Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8021 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8021 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15860/2024 R.G. proposto da : CONGREGAZIONE DELLE PIE DISCEPOLE DEL DIVIN COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO LAZIO n. 7549/2023 depositata il 29/12/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, a seguito dell’impugnazione da parte Congregazione delle Pie Discepole del Divin Maestro dell’avviso di accertamento dell’IMU relativo all’annualità 2014 per l’importo complessivo, comprensivo di interessi e sanzioni, di euro 42.385,30 – con conseguente esclusione del riconoscimento del diritto all’esenzione di cui all’articolo 7, lettera i), del d.lgs. n. 504/1992, prevista in materia di IMU – stante l’intervenuto sgravio parziale da parte del Comune di Ro ma Capitale relativamente alle unità immobiliari di INDIRIZZO, con la sentenza n. 10788/2021, accoglieva parzialmente il ricorso proposto dalla Congregazione, riconoscendo il diritto all’esenzione per le unità immobiliari di INDIRIZZO e rigettando la medesima richiesta di agevolazione per quelle di INDIRIZZO. INDIRIZZO. Tale sentenza veniva impugnata sia dalla Congregazione, in relazione al mancato riconoscimento dell’esenzione relativamente alle unità immobiliari di INDIRIZZO NOME n. 39/40, sia dal Comune, in ordine all’accoglimento della causa di esclusione dall’ imposizione per le unità immobiliari di INDIRIZZO e il giudice di secondo grado, con la sentenza n. 7549/13/2023 accoglieva l’impugnazione del Comune ritenendo che risultava che gli immobili di INDIRIZZO erano destinati a mera abitazione privata delle suore senza che risultasse provato alcun tipo di collegamento con l’esercizio di attività religiosa, non pronunciandosi sul gravame proposto dalla contribuente.
Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, la Congregazione delle Pie Discepole del Divin Maestro, cui resiste con controricorso Roma Capitale.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’ art. 360, primo comma n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per omessa pronunzia rilevando che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, pur dando atto, nell’epigrafe, dell’i ntervenuto appello da parte della Congregazione, non aveva proceduto ad esaminare le censure di cui al gravame proposto da parte contribuente per la esclusione del diritto all’esenzione dall’imposta relativamente alle unità immobiliari di INDIRIZZO n. 39/40 destinate ed effettivamente utilizzate all’accoglienza ed alla stabile convivenza di una Comunità di religiose appartenente alla Congregazione, limitando, invece, il proprio pronunciamento all’impugnazione proposta dal Comune per il riconoscimen to del diritto all’esenzione dall’imposta relativamente alle unità immobiliari di INDIRIZZO
Il motivo merita accoglimento.
2.1. La C.T.R., a fronte dell’appello principale (della Congregazione) e dell’appello incidentale (del Comune), ha così motivato: L’appello (del comune) è fondato. L’impugnata sentenza ha errato nel riconoscere l’esenzione per gli immobili destinati ad abitazione privata come nella specie. Invero, il Collegio rileva che l’art. 7 d.lgs. n. 504/92 riserva l’esenzione per gli immobili nei quali esclusivamente sì svolgano attività religiose. Al riguardo, la Suprema Corte ha statuito che la presenza dì religiosi “in loco” non giustifica per sé l’esenzione riguardo all’esercizio di attività di religione o di culto (Cass. 10754/2017). Nè risultano gli immobili destinati a mera abitazione privata delle suore senza che risulti provato alcun tipo di collegamento con l’esercizio di attività religiosa. La normativa, in definitiva, trattandosi di una esenzione e, quindi, il riconoscimento dì un beneficio, l’interpretazione deve sempre essere restrittiva, considerato che la norma ricollega il beneficio alla esclusività della destinazione dell’immobile per l’esercizio di attività religiosa .
2.2. Atteso che nella sentenza impugnata non vi è traccia alcuna di pronuncia sulle doglianze oggetto dell’appello principale della Congregazione contribuente, appare palese la fondatezza del primo motivo di ricorso, risultando la sentenza viziata in radice.
Con il secondo motivo parte contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3 c.p.c. aveva violazione e falsa applicazione dell’articolo 7, lettera i), del d.lgs. n. 504/1992. Assume che i giudici di appello non avevano considerato che la pacifica e comprovata presenza di una Comunità di religiose appartenenti alla Congregazione all’interno delle unità immobiliari di INDIRIZZO integrava una delle previsioni di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 222/85, ossia la destinazione degli immobili alle attività di religione o di culto, intese quali ‘… dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana’, legittimando il riconoscimento dell’invocata esenzione in perfetta aderenza all’orientamento della Suprema Corte. Rileva che, parimenti, viziata era da ritenere la decisione in ordine al disconoscimento del diritto all’esenzione per le unità immobiliari di INDIRIZZO NOME COGNOME n. 17, relativamente alle quali la gravata sentenza, riformando sul punto la corretta pronuncia di primo grado, aveva negato il diritto dell’Ente al richiesto beneficio non considerando che, pur trattandosi di locali e rimesse auto annesse e pertinenziali della sede legale della Congregazione (catastalmente individuata al fg. 448 num. 143 Sub. 506) ove era ed è presente la Comunità di Religiose che ne componeva il Governo Generale ed in ordine al quale bene principale proprio il Comune aveva, in autotutela, riconosciuto l’esenzione, sicch é la decisione impugnata risultava essere stata assunta in palese violazione della prescrizione di cui all’articolo 7, lettera i), del d.lgs. n. 504/1992 e, per il dedotto motivo, era meritevole di essere cassata.
3.1. Va premesso che il motivo in esame riguarda sia le unità immobiliari di INDIRIZZO che le unità immobiliari di INDIRIZZO, con la conseguenza che in ordine alle prime unità immobiliari (INDIRIZZO il profilo di censura rimane assorbito per effetto dell’accoglimento del primo motivo di ricorso.
3.2. Occorre esaminare, quindi, la censura quanto alle altre unità immobiliari di INDIRIZZO
3.3. Appare opportuno richiamare le argomentazioni dei giudici di secondo grado che, nell’accogliere l’appello dell’ente impositore, hanno così motivato: ….’L’impugnata sentenza ha errato nel riconoscere l’esenzione per gli immobili destinati ad abitazione privata come nella specie. Invero, il Collegio rileva che l’art. 7 d.lgs. n. 504/92 riserva l’esenzione per gli immobili nei quali esclusivamente sì svolgano attività religiose. Al riguardo, la Suprema Corte ha statuito che la presenza dì religiosi “in loco” non giustifica per sé l’esenzione riguardo all’esercizio di attività dì religione o di culto (Cass. 10754/2017). Nè risultano gli immobili destinati a mera abitazione privata delle suore senza che risulti provato alcun tipo di collegamento con l’esercizio di attività religiosa. La normativa, in definitiva, trattandosi di una esenzione e, quindi, il riconoscimento dì un beneficio, l’interpretazione deve sempre essere restrittiva, considerato che la norma ricollega il beneficio alla esclusività della destinazione dell’immobile per l’esercizio di attività religiosa ‘.
3.4. Deve, in primo luogo, osservarsi che si controverte, nel caso in esame, dell’esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992, che, nella versione modificata ad opera dell’art. 91 bis del d.l. n. 1 del 2012, conv. dalla l. n. 27 del 2012 opera per «gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’articolo 87, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento
con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222».
Vale il principio per cui la sussistenza dei presupposti di esenzione dal tributo, integrando un fatto impeditivo dell’operatività della regola generale di imposizione, deve essere provata dal contribuente che tale esenzione invochi (tra le molte, Cass. n. 1694/18 e Cass. n. 6711/15).
Sebbene questa Corte in passato abbia statuito che l’esenzione in esame, prevista per gli immobili destinati esclusivamente allo svolgimento delle attività di religione o di culto di cui all’art. 16, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, spetta ad un ente ecclesiastico in relazione ad un immobile destinato ad abitazione di membri della propria comunità religiosa, con modalità assimilabili all’abitazione di un’unità immobiliare da parte del proprietario e dei suoi familiari, comportando tale destinazione lo svolgimento di un’attività non commerciale, ma diretta alla «formazione del clero e dei religiosi», espressamente compresa nell’elencazione di cui all’art. 16, lett. a) cit. ed avente, altresì, le caratteristiche di attività «ricettiva», parimenti inclusa nell’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) cit. e da intendersi riferita all’ospitalità ed accoglienza di persone in genere, non necessariamente terze ed estranee all’ente proprietario (cfr. Cass. n. 26654/2009; conf. Cass. n. 19180/2019) non può, pervero, ritenersi sussistente, in ordine ai suddetti immobili, l’asserita violazione di legge, atteso che il Giudice d’appello ha correttamente applicato l’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 sulla base di una verifica di merito, come tale non sindacabile nella presente sede, circa la irrilevanza della semplice destinazione del bene a residenza di religiosi in difetto di prova di collegamento ‘con l’esercizio di attività religiosa’ (sulla
necessità di una prova in concreto, in relazione a fattispecie similare, vedi Cass. n. 34223/2024).
A ben vedere con il suddetto motivo in esame, la ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate – allega un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. da ultimo Cass. n. 25876/2024), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice di merito di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza. Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o delle circostanze ritenute rilevanti. Si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato. Ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come
violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (vedi Cass. 9939/2019), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti, violazione, peraltro, neanche genericamente prospettata.
4. In conclusione accolto il primo motivo di ricorso e disatteso (nei termini anzi cennati) il secondo relativamente agli immobili di INDIRIZZO la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, che dovrà riesaminare la questione del diritto all’esenzione relativamente ai beni di INDIRIZZO, procedendo anche alla regolamentazione delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo per il profilo indicato in motivazione; dichiara inammissibile per il resto il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, cui demanda anche la regolamentazione delle spese di questo giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data