Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32364 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32364 Anno 2024
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20735/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE PREVIDENZIALE rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
COMUNE DI LATINA rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO LAZIO n. 1399/2023 depositata il 15/03/2023;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Il ricorrente Ente mutualistico ‘RAGIONE_SOCIALE Unità Etico Sociale Domestico Previdenziale’ è soggetto gemmato dalla trasformazione ex artt. 2498 e ss. c.c. – tra altri – dei Patrimoni separati segregati -fondo speciale per la previdenza e l’assistenza -‘Fondo Nazionale Previdenza’ e ‘Fondo Latina Isonzo 53’ dell’Istituto San Marco RAGIONE_SOCIALE, già possessore degli immobili in contestazione, i quali sono gravati, sin dalla costituzione, di trascrizione reale ex art. 2645 ter c.c. del vincolo di destinazione al detto fondo speciale ex art. 2117 c.c. come tali, già godenti dell’esenzione ICI nonché oggetto di riconoscimento dell’esenzione IMU da parte dello stesso Comune di Latina.
Con avviso di accertamento n. 700 notificato in data 06.08.2019, il Comune di Latina contestava al ricorrente l’ ‘omesso versamento’ IMU per l’anno 2014′, che veniva opposto sul rilievo della sussistenza dei requisiti prescritti dalla legge per accedere al regime di esenzione invocato; con specifico riferimento all’immobile di INDIRIZZO si deduceva che il Comune di Latina aveva computato l’imposta sulla base di un valore catastale (Euro 1.173.605,32) diverso da quello definitivamente accertato (€ 395.484,63) con sentenze passate in giudicato (Sent. nn. 429/39/08, n. 430/39/08 e n. 92/39/2012 della C.T.R. Sez. staccata di Latina); valore altresì riconfermato dalle sentenze della stessa C.T.R. non definitive (n. 1695/2017 Sez.18, n. 1696/2017 Sez.18, n. 1681/2017 Sez. 39, n. 1682/2017 Sez. 39).
I motivi di impugnazione venivano disattesi dalla sentenza n. 264/03/2022 della C.T.P. di Latina.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio con la sentenza n. 1399/18/2023 rigettava l’appello per i seguenti motivi: a) sulla base dell’erroneo presupposto dell’assenza del requisito oggettivo del regime di esenzione invocato, atteso che gli immobili oggetto di accertamento sarebbero stati destinati ad un’attività
commerciale (sala da ballo): in particolare, d’accertamenti svolti e documentati dalla polizia locale sul fabbricato, oggetto dell’atto opposto, foglio 172, part. 431, sub 30, l’unità immobiliare sita in Latina, INDIRIZZO al piano interrato ospitava un locale sala da ballo denominato “RAGIONE_SOCIALE” gestito in forza di contratto di locazione stipulato tra l’Istituto San Marco e Pesce Edoardo per sei anni a far data dal 01/04/2007 ; b) nonché ritenendo legittima l’applicazione di una rendita catastale distinta da quella accertata in precedenti statuizioni, in quanto sarebbe stata mutata la destinazione originaria per aver la ricorrente concesso gli immobili in locazione a soggetti terzi.
La contribuente ricorre per la cassazione della sentenza indicata, svolgendo cinque motivi, illustrati nelle memorie difensive. Replica con controricorso il Comune di Latina.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.La prima censura deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) c.p.c., l’omissione di pronuncia in ordine alla carenza di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato ai sensi dell’art.1, comma 162, della legge 27/12/2006 n. 296, dell’art. 7 legge 212/2000 e dell’art 7 comma 5 bis del d.lgs. 546/1992. Si afferma che nel corso dei due gradi di giudizio era stata allegata e dimostrata, con la produzione dell’accertamento impugnato (depositato nel corso del giudizio di primo grado ed allegato al ricorso per cassazione), l’assoluta carenza di motivazione in ordine alla richiesta di pagamento dell’IMU da parte dell’ente impositore, il quale col detto avviso, si limitava unicamente a riferire: ‘ACCERTA a carico del contribuente … l’omesso, parziale o tardivo versamento dell’imposta municipale propria per l’anno di imposta 2014′ con l’indicazione dell’ elenco degli immobili oggetto di accertamento. Aggiunge che, sebbene in ordine al valore catastale di un immobile (foglio 172, particella 431, sub 20), si fosse addirittura formato un giudicato (in virtù delle quali veniva statuita una rendita pari ad €
395.484,63), il Comune decideva, ciononostante, di richiedere comunque il versamento dell’imposta sulla base di un maggiore valore catastale (€ 1.173.605,3), senza addurre alcuna ragione a sostegno delle proprie pretese e senza dedurre alcuna presunta variazione fattuale della fattispecie già sottoposta al vaglio dell’autorità giudiziaria.
Ebbene, nonostante siffatta carenza assoluta di motivazione sia stata oggetto di specifica allegazione nei vari gradi di giudizio (cfr. doc. C. ricorso, pag. 2, paragrafo II.1., doc. F appello pag. 213 e doc. G pag. 214), il decidente ha omesso qualsivoglia pronuncia sul punto, con conseguente illegittimità della sentenza impugnata per palese violazione dell’art. 112 c.p.c., oltre che dell’art. 7 legge 212/2000.
2.Il secondo motivo espone, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) c.p.c., l’omissione di pronuncia in ordine alla carenza di prova dell’avviso di accertamento impugnato, oltre che la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 C.C. Il ricorrente denuncia la violazione di detta disposizione codicistica essendo stato gravato dell’onere della prova, che, per le specifiche modalità di costituzione ed esercizio della fattispecie previdenziale, avrebbe dovuto incombere sul Comune che ne era onerato (secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni).
Si afferma, inoltre, ai sensi del comma 5 bis, art. 7 del d.lgs. 546/1992, che il Comune era tenuto a provare in giudizio -a pena di nullità dell’atto -eventuali carenze rilevate nell’esercizio dell’attività del ricorrente, suscettibili a legittimare la pretesa in presenza di fattispecie previdenziale realizzata con preliminari atti pubblici costitutivi, con gravame reale di destinazione esclusiva sugli immobili. Si deduce che la documentazione concernente la costituzione di detti fondi era nella materiale disponibilità del Comune, aggiungendo che, nella previdenza obbligatoria, come
nel caso in esame, l’iter di formazione della fattispecie è sottoposta ad atti sostanziali, ovvero, ad atti tassativamente prescritti dalla legge, i cui organi preposti ne dispongono la relativa omologazione e trascrizione ad effetti erga omnes nei pubblici registri solo al ricorrere della loro conformità al tassativo modello legale.
3.Il terzo mezzo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), 4) e 5) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 comma 1, lett. i) d. lgs. 504/1992, nonché 1, comma 1, lett. d) del decreto n. 200/2012, nonché l’omesso esame di fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, nella parte in cui il giudice di secondo grado ha ritenuto che la concessione in locazione degli immobili a soggetti terzi avrebbe tradito la destinazione previdenziale degli immobili e avrebbe precluso la possibilità di avvalersi dell’invocato regime di esenzione IMU.
L’errore sostanziale commesso dal giudice di secondo grado nel predetto passaggio motivazionale consiste nell’aver ritenuto insussistente il requisito oggettivo, assimilando la mera concessione in locazione degli immobili ad un’attività commerciale, contrariamente ai principi espressi dal consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi in materia e senza considerare i diversi requisiti previsti per le attività previdenziali.
Ad avviso della contribuente, la mera concessione in locazione degli immobili oggetto di accertamento non determina una conversione dell’originaria destinazione previdenziale dei medesimi in destinazione commerciale, ma anzi costituisce uno degli strumenti che consentono di raggiungere proprio la precipua finalità previdenziale a cui sono asserviti i predetti immobili in forza del vincolo indistraibile apposto sui medesimi, come chiarito dal consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi in materia (cfr CTR Campania, sent. 826/2022). Afferma il ricorrente di aver dimostrato l’utilizzazione degli immobili oggetto di accertamento
alla finalità previdenziale, mediante la produzione dello Statuto del fondo, degli atti pubblici di costituzione ed esercizio del fondo e delle note di trascrizione e ciò costituiva presupposto non solo necessario, ma anche sufficiente per usufruire del beneficio invocato; in quanto, diversamente dalle attività assistenziali, in quelle previdenziali è del tutto irrilevante l’attività concretamente esercitata all’interno degli immobili de quibus.
La ricorrente invoca altresì il disposto dell”art. 2 del d.lgs. n.155/2006 ratione temporis vigente (Rubricato ‘Utilità sociale’), al comma 3 specifica che ‘Per attività principale ai sensi dell’articolo 1, comma 1, si intende quella per la quale i relativi ricavi sono superiori al settanta per cento dei ricavi complessivi dell’organizzazione che esercita l’impresa sociale’, rinviando ad apposito Decreto del Ministro delle attività produttive e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali la definizione ‘dei criteri quantitativi e temporali per il computo della percentuale del settanta per cento dei ricavi’; che, con Decreto Ministeriale 24/01/2008 (Rubricato ‘Definizione dei criteri quantitativi e temporali per il computo della percentuale del settanta per cento dei ricavi complessivi dell’impresa sociale, ai sensi dell’articolo 2, comma 3, del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155’), i Ministeri dello Sviluppo Economico e quello della Solidarietà Sociale dispongono, tra l’altro, all’art. 2 : ‘Ai fini del computo della soglia minima del 70 per cento nel rapporto tra ricavi prodotti da attività di utilità sociale e ricavi complessivi dell’organizzazione, di cui all’art. 2, comma 3, del citato decreto legislativo n. 155 del 2006, sono considerati al numeratore del suddetto rapporto, per ogni anno di esercizio dell’organizzazione che esercita l’impresa sociale, soltanto i ricavi, come definiti dall’art. 1, direttamente generati dalle attività di utilità sociale come definite dall’ art. 2, comma 1 , del citato decreto legislativo n. 155 del 2006. Non vengono, in ogni caso, considerati nel computo del rapporto di cui al precedente
comma 1 -né per quanto concerne il numeratore, né il denominatore – i ricavi relativi a: a) proventi da rendite finanziarie o immobiliari.
Anche il TUIR n. 917/1986 -in funzione di fonte normativa specializzata e determinante il contenuto concreto della commercialità in ambito IMU, quale particolare tipologia di fonte del diritto con forza attiva , all’art. 87, primo comma, lettera ‘d’, definisce, con presunzione legale assoluta, la mancanza di commercialità laddove il patrimonio della società sia prevalentemente investito in beni immobili, diversi dagli immobili alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l’attività di impresa; e, nel caso del ricorrente, non trattasi in alcun modo di immobilimerce’.
Ad ulteriore conferma dell’assunto che precede si evidenzia che l’art. 1, comma 1, lett. d) del Decreto n. 200/2012 emanato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in data 19.11.2012 stabilisce che al fine di usufruire del regime di esenzione IMU è sufficiente che le attività di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), ivi incluse quelle previdenziali siano espressamente previste dall’atto costitutivo, dallo statuto o dalla legge e solo in mancanza di atto costitutivo e dello statuto l’oggetto dell’ente ‘è determinato in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato’.
Sostiene che sarebbe il sistema previdenziale del Fondo è sottoposta a disciplina di costituzione ed esercizio determinata dalla legge (artt. 2114, 2117 e 2645 ter c.c.), e come tale, assoggettata ad atti prodromici di costituzione ed esercizio soggetti a controlli di legittimità e merito di organi specialistici dello Stato che, solo alla positiva verifica delle condizioni volute dalla legge, ne dispongono la trascrizione ad effetti erga omnes , immettendo gli immobili nell’esclusiva utilizzazione previdenziale, come dotazione e riserva tecnica a garanzia delle erogazioni da effettuare nel tempo . Per tali ragioni, nelle gestioni previdenziali così attuate e garantite, gli
immobili possono solo essere o non essere utilizzati esclusivamente allo scopo previdenziale ( tertium non datur ) ma, se utilizzati (come nel caso de quo) subiscono il gravame reale trascritto , con ciò assolvendo alla loro indistraibile utilizzazione al fine previdenziale e costituendo la Riserva tecnica dell’accumulo ritenuta idonea al programma previdenziale. In tale peculiare circostanza, l’utilizzo diretto da parte dell’ente al fine previdenziale non è necessario, in quanto l’immobile diventa ‘strumento’ per l’esercizio della detta funzione previdenziale, con la sua devoluzione ad assolvere – come detto all’imprescindibile garanzia vincolata dei valori monetari raccolti, mediante la commutazione in immobili (più idonei alla conservazione del valore nel tempo). Pertanto, si sostiene, che la pretesa in sentenza anche dell’uso diretto degli immobili non è condivisibile.
Con la quarta doglianza, si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo per la definizione della presente controversia ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c.; oltre che la violazione e falsa applicazione dell’art. 74, comma 1, legge 342/2000, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod.proc.civ.
Si obietta che la dante causa (‘Fondazione San Marco’), sempre per lo stesso immobile (oggetto del presente ricorso), a seguito di altro contenzioso con il Comune di Latina e l’Agenzia del Territorio, conseguiva il riconoscimento del valore catastale in € 395.484,63, con sentenza n. 382/3/03 della C.T.P. di Latina, successivamente ribadito con sentenza n. 119/05/09 della già C.T.P. di Latina, ed ancora, confermato con sentenza n. 92/39/12 della già C.T.R. di Roma, tutte passate in cosa giudicata. La rendita catastale accertata con le predette sentenze avrebbe dovuto vincolare l’ente impositore, il quale era tenuto ad applicare l’imposta unicamente sulla base di tale rendita, come chiarito dalla giurisprudenza di Codesta Corte (Cfr. Cassazione civile, sez. Unite, 21/08/2009 n.18565: ‘Tra la controversia relativa all’ICI e quella relativa al
classamento vi è un rapporto di pregiudizialità, che esclude il litisconsorzio necessario fra l’Agenzia del territorio ed il Comune, privo di autonoma legittimazione nella causa relativa alla rendita catastale, il provvedimento di attribuzione della quale, una volta divenuto definitivo, vincola non solo il contribuente, ma anche l’ente impositore, tenuto ad applicare l’imposta unicamente sulla base di quella rendita, costituente il presupposto di fatto necessario ed insostituibile per tutta l’imposizione fiscale che la legge a tale dato commisura’).
A seguito delle predette statuizioni, al fine di applicare una maggiore imposta, sarebbe stata necessaria – previa verifica della variazione della situazione di fatto posta a fondamento delle statuizioni suindicate -la prodromica notifica di atto di modifica della rendita catastale unicamente da parte dell’ente preposto (Agenzia del Territorio), ai sensi e per gli effetti dell’art. 74, comma 1, L. 342/2000, a mente del quale ‘1. A decorrere dal 1º gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell’ufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita…’).
Il Fondo critica il passaggio motivazionale della sentenza impugnata là dove afferma ‘Si osserva inoltre che la rendita dell’immobile in questione, determinata al NCEU in €.20.322,17, è rimasta invariata nel tempo, indipendentemente dalle sentenze passate in giudicato invocate dalla parte contribuente, e questa rendita, iscritta in catasto al primo gennaio dell’anno di imposizione, ha determinato, in applicazione dei calcoli di cui alla normativa di riferimento – combinato normativa tra l’art.3, co.48, L.n.662/96, l’art. 52, co.4 d.P.R. n. 131/1986 86 e l’art. 4 ter d.P.R. 600/73 la corretta base imponibile di € 725.501,32, applicata dall’Ente locale nell’accertamento in epigrafe, in conformità al dettato previsto dall’art. 5, co.2 del D.lgs 504/92’.
Si deduce che la circostanza che la rendita catastale sarebbe rimasta invariata nel tempo risulta smentita dalla sentenza della C.T.R. di Latina n. 92/39/2012- ormai passata in giudicato -, la quale rigettava l’appello, affermando: ‘deve ritener(si) erronea la valutazione che il classamento, utilizzato per l’accertamento de quo, fosse già in atti dal 7 ottobre 1994 come sostenuto nell’appello’.
5. La quinta censura denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per la definizione della presente controversia ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c.; oltre che omessa pronuncia su una specifica allegazione eseguita dalla ricorrente in violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., con consequenziale violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c.
Lo specifico passaggio motivazionale oggetto di censura è il seguente: ‘Circa l’illegittimità del valore catastale questa Corte non ha motivo di dissociarsi a quanto sancito dalla Corte di Cassazione fondato sulla considerazione che “il valore venale in comune commercio dell’immobile e potenzialmente mutevole, al primo gennaio di ogni anno di imposizione, poiché tale valore si basa, tra l’altro, anche sulla destinazione d’uso consentita per l’immobile che, nella presente vicenda, è pacificamente quella commerciale”, il valore della rendita catastale dell’immobile non costituisce un presupposto di imposta permanente, ossia cristallizzabile in decisioni passate in giudicato, poiché deriva da variazioni fattuali dell’edificio, come nel caso di specie, a seguito della stipula di un contratto di locazione ad uso commerciale avente data precedente alle annualità oggetto di accertamento, di tal che l’intervenuta variazione sostanziale, in fatto, non consente l’ultrattività del giudicato esterno riferito a quelle decisioni precedenti (1998-2002) nelle quali era stato fissato il valore catastale in € 395.484,63’.
Il Collegio d’appello avrebbe errato nell’attribuire destinazione commerciale agli immobili oggetto di causa per essere stati i medesimi concessi in locazione a soggetti terzi; b) per aver ritenuto inapplicabile il principio dell’estensione del giudicato esterno alle imposte periodiche e c) per aver ritenuto che la situazione di fatto posta alla base dell’avviso di accertamento impugnato fosse distinta rispetto a quella posta a fondamento delle statuizioni invocate in relazione ai precedenti anni di imposta. Si obietta che il giudice di secondo grado non abbia fatto corretta applicazione dei principi espressi dalla Suprema Corte in ordine all’estensibilità del giudicato esterno alle imposte periodiche, supponendo che, essendo il valore venale degli immobili potenzialmente mutevole, non sarebbe invocabile l’effetto vincolante del giudicato esterno in tema di IMU; in realtà, la Cassazione ha soltanto chiarito che il principio dell’estensione del giudicato esterno incontra un limite unicamente in caso di variazione delle circostanze fattuali poste a fondamento dell’accertamento di una determinata rendita catastale.
Infine, si ribadisce che, come affermato dalla CTP Napoli con sent. n. 4355 /03/21, confermata in sede di gravame dalla sentenza n. 3183/15/2022, ‘per le attività previdenziali -diversamente dall’attività di mera assistenza -i beni dell’Ente non sono né potrebbero essere mai utilizzati direttamente per l’esercizio dell’attività istituzionale, ma, se destinati allo scopo previdenziale, assolvono alla diversa e peculiare funzione di ‘riserva tecnica’ delle prestazioni previdenziali; sicché gli immobili in tal modo vincolati, pur non venendo direttamente impiegati o utilizzati per il raggiungimento immediato dello scopo, vengono comunque ‘destinati’ a garantire (e a rendere possibile) la copertura economica delle future erogazioni delle prestazioni previdenziali stesse. … per l’attività previdenziale, invece, attesa la peculiare natura di essa, che si sostanzia in un’attività puramente
amministrativa e gestionale, la sussistenza del requisito in parola è data dalla stessa destinazione esclusiva dell’immobile ai fini previdenziali, realizzata, come nella specie, attraverso il meccanismo del patrimonio separato di destinazione ‘Fondo di Garanzia’, di cui gli immobili fanno parte, con gravame reale trascritto nei registri di pubblicità immobiliare, che è, diversamente dalle altre attività esentate dal tributo, dato direttamente sostanziale’ (CTR Campania Sent. n. 5222/06/2022,).
Da ciò discenderebbe l’illegittimità della sentenza impugnata ex art. 360 primo comma n. 5) c.p.c. per non avere il decidente tenuto conto di siffatta dirimente circostanza, oltre che ex art. 360, primo comma n. 4) c.p.c. nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi sulle specifiche allegazioni che erano state formulate sia nel corso del giudizio di primo grado sia nel procedimento di secondo grado in spregio all’art. 112 c.p.c.; il tutto con conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., ex art. 360 primo comma n. 3) c.p.c.
La prima censura, ancorché ossequiosa del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, in quanto in essa riportati, nei loro esatti termini i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell’atto d’appello con cui le censure sono state formulate (Cass. n. 11738 del 08/06/2016; Cass. n. 19410 del 30/09/2015), è priva di pregio.
6.1. L’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’an ed il quantum dell’imposta, ed in particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare
l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva( Cass. 19/10/2023 n. 29141).
6.2.Come pacifico in giurisprudenza (V. Cass, Sentenza n. 1694 del 24/01/2018), in tema di ICI (e, dunque, deve ritenersi, per identità di ratio, anche in materia di IUC e TASI), l’art. 11, comma 2 -bis, del d.lgs. n. 504 del 1992 (applicabile ‘ratione temporis’), disponendo che gli avvisi di liquidazione e accertamento devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che li hanno determinati, non comporta l’obbligo di indicare anche l’esposizione delle ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, poiché è onere del contribuente dedurre e provare l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione dell’imposta. Pertanto, deve ritenersi sufficientemente motivato l’avviso di accertamento, nel quale sono stati indicati i dati identificativi dell’immobile, il soggetto tenuto al pagamento e l’ammontare dell’imposta( dati contenuti nell’atto impositivo de quo).
Parimenti non meritevole di accoglimento è la seconda doglianza.
7.1.Sotto il profilo della distribuzione degli oneri probatori è stato affermato, ed è un principio del tutto condiviso da questo Collegio, che «il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza, in concreto, dei requisiti dell’esenzione, mediante la prova che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale» (Cass., Sez. 5^, 2 aprile 2015, n.6711; Cass., Sez. 6^-5, 16 luglio 2019, n. 19072); in particolare laddove -come nel caso di specie – si discuta del requisito oggettivo di applicazione dell’esenzione di cui
all’art. 7, comma 1, lett. i) cit., l’interessato non può assolvere all’onere della prova facendo esclusivamente riferimento a documenti che attestino la propria natura di ente non commerciale, i propri fini istituzionali o il tipo di attività cui l’immobile è a priori destinato, e deve, invece, dimostrate che l’attività concretamente svolta rientra tra quelle esentate e non è svolta con le modalità di un’attività commerciale (Sez. 5, Sentenza n. 20776 del 26/10/2005; Sez. 5, Sentenza n. 4502 del 21/03/2012; Sez. 5, Sentenza n. 14226 del 08/07/2015; Cass. 18831/2020; Cass. 17908/24).
8. La terza censura di ricorso ha struttura c.d. ‘mista’ deducendosi sia l’omesso esame di fatto decisivo sia la violazione o falsa applicazione di legge -con conseguente applicazione del principio per cui è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod.proc.civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, e ciò in quanto una simile formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360, primo comma, cod.proc.civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. sez. L. del 06/02/2024, n. 3397; Cass. Sez. 1 -Ordinanza n. 26874 del 23/10/2018; Cass. Sez. 6 3, Ordinanza n. 7009 del 17/03/2017; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011).
Si osserva che il ricorrente ha proposto, difatti, all’interno di motivo e poi sotto la censura rubricata plurime censure diverse, affidando
alla Corte il compito di individuare le censure per estrazione dalla confusa illustrazione del motivo.
8.1. In ogni caso, va precisato che, sebbene parte ricorrente menzioni, in rubrica, sia l’omesso esame di fatto oggetto di discussione sia la violazione di legge, nello svolgimento del motivo si desume chiaro il riferimento alla violazione di legge quanto alla ritenuta sussistenza del c.d. requisito oggettivo dell’esenzione d e qua connaturato dallo svolgimento di attività con modalità non commerciali. Parte ricorrente lamenta che era sufficiente operare una verifica solamente sulla base di una valutazione astratta desunta da finalità statutarie ovvero da riscontri connaturati alla sola qualità soggettiva del contribuente.
8.2. Invero, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 22223 del 2019; Cass. n. 7415 del 2019; n.18831/2020) è concorde nel ritenere che l’art. 7, comma 2, bis del d.l. n. 203 del 2005, aggiunto dalla legge di conversione n. 248 del 2005 dall’art. 1 comma 133 della legge n. 266 del 2005 ed infine sostituito dall’art. 39 del d.l. n. .223 del 2006, convertito nella legge n. 248 del 2006, ha esteso l’esenzione dall’ICI disposta dall’art. 7 comma 1 lettera I) della legge citata alle attività che non avessero esclusivamente natura -commerciale, prima delle modifiche apportate alla norma in esame dall’art. 11 bis del d.l. n. 149 del 2013, convertito con modificazioni nella legge n. 13 del 2013. In particolare, è stato il d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), all’art. 7, ad introdurre nel nostro ordinamento l’IMU a decorrere dal 2014 (art. 8) ed a confermare per essa le esenzioni previste per l’ICI dall’art. 7, I co., lett. d) e lett. i) del d.lgs. n. 504/1992. Peraltro, il d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (c.d. Salva – Italia), convertito in I. 22 dicembre 2011, n. 214, che ha modificato alcuni aspetti dell’imposta rispetto alla sua concezione originaria, ha poi ritenuto opportuno anticipare in via sperimentale l’applicazione della nuova imposta già a partire dall’anno 2012 (art.
13) senza comunque intervenire sull’esenzione per gli immobili di cui al ricordato art. 7, I co., lett. d) ed i) d.lgs. n. 504/1992 e, un emendamento del Governo ha introdotto nel d.l. 24 gennaio 2012 n. 1 (c.d. “decreto-legge sulle liberalizzazioni”), poi convertito in I. n. 27/2012, l’articolo 91 bis che, con decorrenza dal 1° gennaio 2013, ha previsto ulteriori limiti all’applicabilità dell’esenzione prevista dall’art. 7, lettera i), del d.Lgs. n. 504/92 L’art. 91-bis (rubricato Norme sull’esenzione dell’imposta comunale sugli immobili degli enti non commerciali) che come si è detto al primo comma, prevede, modificando l’art. 7, I co., lett. i) del d.Lgs. n. 504/1992, che «sono esenti dall’imposta: i) gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’articolo 87 , comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222. (art. 7, comma 1, lett. i, d.lgs. 504/1992). 8.3.L’esenzione dal tributo comunale (IMU), prevista dall’ordinamento italiano, è attualmente fruibile da parte di soggetti che soddisfino contemporaneamente due requisiti: l’uno soggettivo e l’altro oggettivo. Ai fini dell’esenzione, gli immobili gravati dal tributo, devono essere utilizzati direttamente da soggetti (pubblici o privati) che non abbiano come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, e ivi svolgano, effettivamente con modalità non commerciali, attività “assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché (quelle) di cui all’art. 16, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”. Con tale articolo, dunque, il legislatore ha riformulato l’esenzione (ora riferita all’imposta IMU di nuova introduzione), ponendo l’ulteriore requisito secondo cui
l’attività agevolata deve svolgersi con modalità «non commerciali». Pertanto, ai requisiti oggettivo e soggettivo già vigenti si affianca ora il riferimento alle concrete modalità di svolgimento dell’attività che deve svolgersi nell’immobile perché l’esenzione possa applicarsi.
8.4.Il decreto attuativo approvato dal Governo ha a sua volta chiarito che tali modalità sono quelle «prive di scopo di lucro che, conformemente al-diritto dell’Unione Europea, per loro natura non si pongono in concorrenza con altri operatori del mercato che tale scopo perseguono e costituiscono espressione dei principi di solidarietà e sussidiarietà» L’art. 9, comma 4°, del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174 (convertito, con modificazioni, in legge 7 dicembre 2012, n. 213, “Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012”) ha poi aggiunto un ulteriore periodo al suddetto III co. dell’art. 91-bis, prevedendo che con successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze siano stabiliti anche «i requisiti, generali e di settore per qualificare le attività di cui alla lettera i) del comma 1 dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 , come svolte con modalità non commerciali» Le condizioni necessarie per beneficiare dell’esenzione dono dunque attualmente le seguenti: 1) gli immobili devono essere utilizzati da enti non commerciali (medesimo requisito soggettivo); 2) devono essere destinati esclusivamente allo svolgimento delle attività tassativamente indicate (quelle assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive e di religione o culto); 3) le attività tassativamente indicate devono essere svolte con modalità non commerciali (novità); 4) se gli immobili sono utilizzati promiscuamente (vi si svolgono sia attività agevolate che attività non agevolate) è necessario operare un frazionamento catastale che renda unità immobiliare autonoma la parte di immobile
utilizzata per le attività agevolate; se il frazionamento non è tecnicamente possibile, l’esenzione si applica in proporzione all’utilizzo agevolato (novità). Il regolamento redatto da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze è il d.m. 19 novembre 2012, n. 200, ed ivi sono state stabilite le modalità e le procedure relative alla dichiarazione IMU, gli elementi rilevanti ai fini dell’individuazione del rapporto proporzionale, nonché i requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività previste dalla novellata lett. i) del comma 1 dell’art. 7 del d.lgs. 504/1992 (decreto ICI) come svolte “con modalità non commerciali”. Le modalità non commerciali sono definite dall’art.1 lett. p) come «modalità di svolgimento delle attività istituzionali prive di scopo di lucro che, conformemente al diritto dell’Unione Europea, per loro natura non si pongono in concorrenza con altri operatori del mercato che tale scopo perseguono e costituiscono espressione dei principi di solidarietà e sussidiarietà». Il successivo art. 3 elenca i requisiti generali per lo svolgimento con modalità non commerciali delle attività istituzionali, che sono: «a) il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’ente, in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge, ovvero siano effettuate a favore di enti che per legge, statuto o regolamento, fanno parte della medesima e unitaria struttura e svolgono la stessa attività ovvero altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa vigente; b) l’obbligo di reinvestire gli eventuali utili e avanzi di gestione esclusivamente per lo sviluppo delle attività funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di solidarietà sociale c) l’obbligo di devolvere il patrimoni6 dell’ente non commerciale in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altro ente non commerciale che svolga un’analoga attività istituzionale, salvo
diversa destinazione imposta dalla legge».( v. Cass.n. 28578/2020).
9. Il 19 dicembre 2012 la Commissione ha adottato la decisione 2013/284/UE, relativa all’aiuto di Stato S.A. 20829 , Regime riguardante l’esenzione dall’ICI per gli immobili utilizzati da enti non commerciali per fini specifici cui l’Italia ha dato esecuzione, avente quale unico destinatario la Repubblica italiana. Ai nostri fini rilevano i seguenti passaggi logici: . Senza tralasciare che, per quanto riguarda i requisiti soggettivi, il regolamento, nello stabilire
le condizioni generali che gli enti non commerciali devono soddisfare per beneficiare dell’esenzione dall’IMU, precisa che l’atto costitutivo o lo statuto dell’ente non commerciale deve prevedere il divieto generale di distribuire qualsiasi tipo di utili, avanzi di gestione, fondi e riserve. Inoltre, vige l’obbligo di reinvestire gli eventuali utili esclusivamente per lo sviluppo delle attività funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di solidarietà sociale; in caso di scioglimento dell’ente non commerciale, vige l’obbligo di devolverne il patrimonio a un altro ente non commerciale che svolga un’attività analoga.
10.I fondi speciali per l’assistenza e la previdenza costituiti dagli imprenditori nell’ambito della previsione dell’art. 2117 cod. civ., ove non abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica, sono assoggettati alla disciplina comune dettata per le associazioni non riconosciute; sono quindi soggetti giuridici, ancorché privi di personalità, che costituiscono centri di imputazione di rapporti giuridici con altri soggetti dell’ordinamento (Cass., Sez. L, Sentenza n. 5362 del 10/04/2001; conf. Cass., Sez. L, Sentenza n. 5999 del 23/04/2001, Cass., Sez. L, Sentenza n. 6005 del 23/04/2001, Cass., Sez. L, Sentenza n. 10229 del 27/05/2004, Cass., Sez. L, Sentenza n. 15801 del 13/08/2004). Nel caso sub iudice, il fondo previdenziale in oggetto, a seguito dell’atto di trasformazione ex art. 2498 c.c. ha assunto la veste giuridica di associazione, come tale dotata di personalità giuridica.
10.1.Ora, la circostanza che gli immobili in possesso del Fondo assolverebbero alla diversa e peculiare funzione di ‘riserva tecnica’ delle prestazioni previdenziali, sicché in tal modo vincolati, pur non venendo direttamente impiegati o utilizzati per il raggiungimento immediato dello scopo, vengono comunque ‘destinati’ a garantire (e a rendere possibile) la copertura economica delle future erogazioni delle prestazioni previdenziali stesse, non può rappresentare motivo per una deroga implicita ai requisiti richiesti
dall’art. 7 cit., che non possono ritenersi irrilevanti in relazione alle modalità di svolgimento dell’attività statutaria, le quali rappresentano solo il mezzo per il raggiungimento delle finalità previdenziali.
10.2. La natura dell’attività previdenziale che è data dalla destinazione esclusiva dell’immobile ai fini previdenziali, realizzata, nella specie, attraverso il meccanismo del patrimonio separato di destinazione ‘Fondo di Garanzia’, di cui gli immobili fanno parte, non consente all’ente di usufruire dell’esenzione ancorché attraverso l’utilizzazione indiretta degli immobili per la costituzione della riserva tecnica.
10.3. Secondo il costante indirizzo giurisprudenziale (Cass del 21.06.2017, nr 15407; Cass. del 4 .03.2016, n. 4333; Cass. del 26/06/2014, n. 14583; Cass. del 04/06/2014, n. 12495; Cass. del 16/01/2015, n.695; Cass. del 7.02.2013, n 2925; Cass. dell’8.03.2013, n.5933) in materia fiscale le norme che stabiliscono esenzioni o agevolazioni sono di stretta interpretazione ai sensi dell’art 14 preleggi sicché non vi è spazio per ricorrere al criterio analogico o all’interpretazione estensiva della norma oltre i casi e le condizioni dalle stesse espressamente considerati. Sulla scorta di tale insegnamento questa Corte, anche a Sezioni Unite, ha ripetutamente affermato, in materia di ICI, applicabile anche all’IMU, che « l’esenzione di cui al d.lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lettera (i) opera alla duplice condizione dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore -diverso dalla società – e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito, escludendo che il beneficio possa spettare in caso di utilizzazione indiretta, pur se assistita da finalità di pubblico interesse » ( cfr tra le tante Cass. S.U. del 26.11.2008, n. 28160, Cass. dell’11.05.2012, n. 7385, Cass. del 04/06/2014, n. 12495; Cass. del 01/02/2019, n. 3112; del 21/03/2019, n. 8073; Cass. del 5.4.2019, n. 9614).
10.4.Ancora, si è affermato che .
11.Non estensibile alla fattispecie in esame, per la sostanziale difformità dei presupposti giuridici, è, infine, il principio enunciato con riferimento ai fondi comuni d’investimento (in particolare, ai fondi immobiliari chiusi), disciplinati dal d.lgs. n. 58 del 1998 e succ. mod., a tenore del quale gli stessi non sono soggetti passivi dell’imposta municipale gravante sugli immobili che ne fanno parte, in quanto detti fondi sono privi di un’autonoma soggettività giuridica e costituiscono patrimoni separati della società di gestione del risparmio, la quale è tenuta al pagamento dell’IMU (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 7116 del 09/03/2023, Cass. 28525/2023).
Le ultime due censure possono essere trattate congiuntamente, involgendo analoghe questioni.
12.1. Le censure non intercettano il limite preclusivo di cui all’art. 348-ter, quinto comma, cod. proc., che esclude che possa essere impugnata con ricorso per cassazione ex art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ. la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado, in mancanza di una doppia decisione ‘conforme’ sugli stessi fatti sia da parte della sentenza di primo grado, che ad opera della sentenza di secondo grado basate su accertamenti in parte non sovrapponibili(cfr. sul principio, tra le tante, Cass., Sez. L., 7 marzo 2023, n. 6826. che richiama Cass., Sez. II, 10 marzo 2014, n. 5528; Cass., Sez. VI/II, 15 marzo 2022, n. 8320, che richiama. Cass. 18.12.2014, n. 26860 e Cass.
22.12.2016, n. 26774 e nello stesso senso Cass., Sez. VI/II, 9 marzo 2022, n. 7724).
12.2.I motivi sono, tuttavia, inammissibili per la sovrapposta indicazione, in rubrica, di tipologie di vizio cassatorio eterogenee e incompatibili; inoltre, gli argomenti di critica proposti, sostanzialmente ripetitivi di quelli già dedotti in appello e compiutamente esaminati in sentenza, mirano in sostanza a contestare la ricognizione del fatto quale operata in termini conformi nei due gradi del giudizio di merito ed a sollecitare un riesame delle risultanze probatorie, e comunque del merito della causa, precluso in questa sede di legittimità (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054).
12.3.A tacer del fatto che solo dalla sentenza n. 92/2012 della CTR risulta che l’immobile oggetto della controversia è quella di INDIRIZZO oggetto dell’avviso opposto nel presente giudizio, sentenza che, tuttavia, risulta priva dell’attestazione relativa al passaggio in giudicato. Sebbene il giudicato possa essere rilevato d’ufficio, anche nel giudizio di legittimità (Cass., sez. 6 -5, 01/06/2015, n. 11365), la relativa prova deve essere fornita nel giudizio dalla parte che lo invoca. Le altre decisioni enunciate dal ricorrente e che avrebbero statuito sulla rendita catastale non individuano invece l’immobile di proprietà del Fondo San Marco.
12.4.Un risalente orientamento giurisprudenziale riteneva non fosse necessaria la produzione della sentenza munita della formale attestazione, in quanto la prova del passaggio in giudicato della pronuncia poteva darsi per acquisita in difetto di impugnazione della stessa entro un anno dal suo deposito (Cass., sez. 1, 26/05/1971, n. 1554, così in motivazione ‹‹nel presupposto pacifico che entro il termine annuale dalla data di deposito di una sentenza (regolarmente esibita) non sia stata proposta alcuna impugnazione, legittimamente può considerarsi acquisita la prova del passaggio in giudicato della medesima, indipendentemente
dalla apposizione da parte del cancelliere della formula esecutiva››). Secondo una parte minoritaria della giurisprudenza, invece, (Cass., sez. L, 19/08/1987, n. 6952; Cass., sez. 1, 20/02/1998, n. 1833), ‹‹la parte che eccepisce la preclusione del giudicato esterno assolve l’onere probatorio a suo carico mediante l’allegazione della sentenza, o di altro provvedimento giudiziale idoneo ad assumere autorità di giudicato, mentre grava sulla controparte, che eccepisce la pendenza del giudizio d’impugnazione contro detta decisione, l’onere di dare adeguata dimostrazione di tale fatto impeditivo, producendo idonea certificazione. In particolare, la prova del non passaggio in giudicato della sentenza di secondo grado per l’effetto della proposizione contro di essa del ricorso per cassazione non è data dalla sola produzione del ricorso notificato, essendo, a tal fine, necessario dimostrare anche la pendenza del relativo giudizio mediante certificazione della cancelleria››. Pertanto, secondo tale orientamento, la parte che eccepisce l’esistenza di un giudicato esterno fra le parti, che rilevi ai fini della decisione della causa per cui si procede, assolve al proprio onere probatorio con la produzione della sentenza interessata (anche senza la formale attestazione del cancelliere), mentre grava sulla controparte, che contesta tale circostanza, una volta decorso il termine annuale di cui all’art. 327 secondo comma, cod. proc. civ., l’onere di dimostrare la pendenza del giudizio di impugnazione attraverso la produzione del relativo atto e della certificazione attestante la pendenza.
12.5.L’orientamento giurisprudenziale maggioritario, al quale il Collegio intende dare continuità per la maggiore coerenza tra presupposti e conclusioni, sostiene, invece, che colui che afferma il passaggio in giudicato di una decisione resa in altro giudizio deve dimostrare l’avvenuta formazione del giudicato. Non è sufficiente a tale scopo la produzione della sentenza, essendo invece necessario che la stessa sentenza sia corredata di idonea certificazione, dalla
quale risulti che non è soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere né che la mancata contestazione di controparte sull’affermato passaggio in giudicato significhi ammissione della circostanza, né che sia onere di quest’ultima dimostrare il secondo elemento dell’unica fattispecie costituente il giudicato (sentenza non impugnabile) (Cass., sez. 19/03/1999, n. 2524; Cass., sez. U, 19/07/1999, n. 460; Cass., sez. 09/07/2004, n. 12770; Cass., sez. 5, 02/12/2004, n. 22644; Cass., sez. 1, 21/09/2006, n. 20438; Cass., sez. L, 08/05/2009, n. 10623; Cass., sez. 3, 29/08/2013, n. 19883; Cass., sez. 6-5, 18/04/2017, n. 9746; Cass., sez. 6-1, 01/03/2018, n. 4803; Cass., sez. 3, 23/08/2018, n. 20974; Cass., sez. 3, 29/09/2021, n. 26310; Cass., sez. 1, 02/03/2022, n. 6868). L’eccezione di giudicato presuppone, dunque, l’effettiva conoscibilità, da parte del Giudice della causa pendente, della ‹‹regola di diritto›› prodotta dal precedente giudicato che impedisce una nuova pronuncia sul merito relativa al medesimo rapporto, conoscenza che può essere data esclusivamente dalla presenza in atti della sentenza (o del provvedimento cui la legge ricollega analoghi effetti) che si intenda far valere, munita dell’attestazione dell’intervenuto passaggio in giudicato di cui all’art. 124 delle disposizioni di attuazione del codice civile. E ciò per ragioni di ordine pubblico processuale, a tutela della certezza del diritto e dinanzi alla manifesta facilità di conseguire la prova del giudicato. Affinché il giudicato esterno possa fare stato nel processo, è, quindi, necessaria la certezza della sua formazione, che deve essere provata, restando irrilevante l’assenza di contestazioni per non essere la circostanza disponibile dalle parti, attraverso la produzione della sentenza munita del relativo attestato di cancelleria ai sensi dell’art. 124 disp att. c.p.c. (Cass., 28/12/2023, n. 32258;Cass. 23/08/2018, n. 20974; Cass.sez. 1, 19/09/2013, n. 21469; Cass., sez. L, 08/05/2009, n. 10623; Cass.,
sez. L, 24/11/2008, n. 27881; Cass., sez. L, 02/04/2008, n. 8478; Cass., sez. 5, 02/12/2004, n. 22644).
Infine, in disparte l’inammissibile formulazione della critica in rassegna, occorre precisare che la censura è, comunque, complessivamente infondata, atteso che il giudicato in ordine alla rendita catastale non può formarsi in materia di Ici tra l’ente locale e il contribuente, ma solo tra quest’ultimo e l’Agenzia delle Entrate.
L’ultima censura consiste in una mera riproposizione delle questioni già dedotte coi precedenti motivi, quali il diritto all’esenzione escluso per l’utilizzo indiretto dei cespiti, la questione del vincolo di destinazione che non consente per ciò solo la fruizione dell’esenzione e la questione del giudicato affrontata con il quarto motivo.
In conclusione, il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3.000,00 per onorari, oltre 200,00 euro per esborsi, spese generali ed accessori come per legge, in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il proposto ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della