smentite alla luce del richiamato pronunciamento del Consiglio di Stato;
11. il terzo motivo è inammissibile in quanto il Comune ricorrente, pur lamentando apparentemente una violazione di norme di legge, devolve all’esame della Corte una erronea ricognizione della fattispecie concreta (deducendo mere allegazioni in fatto sulla natura e destinazione di singole unità immobiliari) e, pertanto, finisce per sollecitare un inammissibile riesame del merito del giudizio (vedi Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053). Come, difatti, questa Corte ha, in più occasioni rimarcato, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa laddove l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito che è sottoposta al sindacato di legittimità nei limi ti delineati (ora) dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (v., ex plurimis, Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., 11 gennaio 2016, n. 195; Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., 11 agosto 2004, n. 15499). Invero la C.T.R., con motivazione logica, congrua e adeguata, valutato il tenore complessivo delle difese delle parti ed esaminata la documentazione versata in atti, ha ritenuto che trattavasi di immobili non assoggettabili ad IMU, ricostruzione che il Comune cerca di inficiare prospettando una rilettura delle complessive risultanze istruttorie né, per altro verso, la generica deduzione svolta sull’onere della prova è idonea ad inficiare l’accertamento in fatto della impugnata sentenza. Occorre ricordare che la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per
dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., 25 marzo 2022, n. 9695; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione), violazioni che nel caso di specie non appaiono ravvisabili;
12. il quarto motivo è fondato. Si legge nella sentenza impugnata « Gli immobili indicati ai nn. 55 e 70 corrispondono, ciascuno, a cabina elettrica, per la quale, ai sensi dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23/2011, al quale fa riferimento il comma 1, dell’articolo 13, del d.l. n. 201/2011, ed alla luce dei chiarimenti resi dall’Amministrazione finanziaria (Circolare n. 3/DF, del 18 maggio 2012), pacificamente, l’IMU deve essere assolta dall’Enel, quale soggetto del diritto reale di servitù sullo stesso, come da allegato la dichiarazione a firma del Rettore». Orbene le censure formulate con tale motivo colgono nel segno in quanto a parte la contestazione relativa alla insussistenza della prova di una servitù in favore di ENEL regolarmente trascritta, ciò non escluderebbe il titolo proprietario che fonda la soggettività passiva (in tema di servitù di uso pubblico vedi Cass., 30 settembre 2019, n. 24264; Cass., 22 maggio 2019, n. 13795);
15. anche quinto motivo – relativo ai beni 16, 25 e 26 del prospetto di liquidazione – è da ritenere fondato, ravvisandosi la prospettata violazione di legge. Infatti in relazione a tali beni il motivo appare condivisibile sotto un duplice profilo: in primo luogo la C.T.R. non ha accertato l’esatto e specifico titolo del possesso che legittima l’imposizione e l’individuazione della soggettività passiva ed, in secondo luogo, il riferimento alla concessione in comodato e,
dunque, all’uso indiretto , qui non appare valutato in linea con i principi di diritto in materia, a fronte del rilievo che le unità immobiliari erano state sfruttate commercialmente in quanto concesse in locazione all’esercente attività bancaria (attività commerciale);
16. il sesto motivo è inammissibile in quanto generico, aspecifico, afferente questioni prettamente fattuali e, peraltro, basato su ‘mere supposizioni’. L’ente impositore pone da un lato questioni di natura ipotetica e, peraltro, devolve accertamenti in fatto (quelli relativi al regolamento comunale) sicuramente preclusi in quanto non risultano sottoposti alla corte di merito;
17. il ricorso incidentale è infondato;
17.1. il primo motivo deve essere disatteso: si tratta di censura che costituisce mera riproposizione dell’eccezione di nullità del provvedimento impositivo motivatamente disattesa dai giudici di appello e, peraltro, la parte non mette questa Corte nella condizione di ripercorrere il contenuto dell’avviso di accertamento impugnato nei suoi tratti contenutistici essenziali. La censura è, dunque, sotto tale profilo, inammissibile per difetto di specificità ex art. 366 c.p.c. dovendosi in questa sede dare seguito al principio di diritto secondo il quale in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente
interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo (cfr. Cass. nn. 16147/2017, 2928/2015, 8312/2013). Tale condizione di ammissibilità del mezzo non è stata concretizzata dalla ricorrente in via incidentale nella sua formulazione, non essendo stata affatto riportata, quanto meno per estratto e nei punti rilevanti, la motivazione dell’atto impositivo impugnato sia in relazione ai presupposti impositivi sia con riferimento a interessi e sanzioni; 17.2. il secondo motivo è privo di fondamento alcuno dovendosi osservare da un lato che l’Università degli Studi di Napoli Federico II non specifica l’esatto contenuto della disposizione regolamentare che sarebbe stata violata e, per altro verso, che nel caso in esame non sussisteva un diritto al contraddittorio preventivo. Infatti secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’obbligo generale di contraddittorio preventivo esiste unicamente per i c.d. ‘tributi armonizzati’, mentre per i c.d. ‘tributi non armonizzati’ occorre una specifica previsione normativa (tra le tante: Cass., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24823; Cass., Sez. VI/V, 31 maggio 2016, nn. 11283, 11284, 11285 e 11286; Cass., Sez. V, 15 marzo 2017, nn. 6757 e 6758; Cass., Sez. VI/V, 7 ottobre 2020, nn. 21616 e 21618; Cass., Sez. V, 1° dicembre 2020, n. 27382; Cass., Sez. V, 16 dicembre 2021, n. 40482; Cass., Sez. V, 21 dicembre 2021, nn. 41041, 41106, 41110, 41116 e 41119; Cass., Sez. V, 10 gennaio 2022, n. 366; Cass., Sez. V, 23 maggio 2022, n. 16481). Per i tributi (“non armonizzati”, come l’IRPEF, l’IRAP, le imposte di registro, ipotecaria e catastale, i tributi locali), l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di instaurare il contraddittorio nel corso del procedimento per gli accertamenti c.d. ‘a tavolino’, per cui non si pone la questione di un’eventuale inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212.
non sussiste Quindi, in via generale, solo nell’ipotesi di accesso, ispezione o
verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, è già stata operata dal legislatore una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio, attraverso la comminatoria di nullità dell’atto impositivo nel caso di violazione del termine dilatorio di sessanta giorni per consentire al contribuente l’interlocuzione con l’amministrazione finanziaria con decorrenza dalla conclusione delle operazioni di controllo. La Corte costituzionale, pur rilevando che « la mancata generalizzazione del c ontraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale», ha, nondimeno, osserv ato che « dalla pluralità dei moduli procedimentali legislativamente previsti e dal loro ambito applicativo, emerge con evidenza la varietà e la frammentarietà delle norme che disciplinano l’istituto e la difficoltà di assumere una di esse a modello gen erale » (così Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47), precisando, quindi, che: «Il principio enunciato dall’art. 12, comma 7, statuto contribuente -la partecipazione procedimentale del contribuente -ancorché esprima una esigenza di carattere costituzionale, non può essere esteso in via generale tramite una sentenza di questa Corte; comunque la soluzione proposta dal rimettente potrebbe creare disfunzioni nel sistema tributario, imponendo un’unica tipologia partecipativa per tutti gli accertamenti, anche ‘a tavolino’», per poi desumerne che: «Di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali evidenziati, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti» (Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47). Nella specie, quindi, esulandosi dal campo dei c.d. ‘tributi
armonizzati’ ed essendo stato l’accertamento svolto ‘a tavolino’, in assenza di una specifica previsione della disciplina nazionale e regionale, non può affermarsi l’esistenza di un obbligo di contraddittorio preventivo, la cui mancanza possa invalidare l’ atto impositivo (cfr. su tali principi, tra le tante, Cass. Sez. T. 3 maggio 2023, n. 11518);
18. in conclusione vanno accolti il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale, vanno rigettati il primo ed il secondo motivo e va dichiarata l’inammissibilità del terzo e del sesto; va rigettato il ricorso incidentale e in relazione ai motivi accolti la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui va demandata anche la regolamentazione delle spese di questo grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale, rigetta il primo ed il secondo motivo e dichiara inammissibile il terzo ed il sesto; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda anche la regolamentazione delle spese di questo grado di giudizio; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente in via incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Sezione Tributaria in data