Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5962 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5962 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 06/03/2025
ICI IMU Accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21510/2023 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE (82000950459), in persona del suo legale rappresentante p.t. , rappresentato e difeso dall’ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; EMAIL;
-ricorrente –
contro
Comune di Carrara (00079450458), in persona del suo Sindaco p.t. , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; EMAIL);
-controricorrente – avverso la sentenza n. 226/2023, depositata il 16 marzo 2023, della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana; udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 14
novembre 2024, dal Consigliere dott. NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. -con sentenza n. 226/2023, depositata il 16 marzo 2023, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana ha accolto l’appello proposto dal Comune di Carrara, così pronunciando in integrale riforma del decisum di prime cure che recava accoglimento delle impugnazioni di due avvisi di accertamento emessi per il recupero a tassazione della TASI (anno 2016) e dell’IMU (anni 2016 e 2017) dovute dalla contribuente in relazione al possesso di due unità immobiliari adibite allo svolgimento di attività didattica;
1.1 -premessa la ricostruzione della pertinente giurisprudenza di legittimità formatasi in ordine all’agevolazione prevista dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i ), il giudice del gravame ha rilevato, in sintesi, che il presupposto dell’esenzione (svolgimento dell’attività con modalità non commerciali), con riferimento all’attività didattica, era stato definito dal d.m. 19 novembre 2012, n. 200, art. 4, comma 3, lett. c ) -secondo il quale l’attività andava «svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso» – e che, pertanto, non potesse essere affidato al parametro individuato dal d.m. 26 giugno 2014 che (diversamente) correlava detto presupposto al rapporto tra corrispettivo medio (CM) e costo medio per studente (CMS), così come del resto statuito dalla stessa Corte di legittimità (in punto di efficacia non vincolante delle istruzioni ministeriali);
ha soggiunto quel giudice che, nella fattispecie, l’inidoneità di quest’ultimo parametro emergeva dalla stessa disamina dei bilanci del contribuente dai quali poteva desumersi che le rette percepite non risultavano di importo simbolico, integrando quanto all’anno 2016, ed alla scuola primaria, – il 63% delle entrate (ed il 51% circa delle spese generali) e, quanto alla scuola dell’infanzia , il 69% delle spese totali,
per la «sezione primavera», ovvero il 66% delle entrate complessive (51% delle uscite), per le altre classi; rilievi, questi, che potevano poi estendersi anche all’anno 2017;
-l’Istituto Educativo RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di cinque motivi;
il Comune di Carrara resiste con controricorso.
Considerato che:
– il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., espone la denuncia di nullità della gravata sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., assumendo il ricorrente che il giudice del gravame aveva omesso di pronunciare sull’eccezione di nullità degli avvisi di accertamento impugnati, a cui riguardo col ricorso introduttivo si era dedotto «come gli avvisi di accertamento fossero palesemente immotivati al punto da risultare incomprensibili ed apodittici e come dal contenuto degli stessi non fosse possibile evincere le ragioni e/o gli elementi che sottostavano alla pretesa impositiva.», argomentazioni, queste, che «con formulazione pressoché identica» erano state « riproposte dall’Istituto Educativo Figlie di Gesù in sede di appello»;
1.1 -il motivo è destituito di fondamento;
1.2 – va premesso, al riguardo, che, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, deve ritenersi che alla Corte sia consentito di decidere nel merito dell’eccezione della quale si assume l’omesso esame, alla stessa stregua dei fatti introdotti in giudizio dalle parti e non risultando, per l’a ppunto, necessario alcun ulteriore accertamento in fatto (Cass., 1 marzo 2019, n. 6145; Cass. Sez. U., 2 febbraio 2017,
n. 2731; Cass., 3 marzo 2011, n. 5139; Cass., 1 febbraio 2010, n. 2313; Cass., 28 luglio 2005, n. 15810; Cass., 23 aprile 2001, n. 5962);
1.3 – come lo stesso ricorrente evidenzia, nella esposizione dei fatti di causa, gli atti impositivi avevano giustificato la ripresa a tassazione nei seguenti termini: «acquisito ogni dato ed elemento utile dalle denunce I.C.I., IMU e Tasi presentate, dai collegamenti con catasto e la conservatoria dei registri immobiliari, dall’anagrafe e dagli altri tributi comunali, individuati tutti gli immobili tassabili posseduti du rante l’anno di imposta oggetto del presente accertamento, con i relativi valori imponi bili, quantificata l’imposta applicando l’aliquota corrispondente, tenendo conto dei mesi di possesso e delle eventuali detrazioni e riduzioni d’imposta, è stata rilevata d’ufficio una mancata corrispondenza tra quanto versato e quanto dovuto per l’anno in oggetto»; e recavano, in allegato, un prospetto di calcolo -di cui è menzione nelle stesse controdeduzioni depositate in appello – con specifica indicazione delle unità immobiliari riprese a tassazione, del loro classamento e della rendita catastale;
1.4 – posto, ora, che la stessa trattazione di cui al ricorso non reca alcuna diversa deduzione quanto all’individuazione delle unità immobiliari oggetto di imposizione, ed ai criteri di applicazione del tributo, va rilevato che la Corte ha statuito, con consolidato orientamento interpretativo, che l’obbligo motivazionale dell’avviso di accertamento deve ritenersi adempiuto laddove il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali – e, quindi, di contes tare efficacemente l’ an ed il quantum dell’imposta – a tal fine rilevando la puntualizzazione degli estremi soggettivi e oggettivi della posizione creditoria dedotta, e l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa (Cass., 24 agosto 2021, n.
23386; Cass., 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., 10 novembre 2010, n. 22841; Cass., 15 novembre 2004, n. 21571);
e si è, altresì, precisato che detto onere di motivazione non comporta l’obbligo di indicare anche l’esposizione delle ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, poiché è onere del contribuente dedurre e provare l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione dell’imposta ( Cass., 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., 24 gennaio 2018, n. 1694; Cass., 11 giugno 2010, n. 14094);
-i motivi di ricorso secondo, terzo e quarto, espongono, poi, le seguenti censure:
2.1 -col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i ), ed d.m. 19 novembre 2012, art. 3, assumendo, in sintesi, che -come puntualmente documentato con la documentazione versata al giudizio -esso esponente aveva dato conto della ricorrenza, nella fattispecie, dei requisiti (soggettivo ed oggettivo) nella fattispecie rilevanti ai fini della qualificazione (come non commerciale) dell’attività svolta, avuto riguardo alla natura di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto ed al conseguimento di «contributi (corrispettivi) ricevuti dalle famiglie degli alunni … largamente inferiori ai costi di produzione», tali, dunque, «da non coprire neppure i costi sostenuti dall’Istituto medesimo per lo svolgimento dell’attività. »;
2.2 -il terzo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., reca la denuncia di violazione e falsa applicazione del d.m. n. 200 del 2012, cit., art. 4, comma 3, lett. c), sull’assunto che così come del resto accertato dalla stessa gravata sentenza -nella fattispecie «il contributo corrisposto dalle famiglie degli alunni (cd. retta), copre solamente in parte i costi sostenuti
dall’Istituto per lo svolgimento dell’attività didattica », corrispettivo che, per tale ragione, doveva pertanto ritenersi di natura simbolica siccome volto a «coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso »;
2.3 -il quarto motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., reca la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge in relazione al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i ), al d.m. 19 novembre 2012, art. 4, comma 3, lett. c), ed al d.m. 26 giugno 2014, deducendo il ricorrente che -così come previsto nelle istruzioni allegate al d.m. 26 giugno 2014, secondo le quali «se il Cm è inferiore o uguale al Cms ciò significa che l’attività didattica è svolta con modalità non commerciali e, quindi, non è assoggettabile ad imposizione» – nella fattispecie ricorrevano i presupposti (così) delineati ai fini del conseguimento dell’agevolazione, e atteso che si era dato conto, per l’appunto, di un corrispettivo medio (cd. Cm) percepito «significativamente inferiore al costo medio per studente (cd. Cms) sopportato dallo Stato per l’istruzione nella scuola pubblica.»;
-in via pregiudiziale, va rilevata la manifesta infondatezza dell’eccezione di inammissibilità articolata in controricorso atteso che le censure in questione -ben lungi da postulare un mero riesame del merito della fattispecie controversa -attingono ai criteri di qualificazione normativa desumibili dalla disciplina dell’agevolazione tributaria in contestazione, così ponendosi quali doglianze pertinenti al criterio di qualificazione in concreto ritenuto dirimente dalla gravata sentenza;
-tanto premesso, detti motivi -che vanno congiuntamente esaminati perché espongono distinti profili di una medesima quaestio iuris di fondo -sono destituiti di fondamento, e vanno senz’altro disattesi;
3.1 -il quadro normativo di riferimento della fattispecie in contestazione espone i seguenti dati di regolazione:
– il d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 9, comma 8, espressamente rinvia, in tema di esenzioni dall’imposta municipale propria, al d.lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. i ), cit.;
-del pari a detta disposizione rinvia l’esenzione prevista, con riferimento alla TASI (il cui presupposto impositivo, a sua volta, si raccorda a quello previsto per l’IMU; l. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 669), dal d.l. 6 marzo 2014, n. 16, art. 1, comma 3, conv. in l. 2 maggio 2014, n. 68;
b. – il d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 91bis , conv. in l. 24 marzo 2012, n. 27, cit., ha quindi disposto nei seguenti termini:
«Al comma 1, lettera i ), dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, dopo le parole: “allo svolgimento” sono inserite le seguenti: “con modalità non commerciali”.» (comma 1);
-«Qualora l’unità immobiliare abbia un’utilizzazione mista, l’esenzione di cui al comma 1 si applica solo alla frazione di unità nella quale si svolge l’attività di natura non commerciale, se identificabile attraverso l’individuazione degli immobili o porzioni di immobili adibiti esclusivamente a tale attività. Alla restante parte dell’unità immobiliare, in quanto dotata di autonomia funzionale e reddituale permanente, si applicano le disposizioni dei commi 41, 42 e 44 dell’articolo 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286. Le rendite catastali dichiarate o attribuite in base al periodo precedente producono effetto fiscale a partire dal 1º gennaio 2013.» (comma 2);
«Nel caso in cui non sia possibile procedere ai sensi del precedente comma 2, a partire dal 1º gennaio 2013, l’esenzione si applica in proporzione all’utilizzazione non commerciale dell’immobile quale risulta da apposita dichiarazione. Con successivo decreto del
Ministro dell’economia e delle finanze da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 17 agosto 1988, n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalità e le procedure relative alla predetta dichiarazione, gli elementi rilevanti ai fini dell’individuazione del rapporto proporzionale, nonchè i requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività di cui alla lettera i) del comma 1 dell’ articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, come svolte con modalità non commerciali.» (comma 3, come modificato dall’articolo 9, comma 6, del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, conv. in l. 7 dicembre 2012, n. 213);
in attuazione dell’art. 91 -bis , comma 3, cit., è stato adottato il d.m. 19 novembre 2012, n. 200, che, per quel che qui rileva, ha così disposto:
«Lo svolgimento di attività didattiche si ritiene effettuato con modalità non commerciali se: … c) l’attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso»;
-il d.m. 26 giugno 2014 ha, poi, approvato il modello di dichiarazione «da utilizzare, a decorrere dall’anno di imposta 2012, ai sensi dell’articolo 91 -bis del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27», con le allegate istruzioni;
3.2 -la disposizione di cui al d.lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i ), cit., è stata interpretata dalla Corte, secondo un risalente e consolidato orientamento interpretativo, nel senso che le previste esenzioni «presuppongono il ricorrere di una duplice condizione costituita dall’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e dall’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che
non siano produttive di reddito» (così Cass. Sez. U., 26 novembre 2008, n. 28160 cui adde , ex plurimis , Cass., 20 luglio 2016, n. 14913; Cass., 4 giugno 2014, n. 12495; Cass., 6 dicembre 2013, n. 27418; Cass., 11 maggio 2012, n. 7385); e si è, quindi, rimarcato che, ai fini dell’integrazione dell’esenzione, occorrono un requisito oggettivo -rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate dal legislatore ai fini dell’esenzione – ed un requisito soggettivo – costituito, a sua volta, dallo svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali – (v., ex plurimis , Cass., 30 aprile 2019, n. 11409; Cass., 20 luglio 2016, n. 14913; Cass., 4 maggio 2016, n. 8870; Cass., 8 luglio 2015, n. 14226; Cass., 21 marzo 2012, n. 4502);
– detti arresti sono stati ulteriormente ribaditi dalla Corte, anche in fattispecie perfezionatesi in epoca antecedente alla modifica normativa dell’art. 7, comma 1, lett. i ), cit., ad opera del d.l. n. 1 del 2012, art. 91bis , comma 1, cit., essendosi rilevato che il diritto all’esenzione dall’ICI presuppone che l’utilizzo, pur indiretto, dell’unità immobiliare avvenga con modalità non commerciali, così come ritenuto nella decisione della Commissione dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012, al fine di evitare che il regime dell’esenzione si risolva in un aiuto di Stato; così che è necessario, al fine dell’esclusione del carattere economico dell’attività, che quest’ultima sia svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di un importo simbolico (Cass., 30 settembre 2019, n. 24308; Cass., 5 settembre 2019, n. 22223; Cass., 15 marzo 2019, n. 7415; Cass., 8 luglio 2016, n. 13970);
3.3 -difatti, le disposizioni introdotte dal d.l. n. 1 del 2012, art. 91bis , cit., come la Corte ha in più occasioni rimarcato, risultavano specificamente dirette a rendere compatibile la disciplina interna con quella eurounitaria in tema di aiuti di Stato, essendosi rilevato che il
diritto all’esenzione presuppone che l’utilizzo dell’unità immobiliare avvenga con modalità non commerciali, così come ritenuto nella decisione 2013/284/UE, del 19 dicembre 2012, della Commissione dell’Unione Europea, al fine di evitare che il regime dell’esenzione si risolva in un aiuto di Stato (v., ex plurimis , Cass., 27 luglio 2023, n. 22954; Cass., 14 settembre 2021, n. 24655; Cass., 30 settembre 2019, n. 24308; Cass., 5 settembre 2019, n. 22223; Cass., 15 marzo 2019, n. 7415; Cass., 8 luglio 2016, n. 13970);
– la citata decisione della Commissione (v., altresì, CGUE, 6 novembre 2018, cause riunite da C-622/16P a C-624/16P, RAGIONE_SOCIALE, punti 103 ss.), – nel rimarcare che, secondo la stessa giurisprudenza unionale, in tema di aiuti di Stato e di concorrenza, la nozione di impresa, a prescindere dal suo status giuridico, si correla allo svolgimento di un’attività economica (v. altresì, tra le tante, CGUE, 1 luglio 2008, procedimento C-49/07, MOTOE, punti 27 e 28; CGUE, 10 gennaio 2006, procedimento C-222/04, Ministero dell’Economia e delle Finanze, punti 107, 108, 122, 123; CGUE, 12 settembre 2000, procedimenti riuniti da C-180/98 a C-184/98, Pavlov e altri, punti 74 e 75) e che, pertanto, le finalità sociali, e di solidarietà, eventualmente perseguite non escludono la riconducibilità delle relative attività a detta nozione in quanto (anche) un’impresa che agisca senza fine di lucro può offrire beni e servizi sul mercato e, così, porsi in concorrenza con altre imprese -ha, difatti, considerato quale aiuto di stato, incompatibile con il mercato interno (art. 107 TFUE), l’esenzione ICI di cui al d.lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i ), cit., e, per converso, lecita, perché non costituente aiuto di Stato, l’esenzione IMU che, seppur riconducibile alla sopra citata disposizione del d.lgs. n. 504, cit., art. 7, comma 1, conseguiva dalla rimodulazione regolatoria di quella stessa disposizione (ai sensi del d.l. n. 1 del 2012, art. 91bis , cit.);
3.4 -i principi di diritto sopra esposti, quanto alla connotazione oggettiva dell’attività suscettibile di essere ricondotta all’esenzione in esame, sono stati di recente ribaditi (anche) a riguardo dello svolgimento di attività didattica (v., in tema di ICI, Cass., 26 luglio 2024, n. 20971; Cass., 9 febbraio 2024, n. 3674; Cass., 2 ottobre 2023, n. 27821; in tema di IMU, Cass., 13 aprile 2023, n. 9927; Cass., 16 febbraio 2023, n. 4946, Cass., 29 novembre 2022, n. 35123) e, nello specifico, è stato posto il principio di diritto secondo il quale, con riferimento all’esenzione prevista, per l’attività didattica, dall’art. 7, comma 1, lett. i ), d.lgs. n. 504 del 1992, il corrispettivo simbolico è quello caratterizzato da un ricavo irrisorio, marginale e del tutto residuale rispetto alla natura della prestazione, tale da non potersi porre in relazione con il servizio reso, in quanto avente natura meramente formale e utile a rendere la prestazione più prossima a un’erogazione gratuita che a quella sottoremunerata rispetto ai parametri medi di settore (così Cass., 2 ottobre 2023, n. 27821, cit.);
– a riguardo, poi, del criterio qualificatorio prospettato nel quarto motivo di ricorso -riassumibile nell’indicazione contenuta nelle istruzioni allegate al d.m. 26 giugno 2014, secondo la quale se il corrispettivo medio (cd. Cm ) percepito dall’Ente è inferiore o uguale al costo medio per studente (cd. CMS) « ciò significa che l’attività didattica è svolta con modalità non commerciali e, quindi, non è assoggettabile a imposizione» – si è, in particolare, rilevato, da un lato, che «le istruzioni ministeriali non possono vincolare l’interpretazione del dato normativo » e, dall’altro, che « l’imprescindibile punto di riferimento è rappresentato dalla previsione normativa del D.M. 19 novembre 2012, art. 4, comma 3, lett. c ), che ha costituito diretta attuazione del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 91, comma 3-bis, circa la determinazione dei “requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i ), come svolte
con modalità non commerciali”» (così Cass., 13 aprile 2023, n. 9927, cit.; v. altresì Cass., 16 febbraio 2023, n. 4946, cit.; Cass., 29 novembre 2022, n. 35123, cit.; v., ancora, il d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, art. 9, comma 6ter , conv. in l. 7 dicembre 2012, n. 213, secondo il quale «Le disposizioni di attuazione del comma 3 dell’articolo 91bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, come modificato dal comma 6 del presente articolo, sono quelle del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 19 novembre 2012, n. 200»);
– così che in queste ultime pronunce si è rilevato che la valutazione implicata dall’art. 4, comma 3, lett. c ), del d.m. 19 novembre 2012 -che (va ribadito) espressamente dispone che «Lo svolgimento di attività didattiche si ritiene effettuato con modalità non commerciali se: … c) l’attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso» – «non può essere riducibile all’applicazione meccanica di un parametro (come il citato rapporto tra CM e CMS, di cui alle citate istruzioni) stabilito in via generale, una volta per tutte, come tale funzionale ad una elaborazione forfettaria del requisito, giacché, in termini del tutto diversi, il dato normativo obbliga ad una valutazione puntuale, non predeterminata, riferita alla specifiche condizioni in cui opera il singolo contribuente, delineando un accertamento basato sulla verifica dell’irrisorietà della retta, in ragione della sua inidoneità a porsi pure come larvata forma retributiva dell’attività didattica prestata, come precisato da questa Corte secondo cui “a fare il discrimine in questo caso è la retta (Cass. 18831/2020; n. 3369/2019; n. 2019/13787, in motiv; 24308/2019; Cass. n. 10754/2017; Cass. n. 10483 del 2016; n. 19773 del 2019; n. 13970
del 2016, massimate)” (così Cass., Sez. V/T, 15 dicembre 2020, n. 28578)»;
3.5 -l e conclusioni appena esposte vanno senz’altro ribadite (anche) a riguardo del complessivo assetto regolatorio delle Scuole paritarie private (l. 10 marzo 2000, n. 62);
3.5.1. -nella sopra ricordata decisione (2013/284/UE, punto 172), la Commissione -a riguardo dello svolgimento dell’attività didattica da parte di una scuola paritaria -ha specificamente osservato che «La natura non economica dell’istruzione pubblica non viene in linea di principio contraddetta dal fatto che talvolta gli alunni o i loro genitori debbano versare tasse scolastiche o di iscrizione, che contribuiscono ai costi di esercizio del sistema scolastico, purché tali contributi finanziari coprano solo una frazione del costo effettivo del servizio e non possano pertanto considerarsi una retribuzione del servizio prestato», così che «le rette di importo simbolico cui si riferisce il decreto non possano essere considerate una remunerazione del servizio fornito»;
-e l’osservazione in questione si raccorda, poi, agli stessi dicta della giurisprudenza della Corte di Giustizia che -riconducendo, come anticipato, la nozione di «impresa» a qualsiasi entità che, a prescindere dal suo status giuridico, eserciti un’attività economica volta ad offrire beni e servizi sul mercato -in tema di attività didattica ha, per l’appunto, rimarcato che non sussiste impresa , e attività economica, «nel caso dei corsi impartiti da taluni istituti che facciano parte di un sistema di insegnamento pubblico e che siano finanziati, interamente o prevalentemente, mediante fondi pubblici. Infatti, istituendo e mantenendo un siffatto sistema di insegnamento pubblico, finanziato di norma dal bilancio pubblico e non dagli studenti o dai loro genitori, lo Stato non intende impegnarsi in attività remunerate, bensì adempie la propria missione nei settori sociale, culturale e educativo nei confronti della propria popolazione» (CGUE, 27 giugno 2017, causa C-
74/16, Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania, punto 50; v., altresì, CGUE, 11 settembre 2007, COGNOME e RAGIONE_SOCIALESchwarz, procedimento C-76/05, punto 39);
3.5.2 -come, però, la giurisprudenza nazionale ha in più occasioni rilevato, il finanziamento pubblico delle scuole paritarie (l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 636; d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 138) -scuole che pur concorrono ad integrare il sistema nazionale di istruzione (l. n. 62 del 2000, cit.) -in ragione dello stesso testo costituzionale – secondo il quale «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.» (art. 33, terzo comma) – non forma oggetto di un diritto soggettivo, in quanto il riconoscimento della parità scolastica «non può costituire dì per sé fondamento sufficiente al fine di estendere alle scuole private paritarie i finanziamenti statali e le provviste di beni e servizi naturalmente diretti agli uffici e alle istituzioni scolastiche statali.»; così che deve essere ricondotta «alla (lata) discrezionalità pianificatoria degli enti competenti … la definizione delle modalità e la quantificazione delle risorse economiche disponibili (in un quadro finanziario che, per giunta, non può non tenere conto degli stringenti vincoli contabilistici e della scarsità delle risorse pubbliche … ) per la contribuzione a favore delle scuole non statali.» (così Consiglio di Stato, sez. V, 19 agosto 2019, n. 5739 cui adde Tar Campania, Sez. IV, 18 gennaio 2023, n. 415; v., altresì, Consiglio di Stato, sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2517; per il rilievo che «Le provvidenze finanziarie dello Stato, lungi dal risolversi in un trasferimento allo Stato dell’intero costo sostenuto dalla scuola privata … rappresentano piuttosto un contributo a parziale copertura di quel costo: un contributo la cui misura è fissata – come stabilisce il D.P.R. n. 23 del 2008 – nel limite dello stanziamento di bilancio sull’apposito capitolo di spesa», v. Cass. Sez. U., 20 aprile 2017, n. 9966 nonchè Cass. Sez. U., 16 maggio 2014, n. 10821);
né l’introduzione di specifici benefici previsti in favore degli studenti, piuttosto che, dunque, delle scuole paritarie, -benefici volti a sostenere i costi del servizio reso dalla scuola paritaria, (così) rendendo possibile l’esercizio del la stessa libertà di scelta della scuola, – è idoneo ad incidere sulla nozione (che qui rileva) di impresa, ove dunque il versamento di rette (pur temperato da provvidenze pubbliche) costituisce pur sempre la remunerazione del servizio reso dalla Scuola;
3.5.3 -in un siffatto contesto regolatorio, pertanto, e come dalla Corte già rilevato, il criterio qualificatorio rilevante ai fini dell’esenzione -identificato, come anticipato, nel rapporto tra corrispettivo medio (cd. Cm) percepito dall’Ente e costo medio per studente (cd. CMS) rilevato dal Ministero su base nazionale -non è in alcun modo idoneo a qualificare il presupposto dell’agevolazione (svolgimento di attività con modalità non commerciali) che deve raccordarsi al versamento di un corrispettivo «di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso»;
il criterio in questione risulta, in effetti, replicato dai decreti ministeriali che (a decorrere dall’anno scolastico 2015/2016) hanno determinato criteri e parametri per l’assegnazione dei contributi alle scuole paritarie (l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 636, cit.), criterio assunto (in tesi) in recepimento di quanto statuito dal G.A. che aveva annullato, per quanto di ragione, il d. m. 30 gennaio 2013, n. 46 (recante criteri e parametri per l’assegnazione dei contributi pubblici alle scuole paritarie per l’anno scolastico 2012/2013) rilevando, nello specifico, che doveva ritenersi illegittimo «l’art. 4 del d. m. n. 46 del 2013 nella parte in cui identifica le scuole paritarie che svolgono il servizio scolastico “senza fini di lucro”, quali destinatarie di contributi pubblici in via prioritaria rispetto alle altre scuole paritarie, ai sensi
dell’art. 1, comma 636, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (“legge finanziaria 2007”), con le scuole paritarie “gestite da soggetti giuridici senza fini di lucro”, seguendo così il criterio “soggettivo -formale” della natura giuridica dell’ente gestore, anziché fare applicazione del criterio “oggettivo” -coerente con la giurisprudenza euro unitaria in materia di aiuti di Stato, e con la giurisprudenza nazionale, di cui si dirà al p. 4.1., in base al quale il fine di lucro della scuola paritaria va posto in correlazione diretta con le caratteristiche, economico-commerciali, o meno, dell’attività esercitata, e non, come detto, con la natura dell’ente; sicché, diversamente da quanto stabilito nel citato art. 4 del decreto impugnato in primo grado, per scuole paritarie senza scopi di lucro, ai fini dell’erogazione di contributi pubblici in via prioritaria, non devono intendersi quelle gestite da soggetti giuridici senza fini di lucro, e neppure possono essere presi in considerazione gli istituti ammessi a produrre utilità apprezzabili sul piano economico, ossia contrassegnati dalla presenza di “lucro in senso oggettivo” ma assoggettati al divieto di distribuzione degli eventuali utili in favore di amministratori o soci (c. d. “assenza di lucro soggettivo”), ma debbono considerarsi tali le scuole paritarie che svolgono il servizio scolastico senza corrispettivo, vale a dire a titolo gratuito, o dietro versamento di un corrispettivo solo simbolico per il servizio scolastico prestato, o comunque di un corrispettivo tale da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, dovendo, in questo contesto, il pagamento di rette di importo non minimo essere considerato fatto rivelatore dell’esercizio di un’attività con modalità commerciali.» (Consiglio di Stato, sez. VI, 28 gennaio 2016, n. 292);
– se, allora, il parametro in questione è posto in relazione ai criteri di determinazione dei contributi pubblici previsti per le scuole paritarie -e, dunque, a fondamento di un provvedimento volto ad incidere sulla determinazione della stessa misura dei contributi in questione (l. 7
agosto 1990, n. 241, art. 12), secondo una ratio di differenziazione dei trattamenti che non mette cura di esaminare in questa sede -ciò non di meno non è utilmente predicabile con riferimento alla normativa primaria volta a disciplinare «i requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività di cui alla lettera i ) del comma 1 dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, come svolte con modalità non commerciali» (d.l. n. 1 del 2012, art. 91bis , commi 1 e 3, cit.; d.m. 19 novembre 2012, n. 200, art. 4, comma 3, cit.);
sotto questo secondo profilo, difatti, viene in rilievo -piuttosto che la ragione di attribuzione di un vantaggio economico (concesso secondo le effettive disponibilità del bilancio pubblico) -la stretta necessità di raccordare un’agevolazione fiscale (una esenzione dal tributo patrimoniale) al suo presupposto che, come dalla Corte già rilevato, impone la specifica valutazione in concreto delle modalità di svolgimento dell’attività (di natura non commerciale) e, con questa, la sua riconduzione ad un parametro che -indiscussa, come anticipato, la natura di corrispettivo dei versamenti eseguiti per i servizi offerti da una scuola paritaria (servizi suscettibili di essere, a loro volta, ricondotti a prestazione ulteriori rispetto a quella che ha ad oggetto l’istruzione, e così ad attività di tras porto, ristorazione o anche ricreative) -non può risolversi nel mero confronto (in astratto) tra un corrispettivo medio percepito (CM) ed il costo medio per studente (CMS) siccome quel corrispettivo deve connotarsi come «simbolico» perché, ad ogni modo, idoneo a «coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso»;
e la verifica di tale connotazione del corrispettivo impone una valutazione puntuale – non predeterminata e riferita alle specifiche condizioni in cui opera il singolo contribuente (v., per tutte, Cass., 2 ottobre 2023, n. 27821, cit.) -che nella fattispecie, come anticipato,
è stata compiutamente e legittimamente eseguita dal giudice del gravame;
-col quinto motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, comma 1, deducendo, in sintesi, che -essendo stata resa la prescritta dichiarazione in conformità alle istruzioni allegate al d.m. 26 giugno 2014 -esso esponente aveva legittimamente ritenuto di poter usufruire dell’esenzione in contestazione, così che non sussistevano i presupposti dell’irrogata sanzione « in assenza di un comportamento colposo»;
4.1 -il motivo è fondato e va accolto;
4.2 -va premesso che -per quanto formulata con riferimento al difetto dell’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo (art. 5, comma 1, cit.), e ciò non di meno – la questione in esame può essere esaminata dalla Corte -senza necessità di ulteriori accertamenti di fatto, venendo in considerazione censura i cui referenti si identificano con la stessa disciplina normativa di settore, anche a riguardo del sotteso obbligo dichiarativo -dietro relativa riqualificazione in termini di disapplicazione della sanzione per incertezza normativa oggettiva (d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8; d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2; l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3), tenuto conto che detta riqualificazione muove dagli stessi dati posti a fondamento del dedotto difetto di colpa e che, per di più, involge una questione che, come di recente ribadito dalla Corte, è rilevabile di ufficio e che non postula una domanda di parte, la quale, se avanzata, ha natura di mera sollecitazione (v. Cass., 29 gennaio 2024, n. 2604, ed ivi ulteriori riferimenti alla giurisprudenza della Corte);
4.2.1 – come si è rilevato, secondo un consolidato principio di diritto, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme
tributarie, «l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione. Tale verifica è censurabile in sede di legittimità per violazione di legge, non implicando un giudizio di fatto, riservato all’esclusiva competenza del giudice di merito, ma una questione di diritto, nei limiti in cui la stessa risulti proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nel giudizio di merito.» (così Cass., 28 novembre 2007, n. 24670 cui adde , ex plurimis , Cass., 1 febbraio 2019, n. 3108; Cass., 23 novembre 2016, n. 23845; Cass., 2 dicembre 2015, n. 24588; Cass., 24 febbraio 2014, n. 4394; Cass., 22 febbraio 2013, n. 4522; Cass., 27 luglio 2012, n. 13457; Cass., 16 febbraio 2012, n. 2192);
– e si è, in particolare, rimarcato che -costituendo l’incertezza normativa oggettiva una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole che trova il suo fondamento, piuttosto che nell’ignoranza giustificata, nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria -l’essenza del fenomeno «si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente: 1) nella
difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente» (v. Cass., 28 novembre 2007, n. 24670 cui adde , ex plurimis , Cass., 12 aprile 2019, n. 10313; Cass., 13 giugno 2018, n. 15452; Cass., 17 maggio 2017, n. 12301; con riferimento alla ricorrenza di contrasti giurisprudenziali, nella giurisprudenza di legittimità e anche di merito, cfr. Cass., 23 novembre 2016, n. 23845, cit.; Cass., 2 dicembre 2015, n. 24588, cit.; per la considerazione di una pluralità di disposizioni «il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso, per l’equivocità del loro contenuto», v. Cass., 24 febbraio 2014, n. 4394, cit.; Cass., 22 febbraio 2013, n. 4522, cit.);
4.2.2 -nella fattispecie, come si è anticipato, le istruzioni allegate al d.m. 26 giugno 2014 (fol. 25) espressamente precisavano che «Se il Cm è inferiore o uguale al Cms, ciò significa che l’attività didattica è svolta con modalità non commerciali e, quindi, non è assoggettabile a imposizione.» e, dunque, che le modalità non commerciali conseguivano dal risultare il corrispettivo medio praticato dal contribuente inferiore al costo medio per studente rilevato dal
Ministero; né (diversamente) veniva in considerazione la (difforme) indicazione secondo la quale «Sulla base degli anzidetti principi enucleati dalla decisione della Commissione europea spetta, quindi, al comune, in sede di verifica delle dichiarazioni e dei versamenti effettuati dagli enti non commerciali, valutare la simbolicità dei corrispettivi praticati da ciascun ente non commerciale, non potendosi effettuare in astratto una definizione di corrispettivo simbolico, poiché in tal modo si violerebbe la finalità perseguita dalla decisione della Commissione.» (v., in tal senso, Cass., 29 novembre 2022, n. 35123), indicazione che, in effetti, risultava posta a riguardo di distinte attività e non replicata con riferimento alle attività didattiche (in specie per le scuole paritarie);
va, ancora, considerato che il criterio di qualificazione in discorso risultava replicato, come già si è rilevato, negli stessi decreti aventi ad oggetto la determinazione dei contributi pubblici per le scuole paritarie e che -come l’odierna udienza rende evidente lo stesso è stato ritenuto dirimente nelle stesse interpretazioni di alcune pronunce di merito, in difetto di uno specifico intervento chiarificatore della giurisprudenza di legittimità al momento dell’illecito sanzionato;
per di più, va rilevato, le stesse osservazioni svolte nella ridetta decisione della Commissione (2013/284/UE, punto 172, cit.) implicavano un rinvio alla giurisprudenza della Corte di Giustizia relativamente alla nozione di impresa -in ipotesi insussistente «nel caso dei corsi impartiti da taluni istituti che facciano parte di un sistema di insegnamento pubblico e che siano finanziati, interamente o prevalentemente, mediante fondi pubblici.» così che l’espresso riferimento al rapporto tra corrispettivo medio (CM) e costo medio per studente (CMS) implicava un confronto interpretativo che -al di là di una siffatta espressa correlazione tra CM e CMS -doveva prendere in
considerazione (anche) le disposizioni nazionali di disciplina dei contributi pubblici previsti per le scuole paritarie;
4.3 -va dunque affermato, con riguardo alle annualità qui dedotte, che «In tema di IMU e di TASI, sussistevano obiettive condizioni di incertezza normativa con riferimento all’esenzione prevista per lo svolgimento di attività didattica in règime di scuola paritaria, con conseguente legittima disapplicazione delle sanzioni, atteso che il presupposto dell’esenzione , correlato allo svolgimento dell’attività con modalità non commerciali, risultava specificamente definito, nelle istruzioni allegate al d.m. 26 giugno 2014 (recante «Approvazione del modello di dichiarazione dell’IMU e della TASI per gli enti non commerciali, con le relative istruzioni»), secondo il criterio del rapporto tra corrispettivo medio percepito dal contribuente (CM) e costo medio per studente (CMS) rilevato dal Ministero su base nazionale, criterio replicato, a sua volta, nel decreti ministeriali recanti disciplina dei contributi stanziati in favore delle scuole paritarie (l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 636), laddove la corretta, e compiuta, valutazione del presupposto dell’esenzione, in assenza di precedenti giurisprudenziali di legittimità e nella ricorrenza di difformi orientamenti interpretativi della giurisprudenza di merito, implicava un difficoltoso (e multilivello) confronto interpretativo con le disposizioni nazionali, di disciplina dei contributi pubblici previsti per le scuole paritarie, alla luce degli orientamenti emersi nella giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di finanziamento del sistema di insegnamento pubblico, orientamenti presupposti nella stessa decisione 2013/284/UE, del 19 dicembre 2012, della Commissione dell’Unione Europea.»;
l’impugnata sentenza va, pertanto, cassata in relazione al motivo accolto (il quinto) e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con accoglimento
del ricorso originario del contribuente limitatamente alle sanzioni applicate;
le spese del l’intero giudizio vanno compensate, tra le parti, in ragione del parziale accoglimento del ricorso e tenuto conto della sopravvenienza, in corso di causa, della pertinente giurisprudenza di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
-accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta i residui motivi;
-cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, accoglie i ricorsi originari del contribuente limitatamente alle sanzioni applicate con gli impugnati avvisi di accertamento;
–
compensa, tra le parti, le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 novembre 2024.