Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31651 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31651 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3979/2024 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE BARI DELLE SUORE RAGIONE_SOCIALE SANGUE COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE e dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI BARI, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO della regione PUGLIA n. 2348/2023 depositata il 28/07/2023, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.La Provincia Religiosa di Bari delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo ha impugnato l’avviso di accertamento del Comune di Bari, avente ad oggetto l’i.m.u. per l’anno 2012, relativo ad una serie di immobili (in particolare relativamente agli immobili indicati come n. 1, 2, 22, 23 e 26 ospitanti edifici scolastici) allegando, per alcuni beni, l’intervenuto pagamento e, par altri, invocando l’esenzione di
cui all’art. 7 del d.lgs. n. 504 del 1992 o chiedendo, quantomeno, la disapplicazione delle sanzioni per obiettiva incertezza normativa.
Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso limitatamente agli immobili per cui è stato allegato il pregresso pagamento dell’imposta escludendo, invece, la sussistenza del requisito soggettivo ed oggettivo dell’esenzione invocata di cui all’art. 7 co. 1^ lett.i) del d.lgs. n. 504 del 1992.
3.L’appello della contribuente è stato rigettato.
Nella sentenza di appello si legge che «giustamente la CTP ha sottolineato nella fattispecie che l’Ente religioso avrebbe dovuto provare -cosa che non ha fatto -che la retta pagata non costituisse contributo idoneo a coprire, per una parte significativa, i costi effettivi di gestione …., non potendo assumere rilievo…la mera circostanza che la retta coprisse solo una parte dei costi….Orbene, il primo motivo di censura non coglie tale essenziale ratio decidendi della sentenza impugnata che, laddove esclude l’avvenuta dimostrazione della natura simbolica della retta o, comunque, della sua inadeguatezza a coprire in tutto o in parte i costi di gestione, è da sola idonea a reggere il dictum della decisione, senza che possa rilevare, in difetto del requisito oggettivo, la sussistenza di quello soggettivo. ( … ) Non spetta all’A.F. enunciare (…) nell’avviso di accertamento le ragioni del mancato riconoscimento dell’esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, essendo piuttosto onere del contribuente dedurre l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione di imposta».
Il secondo motivo di appello (sulla sussistenza del requisito soggettivo dell’esenzione) è stato ritenuto assorbito in conseguenza del rigetto del primo, stante la necessaria compresenza del requisito oggettivo e di quello soggettivo ai fini del riconoscimento dell’esenzione.
4.Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la contribuente, che ha depositato successiva memoria.
5.Il Comune si è costituito con controricorso, con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o infondatezza del ricorso.
6.La causa è stata trattata e decisa all’adunanza camerale del 14 novembre 2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente devono essere rigettatale le eccezioni di inammissibilità del ricorso, che sono destituite di fondamento, in quanto, da un lato, il ricorso è specifico ed autosufficiente, censurando con precisione i passaggi motivazionali della sentenza impugnata e riportando stralci delle allegazioni e della documentazione prodotta nei gradi merito, puntualmente localizzata e, dall’altro lato, le questioni poste all’attenzione della Corte vertono non su valutazioni di merito, ma su profili giuridici non del tutto sovrapponibili a quelli già definiti con orientamenti oramai consolidati.
Pure va evidenziato che la questione relativa al requisito soggettivo necessario ai fini dell’esenzione di cui all’art. 7 co. 1^ lett. i) del d.lgs. n. 504 del 1992, sebbene posta in appello, è rimasta assorbita e non costituisce, dunque, oggetto del ricorso per cassazione, non potendo le questioni assorbite essere sottoposte al giudice di legittimità, ma solo a quello del rinvio (tra le tante Cass., Sez 5, 25 ottobre 2023, n. 29662).
A questo punto va esaminato pregiudizialmente il secondo motivo, con cui la ricorrente ha dedotto la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ., degli artt. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132 n. 4 cod.proc.civ. e 118 disp.att.cod.proc.civ., limitandosi la sentenza ad affermare l’insufficienza della deduzione della circostanza che la retta scolastica coprisse solo una parte dei costi e la necessità della dimostrazione dell’inidoneità dei contributi a coprire una parte significativa dei costi effettivi, con una motivazione del tutto apparente, che non si confronta con la documentazione prodotta e
che non chiarisce quale sia la soglia oltre la quale il corrispettivo non può considerarsi simbolico (in particolare non si confronta con i bilanci degli istituti scolastici che, come evidenziato, riportano ingenti perdite o, al massimo, un pareggio e, comunque, una notevole sproporzione tra l’importo delle entrate costituite dalle rette ed i costi del servizio -più precisamente: per l’Istituto RAGIONE_SOCIALE, costi pari a euro 840.250,96, a fronte di ricavi pari ad euro 570.304,71, di cui soltanto euro 318.544,00 corrispondenti alle rette; per l’istituto RAGIONE_SOCIALE costi pari a euro 505.143,50, a fronte di ricavi pari ad euro 333.691,19, di cui soltanto euro 170.276,00 corrispondenti alle rette; per l’istituto RAGIONE_SOCIALE, in cui è stato realizzato un pareggio, costi pari a euro 804.997, a fronte di entrate corrispondenti ad euro 723.904,37 per contributi pubblici e solo euro 80.910,31 per rette: v. documentazione prodotta in vista dell’udienza di trattazione del giudizio di appello).
Tale censura, che è pregiudiziale rispetto alle altre, investendo non il contenuto della decisione, ma la sua legittimità formale, è infondata, in quanto la doglianza di appello concernente il requisito oggettivo dell’esenzione in esame (modalità non commerciali dell’esercizio dell’attività didattica) è stata rigettata in rito, senza alcun esame nel merito, per la sua inidoneità ad aggredire la ratio decidendi della sentenza impugnata, costituita dal mancato assolvimento dell’onere probatorio relativamente alla simbolicità del corrispettivo preteso dagli studenti. Ciò è confermato, peraltro, dal quinto motivo di ricorso, con cui si è denunciata appunto la violazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992.
La motivazione, sebbene sintetica, è, dunque, presente e comprensibile e non si rapporta con la documentazione prodotta in appello perché non accede al merito della censura.
Con il quinto motivo di ricorso la contribuente ha denunciato la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ.,
dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, avendo l’appello aggredito in modo specifico la ratio decidendi della sentenza di primo grado, evidenziando e dimostrando non solo l’inferiorità delle rette al costo medio per studente individuato dal Ministero, ma anche e soprattutto l’inidoneità delle stesse a coprire gli effettivi costi di gestione.
Pure tale motivo di carattere processuale deve essere esaminato preliminarmente rispetto a quelli che investono il contenuto della decisione.
La censura è fondata.
Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dall’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. cod.civ., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 707; v. anche la recente Cass. Sez. 5, 10 gennaio 2024, n. 1030, secondo cui, in tema di contenzioso tributario, la riproposizione in appello delle ragioni poste a fondamento dell’originaria impugnazione del provvedimento impositivo da parte del contribuente ovvero della legittimità dell’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, siano ricavabili in modo inequivoco, seppur per implicito, i motivi di censura). Ne consegue, pertanto, che nel processo tributario, la riproposizione, a supporto dell’appello
proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso il carattere devolutivo pieno, in tale giudizio, dell’appello, quale mezzo di gravame non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel merito (v. Cass., Sez. 6-5, 23 novembre 2018, n. 30525, che, in applicazione del principio, ha annullato la decisione impugnata che aveva ritenuto inammissibile l’appello, per la mancanza di critica alla motivazione della pronuncia di primo grado, pur avendo il ricorrente riproposto i motivi d’opposizione all’atto impositivo evidenziando la correlazione degli stessi con la documentazione prodotta che ne specificava la valenza, con conseguente possibilità per il giudice del gravame di individuare con chiarezza il contenuto delle censure).
Alla luce di tale premesse, la sentenza impugnata è incorsa nella denunciata violazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto, come già evidenziato, si è limitata a rigettare in rito la censura di appello formulata relativamente al capo della sentenza di primo grado che ha escluso la sussistenza del requisito oggettivo dell’esenzione invocata (e, cioè, l’esercizio con modalità non commerciali dell’attività didattica), perché inidonea ad aggr edire la ratio decidendi della decisione («primo motivo di censura non coglie tale essenziale ratio decidendi della sentenza impugnata che, laddove esclude l’avvenuta dimostrazione della natura simbolica della retta o, comunque, della sua inadeguatezza a coprire in tutto o in parte i costi di gestione, è da sola idonea a reggere il dictum della decisione, senza che possa rilevare, in difetto del requisito oggettivo, la sussistenza di quello soggettivo»). In particolare il giudice di appello -invece di ribadire i principi di diritto posti a fondamento della sentenza di primo grado – avrebbe dovuto
confrontarsi con le argomentazioni svolte e soprattutto con la documentazione prodotta dall’appellante, così verificando non solo la correttezza del ragionamento giuridico, ma anche quella della valutazione di merito effettuata dal giudice di merito ed in particolare l’effettivo mancato assolvimento dell’onere della prova in ordine alla simbolicità della retta. Al contrario, la sentenza di appello non ha affatto esaminato la documentazione prodotta dall’appellante, su cui non si è proprio soffermata, ritenendo l’appello inidoneo ad aggredire la ratio decidendi della sentenza impugnata
3.Risultano a questo punto assorbiti tutti gli altri motivi relativi al capo della sentenza che ha rigettato (in rito) il motivo di appello in ordine alla sussistenza del requisito oggettivo dell’esenzione invocata: – il primo motivo di ricorso con cui la contribuente ha dedotto la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., degli artt. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs. n. 504 del 1992, 4 del d.m. n. 200 del 2012, 91-bis del d.l. n. 1 del 2012, e del d.m. 26 giugno 2014, atteso che è stato allegato e dimostrato lo svolgimento dell’attività didattica con modalità non commerciali, essendo il corrispettivo richiesto inferiore al costo medio del servizio per studente, come calcolato nelle tabelle allegate al decreto ministeriale contenente le istruzioni per la compilazione della dichiarazione i.m.u., al fine di individuare una chiara soglia al di sotto della quale affermare la natura simbolica del corrispettivo; – il terzo ed il quarto motivo del ricorso con cui la contribuente ha dedotto la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., degli artt. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs. n. 504 del 1992, 4 del d.m. n. 200 del 2012, 91-bis del d.l. n. 1 del 2012, essendo stata ritenuta la retta non simbolica senza, tuttavia, chiarire la soglia della simbolicità e senza tenere conto che le rette pagate non sono idonee a coprire neppure la metà dei costi effettivi, come dimostrato dalla documentazione prodotta.
Difatti, tali motivi si riferiscono alla decisione sul requisito oggettivo: decisione che, come già evidenziato, non è stata adottata dal giudice di secondo grado, che ha rigettato in rito il relativo motivo di appello.
Deve, invece, essere esaminato il sesto motivo, con cui la ricorrente ha denunciato la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., degli artt. 1, comma 162, della legge n. 296 del 2006 e 7 della legge n. 212 del 2000, non spiegando l’avviso le ragioni del mancato riconoscimento dell’esenzione, pur essendo stata indicata in dichiarazione l’attività didattica svolta negli immobili, a cui consegue l’esenzione.
Difatti tale censura attiene a un capo di decisione diverso da quello relativo al requisito oggettivo, su cui la sentenza di appello si è pronunciata (« Non spetta all’A.F. enunciare (…) nell’avviso di accertamento le ragioni del mancato riconoscimento dell’esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, essendo piuttosto onere del contribuente dedurre l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione di imposta»).
La censura è fondata e merita accoglimento nei limiti di cui in motivazione, in virtù del seguente principio di diritto: in tema di i.m.u., l’avviso di accertamento deve motivare le ragioni del diniego dell’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i, del d.lgs. n. 504 del 1992, laddove sia stata formulata, tramite la dichiarazione redatta secondo il modello ministeriale, predisposto con il d.m. 26 giugno 2014, una richiesta specifica e completa di tutte le necessarie informazioni, da parte del contribuente; richiesta specifica che, nell’eventuale giudizio di impugnazione, il contribuente ha l’onere di allega re e provare.
5.1. Sebbene la presente controversia concerna l’i.m.u., occorre brevemente ricordare l’orientamento di questa Corte in tema di motivazione dell’avviso di accertamento, aven t e ad oggetto l’i.c.i.
Al riguardo si è precisato che la necessità che gli avvisi di liquidazione e accertamento siano motivati in relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che li hanno determinati non comporta l’obbligo di indicare anche l’esposizione delle ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, poiché è onere del contribuente dedurre e provare l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione dell’imposta (Cass., Sez. 5, 24 gennaio 2018, n. 1694; v. anche Cass., Sez. 5, 11 giugno 2010, n. 14094, secondo cui, in tema di i.c.i., l’art. 11, comma 2-bis, del d.lgs. n. 504 del 1992, disponendo che gli avvisi di liquidazione e accertamento devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati, non comporta un obbligo di indicare anche l’esposizione delle ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, a meno che non ricorrano specifiche situazioni – quale, ad esempio, l’essere l’immobile di proprietà di un comune e destinato a pubblici uffici – che, nel caso concreto, rendano indispensabile una motivazione espressa).
Tale orientamento non può, tuttavia, operare automaticamente ed integralmente anche con riferimento all’i.m.u., posto che, mentre, in tema di i.c.i., non è previsto alcun obbligo dichiarativo volto al conseguimento dell’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992 (in particolare cfr. art.10, comma 4, del medesimo d.lgs., ai sensi del quale «i soggetti passivi devono dichiarare gli immobili posseduti nel territorio dello Stato, con esclusione di quelli esenti dall’imposta ai sensi dell’art. 7»), al contrario, per l’i.m.u. l’art. 2, comma 5 -bis, del d.l. n. 102 del 2013, n. 102 ha disposto che: «ai fini dell’applicazione dei benefici di cui al presente articolo, il soggetto passivo presenta, a pena di decadenza entro il termine ordinario per la presentazione delle
dichiarazioni di variazione relative all’imposta municipale propria, apposita dichiarazione, utilizzando il modello ministeriale predisposto per la presentazione delle suddette dichiarazioni, con la quale attesta il possesso dei requisiti e indica gli identificativi catastali degli immobili ai quali il beneficio si applica» (per una illustrazione più dettagliata dalla normativa si rinvia all’ordinanza di questa Corte, Sez. T, n. 24200 del 9 settembre 2024).
In presenza della richiesta di una determinata esenzione, da parte del contribuente, fondata sull’indicazione specifica dei requisiti necessari per la sua fruizione, sorge l’obbligo dell’ente impositore di motivare le ragioni della esclusione di quel particolare beneficio invocato, alla luce dei principi di collaborazione e buona fede, che, in base alla legge n. 212 del 2000, devono improntare i rapporti con il contribuente, ed in virtù del principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione, che impone di esaminare le pertinenti istanze avanzate dal privato coinvolto nel procedimento tributario, anche al fine di prevenire eventuali impugnazioni.
La necessità che il Comune indichi espressamente le ragioni del diniego dell’esenzione invocata sorge, però, come già precisato, solo in presenza di una richiesta dettagliata e specifica, da avanzare tramite apposita dichiarazione redatta secondo il modello ministeriale predisposto con il d.m. 26 giugno 2014, che ha espressamente previsto che la dichiarazione relativa agli anni 2012 e 2013 dovesse essere presentata entro il 30 settembre 2014 (termine, poi, differito al 30 novembre 2014 dal d.m. 23 settembre 2014). Del resto, tale richiesta, completa delle necessarie informazioni, è indispensabile, visto che la natura non commerciale non può essere desunta in via esclusiva in base a documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l’immobile è destinato (v., tra le tante, Cass., Sez. 5, 4 luglio 2019, n. 17968), potendo, in linea di principio, tutte le attività essere svolte con
metodi commerciali o non commerciali, sicché occorre porre il Comune in condizione di svolgere una verifica in concreto.
Nel caso di specie, con la formulazione del motivo in esame, la Provincia Religiosa ha specificamente allegato, in modo autosufficiente, v. p. 27 del ricorso per cassazione, la presentazione della dichiarazione e l’avvenuta sua deduzione in giudizio. Il necessario accertamento di fatto circa ritualità e la completezza di tale dichiarazione non può essere svolto in questa sede di legittimità, ma dovrà essere svolto dal giudice del rinvio.
6. In conclusione, devono essere accolti il quinto ed il sesto motivo di ricorso, rigettato il secondo ed assorbiti gli altri, e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, cui si demanda anche la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione:
accoglie il quinto ed il sesto motivo di ricorso, rigettato il secondo ed assorbiti i residui; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, cui demanda anche la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14/11/2024 .