Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34223 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34223 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25001/2023 R.G. proposto da : CONGREGAZIONE DELLE RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’Avv. COGNOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro ROMA RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’Avv. COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO LAZIO n. 2844/2023 depositata il 12/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La CGT di secondo grado del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello della contribuente CONGREGAZIONE DELLE RAGIONE_SOCIALE FRANCESCANE IMMACOLATINE , con conferma dell’avviso di accertamento per IMU, anno di imposta 2015, per due immobili;
la contribuente ha proposto ricorso in cassazione con un unico motivo;
resiste con controricorso il Comune di Roma capitale che chiede il rigetto del ricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso risulta infondato e deve rigettarsi con la condanna al pagamento delle spese e con il raddoppio del contributo unificato.
Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, primo comma, lettera i, del d. lgs. n. 504 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Il ricorso risulta generico e non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, riportando acriticamente i motivi del ricorso originario.
Con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un non motivo , come tale inammissibile ex art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (Sez. 1 – , Ordinanza n. 22478 del 24/09/2018, Rv. 650919 – 01).
La sentenza impugnata, del resto, correttamente evidenziava come per l’immobile destinato a scuola primaria paritaria la congregazione riceveva una retta non simbolica di euro 1.160,00 per ogni iscritto, oltre ad una ulteriore somma al momento dell’iscrizione.
Inoltre, evidenziava come la contribuente non aveva fornito prova del servizio gratuito per le fasce deboli ‘ovvero la modulazione della retta scolastica in base alle condizioni economiche della famiglia dell’alunno’.
Del resto, nel ricorso la stessa ricorrente evidenzia il pagamento di una retta, per l’anno in considerazione, di euro 1160,00 ad anno per un totale di euro 47.549,50 ad anno, per 41 alunni; le rette complessive per la ricorrente non sarebbero sufficienti a coprire i costi dell’attività didattica.
L’argomentazione della ricorrente non risulta corretta, in quanto quello che rileva è la natura non meramente simbolica della retta e non già la copertura dei costi dell’attività, in quanto una attività commerciale, anche, in perdita è pur sempre una attività commerciale: «In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’esenzione dall’imposta prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è subordinata alla compresenza di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento di tali attività da parte di un ente che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (art. 87, comma primo, lett. c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, cui il citato art. 7 rinvia), e di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate, il cui accertamento deve essere operato in concreto, verificando che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale. (Nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva riconosciuto l’esenzione ad una scuola paritaria di ispirazione
religiosa, i cui utenti pagavano un corrispettivo, attribuendo erroneamente rilievo alla circostanza che l’attività fosse in perdita)» (Sez. 5, Sentenza n. 14226 del 08/07/2015, Rv. 635798 – 01).
Infatti, era onere probatorio della ricorrente dimostrare la sussistenza dei requisiti per l’esenzione: « L’esenzione ICI, prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992, è applicabile agli immobili di culto dove viene svolta attività didattica quando sussistono cumulativamente sia il requisito soggettivo – riguardante la natura non commerciale dell’ente – sia quello oggettivo – la realizzazione dell’attività con modalità non commerciali -, i quali devono essere provati dal contribuente, tenuto a dimostrare la loro sussistenza in concreto e, cioè, che l’attività a cui l’immobile è destinato, rientrando tra quelle esenti, è posta in essere con modalità non economiche, in quanto resa a titolo gratuito o dietro il versamento di un importo simbolico. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva riconosciuto il beneficio fiscale, riconoscendo che le rette scolastiche erano significativamente inferiori rispetto al parametro del costo medio per studente pubblicato dal M.I.U.R., ma non costituivano un corrispettivo meramente formale o simbolico)» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 20971 del 26/07/2024, Rv. 671952 – 01).
In sostanza, le decisioni di merito, in doppia conforme, con la valutazione delle prove, insindacabile in sede di legittimità, hanno ritenuto che le rette non fossero simboliche, e che la ricorrente svolgesse una attività commerciale e in quanto tale non aveva diritto all’esenzione dell’ICI.
La sentenza impugnata, poi, lungi dal limitarsi a riproporre ‘l’insufficienza dell’astratta destinazione dell’immobile ad una delle attività legittimanti l’esenzione’, come si prospetta in ricorso, evidenzia anche l’assenza di prova per l’immobile utilizzato quale alloggio delle suore. La contribuente, ha sottolineato la CTR, ‘si è limitata a documentare l’effettiva residenza degli appartenenti
all’ordine religioso nell’immobile l’esenzione non è concessa per assicurare ai religiosi un alloggio ma in presenza delle condizioni e della destinazione dell’immobile. La prova della sussistenza dei requisiti su richiamati, così come disciplinati dalla normativa in materia, non è stata prodotta in giudizio dalla ricorrente’.
Su questi aspetti il ricorso non si confronta, posto che si limita a insistere su ll’effettiva residenza di componenti della Congregazione presso l’unit à immobiliare identificata dal sub 504.
Non giovano alle ragioni spese dalla Congregazione i precedenti di questa Corte richiamati in ricorso, i quali evidenziano pur sempre la necessità, ai fini del riconoscimento dell’esenzione, che l’immobile dell’ente ecclesiastico sia destinato ad abitazione di membri della propria comunità religiosa con modalità assimilabili all’abitazione di una unità immobiliare da parte del proprietario e dei suoi familiari, la sussistenza delle quali richiede un accertamento in concreto (in termini, Cass., Sez. 5°, Sent enza n. 7980 dell’11/3/2022 e Ordinanza n. 17250 del 27/6/2019).
Questa Corte ha d’altronde sottolineato che la presenza dei religiosi in loco non giustifica di per sé l’esenzione riguardo all’esercizio di attività di religione o di culto, rimarcando che la pronuncia di questa Corte, Cass. sez. 5, 18 dicembre 2009, n. 26557, anch’essa richiamata in ricorso, riguardava fattispecie nella quale l’unità immobiliare oggetto di accertamento era esclusivamente destinata ad abitazione conventuale delle suore ivi presenti (V. Cass., Sez. 6°-5°, Ordinanza n. 10754 del 3/5/2017 Rv. 644064 – 01).
Si ribadisce, dunque, che occorreva una prova in concreto che ad avviso della CTR è mancata.
…
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge. A i sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18/12/2024.