Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12942 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12942 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 14/05/2025
ICI IMU Accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18262/2023 R.G. proposto da Fondazione RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE (91003840393), in persona del suo legale rappresentante p.t. , rappresentata e difesa dall’ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALEEMAIL;
-ricorrente –
contro
Comune di Lugo (82002550398), in persona del suo Sindaco p.t. , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE EMAIL e dall’avv ocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; EMAIL;
-controricorrente –
e
Unione dei Comuni della Bassa Romagna (P_IVA);
-intimata –
avverso la sentenza n. 665/2023, depositata il 9 giugno 2023 e notificata il 13 giugno 2023, della Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia Romagna ;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 18 dicembre 2024, dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
-con sentenza n. 665/2023, depositata il 9 giugno 2023, e notificata il 13 giugno 2023, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia Romagna ha accolto, previa riunione, gli appelli proposti dal Comune di Lugo, così pronunciando in integrale riforma delle due decisioni di prime cure che avevano accolto le impugnazioni di cinque avvisi di accertamento dal Comune emessi in relazione all’IMU dovuta dalla contribuente per gli anni dal 2012 al 2016, e per il possesso di unità immobiliare (censita in catasto al fg. 108, part. 113, sub 13, di categoria B/05) adibita alla gestione di una scuola paritaria;
1.1 -a fondamento del decisum , il giudice del gravame ha rilevato che:
a fronte della motivazione degli atti impositivi, la contribuente era stata posta «in grado di difendersi compiutamente su tutti i punti della questione presentando tempestivo ricorso innanzi la CTP di Ravenna»;
secondo dicta della giurisprudenza di legittimità, non v’era obbligo di un contraddittorio endoprocedimentale al momento dell’emissione degli avvisi di accertamento;
avuto riguardo ai principi di diritto espressi dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento all’esenzione prevista dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i ), – quanto, dunque, al necessario svolgimento dell’attività « a titolo gratuito ovvero dietro il versamento di un corrispettivo simbolico» – ed ai dati del conto economico (che non era stato prodotto dalla contribuente per l’anno 2012) – alla cui stregua emergeva «un tendenziale pareggio di bilancio
tra costi e ricavi (anzi, con una leggera prevalenza dei secondi sui primi)» – doveva ritenersi che, nella fattispecie, non ricorrevano i presupposti della reclamata esenzione;
in particolare, la giurisprudenza di legittimità aveva precisato che «la circostanza che le rette siano inferiori al costo medio per studente di cui alla tabella MIUIR ed appena sufficienti a coprire i costi dell’attività, e quindi inidonee a far conseguire un reale utile, non è elemento idoneo a comprovare la spettanza dell’esenzione sotto il profilo oggettivo, per insussistenza del requisito della gratuità o del pagamento simbolico. Infatti, risulta sufficiente l’idoneità, anche tendenziale, dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio, per poter ritenere ‘non simbolica’ la retta pagata dagli studenti, anche se al di sotto del costo medio per studente di cui alla tabella Miur, con conseguente impossibilità di qualificare come non commerciale l’attività svolta dalla Fondazione »;
-la RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di un solo motivo, illustrato con memoria;
-resiste con controricorso il Comune di Lugo che anch’esso ha depositato memoria;
-l’ Unione dei Comuni della Bassa Romagna non ha svolto attività difensiva.
Considerato che:
1. -ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i ), al d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 91bis , conv. in l. 24 marzo 2012, n. 27, al d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, art. 9, commi 6 e 6ter , conv. in l. 7 dicembre 2012, n. 213, alla l. 10 marzo 2000, n. 62, art. 1, alla l. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, ed al d.m. 19 novembre 2012, n. 200;
premesso che il conto economico, diversamente da quanto rilevato dal giudice del gravame, era stato prodotto (anche) per l’anno 2012, la ricorrente deduce che:
in quanto destinato alla gestione, ed allo svolgimento, di attività didattiche -attraverso due scuole paritarie (una scuola dell’infanzia ed altra scuola primaria) -l’unità immobiliare in contestazione avrebbe dovuto ritenersi esente in quanto dette attività svolte « con modalità non commerciali »;
era stato, difatti, documentato il riconoscimento scolastico delle due scuole, come paritarie, né, come rilevato dal giudice del gravame, il tendenziale pareggio di bilancio perseguito avrebbe potuto diversamente rilevare;
il d.m. 26 giugno 2004, adottato in attuazione del d.m. n. 200 del 2012, ai fini in esame prevedeva (nelle istruzioni) che doveva ritenersi di natura non commerciale l’attività didattica svolta sulla base della comparazione del corrispettivo medio percepito (le rette; cd. CM) al Costo Medio per Studente (CMS) periodicamente pubblicato dal MIUR;
per i periodi di imposta in contestazione le rette versate dalle famiglie erano risultate (sempre) inferiori al CMS (di € 5.739,17 per la scuola dell’infanzia e di € 6.634,15 euro per la primaria) in quanto le rette erano risultate pari, per la scuola dell’infanzia , ad € 1.614,00 nel 2012, € 1.516,70 nel 2013, € 1.533,37 nel 2014, € 1.476,07 nel 2015 e € 1.527,21 nel 2016; e, per la scuola primaria, ad € 942,88 nel 2012, € 967,75 nel 2013, € 838,63 nel 2014, € 784,08 nel 2015 e € 719,88 nel 2016;
-va disattesa, in via preliminare, l’eccezione di inammissibilità sollevata dal controricorrente in quanto la censura articolata col motivo di ricorso correttamente si muove sul piano della denuncia di violazione di legge -nello specifico raccordata alla cennate istruzioni ministeriali -né l’esposizione dei dati fattuali relativi al suddetto parametro di
riferimento -così come raccordati alle rette percepite -eccede l’àmbito del sindacato di legittimità devoluto alla Corte;
-tanto premesso, il proposto motivo è destituito di fondamento;
3.1 -il quadro normativo di riferimento della fattispecie in contestazione espone i seguenti dati di regolazione:
– il d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 9, comma 8, espressamente rinvia, in tema di esenzioni dall’imposta municipale propria, al d.lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. i ), cit.;
b. – il d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 91bis , conv. in l. 24 marzo 2012, n. 27, cit., ha quindi disposto nei seguenti termini:
«Al comma 1, lettera i ), dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, dopo le parole: “allo svolgimento” sono inserite le seguenti: “con modalità non commerciali”.» (comma 1);
-«Qualora l’unità immobiliare abbia un’utilizzazione mista, l’esenzione di cui al comma 1 si applica solo alla frazione di unità nella quale si svolge l’attività di natura non commerciale, se identificabile attraverso l’individuazione degli immobili o porzioni di immobili adibiti esclusivamente a tale attività. Alla restante parte dell’unità immobiliare, in quanto dotata di autonomia funzionale e reddituale permanente, si applicano le disposizioni dei commi 41, 42 e 44 dell’articolo 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286. Le rendite catastali dichiarate o attribuite in base al periodo precedente producono effetto fiscale a partire dal 1º gennaio 2013.» (comma 2);
«Nel caso in cui non sia possibile procedere ai sensi del precedente comma 2, a partire dal 1º gennaio 2013, l’esenzione si applica in proporzione all’utilizzazione non commerciale dell’immobile quale risulta da apposita dichiarazione. Con successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 17 agosto 1988, n. 400, entro sessanta giorni
dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalità e le procedure relative alla predetta dichiarazione, gli elementi rilevanti ai fini dell’individuazione del rapporto proporzionale, nonchè i requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività di cui alla lettera i) del comma 1 dell’ articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, come svolte con modalità non commerciali.» (comma 3, come modificato dall’articolo 9, comma 6, del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, conv. in l. 7 dicembre 2012, n. 213);
c. in attuazione dell’art. 91 -bis , comma 3, cit., è stato adottato il d.m. 19 novembre 2012, n. 200, che, per quel che qui rileva, ha così disposto:
«Lo svolgimento di attività didattiche si ritiene effettuato con modalità non commerciali se: …c) l’attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso»;
-il d.m. 26 giugno 2014 ha, poi, approvato il modello di dichiarazione «da utilizzare, a decorrere dall’anno di imposta 2012, ai sensi dell’articolo 91 -bis del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27», con le allegate istruzioni;
3.2 -la disposizione di cui al d.lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i ), cit., è stata interpretata dalla Corte, secondo un risalente e consolidato orientamento interpretativo, nel senso che le previste esenzioni «presuppongono il ricorrere di una duplice condizione costituita dall’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e dall’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito» (così Cass. Sez. U., 26 novembre 2008, n. 28160 cui adde , ex plurimis , Cass., 20 luglio 2016, n. 14913;
Cass., 4 giugno 2014, n. 12495; Cass., 6 dicembre 2013, n. 27418; Cass., 11 maggio 2012, n. 7385); e si è, quindi, rimarcato che, ai fini dell’integrazione dell’esenzione, occorrono un requisito oggettivo -rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate dal legislatore ai fini dell’esenzione – ed un requisito soggettivo – costituito, a sua volta, dallo svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali – (v., ex plurimis , Cass., 30 aprile 2019, n. 11409; Cass., 20 luglio 2016, n. 14913; Cass., 4 maggio 2016, n. 8870; Cass., 8 luglio 2015, n. 14226; Cass., 21 marzo 2012, n. 4502);
– detti arresti sono stati ulteriormente ribaditi dalla Corte, anche in fattispecie perfezionatesi in epoca antecedente alla modifica normativa dell’art. 7, comma 1, lett. i ), cit., ad opera del d.l. n. 1 del 2012, art. 91bis , comma 1, cit., essendosi rilevato che il diritto all’esenzione dall’ICI presuppone che l’utilizzo, pur indiretto, dell’unità immobiliare avvenga con modalità non commerciali, così come ritenuto nella decisione della Commissione dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012, al fine di evitare che il regime dell’esenzione si risolva in un aiuto di Stato; così che è necessario, al fine dell’esclusione del carattere economico dell’attività, che quest’ultima sia svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di un importo simbolico (Cass., 30 settembre 2019, n. 24308; Cass., 5 settembre 2019, n. 22223; Cass., 15 marzo 2019, n. 7415; Cass., 8 luglio 2016, n. 13970);
3.3 -difatti, le disposizioni introdotte dal d.l. n. 1 del 2012, art. 91bis , cit., come la Corte ha in più occasioni rimarcato, risultavano specificamente dirette a rendere compatibile la disciplina interna con quella eurounitaria in tema di aiuti di Stato, essendosi rilevato che il diritto all’esenzione presuppone che l’utilizzo dell’unità immobiliare avvenga con modalità non commerciali, così come ritenuto nella
decisione 2013/284/UE, del 19 dicembre 2012, della Commissione dell’Unione Europea, al fine di evitare che il regime dell’esenzione si risolva in un aiuto di Stato (v., ex plurimis , Cass., 27 luglio 2023, n. 22954; Cass., 14 settembre 2021, n. 24655; Cass., 30 settembre 2019, n. 24308; Cass., 5 settembre 2019, n. 22223; Cass., 15 marzo 2019, n. 7415; Cass., 8 luglio 2016, n. 13970);
– la citata decisione della Commissione (v., altresì, CGUE, 6 novembre 2018, cause riunite da C-622/16P a C-624/16P, RAGIONE_SOCIALE, punti 103 ss.), – nel rimarcare che, secondo la stessa giurisprudenza unionale, in tema di aiuti di Stato e di concorrenza, la nozione di impresa, a prescindere dal suo status giuridico, si correla allo svolgimento di un’attività economica (v. altresì, tra le tante, CGUE, 1 luglio 2008, procedimento C-49/07, MOTOE, punti 27 e 28; CGUE, 10 gennaio 2006, procedimento C-222/04, Ministero dell’Economia e delle Finanze, punti 107, 108, 122, 123; CGUE, 12 settembre 2000, procedimenti riuniti da C-180/98 a C-184/98, Pavlov e altri, punti 74 e 75) e che, pertanto, le finalità sociali, e di solidarietà, eventualmente perseguite non escludono la riconducibilità delle relative attività a detta nozione in quanto (anche) un’impresa che agisca senza fine di lucro può offrire beni e servizi sul mercato e, così, porsi in concorrenza con altre imprese -ha, difatti, considerato quale aiuto di stato, incompatibile con il mercato interno (art. 107 TFUE), l’esenzione ICI di cui al d.lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i ), cit., e, per converso, lecita, perché non costituente aiuto di Stato, l’esenzione IMU che, seppur riconducibile alla sopra citata disposizione del d.lgs. n. 504, cit., art. 7, comma 1, conseguiva dalla rimodulazione regolatoria di quella stessa disposizione (ai sensi del d.l. n. 1 del 2012, art. 91bis , cit.);
3.4 -i principi di diritto sopra esposti, quanto alla connotazione oggettiva dell’attività suscettibile di essere ricondotta all’esenzione in
esame, sono stati di recente ribaditi (anche) a riguardo dello svolgimento di attività didattica (v., in tema di ICI, Cass., 26 luglio 2024, n. 20971; Cass., 9 febbraio 2024, n. 3674; Cass., 2 ottobre 2023, n. 27821; in tema di IMU, Cass., 26 marzo 2025, n. 7998; Cass., 13 aprile 2023, n. 9927; Cass., 16 febbraio 2023, n. 4946, Cass., 29 novembre 2022, n. 35123) e, nello specifico, è stato posto il principio di diritto secondo il quale, con riferimento all’esenzione prevista, per l’attività didattica, dall’art. 7, comma 1, lett. i ), d.lgs. n. 504 del 1992, il corrispettivo simbolico è quello caratterizzato da un ricavo irrisorio, marginale e del tutto residuale rispetto alla natura della prestazione, tale da non potersi porre in relazione con il servizio reso, in quanto avente natura meramente formale e utile a rendere la prestazione più prossima a un’erogazione gratuita che a quella sottoremunerata rispetto ai parametri medi di settore (così Cass., 2 ottobre 2023, n. 27821, cit.);
– a riguardo, poi, del criterio qualificatorio prospettato nel motivo di ricorso -riassumibile nell’indicazione contenuta nelle istruzioni allegate al d.m. 26 giugno 2014, secondo la quale se il corrispettivo medio (cd. Cm) percepito dall’Ente è inferiore o uguale al costo medio per studente (cd. CMS) «ciò significa che l’attività didattica è svolta con modalità non commerciali e, quindi, non è assoggettabile a imposizione» – si è, in particolare, rilevato, da un lato, che «le istruzioni ministeriali non possono vincolare l’interpretazione del dato normativo» e, dall’altro, che «l’imprescindibile punto di riferimento è rappresentato dalla previsione normativa del D.M. 19 novembre 2012, art. 4, comma 3, lett. c ), che ha costituito diretta attuazione del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 91, comma 3-bis, circa la determinazione dei “requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i ), come svolte con modalità non commerciali”» (così Cass., 13 aprile 2023, n. 9927,
cit.; v. altresì Cass., 16 febbraio 2023, n. 4946, cit.; Cass., 29 novembre 2022, n. 35123, cit.; v., ancora, il d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, art. 9, comma 6ter , conv. in l. 7 dicembre 2012, n. 213, secondo il quale «Le disposizioni di attuazione del comma 3 dell’articolo 91bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, come modificato dal comma 6 del presente articolo, sono quelle del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 19 novembre 2012, n. 200»);
– così che in queste ultime pronunce si è rilevato che la valutazione implicata dall’art. 4, comma 3, lett. c ), del d.m. 19 novembre 2012 -che (va ribadito) espressamente dispone che «Lo svolgimento di attività didattiche si ritiene effettuato con modalità non commerciali se: … c) l’attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso» – «non può essere riducibile all’applicazione meccanica di un parametro (come il citato rapporto tra CM e CMS, di cui alle citate istruzioni) stabilito in via generale, una volta per tutte, come tale funzionale ad una elaborazione forfettaria del requisito, giacché, in termini del tutto diversi, il dato normativo obbliga ad una valutazione puntuale, non predeterminata, riferita alla specifiche condizioni in cui opera il singolo contribuente, delineando un accertamento basato sulla verifica dell’irrisorietà della retta, in ragione della sua inidoneità a porsi pure come larvata forma retributiva dell’attività didattica prestata, come precisato da questa Corte secondo cui “a fare il discrimine in questo caso è la retta (Cass. 18831/2020; n. 3369/2019; n. 2019/13787, in motiv; 24308/2019; Cass. n. 10754/2017; Cass. n. 10483 del 2016; n. 19773 del 2019; n. 13970 del 2016, massimate)” (così Cass., Sez. V/T, 15 dicembre 2020, n. 28578)»;
3.5 -le conclusioni appena esposte vanno senz’altro ribadite (anche) a riguardo del complessivo assetto regolatorio delle Scuole paritarie private (l. 10 marzo 2000, n. 62);
3.5.1 -nella sopra ricordata decisione (2013/284/UE, punto 172), la Commissione -a riguardo dello svolgimento dell’attività didattica da parte di una scuola paritaria -ha specificamente osservato che «La natura non economica dell’istruzione pubblica non viene in linea di principio contraddetta dal fatto che talvolta gli alunni o i loro genitori debbano versare tasse scolastiche o di iscrizione, che contribuiscono ai costi di esercizio del sistema scolastico, purché tali contributi finanziari coprano solo una frazione del costo effettivo del servizio e non possano pertanto considerarsi una retribuzione del servizio prestato», così che «le rette di importo simbolico cui si riferisce il decreto non possano essere considerate una remunerazione del servizio fornito»;
-e l’osservazione in questione si raccorda, poi, agli stessi dicta della giurisprudenza della Corte di Giustizia che -riconducendo, come anticipato, la nozione di «impresa» a qualsiasi entità che, a prescindere dal suo status giuridico, eserciti un’attività economica volta ad offrire beni e servizi sul mercato -in tema di attività didattica ha, per l’appunto, rimarcato che non sussiste impresa, e attività economica, «nel caso dei corsi impartiti da taluni istituti che facciano parte di un sistema di insegnamento pubblico e che siano finanziati, interamente o prevalentemente, mediante fondi pubblici. Infatti, istituendo e mantenendo un siffatto sistema di insegnamento pubblico, finanziato di norma dal bilancio pubblico e non dagli studenti o dai loro genitori, lo Stato non intende impegnarsi in attività remunerate, bensì adempie la propria missione nei settori sociale, culturale e educativo nei confronti della propria popolazione» (CGUE, 27 giugno 2017, causa C74/16, Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania, punto 50; v.,
altresì, CGUE, 11 settembre 2007, COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, procedimento C-76/05, punto 39);
3.5.2 -come, però, la giurisprudenza nazionale ha in più occasioni rilevato, il finanziamento pubblico delle scuole paritarie (l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 636; d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 138) -scuole che pur concorrono ad integrare il sistema nazionale di istruzione (l. n. 62 del 2000, cit.) -in ragione dello stesso testo costituzionale – secondo il quale «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.» (art. 33, terzo comma) – non forma oggetto di un diritto soggettivo, in quanto il riconoscimento della parità scolastica «non può costituire dì per sé fondamento sufficiente al fine di estendere alle scuole private paritarie i finanziamenti statali e le provviste di beni e servizi naturalmente diretti agli uffici e alle istituzioni scolastiche statali.»; così che deve essere ricondotta «alla (lata) discrezionalità pianificatoria degli enti competenti … la definizione delle modalità e la quantificazione delle risorse economiche disponibili (in un quadro finanziario che, per giunta, non può non tenere conto degli stringenti vincoli contabilistici e della scarsità delle risorse pubbliche … ) per la contribuzione a favore delle scuole non statali.» (così Consiglio di Stato, sez. V, 19 agosto 2019, n. 5739 cui adde Tar Campania, Sez. IV, 18 gennaio 2023, n. 415; v., altresì, Consiglio di Stato, sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2517; per il rilievo che «Le provvidenze finanziarie dello Stato, lungi dal risolversi in un trasferimento allo Stato dell’intero costo sostenuto dalla scuola privata … rappresentano piuttosto un contributo a parziale copertura di quel costo: un contributo la cui misura è fissata – come stabilisce il D.P.R. n. 23 del 2008 – nel limite dello stanziamento di bilancio sull’apposito capitolo di spesa», v. Cass. Sez. U., 20 aprile 2017, n. 9966 nonchè Cass. Sez. U., 16 maggio 2014, n. 10821);
-né l’introduzione di specifici benefici previsti in favore degli studenti, piuttosto che, dunque, delle scuole paritarie, -benefici volti a sostenere i costi del servizio reso dalla scuola paritaria, (così) rendendo possibile l’esercizio della stessa li bertà di scelta della scuola, – è idoneo ad incidere sulla nozione (che qui rileva) di impresa, ove dunque il versamento di rette (pur temperato da provvidenze pubbliche) costituisce pur sempre la remunerazione del servizio reso dalla Scuola;
3.5.3 -in un siffatto contesto regolatorio, pertanto, e come dalla Corte già rilevato, il criterio qualificatorio rilevante ai fini dell’esenzione -identificato, come anticipato, nel rapporto tra corrispettivo medio (cd. Cm) percepito dall’Ente e costo m edio per studente (cd. CMS) rilevato dal Ministero su base nazionale -non è in alcun modo idoneo a qualificare il presupposto dell’agevolazione (svolgimento di attività con modalità non commerciali) che deve raccordarsi al versamento di un corrispettivo «di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso»;
il criterio in questione risulta, in effetti, replicato dai decreti ministeriali che (a decorrere dall’anno scolastico 2015/2016) hanno determinato criteri e parametri per l’assegnazione dei contributi alle scuole paritarie (l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 636, cit.), criterio assunto (in tesi) in recepimento di quanto statuito dal G.A. che aveva annullato, per quanto di ragione, il d. m. 30 gennaio 2013, n. 46 (recante criteri e parametri per l’assegnazione dei contributi pubblici alle scuole paritarie per l’anno scolastico 2012/2013) rilevando, nello specifico, che doveva ritenersi illegittimo «l’art. 4 del d. m. n. 46 del 2013 nella parte in cui identifica le scuole paritarie che svolgono il servizio scolastico “senza fini di lucro”, quali destinatarie di contributi pubblici in via prioritaria rispetto alle altre scuole paritarie, ai sensi
dell’art. 1, comma 636, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (“legge finanziaria 2007”), con le scuole paritarie “gestite da soggetti giuridici senza fini di lucro”, seguendo così il criterio “soggettivo -formale” della natura giuridica dell’ente gestore, anziché fare applicazione del criterio “oggettivo” -coerente con la giurisprudenza euro unitaria in materia di aiuti di Stato, e con la giurisprudenza nazionale, di cui si dirà al p. 4.1., in base al quale il fine di lucro della scuola paritaria va posto in correlazione diretta con le caratteristiche, economico-commerciali, o meno, dell’attività esercitata, e non, come detto, con la natura dell’ente; sicché, diversamente da quanto stabilito nel citato art. 4 del decreto impugnato in primo grado, per scuole paritarie senza scopi di lucro, ai fini dell’erogazione di contributi pubblici in via prioritaria, non devono intendersi quelle gestite da soggetti giuridici senza fini di lucro, e neppure possono essere presi in considerazione gli istituti ammessi a produrre utilità apprezzabili sul piano economico, ossia contrassegnati dalla presenza di “lucro in senso oggettivo” ma assoggettati al divieto di distribuzione degli eventuali utili in favore di amministratori o soci (c. d. “assenza di lucro soggettivo”), ma debbono considerarsi tali le scuole paritarie che svolgono il servizio scolastico senza corrispettivo, vale a dire a titolo gratuito, o dietro versamento di un corrispettivo solo simbolico per il servizio scolastico prestato, o comunque di un corrispettivo tale da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, dovendo, in questo contesto, il pagamento di rette di importo non minimo essere considerato fatto rivelatore dell’esercizio di un’attività con modalità commerciali.» (Consiglio di Stato, sez. VI, 28 gennaio 2016, n. 292);
– se, allora, il parametro in questione è posto in relazione ai criteri di determinazione dei contributi pubblici previsti per le scuole paritarie -e, dunque, a fondamento di un provvedimento volto ad incidere sulla determinazione della stessa misura dei contributi in questione (l. 7
agosto 1990, n. 241, art. 12), secondo una ratio di differenziazione dei trattamenti che non mette cura di esaminare in questa sede -ciò non di meno non è utilmente predicabile con riferimento alla normativa primaria volta a disciplinare «i requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività di cui alla lettera i ) del comma 1 dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, come svolte con modalità non commerciali» (d.l. n. 1 del 2012, art. 91bis , commi 1 e 3, cit.; d.m. 19 novembre 2012, n. 200, art. 4, comma 3, cit.);
sotto questo secondo profilo, difatti, viene in rilievo -piuttosto che la ragione di attribuzione di un vantaggio economico (concesso secondo le effettive disponibilità del bilancio pubblico) -la stretta necessità di raccordare un’agevolazione fiscale (una esenzione dal tributo patrimoniale) al suo presupposto che, come dalla Corte già rilevato, impone la specifica valutazione in concreto delle modalità di svolgimento dell’attività (di natura non commerciale) e, con questa, la sua riconduzione ad un parametro che -indiscussa, come anticipato, la natura di corrispettivo dei versamenti eseguiti per i servizi offerti da una scuola paritaria (servizi suscettibili di essere, a loro volta, ricondotti a prestazione ulteriori rispetto a quella che ha ad oggetto l’istruzione, e così ad attività di trasporto, ristorazione o anche ricreative) -non può risolversi nel mero confronto (in astratto) tra un corrispettivo medio percepito (CM) ed il costo medio per studente (CMS) siccome quel corrispettivo deve connotarsi come «simbolico» perché, ad ogni modo, idoneo a «coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso»;
e la verifica di tale connotazione del corrispettivo impone una valutazione puntuale – non predeterminata e riferita alle specifiche condizioni in cui opera il singolo contribuente (v., per tutte, Cass., 2 ottobre 2023, n. 27821, cit.) -che nella fattispecie, come anticipato,
è stata compiutamente e legittimamente eseguita dal giudice del gravame che, nel rilevare, come anticipato, la tendenziale ricerca della parità di bilancio ha, per l’appunto, dato compiuta attuazione ai principi di diritto dalla Corte esposti;
4. -le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1quater ).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 5.500,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il proposto ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 dicembre 2024.