Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31721 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31721 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26330/2021 R.G. proposto da:
COMUNE DI TRENTO, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO,
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE GESU’, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE),
-controricorrente
e
ricorrente incidentale-
avverso SENTENZA di COMM. TRIBUTARIA II GRADO TRENTO n. 29/2021 depositata il 23/03/2021, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.L’Istituto delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù ha impugnato l’avviso di accertamento, avente ad oggetto l’i.m.u. per l’anno 2013, relativo ad immobile ubicato in Trento e sede di scuola paritaria.
Il ricorso è stato accolto in primo grado, in considerazione della riconosciuta esenzione per lo svolgimento, con modalità non commerciali, dell’attività didattica, data la simbolicità della retta, previo rigetto delle eccezioni relative alla nullità dell’avviso per violazione del principio del contraddittorio e per lacunosità della motivazione.
Sono stati rigettati sia l’appello principale del Comune sia quello incidentale della contribuente. La sentenza di appello ha ritenuto che il corrispettivo preteso dall’Istituto integrasse una mera frazione del costo del servizio, identificato con quello medio determinato dal Ministero dell’Istruzione, stante l’assenza di elementi in ordine a quello effettivamente sostenuto dal ricorrente, e che tale frazione restasse non significativa, in quanto più vicina ad un importo simbolico che a quello effettivo («la retta annua…costituisce una frazione del costo medio effettivo della scuola quale ritenuto dal Ministero dell’Istruzione per il suo funzionamento…nel caso di specie la retta versata costituisce una piccola frazione del costo medio, che si ritiene, da parte del Ministero dell’Istruzione, necessario per lo svolgimento delle attività didattiche … e dunque non può che concludersi nel senso che ricorrano i presupposti per l’esenzione i.m.u.»).
4.Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Trento, formulando quattro motivi.
5.L’Istituto si è costituito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale.
6.Entrambe le parti hanno depositato memorie.
L’Istituto ha prodotto con la memoria documentazione relativa alla sua iscrizione negli elenchi delle scuole paritarie non commerciali,
tenuto dal Ministero, non prodotto prima in quanto non disponibile; si tratta di produzione non consentita con le memorie ex art. 378 cod.proc.civ., in assenza, peraltro, di una rituale istanza di rimessione in termini, e del resto strumentale ad una valutazione di merito, preclusa al giudice di legittimità.
6.La causa è stata trattata e decisa all’adunanza camerale del 14 novembre 2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Occorre preliminarmente esaminare i primi due motivi del ricorso incidentale che, concernendo la legittimità formale dell’atto impositivo, sono pregiudiziali rispetto a quelli relativi alla pretesa tributaria, oggetto del ricorso principale.
2.C on il primo motivo di ricorso incidentale l’Istituto ha denunciato la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ. del contraddittorio endoprocedimentale, previsto dagli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dall’Art. 24 Cost., essendo stato preceduto l’avviso solo da un incontro informativo, svoltosi lo stesso giorno dell’adozione dell’atto, evidentemente già redatto, e non avendo potuto, pertanto, il contribuente sottoporre all’attenzione dell’amministrazion e le ragioni successivamente oggetto del ricorso.
Il motivo è manifestamente infondato in quanto, come già chiarito da questa Corte, prima dell’introduzione di disposizioni quali l’art. 5-ter del d.lgs. n. 218 del 1997, da parte del d.l. n. 34 del 2019, conv, in legge n. 58 del 2019, ed oggi dell’art. 6 -ter della legge n. 212 del 2000, da parte del d.lgs. n. 219 del 2023, in materia tributaria, l’Amministrazione era gravata dall’obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale solo nelle ipotesi espressamente previste, senza alcun contrasto con gli artt. 41, 47
e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che incidono sulla disciplina dei soli tributi armonizzati, ma non anche di quelli non armonizzati, per i quali non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo vincolo generalizzato, sicché esso ricorre soltanto per le ipotesi per le quali risulti specificamente sancito (tra le tante, Cass., Sez. 5, 23 febbraio 2021, n. 4752, conformemente a Cass., Sez. U., 9 dicembre 2015, n. 24823).
3. C on il secondo motivo di ricorso incidentale l’Istituto ha denunciato la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., degli artt. 3 e 21-septies della legge n. 241 del 1990, 42, commi 2 e 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e 41 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea, in quanto, da un lato, l’avviso non spiega le ragioni del mancato riconoscimento dell’esenzione, pur sussistendo i parametri previs ti dal decreto ministeriale, e, dall’altro, no n é stata allegata la delibera del Consiglio comunale avente ad oggetto la disciplina dell’imposta.
La censura è infondata.
In primo luogo nella sentenza impugnata si legge che «nell’avviso di accertamento vengono indicate le ragioni fondamentali poste a base della tassazione e, cioè, il pagamento da parte degli studenti di una retta annuale di euro 1.400,00, ritenuta non meramente simbolica». Pertanto, risulta effettuato un accertamento di fatto in ordine alla completezza della motivazione anche relativamente alle ragioni del diniego dell’esenzione accertamento di fatto che è riservato ai giudici di merito e non può essere rivisto in questa sede di legittimità.
Per quanto concerne, invece, la mancata allegazione delle delibere comunali all’avviso, la questione non è stata affrontata nell a sentenza di merito, per cui va ribadito che, qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere
nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass., Sez. 6-5, 13 dicembre 2019, n. 32804). A ciò si aggiunga l’orientamento in base al quale le delibere comunali relative all’applicazione del tributo ed alla determinazione delle relative tariffe non rientrano tra i documenti che devono essere allegati agli avvisi di accertamento ai sensi dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000, in quanto detto obbligo è limitato agli atti richiamati nella motivazione che non siano conosciuti o altrimenti conoscibili dal contribuente, ma non anche esteso agli atti generali come le delibere del consiglio comunale che, essendo soggette a pubblicità legale, si presumono conoscibili (Cass., Sez. 5, 21 novembre 2018, n. 30052).
4. Si può, a questo punto, passare all’esame del ricorso principale. 4.1.Con il primo motivo di ricorso principale il Comune ha dedotto la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., dell’art. 9, comma 8, del d.lgs. n. 23 del 2001, che rinvia all’art. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs. n. 504 del 1992, e dell’art. 4, comma 3, lett. c) del d.m. n. 200 del 2012, a cui è stata attribuito valore di norma primaria dall’art. 9, comma 6 -ter, d.l. n. 174 del 2012, atteso che la misura della retta praticata è stata già valutata dall’autorità giudiziaria, per l’annualità precedente, come non simbolica nel medesimo contesto normativo.
Con il secondo motivo di ricorso principale il Comune ha dedotto la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., dell’art. 107 del Trattato sull’Unione europea in materia di aiuti di Stato, non avendo affatto i giudici di merito verificato in concreto il
versamento di corrispettivi di natura simbolica rispetto ai costi di gestione.
Con il terzo motivo di ricorso principale il Comune ha dedotto la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., degli artt. 115 cod.proc.civ. e 2697 cod.civ., essendo stata ritenuta la retta simbolica nonostante la mancata dimostrazione da parte della ricorrente ed in assenza di una rigorosa verifica.
Con il quarto motivo di ricorso principale il Comune ha dedotto la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4, cod.proc.civ., dell’art. 132 cod.proc.civ. ed il conseguente eccesso di potere giurisdizionale, avendo il giudice di appello sostituito la propria valutazione in ordine alla natura simbolica della retta a quella dell’ufficio amministrativo senza rilevare alcun vizio della valutazione formulata.
4.2. Il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente, perché strettamente connessi, e sono fondati, con assorbimento della prima censura, con cui si invoca, a prescindere dal giudicato e dalla sua possibile rilevanza, una sentenza relativa ad altra imposta (i.c.i.) ed altra annualità, e dell’ultima censura, che riguarda la valutazione travolta dalla cassazione della sentenza.
La questione ivi coinvolta ha costituito oggetto di varie pronunce di questa Corte, che, in assenza di persuasivi argomenti contrari, vanno ribaditi.
La previsione dell’art. 7, comma 1, lett. i ), d.lgs. n. 504/1992, nel testo attualmente vigente, come modificato dall’art. 91 -bis del d.l. n. 1 del 2012, conv. in legge n. 27 del 2012, espressamente richiamata, in tema di IMU, dal d.lgs. n. 23 del 2011, deve essere applicata nell’accezione compatibile con la decisione adottata dalla Commissione dell’Unione Europea il 19 dicembre 2012 e con la sentenza resa dalla Corte di giustizia del 6 novembre 2018, nelle cause riunite C-622, 663 e 624/2016, che ha confermato la
decisione, limitandosi ad annullarla in ordine al mancato recupero degli aiuti di Stato. Solo per completezza deve evidenziarsi che non è, invece, pertinente la più recente decisione della Commissione dell’Unione Europea del 3 marzo 2023, che riguarda solo ed esclusivamente il recupero degli aiuti illegali concessi tramite l’esenzione dell’i.c.i.
Pertanto, l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i, d.lgs. n. 504 del 1992 può essere riconosciuta solo se le attività ivi elencate (assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’art. 16, lett. a, della legge n. 22 del 1985) sono esercitate con modalità non commerciali. In particolare, come ha precisato l’art. 4, comma 3, lett. c, del regolamento, adottato dal Ministero delle Finanze, con decreto n. 200 del 2012, a cui rinvia l’art. 91 -bis, comma 3, del d.l. n. 1 del 2012, conv. in legge n. 27 del 2012, le attività didattiche sono svolte con modalità non commerciali se esercitate a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso.
Si è chiarito che per corrispettivo simbolico, ai fini dell’esenzione prevista dall’art. 7, lett. i, d.lgs. n. 504 del 1992, per l’attività didattica, in base ai criteri dettati dalla decisione della Commissione dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012, deve intendersi quello caratterizzato da un irrisorio, marginale, del tutto residuale ammontare, in termini tali da non potersi porre in relazione con il servizio reso, così presentandosi come corrispettivo di natura meramente formale, tale da rendere la prestazione più prossima ad una erogazione gratuita, che a quella sotto-remunerata rispetto agli standard medi (così Cass., Sez. T., 2 ottobre 2023, n. 27821). Si è anche precisato che deve escludersi l’equivalenza del concetto di corrispettivo simbolico con quello di corrispettivo inferiore
rispetto alla media dei prezzi praticati nella zona, atteso che il corrispettivo puramente simbolico non è quello tenue o modesto, ma quello che escludendo completamente il rapporto sinallagmatico equivale alla sua assenza (cfr. Cass. n. 17902/2024 che richiama Cass. n. 8967/2020; Cass. n. 4066/2019; Cass. n. 37340/2021).
In particolare, quanto al d.m. 26 giugno 2014, contenente le istruzioni per la compilazione delle dichiarazioni i.m.u. e t.a.s.i., questa Corte ha chiarito che le istruzioni ministeriali non possono vincolare l’interpretazione del dato normativo, sicché la valutazione della natura non commerciale dell’attività didattica non può esaurirsi nell’applicazione meccanica del parametro, consistente nel rapporto tra corrispettivo medio (CM) e costo medio per studente (CMS), previsto da tali istruzioni. Tale parametro è stabilito in via generale, una volta per tutte, ed è funzionale ad una elaborazione forfettaria del requisito, mentre, in termini del tutto diversi, il dato normativo obbliga ad una valutazione puntuale, non predeterminata, riferita alla specifiche condizioni in cui opera il singolo contribuente, delineando un accertamento basato sulla verifica dell’irrisorietà della retta, in ragione della sua inidoneità a porsi come larvata forma retributiva dell’attività didattica prestata (Cass.18831/2020; n. 3369/2019;n. 2019/13787, in motiv; 24308/2019; Cass. n. 10754/2017; Cass. n. 10483 del 2016; n. 19773 del 2019; n. 13970 del 2016). In definitiva, il d.m. 16 giugno 2014 introduce un parametro che si pone in contrasto con la norma gerarchicamente superiore, contenuta nel d.m. 200 del 2012, richiamata dalla legge n. 1 del 2012, limitandosi ad una valutazione astratta, che, peraltro, parte dal confronto tra entità non omogenee e, cioè, il corrispettivo effettivamente praticato in un dato contesto temporale e territoriale ed il costo medio del servizio per studente, calcolato dal Ministero, in base a dati raccolti su tutto il territorio nazionale, in cui esistono disparità, anche rilevanti, di costi. Non assume, quindi, rilievo la rispondenza della
retta scolastica ai limiti fissati in materia di ‘costo medio per studente’ per l’anno di riferimento secondo la tabella redatta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, sulla base delle istruzioni per la compilazione del modello di dichiarazione a fini dell’IMU per gli enti non commerciali in allegato al d.m. 26 giugno 2014, non ponendosi detti criteri in armonia con quanto stabilito dalla decisione adottata dalla Commissione Europea il 19 dicembre 2012 e del d.m. 200/2012 (v., amplius , sul punto, Cass. m. 17704/2024).
Le stesse considerazioni si estendono a tutti i decreti adottati dal Ministero dell’Istruzione per l’assegnazione dei contributi alle scuole paritarie di ogni ordine e grado (da ultimo il d.m. n. 20 del 2024), che parimenti non hanno natura normativa e non possono modificare o introdurre deroghe rispetto alla disciplina delineata dalle fonti normative.
Neppure è decisivo il disavanzo di bilancio, potendo essere condizionato da una pluralità di fattori e come tale non esclusivamente dipendente dall’ammontare delle rette, per cui non è capace di esprimere il concetto di corrispettivo simbolico, né dimostra che quest’ultimo sia stato determinato in assenza di relazione col costo effettivo del servizio, profilo questo che integra, invece, il parametro normativo di riferimento per stabilire il carattere non commerciale dell’attività didattica ai fini che occupano (cfr. Cass. n. 4952/2023 e Cass. n. 17704/2024 e le varie pronunce ivi menzionate).
A ciò si aggiunga che la natura simbolica del corrispettivo deve essere valutata anche in considerazione dei finanziamenti ricevuti dall’istituto scolastico, in quanto, laddove la retta, anche inferiore al costo del servizio, unitamente ai finanziamenti pubblici o anche privati, consenta di raggiungere o, comunque, perseguire il pareggio di bilancio, l’attività è svolta con metodo economico.
Infine, il carattere simbolico del corrispettivo non può essere presunto, ma deve essere dimostrato dal soggetto che invoca l’esenzione ulteriore ragione per cui non può utilizzarsi, quale termine di confronto, il dato disomogeneo e scarsamente significativo del costo medio nazionale, per sopperire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del ricorrente.
In conclusione, la sentenza impugnata è incorsa nelle violazioni denunciate dal Comune ricorrente, in quanto ha ritenuto l’attività didattica esercitata con modalità non commerciali in base ad una verifica del tutto astratta, ponendo a confronto, peraltro, entità non omogenee e, cioè, il corrispettivo effettivamente praticato in un dato contestato temporale e territoriale ed il costo medio del servizio per studente, calcolato dal Ministero, senza prendere, invece, in considerazione dati concreti, quali, ad esempio, oltre alla misura della retta, i costi effettivi sostenuti dall’istituto scolastico e/o i finanziamenti pubblici ricevuti, e prescindendo, inoltre, dall’assolvimento dell’onere probatorio da parte del contribuente.
La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata ed il giudizio rinviato al giudice di appello.
Risulta assorbita la terza censura del ricorso incidentale, concernente la regolamentazione delle spese del giudizio di appello (e, cioè, una statuizione accessoria travolta dalla cassazione della presente sentenza).
In conclusione, previo rigetto del ricorso incidentale, vanno accolti il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, assorbiti il primo e l’ultimo, e cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Trento, in diversa composizione, a cui si demanda anche la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione:
rigetta il ricorso incidentale;
accoglie i primi tre motivi del ricorso principale, assorbito l’ultimo, e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Trento, in diversa composizione, a cui demanda anche la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 14/11/2024 .