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Esenzione IMU enti religiosi: prova necessaria

La Corte di Cassazione interviene sul tema dell’esenzione IMU per gli enti religiosi. In un caso riguardante una congregazione religiosa e il Comune della Capitale, i giudici hanno stabilito che la semplice destinazione di un immobile a residenza per le suore non è sufficiente per ottenere il beneficio fiscale. È necessario dimostrare un collegamento diretto ed esclusivo con l’esercizio di attività di religione o di culto. La Corte ha inoltre cassato la sentenza di secondo grado per un vizio procedurale, avendo il giudice omesso di pronunciarsi su uno dei motivi di appello della congregazione, rinviando il caso per un nuovo esame su quel punto specifico.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Esenzione IMU enti religiosi: non basta la residenza delle suore, serve la prova

L’esenzione IMU per gli enti religiosi è un tema di costante dibattito giuridico, che bilancia il sostegno alle attività di culto e assistenza con il principio di equità fiscale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sui requisiti necessari per accedere a tale beneficio, sottolineando come la semplice residenza di membri di una congregazione non sia, di per sé, una condizione sufficiente. Analizziamo i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Una congregazione religiosa impugnava un avviso di accertamento IMU per l’annualità 2014, emesso dal Comune della Capitale, per un importo di oltre 42.000 euro. L’ente ecclesiastico sosteneva di avere diritto all’esenzione per due complessi immobiliari: il primo utilizzato per l’accoglienza e la convivenza di una comunità di religiose, il secondo destinato ad abitazione privata delle suore.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso, riconoscendo l’esenzione per gli immobili adibiti a residenza delle suore ma negandola per l’altro complesso.

Entrambe le parti impugnavano la decisione. La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, tuttavia, accoglieva l’appello del Comune, negando l’esenzione anche per gli immobili abitati dalle suore, ritenendo non provato alcun collegamento con l’esercizio di attività religiose. In modo cruciale, i giudici di secondo grado omettevano completamente di esaminare l’appello presentato dalla congregazione riguardo al primo complesso immobiliare.

La congregazione proponeva quindi ricorso per cassazione, lamentando sia l’omessa pronuncia dei giudici d’appello sia la violazione della normativa sull’esenzione IMU.

L’Ordinanza della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il primo motivo di ricorso della congregazione, relativo al vizio procedurale. Ha infatti riscontrato che la corte d’appello, pur menzionando l’impugnazione della congregazione, non aveva in alcun modo esaminato né deciso le censure sollevate. Questo vizio, noto come omessa pronunzia, ha determinato la nullità della sentenza su quel punto.

Per quanto riguarda il secondo motivo, relativo alla negata esenzione per gli immobili adibiti a residenza delle suore, la Corte lo ha dichiarato inammissibile. I giudici hanno chiarito che la congregazione non contestava un’errata interpretazione della legge, ma piuttosto la valutazione dei fatti operata dal giudice di merito. Tale valutazione non è sindacabile in sede di legittimità se non come vizio di motivazione, che però non era stato correttamente formulato nel ricorso.

Di conseguenza, la Corte ha cassato la sentenza impugnata limitatamente al profilo dell’omessa pronuncia e ha rinviato la causa alla Corte di Giustizia Tributaria regionale per un nuovo esame della questione relativa al primo complesso immobiliare.

Le Motivazioni: la prova del collegamento con l’attività religiosa

Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra la mera destinazione residenziale di un immobile e il suo utilizzo esclusivo per attività con finalità di religione o di culto, come richiesto dalla legge (art. 7, comma 1, lett. i, D.Lgs. 504/1992).

La Corte ribadisce un principio consolidato: la presenza di religiosi “in loco” non giustifica automaticamente l’esenzione IMU per enti religiosi. Il contribuente che invoca il beneficio fiscale ha l’onere di provare che l’immobile non è semplicemente un’abitazione, ma è strumentale e direttamente collegato allo svolgimento di attività non commerciali, come la formazione del clero, la cura delle anime, la catechesi o altre attività assistenziali.

Nel caso specifico, i giudici di merito avevano concluso che gli immobili erano destinati a “mera abitazione privata delle suore senza che risultasse provato alcun tipo di collegamento con l’esercizio di attività religiosa”. Questa è una valutazione di fatto. La Cassazione chiarisce che il suo ruolo non è quello di riesaminare le prove, ma di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione. Poiché il ricorso della congregazione si concentrava sulla ricostruzione dei fatti (sostenendo che la presenza delle suore fosse di per sé attività religiosa) anziché su un errore di diritto, il motivo è stato ritenuto inammissibile.

La Corte ha anche rilevato il grave errore procedurale dell’omessa pronuncia, che ha privato la congregazione del suo diritto a una decisione nel merito su una parte del suo appello. Per questo motivo, il caso dovrà essere nuovamente giudicato su quel punto specifico.

Le Conclusioni: implicazioni pratiche

Questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche per gli enti ecclesiastici e non profit.

1. L’onere della prova è fondamentale: Per ottenere l’esenzione IMU, non è sufficiente affermare che un immobile è utilizzato da personale religioso. È indispensabile documentare e provare in modo concreto che l’utilizzo dell’immobile è esclusivamente finalizzato allo svolgimento delle attività meritevoli previste dalla legge, distinguendolo da una semplice esigenza abitativa.
2. La precisione processuale è cruciale: I motivi di ricorso in Cassazione devono essere formulati con rigore tecnico. Contestare la valutazione dei fatti del giudice di merito come se fosse una violazione di legge porta all’inammissibilità del ricorso. È necessario distinguere nettamente tra l’interpretazione della norma (vizio di diritto) e l’apprezzamento delle prove (vizio di motivazione), strutturando le censure di conseguenza.

Un ente religioso ha sempre diritto all’esenzione IMU per gli immobili in cui risiedono i suoi membri?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la semplice destinazione di un immobile a residenza di religiosi (come suore o sacerdoti) non è sufficiente. L’ente deve provare che l’immobile è utilizzato esclusivamente per lo svolgimento di attività di religione o di culto, come la formazione del clero, la cura delle anime o altre attività assistenziali non commerciali, e che esiste un collegamento diretto tra la residenza e tali attività.

Cosa succede se un giudice d’appello non si pronuncia su uno dei motivi del ricorso?
Si verifica un vizio di “omessa pronunzia”, che causa la nullità della sentenza su quel punto. La Corte di Cassazione, se investita della questione, annulla (cassa) la decisione e rinvia il caso a un altro giudice di pari grado affinché decida sulla questione che era stata omessa.

Chi deve provare i requisiti per ottenere l’esenzione IMU?
L’onere della prova spetta interamente al contribuente che richiede l’esenzione. È l’ente religioso che deve dimostrare, con prove concrete, che sussistono tutti i presupposti previsti dalla legge, in particolare l’utilizzo esclusivo dell’immobile per le finalità meritevoli che danno diritto al beneficio fiscale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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