Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30342 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30342 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23652/2024 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, con l’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
ROMA CAPITALE, con l’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di II grado del LAZIO n. 2029/2024 depositata il 27/03/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/11/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
L’RAGIONE_SOCIALE denominato RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso avverso l’avviso di accertamento IMU 2014 n. 1311, con cui Roma Capitale aveva contestato l’infedele dichiarazione ed il parziale pagamento dell’imposta in relazione alle unità immobiliari ivi indicate . In particolare, l’istituto RAGIONE_SOCIALE ha sostenuto che l’attività istituzionale vera e propria si svolgeva negli immobili di INDIRIZZO, dove si trovavano le camere dei sacerdoti, la mensa, la cappella e altri spazi funzionali al culto, mentre l ‘edificio al INDIRIZZO era destinato a RAGIONE_SOCIALE, denominata ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘, utilizzata per l’accoglienza di singoli pellegrini o gruppi, in regime di sostanziale autogestione e senza prestazioni di servizi aggiuntivi. Ne ha quindi evidenziato il carattere non commerciale dell’attività, data la tipologia degli ospiti, l’apertura discontinua, le tariffe inferiori alla media di mercato e il fatto che l’ente operava in perdita, sostenuto solo da contributi delle Conferenze Episcopali degli Stati Uniti e della RAGIONE_SOCIALE.
Con la sentenza n. 17722/33/2019, depositata in data 16/12/2019, la Commissione Tributaria Provinciale di primo grado di Roma ha accolto il ricorso.
Roma Capitale ha interposto appello.
Con sentenza n. 2029/2024 depositata in data 27/03/2024, la Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Lazio ha accolto l’appello . In particolare, la Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Lazio ha respinto le eccezioni preliminari sollevate dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, affermando che l’inammissibilità per difetto di specificità dei motivi deve essere interpretata in modo restrittivo e che le doglianze del Comune erano coerenti con quanto già indicato nell’avviso di accertamento. Nel merito, ha r ilevato l’uso promiscuo dell’immobile, parte adibito a residenza per sacerdoti e studenti lituani e parte utilizzato come casa per RAGIONE_SOCIALE (‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘), aperta tutto l’anno e
con un volume d’affari rilevante , ritenendo che l’istituto non avesse dimostrato il requisito oggettivo necessario per l’esenzione IMU. Secondo la Corte, l’attività ricettiva a pagamento integra una modalità commerciale, a nulla rilevando che la gestione fosse in perdita. Ha dunque escluso l’esenzione per gli alloggi di sacerdoti o suore , atteso che non risultava provato che vi si svolgessero attività di religione e di culto.
Avverso la suddetta sentenza di gravame l’ente contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a n. 4 motivi, cui ha resistito con controricorso Roma Capitale.
È stata formulata PDA sul presupposto della manifesta infondatezza, in ragione della consolidata giurisprudenza contraria.
La parte ricorrente ha chiesto la discussione della causa.
Successivamente parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art 2909 cc in relazione all’ art. 360, n. 3 c.p.c.: non sarebbe stato riconosciuto un giudicato esterno già formatosi con la sentenza n. 1957/2020 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, relativa all’IMU 2013 per gli stessi immobili e lo stesso contribuente, con cui era stata esclusa la natura commerciale dell’attività svolta nella ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e rigettata la pretesa tributaria del Comune di Roma. Poiché quella decisione non è stata impugnata, secondo il RAGIONE_SOCIALE ha prodotto un giudicato esterno vincolante ai sensi dell’art. 2909 c.c., applicabile anche al nuovo giudizio, con possibilità di rilievo d’ufficio.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Si osserva che l’efficacia estensiva del giudicato tributario su annualità diverse è riconosciuta dalla giurisprudenza (in particolare, Cass. SS.UU. n. 13916/2006), ma solo quando si tratta di accertare
elementi della fattispecie che presentano carattere tendenzialmente permanente, estendendosi su più periodi d’imposta. Tale efficacia, invece, non si applica nei casi in cui l’accertamento riguarda fatti di natura variabile, privi di continuità nel tempo, come l’attività effettivamente svolta negli immobili, che può mutare ogni anno per oggetto, modalità o rilevanza economica. In altre parole, l’effetto vincolante del giudicato esterno è limitato a situazioni giuridiche che, per legge, producono effetti duraturi, mentre non si estende a fatti suscettibili di modificazioni annuali.
Nel caso specifico, inoltre, non è stata dimostrata la piena coincidenza tra l’attività svolta nel 2014 e quella oggetto del giudicato esterno relativo al 2013, essendosi il ricorrente limitato a un generico richiamo alle decisioni definitive senza fornire adeguati elementi di confronto.
1.3. Il motivo, conformemente alla proposta di definizione anticipata, va rigettato.
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta la violazione e/o falsa applicazione dell’art 57 D .Lgs. 546/1992 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c. : la Corte di gravame avrebbe erroneamente respinto la eccezione preliminare di inammissibilità dell’appello proposto da Roma Capitale, affermando che le doglianze del Comune rientrassero nei contenuti dell’avviso di accertamento. Il Comune, in appello, avrebbe introdotto per la prima volta argomenti nuovi -come l’uso promiscuo degli immob ili, la proporzionalità tra attività religiosa e commerciale, il ruolo delle categorie catastali e l’esclusione dell’esenzione anche per gli alloggi dei religiosi che non risultavano né nell’avviso di accertamento, né negli atti del primo grado. Inoltre, l’avviso impugnato si sarebbe limitato a una generica contestazione dell’infedeltà dichiarativa, senza motivazioni puntuali. Per queste ragioni, il RAGIONE_SOCIALE ritiene che la sentenza abbia consentito un’inammissibile violazione del divieto di ‘nova’ in appe llo.
2.1. Anche tale doglianza non può essere accolta.
2.2. Questa Corte ha chiarito che, nel contenzioso tributario, l’art. 57, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 vieta in appello solo le nuove eccezioni in senso tecnico, ovvero quelle che determinano un cambiamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa tributaria e, quindi, un ampliamento del thema decidendum (Cass. n. 11284/2023). Con ordinanza n. 24330/2024, è stato inoltre ribadito che secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il divieto di ius novorum riguarda esclusivamente le eccezioni in senso proprio, e non si estende né alle eccezioni improprie -rilevabili anche d’ufficio né alle mere difese, intese come argomentazioni volte a dimostrare l’inesistenza dei fatti costitutivi del diritto azionato o a contestare eccezioni già sollevate (Cass. n. 5895/2002; Cass. n. 15546/2004).
2.3. Nel caso in esame, come correttamente osservato nella sentenza impugnata della CTR e conformemente alle considerazioni esposte nella PDA, le contestazioni mosse dal Comune si fondano su quanto già indicato nell’avviso di accertamento, relativo al recupero dell’imposta per dichiarazione infedele da parte del contribuente.
2.4. Il motivo va rigettato.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art 7, primo comma, lett. i) D . Lgs. 504/1992 in relazione all’ art. 360, n. 3 c.p.c.
3.1. La Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Lazio avrebbe errato nell’interpretazione della normativa sull’esenzione IMU per gli enti non commerciali, in particolare per quanto riguarda il requisito oggettivo dell’attività svolta con modalità non comm erciali. Secondo l’istituto ricorrente, l’articolo 7, comma 1, lettera i) del D.Lgs. n. 504 del 1992 prevede che l’esenzione IMU spetti agli immobili utilizzati da enti come il loro per attività istituzionali non commerciali, anche di tipo ricettivo. La Corte dell’appello, riformando la decisione di primo grado,
ha escluso l’esenzione sulla base dell’uso ritenuto promiscuo degli immobili e del fatto che la casa per RAGIONE_SOCIALE ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘ prevedeva il pagamento di un corrispettivo, interpretando questo come indice sufficiente di attività commerciale, tuttavia tale lettura sarebbe errata atteso che il pagamento di una somma da parte degli ospiti non basta, di per sé, a qualificare l’attività come commerciale. L’esenzione possa comunque spettare quando il corrispettivo è irrisorio, simbolico o comunque inferiore alla metà dei prezzi medi di mercato e non proporzionato al costo effettivo del servizio. In primo grado, il RAGIONE_SOCIALE avrebbe dimostrato che la struttura era gestita in perdita, con tariffe ridotte, e rivolta esclusivamente a un’utenza specifica legata da legam i religiosi, culturali e spirituali, in un contesto di accoglienza solidale e la sentenza di primo grado aveva correttamente ritenuto provata la natura non commerciale dell’attività, mentre la Corte d’appello avrebbe ignorato tale valutazione, limitandosi a considerare la mera presenza di un corrispettivo come criterio determinante.
Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art . 2697 cc in relazione all’ art. 360, n. 3 c.p.c.
4.1. Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE contesta la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Lazio nella parte in cui ha affermato che non avrebbe fornito adeguata prova del requisito oggettivo per ottenere l’esenzione IMU, e che tale onere probatorio grav erebbe interamente sul contribuente. Secondo il RAGIONE_SOCIALE, questa affermazione contrasta con i principi consolidati in materia di onere della prova nel processo tributario. Pur riconoscendo il principio generale dell’art. 2697 c.c., secondo cui chi fa valere un diritto deve provarne i presupposti, il RAGIONE_SOCIALE evidenzia che, nel contenzioso fiscale, l’Amministrazione finanziaria -in quanto ‘attore sostanziale’ deve dimostrare i fatti costitutivi della pretesa impositiva, mentre al contribuente spetta semmai provare elementi di natura impeditiva o estintiva. L’istituto ribadisce inoltre di aver già dimostrato in primo grado che l’attività di
‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘ era svolta in perdita e con corrispettivi simbolici, senza scopo di lucro, e rivolta a una categoria specifica di ospiti, secondo finalità solidali e religiose e la CTP aveva accolto le proprie ragioni. La sentenza di appello, nel ribaltare quella decisione, avrebbe quindi illegittimamente invertito l’onere della prova, pretendendo dal contribuente l’accertamento di fatti che invece, per legge e giurisprudenza, spettava al Comune dimostrare.
I motivi di cui ai nn. 3 e 4 vanno trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi.
Come evidenziato nella PDA, nel terzo e quarto motivo, emergono aspetti ampiamente trattati dalla giurisprudenza di legittimità, anche nella recente ordinanza della Cassazione n. 6501/2024.
In particolare, i presupposti esonerativi IMU devono sussistere congiuntamente, cioè sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, e il fatto che le modalità concrete di svolgimento dell’attività, legalmente previste dall’art. 7, comma 1, lettera i) del d .lgs. 504/92 (come nel caso di attività alberghiera e ricettiva), devono essere non commerciali e non alterare la libera concorrenza. L’onere di provare il possesso di tali requisiti grava sul contribuente, ai sensi dell’art. 2697 c.c.
Inoltre, per le case per RAGIONE_SOCIALE gestite da istituti religiosi (come già affermato da precedenti pronunce: Cass. n. 7415/2019, n. 19072/2019, n. 4066/2019), è necessario che i corrispettivi siano non solo inferiori al valore di mercato, ma sostanzialmente simbolici, in conformità anche al diritto europeo. È irrilevante il risultato di gestione, in particolare che l’attività abbia operato in perdita nell’anno considerato (Cass. n. 32311/2022).
6.1. Il giudice regionale si è pienamente conformato a questo quadro interpretativo consolidato, spiegando che nel caso specifico non è stato dimostrato che l’attività svolta avesse carattere non commerciale, data la presenza di volumi d’affari e rette non conf ormi
ai parametri sopra indicati, anche considerando i contributi pubblici ricevuti.
6.2. Infine, riguardo alla distribuzione dell’onere della prova, questa Corte ha affermato che spetta al contribuente dimostrare concretamente il possesso dei requisiti per l’esenzione, ossia che l’attività a cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quell e esenti, non sia svolta con modalità commerciali (Cass. 6711/2015; Cass. 19072/2019). Nel caso di specie, tale condizione non è stata ritenuta dimostrata nella valutazione di merito, che non è soggetta a revisione in sede di legittimità.
6.3. Anche tali motivi vanno dunque rigettati.
Il ricorso va conseguentemente rigettato e va invece confermata la proposta di definizione anticipata.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. in combinato disposto con l’art. 96 c.p.c. deve disporsi la condanna per responsabilità aggravata in favore di parte vittoriosa e la condanna al pagamento della cassa delle ammende di somma compresa tra i 500 ed i 5000 euro. Le stesse sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
In conseguenza dell’esito del giudizio ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, com ma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.305,00 per compensi oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna il ricorrente a rifondere a parte controricorrente, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e 96 terzo comma cpc, un importo pari ad euro 2150,00, complessivamente considerate.
Ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e 96 quarto comma cpc condanna la parte ricorrente al pagamento della somma di euro 1.100,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dov uto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 14/11/2025.
Il Presidente NOME COGNOME