Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31298 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31298 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19811/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE -ricorrente- contro
COMUNE DI PALERMO, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA RAGIONE_SOCIALE II RAGIONE_SOCIALE SICILIA n. 1918/2023 depositata il 27/02/2023, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/11/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.L’Istituto delle Suore del Sacro C uore ha impugnato l’avviso di accertamento, avente ad oggetto l’i.m.u. per gli anni 2015 e 2016, pretesa per un immobile destinato all’esercizio di attività didattica, contestando l’assenza del presupposto impositivo, stante la sussistenza dell’esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lett. 1, del d.lgs. n. 504 del 1992 e la lacunosità della motivazione.
Il ricorso è stato rigettato.
3.L’appello della contribuente è stato rigettato. Nella sentenza di appello si è precisato che, allo scopo di verificare i requisiti dell’esenzione invocata, è stata accertata l’attività effettivamente svolta nell’immobile: «dalla visura anagrafica tributaria dell’Agenzia delle Entrate è emerso che l’istituto appellante svolge attività di colonie marine e montane, affittacamere, residence, B/B, casa per ferie riposo» ed in effetti il «complesso scolastico, oltre ad attività didattica, offre anche i servizi di mensa scolastica (cucina interna) ed un centro estivo (nei mesi di giugno e luglio)…..attività extrascolastiche pomeridiane, quali corsi di inglese (con esame Trinity) e francese, corsi di mini-basket, taekwondo e danza classica», richiedendo sia per i servizi scolastici sia per quelli extrascolastici una retta o un corrispettivo (ad esempio, per il centro estivo, da euro 30,00 a 55,00 a settimana). Inoltre, è emerso che l’istituto ha dichiarato un reddito imponibile ai fini i.r.e.s. sia per l’anno 2015 sia per l’anno 2016 (tra euro 4.000,00/5.000,00) ed un volume di affari ai fini i.v.a. superiore ad euro 2.000.000,00. I giudici di appello hanno, pertanto, concluso che il ricorrente non ha
assolto l’onere probatorio a suo carico in ordine al requisito oggettivo dell’esenzione (modalità non commerciali delle attività socialmente rilevanti, per le quali è prevista l’esenzione), deponendo in senso contrario il significativo volume di affari ai fini i.v.a.
4.Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il contribuente, che ha anche evidenziato la presenza di un errore materiale negli avvisi di accertamento impugnati, in cui gli importi sub 6 e sub 8 sono stati ripetuti due volte, con duplicazione della relativa pretesa.
5.Il Comune si è costituito con controricorso, con cui ha chiesto rigettarsi il ricorso.
6.La causa è stata trattata e decisa all’adunanza camerale del 14 novembre 2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo ed unico motivo parte ricorrente ha dedotto l’omesso esame del motivo di appello, con cui si è denunciato che, contrariamente alle conclusioni del giudice di primo grado, l’attività didattica è esercitata con modalità non commerciali, in quanto la retta pretesa non supera quella media nazionale (elemento necessario e sufficiente, nella prospettazione difensiva, ai fini della non commercialità dell’esercizio) – profilo su cui la sentenza non si è proprio soffermata, contenendo una motivazione del tutto apparente, consistente in un elenco di massime e nell’analisi di circostanze irrilevanti, quali il bilancio riferito non alla sola attività didattica, ma a tutte le attività dell’istituto, svolte sull’intero territorio nazionale. Nel ricorso si è precisato che la retta pagata annualmente dagli studenti è stata di euro 1.800 per l’anno 2013/2014, euro 1.100 per l’anno 2014/2015 e euro 1.100,00 per l’anno 2015/2016 e, quindi, di gran lunga inferiore al costo medio
per studente pubblicato nel decreto del Ministero dell’Istruzione n. 61 del 2021, il cui art. 5, comma 3, espressamente stabilisce che l’attività didattica è svolta con modalità non commerciale se il corrispettivo medio percepito dalla scuola paritaria è inferiore al costo medio per studente annualmente pubblicato dal Ministero dell’Istruzione (requisito da provare tramite dichiarazione sostitutiva ex d.P.R. n. 445 del 2000).
La censura è infondata.
1.1. In primo luogo non si ravvisa nella decisione in esame alcuna omessa pronuncia, posto che la censura formulata dall’odierno ricorrente in appello è stata esaminata e rigettata. I giudici di appello, che non hanno, aderito alla prospettazione difensiva dell’appellante, secondo cui l’attività didattica è esercitata con modalità non commerciali laddove la retta pretesa per studente è inferiore al costo medio per studente, come quantificato dal Ministero dell’Istruzione, hanno escluso la natura simbolica del corrispettivo richiesto, ritenendo implicitamente irrilevante il rapporto tra la retta media pretesa dall’istituto ed il costo medio quantificato dal Ministero dell’istruzione ed effettuando un accertamento di fatto, che non può essere in questa sede rivisto dal giudice di legittimità.
Ad ogni modo, la tesi sostenuta dalla parte ricorrente è già stata disattesa da questa Corte. I principi elaborati alla luce del diritto eurounitario – e segnatamente del divieto di aiuti di Stato stabilito dall’art. 107 del TFUE, come chiarito dalla decisione della Commissione europea del 19 dicembre 2012 – vanno ribaditi in assenza di persuasivi argomenti contrari. Il decreto del Ministero dell’Istruzione n. 61 del 2021, invocato nel ricorso, così come tutti gli altri decreti adottati dal Ministero dell’Istruzione per l’assegnazione dei contributi alle scuole paritarie di ogni ordine e grado (da ultimo il d.m. n. 20 del 2024), non ha natura normativa e non è idoneo ad innovare l’ordinamento ed a derogare o
modificare i principi desumibili dalle leggi e dalle fonti comunitarie. Più precisamente il decreto non assurge neppure a regolamento ministeriale, non essendo stato adottato ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 400 del 1988, previo parere del Consiglio di Stato, con espressa qualifica di regolamento ed in base ad una specifica norma di legge.
1.2.Come anticipato, resta, dunque, confermata la posizione già assunta da questa Corte, rispetto alla quale la decisione impugnata si presenta del tutto coerente.
La previsione dell’art. 7, comma 1, lett. i ), d.lgs. n. 504/1992, nel testo attualmente vigente, come modificato dall’art. 91 -bis del d.l. n. 1 del 2012, conv. in legge n. 27 del 2012, espressamente richiamata, in tema di IMU, dal d.lgs. n. 23 del 2011, deve essere applicata nell’accezione compatibile con la decisione adottata dalla Commissione dell’Unione Europea il 19 dicembre 2012 e con la sentenza resa dalla Corte di giustizia del 6 novembre 2018, nelle cause riunite C-622, 663 e 624/2016, che ha confermato la decisione, limitandosi ad annullarla in ordine al mancato recupero degli aiuti di Stato. Solo per completezza deve evidenziarsi che non è, invece, pertinente la più recente decisione della Commissione dell’Unione Europea del 3 marzo 2023, che riguarda solo ed esclusivamente il recupero degli aiuti illegali concessi tramite l’esenzione dell’i.c.i. . Pertanto, l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i, d.lgs. n. 504 del 1992 va riconosciuta solo se le attività ivi elencate (assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’art. 16, lett. a, della legge n. 22 del 1985) sono esercitate con modalità non commerciali. In particolare, come ha precisato l’art. 4, comma 3, lett. c, del regolamento, adottato dal Ministero delle Finanze, con decreto n. 200 del 2012, a cui rinvia l’art. 91 -bis, comma 3, del d.l. n. 1 del 2012, conv. in legge n. 27 del 2012, le attività didattiche sono svolte con modalità non
commerciali se esercitate a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso.
Si è chiarito che per corrispettivo simbolico, ai fini dell’esenzione prevista dall’art. 7, lett. i, d.lgs. n. 504 del 1992, per l’attività didattica, in base ai criteri dettati dalla decisione della Commissione dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012, deve intendersi quello caratterizzato da un irrisorio, marginale, del tutto residuale ammontare, in termini tali da non potersi porre in relazione con il servizio reso, così presentandosi come corrispettivo di natura meramente formale, tale da rendere la prestazione più prossima ad una erogazione gratuita, che a quella sotto-remunerata rispetto agli standard medi (così Cass., Sez. T., 2 ottobre 2023, n. 27821). Si è anche precisato che deve escludersi l’equivalenza del concetto di corrispettivo simbolico con quello di corrispettivo inferiore rispetto alla media dei prezzi praticati nella zona, atteso che il corrispettivo puramente simbolico non è quello tenue o modesto, ma quello che escludendo completamente il rapporto sinallagmatico equivale alla sua assenza (cfr. Cass. n. 17902/2024 che richiama Cass. n. 8967/2020; Cass. n. 4066/2019; Cass. n. 37340/2021).
Quanto al d.m. 26 giugno 2014, contenente le istruzioni per la compilazione delle dichiarazioni i.m.u. e t.a.s.i., questa Corte ha chiarito che le istruzioni ministeriali non possono vincolare l’interpretazione del dato normativo, sicché la valutazione della natura non commerciale dell’attività didattica non può esaurirsi nell’applicazione meccanica del parametro, consistente nel rapporto tra corrispettivo medio (CM) e costo medio per studente (CMS), previsto da tali istruzioni. Tale parametro è stabilito in via generale, una volta per tutte, ed è funzionale ad una elaborazione forfettaria del requisito, mentre, in termini del tutto diversi, il dato normativo obbliga ad una valutazione puntuale, non predeterminata, riferita
alla specifiche condizioni in cui opera il singolo contribuente, delineando un accertamento basato sulla verifica dell’irrisorietà della retta, in ragione della sua inidoneità a porsi come larvata forma retributiva dell’attività didattica prestata (Cass.18831/2020; n. 3369/2019;n. 2019/13787, in motiv; 24308/2019; Cass. n. 10754/2017; Cass. n. 10483 del 2016; n. 19773 del 2019; n. 13970 del 2016). In definitiva, il d.m. 16 giugno 2014 introduce un parametro che si pone in contrasto con la norma gerarchicamente superiore, contenuta nel d.m. 200 del 2012, richiamata dalla legge n. 1 del 2012, limitandosi ad una valutazione astratta, che, peraltro, parte dal confronto tra entità non omogenee e, cioè, il corrispettivo effettivamente praticato in un dato contesto temporale e territoriale ed il costo medio del servizio per studente, calcolato dal Ministero, in base a dati raccolti su tutto il territorio nazionale, in cui esistono disparità, anche rilevanti, di costi. Non assume, quindi, rilievo la rispondenza della retta scolastica ai limiti fissati in materia di ‘costo medio per studente’ per l’anno di riferimento secondo la tabella redatta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, sulla base delle istruzioni per la compilazione del modello di dichiarazione a fini dell’IMU per gli enti non commerciali in allegato al d.m. 26 giugno 2014, non ponendosi detti criteri in armonia con quanto stabilito dalla decisione adottata dalla Commissione Europea il 19 dicembre 2012 e del d.m. 200/2012 (v., amplius , sul punto, Cass. m. 17704/2024).
Le stesse considerazioni si estendono, come già precisato, a tutti i decreti adottati dal Ministero dell’Istruzione per l’assegnazione dei contributi alle scuole paritarie di ogni ordine e grado (da ultimo il d.m. n. 20 del 2024), che parimenti non hanno natura normativa e non possono modificare o introdurre deroghe rispetto alla disciplina delineata dalle fonti normative, così come alle eventuali noti o circolari.
Neppure è decisivo il disavanzo di bilancio, potendo essere condizionato da una pluralità di fattori e come tale non esclusivamente dipendente dall’ammontare delle rette, per cui non è capace di esprimere il concetto di corrispettivo simbolico, né dimostra che quest’ultimo sia stato determinato in assenza di relazione col costo effettivo del servizio, profilo questo che integra, invece, il parametro normativo di riferimento per stabilire il carattere non commerciale dell’attività didattica ai fini che occupano (cfr. Cass. n. 4952/2023 e Cass. n. 17704/2024 e le varie pronunce ivi menzionate).
A ciò si aggiunga che la natura simbolica del corrispettivo deve essere valutata anche in considerazione dei finanziamenti ricevuti dall’istituto scolastico, in quanto, laddove la retta, anche inferiore al costo del servizio, unitamente ai finanziamenti pubblici o anche privati, consenta di raggiungere o, comunque, perseguire il pareggio di bilancio, l’attività è svolta con metodo economico.
Infine, il carattere simbolico del corrispettivo non può essere presunto, ma deve essere dimostrato dal soggetto che invoca l’esenzione ulteriore ragione per cui non può utilizzarsi, quale termine di confronto, il dato disomogeneo e scarsamente significativo del costo medio nazionale, per sopperire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del ricorrente.
Per completezza deve precisarsi che il rilievo della duplicazione di alcune pretese impositive non si traduce in un motivo di ricorso (o, comunque, in un ammissibile motivo di ricorso per cassazione, riconducibile all’art. 360 cod.proc.civ.), non riferendosi ad alcuna statuizione della pronuncia impugnata. Si tratta, piuttosto, di una segnalazione o sollecitazione rivolta alla controparte, ai fini dell’esercizio del suo potere di autotutela.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
La Corte di Cassazione: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Comune controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, ad euro 200,00 per esborsi ed agli altri accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 14/11/2024 .