Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12900 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12900 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 14/05/2025
ICI IMU Accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9000/2022 R.G. proposto da Comune di Venezia (P_IVA), in persona del suo Sindaco p.t. , con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv . NOME COGNOME EMAIL che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (EMAIL e NOME COGNOME (EMAIL;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE Torinese di San Giuseppe (P_IVA), ora Provincia Italiana Giuseppini del COGNOME, in persona del suo legale rappresentante p.t. , con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende (CODICE_FISCALE; EMAIL);
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1174/06/2021, depositata il 30 settembre 2021, della Commissione tributaria regionale del Veneto; udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 18
dicembre 2024, dal Consigliere dott. NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. -con sentenza n. 1174/06/2021, depositata il 30 settembre 2021, la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l’appello proposto dalla Casa Generalizia Pia Società Torinese di San Giuseppe, così pronunciando in integrale riforma della decisione di prime cure che aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso dal Comune di Venezia per il recupero a tassazione dell’ IMU dovuta dalla contribuente in relazione all’anno 2012 ed al possesso di tre unità immobiliari;
1.1 -il giudice del gravame ha rilevato che:
-l’Ente impositore non aveva contestato «il documento prodotto dalla parte ricorrente, che è stato emanato dallo stesso Comune di Venezia, appellandosi ad una presunta inesistenza presso la Soprintendenza di un tale vincolo, senza tuttavia produrre idonea dichiarazione della stessa Soprintendenza sul punto. Risulta evidente che la Commissione non può esimersi dal tenere conto del documento prodotto dall’Ente e, non smentito dall’Amministrazione Comunale, che dimostra l’esistenza di un vincolo sull’immobile di cui trattasi, in particolare con riguardo alla porzione utilizzata per la casa ferie.»;
difatti, la contribuente aveva prodotto «copia nella notifica del vincolo n. 39588 da parte del Sindaco di Venezia in quanto trattasi di fabbricato iscritto nell’elenco degli edifici monumentali storici ed artistici della città di Venezia, con conseguente assoggettamento ai vincoli che ne derivano»;
l’avviso di accertamento, pertanto, risultava illegittimo quanto all’unità immobiliare adibita a casa per ferie, atteso che il Comune non
aveva «considerato l’esistenza di tale vincolo e le conseguenze, in termini di esenzione parziale o totale»;
quanto alle residue due unità immobiliari, si trattava di «immobili utilizzati a residenza gratuita per i religiosi e per attività di catechesi e preghiera», con destinazioni «palesemente prive di risvolti commerciali», così che trovava applicazione l’esenzione di cui al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i), ed al d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 9, comma 8;
-il Comune di Venezia ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi, illustrati con memoria;
resiste con controricorso la Casa Generalizia RAGIONE_SOCIALE Torinese di San Giuseppe (ora Provincia Italiana NOME del Murialdo) che pur ha depositato memoria.
Considerato che:
-occorre premettere che destituita di fondamento rimane l’eccezione di inammissibilità del ricorso prospettata in controricorso (sotto il profilo del difetto di ius postulandi ), e più diffusamente esaminata nella memoria (questa volta con riferimento al difetto di una delibera di autorizzazione alla lite da parte della Giunta comunale), in quanto -così come pianamente emerge dalla documentazione prodotta dal ricorrente -il ricorso per cassazione è stato espressamente autorizzato con delibera n. 38 del 22 marzo 2022;
e, come con consolidato orientamento la Corte ha in più occasioni statuito, l’autorizzazione al giudizio emessa dall’organo collegiale competente, e necessaria perché un ente pubblico possa agire o resistere in causa, attiene alla legitimatio ad processum , ossia all’efficacia e non alla validità della costituzione dell’ente a mezzo dell’organo che lo rappresenta sicché può intervenire ed essere prodotta pure nel corso del giudizio (v., ex plurimis , Cass., 18 agosto 2023, n. 24817; Cass., 21 settembre 2015, n. 18571; Cass., 5 ottobre
2006, n. 21413; Cass., 6 settembre 2004, n. 17936; Cass. Sez. U., 26 febbraio 1994, n. 1994);
2. – col primo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il Comune di Venezia denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, artt. 10 e 12, ed al d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 13, comma 3, lett. a ), conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214, deducendo che -avendo il giudice del gravame posto a fondamento della decisione una «dichiarazione del Sindaco di Venezia con cui, nel lontano 1989, veniva attestata, ai sensi dell’allora Regolamento Edilizio Comunale, l’inclusione di detto immobile neg li elenchi relativi agli immobili di particolare importanza della città» – illegittimamente era stato ritenuto sussistente un vincolo d’interesse storico-artistico in difetto della specifica dichiarazione di interesse culturale emessa, e notificata, dalla competente autorità (d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, artt. 13 e 15), e senz’alcuna precisazione dello stesso contenuto del vincolo; così che la gravata pronuncia aveva finito per estendere l’applicazione della disposizione di favore oltre il suo legittimo ambito applicativo;
2.1 -il motivo è fondato e va accolto;
– con consolidato, e risalente, orientamento interpretativo, la Corte -in tema di ICI ma sulla base di coordinate interpretative che vanno estese all’IMU in ragione della medesimezza del rinvio normativo che somministra la base giuridica dell’agevolazione – ha statuito che l’agevolazione (già) prevista dall’art. 2, comma 5, del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75, per gli immobili qualificati d’interesse storico-artistico, trova la sua ratio nella necessità di contemperare l’entità del tributo con le ingenti spese
che i proprietari sono tenuti ad affrontare per preservare le caratteristiche degli immobili stessi; essa, pertanto, è applicabile esclusivamente agli immobili sottoposti al vincolo diretto di cui all’art. 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089 (ora d.lgs. n. 42 del 2004, artt. 13, 14 e 15, cit.), qual richiamato dall’art. 2, comma 5, cit., e, trattandosi di norma di stretta interpretazione, non può essere estesa a quelli sottoposti al vincolo indiretto di cui all’art. 21 della medesima legge (ora d.lgs. n. 42 del 2004, art. 45), genericamente apposto a salvaguardia di altri beni, con la conseguenza che incombe al contribuente l’onere di provare la natura diretta o indiretta del vincolo apposto, al fine di dimostrare la ricorrenza dei presupposti della fattispecie agevolativa (v., ex plurimis , Cass., 5 febbraio 2019, n. 3266; Cass., 15 novembre 2017, n. 27077; Cass., 3 maggio 2017, n. 10760; Cass., 7 novembre 2012, n. 19226; Cass. Sez. U., 9 marzo 2011, n. 5518; Cass., 24 ottobre 2008, n. 25703);
e, per di più, si è rimarcato che detta agevolazione si applica solo a far data dalla notifica del provvedimento impositivo del vincolo, che ha natura costitutiva e non meramente ricognitiva ( Cass., 7 marzo 2019, n. 6636);
la gravata sentenza, pertanto, non si è attenuta ai principi di diritto sopra esposti, rinvenendo la base legale dell’agevolazione in un (non meglio precisato, quanto al relativo contenuto) «documento prodotto dalla parte ricorrente, che è stato emanato dallo stesso Comune di Venezia» e (così) attribuendo rilievo ad un atto né proveniente dalla Autorità competente (d.lgs. n. 42 del 2004, cit., art. 14) né altrimenti valutato in relazione al suo effettivo contenuto (d.lgs. n. 42 del 2004, cit., artt. 13 e 45);
-il secondo motivo di ricorso, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge in relazione al d.lgs. 30
dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. d ) ed i ), ed all’art. 2697 cod. civ., assumendo il ricorrente, in sintesi, che:
-l’onere della prova circa la ricorrenza dei presupposti (soggettivo ed oggettivo) delle agevolazioni previste dall’art. 7, cit., grava sul contribuente e deve essere assolto con riferimento alla specifica connotazione dell’attività (in concreto) svolta nell’unità immobiliare, inconcludente a detti fini la (mera) considerazione delle finalità statutarie perseguite ovvero il loro riscontro documentale;
-nella fattispecie, controparte non aveva fornito specifica dimostrazione delle rilevate «attività di catechesi e di preghiera» né, a fronte della (pur) rilevata « residenza gratuita per i religiosi », aveva considerato che, nella fattispecie, venivano in rilievo unità immobiliari censite in catasto in categoria ordinaria (A/2) e che detta residenza non può ascriversi a finalità di religione né ad attività ricettive;
il giudice del gravame aveva omesso di valutare le allegazioni svolte, ed i riscontri documentali da esso esponente offerti, in punto di iscrizione dell’Ente (titolare di partita IVA) alla Camera di commercio per lo svolgimento di (varia) attività di natura commerciale (anche ricettiva);
né, del resto, si era debitamente considerato che le attività oggetto di accertamento avrebbero dovuto connotare, in termini di esclusività, la destinazione funzionale delle unità immobiliari oggetto di tassazione laddove -tenuto conto (anche) della estensione (in vani) delle unità immobiliari in questione (rispettivamente per 23 e 18 vani) -si prospettava un’utilizzazione mista delle stesse, con conseguente obbligo dichiarativo che, nella fattispecie, non era stato assolto;
3.1 -il motivo -che pur prospetta profili di inammissibilità -non può trovare accoglimento;
come reso esplicito dal contenuto (sopra ripercorso) della gravata sentenza, l’accertamento svolto in punto di presupposti delle reclamate
agevolazioni si è incentrato sulle destinazioni funzionali delle unità immobiliari che, pertanto, sono state prese in considerazione prescindendo dalla connotazione (meramente) soggettiva della contribuente;
ed un siffatto accertamento risponde, sotto il profilo dei contenuti funzionali delle disposizioni di favore, al costante orientamento interpretativo della Corte alla cui stregua dette disposizioni importano (con onere della prova a carico del contribuente) una verifica in concreto delle modalità non commerciali delle attività cui l’immobile è destinato (v., ex plurimis , Cass., 16 luglio 2019, n. 19072; Cass., 8 luglio 2015, n. 14226; Cass., 21 marzo 2012, n. 4502; Cass., 29 febbraio 2008, n. 5485; Cass., 26 ottobre 2005, n. 20776);
per di più, si è rimarcato in tema di ICI, l’esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i ), cit., per le unità immobiliari destinate esclusivamente allo svolgimento delle attività di religione o di culto di cui all’art. 16, lett. a ), della legge 20 maggio 1985, n. 222, spetta ad un ente ecclesiastico in relazione ad un immobile destinato ad abitazione di membri della propria comunità religiosa, con modalità assimilabili all’abitazione di una unità immobiliare da parte del proprietario e dei suoi familiari, comportando tale destinazione lo svolgimento di un’attività non commerciale, ma diretta alla “formazione del clero e dei religiosi”, espressamente compresa nell’elencazione di cui all’art. 16, lett. a ) cit. ed avente altresì le caratteristiche di attività “ricettiva”, parimenti inclusa nell’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i ) cit. e da intendersi riferita all’ospitalità ed accoglienza di persone in genere, non necessariamente terze ed estranee all’ente proprietario (Cass., 11 marzo 2022, n. 7980; Cass., 18 dicembre 2009, n. 26654);
né, per vero, emerge che gli accertamenti in contestazione abbiano implicato un’inversione degli oneri probatori che, nella
fattispecie, vengono in considerazione; come la Corte ha, difatti, ripetutamente statuito, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., 25 marzo 2022, n. 9695; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione), mentre deve ritenersi inammissibile la diversa doglianza che, nel valutare le prove proposte dalle parti, il giudice abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U., 30 settembre 2020, n. 20867);
4. – il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., espone la denuncia di «Omessa valutazione di prove decisive. Omessa motivazione della sentenza. Erroneità della sentenza. Ingiustizia manifesta» assumendo, in sintesi, il ricorrente che il giudice del gravame era pervenuto alle contestate conclusioni «pur in presenza di documentazione da cui risultava una utilizzazione promiscua tra usi imprenditoriali e non» delle unità immobiliari oggetto di tassazione (peraltro classate in categoria A/2), e tenendo in non cale la documentazione versata al giudizio, alla cui stregua si sarebbe dovuta rilevare l’insussistenza dei presupposti delle reclamate esenzioni ICI;
4.1 -questo motivo è inammissibile;
– risulta innanzitutto generico il riferimento ad un uso promiscuo delle unità immobiliari, allegazione, questa, che il ricorrente non riempie in punto di articolazione processuale di detta questione, non risultando indicati il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le
parti e la sua decisività (v. Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde Cass., 10 agosto 2017, n. 19987);
come, peraltro, statuito dalle Sezioni Unite della Corte, la censura di omesso esame di un fatto decisivo -che va ricondotta alla nuova formulazione dell’art. 360, primo comma , n. 5 cod. proc. civ. – deve concernere un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), così che l’omesso esame di elementi istruttori – e, a maggior ragione, di tesi difensive o argomenti probatori – non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde, ex plurimis, Cass., 12 dicembre 2019, n. 32550; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881);
così che, nella fattispecie, e come del resto la stessa rubrica del motivo di ricorso tradisce, la censura in esame si risolve in una inammissibile (ed indistinta) devoluzione al sindacato di legittimità della verifica di concludenza, ed affidabilità, dei dati probatori che hanno formato oggetto della contestata valutazione del giudice di merito, e senz’alcuna individuazione del fatto (o dei fatti) la cui considerazione risulti pretermessa e dal cui esame il giudice sarebbe potuto pervenire ad una difforme conclusione;
-l’impugnata sentenza va, pertanto, cassata (solo) in relazione al motivo accolto con rinvio della causa, anche per la disciplina delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di
secondo grado del Veneto che, in diversa composizione, procederà al riesame della controversia attenendosi ai principi di diritto sopra esposti.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo motivo, dichiara inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 dicembre 2024.