Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31641 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31641 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 09/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13692/2023 R.G. proposto da: CONGREGAZIONE SUORE VITTIME ESPIATRICI DI GESÙ SACRAMENTATO, rappresentate e difese da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI COGNOME DI NAPOLI, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, sede di NAPOLI n. 7958/2022 depositata il 19/12/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’amministrazione comunale di Mugnano di Napoli ha notificato alla ricorrente un avviso di accertamento/liquidazione relativo a mancato pagamento imposta IMU per l’anno 2014, relativa a n. 21 immobili, importo differenziale per un totale di € 45.831,51.
Il contribuente ha proposto ricorso avverso tale provvedimento, innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli.
Nelle more, in ottemperanza alla sentenza della CTP di Napoli n. 9216/41/19 relativa ad IMU 2013 passata in cosa giudicata, il comune ha emesso rettifica dell’avviso (pure esso impugnato, ed al quale è seguito rigetto – con condanna alle spese – con sentenza della C.T.P di Napoli n 6735/2022 per inammissibilità, in quanto pendente il giudizio relativo all’accertamento non rettificato) determinandosi l’imposta IMU 2014 nella somma di €. 11.695,09.
La Commissione Provinciale di Napoli ha emesso sentenza n. 8823/2022, di parziale accoglimento, ritenendo che sussistesse l’esenzione dal tributo IMU limitatamente alle aree destinate al culto (recependosi il giudicato ottemperato).
Tale decisione è stata impugnata innanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania dalla Congregazione, in relazione alla denegata esenzione per gli altri cespiti (immobili adibiti a didattica, il giardino quale pertinenza del convento).
La CTR, con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto l’appello , compensando le spese.
Avverso la suddetta sentenza di gravame la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a n. 6 motivi (di cui i primi 4 articolati) , cui ha resistito con controricorso l’amministrazione comunale.
Successivamente parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare deve analizzarsi la eccezione di parte controricorrente, che deduce la declaratoria di improponibilità ed inammissibilità della proposta impugnazione atteso che ‘ il Protocollo sottoscritto il 01/03/2023 dal Presidente della Corte di Cassazione, dal Presidente del Consiglio Nazionale Forense, dal Procuratore Generale della Corte di Cassazione e dall’Avvocatura Generale dello Stato, ormai vigente per la proponibilità degli atti innanzi i Giudici di legittimità, prevede espressamente che gli atti vengano redatti e quindi proposti con l’espressa indicazione di: indice, parole chiave, oltre che menzione dell’oggetto e sintesi di motivi’ mentre ‘Tutto ciò non è dato ravvisare nell’atto introduttivo proposto dalla Congregazione. Infatti, dalla disamina attenta dell’atto si evince che esso non incorpora l’indice, né reca l’indicazione delle parole chiave, relegando il tutto ad una mera indicazione dell’oggetto del giudizio e alla sintesi dei motivi’.
1.1. Tale eccezione è infondata, atteso che il suddetto protocollo non dispone (e non potrebbe comunque farlo, posto che non assurge a fonte del diritto) alcuna sanzione per la inosservanza. I profili di inammissibilità, improcedibilità e improponibiltà restano dunque ancorati alle sole previsioni normative esistenti (Cass. 29/07/2021, n. 21831 (Rv. 661927 – 01)).
Quanto alla seconda eccezione, il controricorrente rileva che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania ha statuito in maniera esattamente conforme all’orientamento ed ai principi dettati dalla Suprema Corte in materia oggetto delle doglianze di controparte, circostanza che determinerebbe la declaratoria di inammissibilità del proposto ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., trattandosi di provvedimento impugnato che ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte. Tale questione non può essere considerata con riferimento alla
sentenza nel suo complesso, ma con riferimento ai singoli motivi di ricorso. Nei termini in cui è formulata è dunque inammissibile.
Contesta, infine, la eccessiva lunghezza del ricorso. La eccezione non determina inammissibilità, non essendo correlati alla violazione del principio di sinteticità ex se sanzioni di tipo processuali, per le quali assume invece rilievo il diverso profilo della non intellegibilità. Va dunque respinta.
Con il primo motivo di ricorso , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 4, c.p.c., si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115, 116 c.p.c. , e dell’art. art. 57 commi 1 e 2 d.l.t. 546/1992 (art. 345 c.p.c.) error in procedendo ed error in iudicando.
4.1. Ritiene la ricorrente che la pertinenza sia stata ritenuta erroneamente dalla CTR come esclusa dal beneficio in ragione del fatto che tale non risulterebbe al catasto, in assenza di ‘graffatura’, in quanto tale ‘graffatura’ sarebbe un elemento accessorio distintivo in mappa della provenienza e/o accorpamento e non determinerebbe l’elemento di diversa tipologia di immobile, prevalendo gli altri elementi, quali l’unica particella, la superficie, la rendita catastale e l’effettiva destinazione urbanistica. La CTR avrebbe violato l’art. 112 c.p.c. non avendo acquisito gli atti necessari alla decisione e quindi introducibili ex art. 57 DLT 546/1992.
4.2. Il motivo è infondato.
4.3. Va rilevato che la dichiarazione di pertinenzialità ai fini IMU è stata fatta solo nel 2019, mentre la fattispecie si riferisce ad imposta dell’anno 2013 , sicché non può assumere rilievo nella fattispecie. Quanto alla valutazione del fatto sottostante ed alla lettura delle prove da parte della CTR, il motivo è inammissibile, in quanto dietro il richiamo a violazioni di norme si cela il tentativo di ottenere dalla Suprema Corte, giudice di legittimità, una diversa ed inammissibile ricostruzione del fatto e valutazione delle prove rispetto a quella pur
plausibile compiuta dai giudici di primo e di secondo grado nell’esercizio del libero convincimento ( ex plurimis: Cass 29/04/2024, n.11422)
4.4. Quanto invece alla dedotta esistenza di giudicati contrastanti, va ribadito che ogni anno fiscale mantiene sotto il profilo qui dedotto la propria autonomia rispetto agli altri, come si dirà meglio con riferimento anche al quinto motivo. Non assume dunque rilievo nella fattispecie in oggetto.
4.5. La censura va dunque respinta.
Con il secondo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 4, c.p.c., si deduce la violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. , l’omessa delibazione di motivo di appello relativo alla determinazione e indicazione dell’entit à del legittimo tributo, l’ erronea ed illegittima applicazione degli interessi e delle sanzioni, nonché l’ error in procedendo ed error in iudicando .
2.1. Sostiene parte ricorrente che la Commissione Tributaria Regionale di Napoli, avallando la omissione della C.T.P. di Napoli, non avrebbe rideterminato gli importi, o quanto meno ordinato al Comune di provvedervi al fine di individuare correttamente l’import o dovuto, epurandolo delle somme non dovute, degli interessi e delle sanzioni, atteso il parziale accoglimento del ricorso relativamente all’IMU 2013.
2.2. Parte controricorrente sostiene invece che, una volta annullato parzialmente l’avviso di accertamento, competa all’ente impositore provvedere ad effettuare il nuovo calcolo, sicché non vi sarebbe alcun vizio nella decisione di gravame.
2.3. Il motivo non può essere accolto.
2.4. Si evince dalla sentenza della Commissione Tributaria Regionale la conferma dell’avviso impugnato per 20 dei 21 immobili (in virtù dell’annullamento parziale da parte della Commissione Tributaria Provinciale). Si trattava di pronuncia implicita, effettivamente non quantificata dalla Commissione Tributaria Regionale, ma agevolmente quantificabile, tanto da non necessitare di ulteriori ricalcoli. Invero, è
sufficiente che parte ricorrente richieda al comune lo scorporo dal dovuto dell’ammontare dell’imposta addebitata per l’immobile escluso ( per il quale l’imposta non è dovuta per quanto detto), comprensivo dei relativi interessi e sanzioni, anch’essi da dedurre. Quanto all’ ingiunzione ed agli eventuali atti successivi, gli stessi sono estranei al presente giudizio, e, se contenenti anche l’impost a inerente l’immobile escluso, dovranno essere opposti nella sede loro propria. Su tutti gli altri immobili devono invece essere pagati interessi e sanzioni e va rammentato che, in materia di IMU, il comune può esigere l’intero anche in pendenza di giudizio, non essendoci una riscossione frazionata.
2.5. Il motivo è dunque infondato.
Con il terzo motivo di ricorso il contribuente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 comma 1 lettera i) del d.l.t. n. 504/92 e richiamato art. 9, comma 8 D.L.T. n. 23/2011, la violazione del D.M. n. 200 del 19/11/2012, della l. 24/01/2012 n. 1 art. 91 bis , della legge n. 27/2012 e del dm 26/06/2014, la violazione del regolamento MEF del 19/11/2012 nonché la erronea applicazione della decisione Commissione UE del 19/12/2012 confermata in parte qua da quella del 3/03/2023, la vio lazione dell’art. 2697 c.c., la violazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c, nonché l’ omessa delibazione e il travisamento della prova costituita.
3.1. Sostiene il ricorrente che debba impugnarsi la sentenza nella parte in cui non ha accolto il ricorso di appello relativamente alla conclusione dell’esenzione della parte dell’immobile adibito ad Istituto Scolastico per pretesa assenza del requisito oggettivo. In particolare, la relazione tecnicocontabile e l’esame del bilancio dimostrerebbero un pareggio tra costi e ricavi, con perdita di esercizio. Ciò proverebbe che le rette, già inferiori a quelle ministeriali per essere simboliche, sono ancor di più insufficienti per coprire i costi.
3.2. A prescindere dai profili di inammissibilità, per la evidente commistione delle censure, ricondotte a molteplici violazione di legge e, unitamente, alla nullità della sentenza, deve ritenersi che il motivo sia infondato.
3.3. Questa Corte si è pronunciata più volte sulla questione della valutazione dell’ammontare del corrispettivo ai fini dell’esenzione dell’imposta sugli immobili (ICI nella fattispecie), in ipotesi di servizio reso dietro pagamento di somme non simboliche da enti aventi natura soggettiva di carattere non commerciale, stabilendo (Cass. 09/02/2024, n. 3674), proprio con riferimento alle rette scolastiche, che ‹‹7.5. in conformità a quanto ritenuto da Cass. 27821/2023 va confermato il principio di diritto secondo cui: ‘per corrispettivo simbolico, ai fini dell’esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i), d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 per l’attività didattica ed in base ai criteri dettati dalla decisione della Commissione dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012, deve intendersi quello caratterizzato da un irrisorio, marginale, del tutto residuale ammontare, in termini tali da non potersi porre in relazione con il servizio reso, così presentandosi come corrispettivo di natura meramente formale, tale da rendere la prestazione più prossima ad una erogazione gratuita, che a quella sotto remunerata rispetto agli standard medi’».
3.4. Secondo i profili elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, si deve verificare: a) la necessaria compresenza, ai fini dell’esenzione Ici invocata ex art. 7 co. 1 lett. i) d.lgs. 504/92 (valevole anche per la disciplina IMU) di un requisito soggettivo (qui non in discussione) e di un requisito oggettivo dato dallo svolgimento con modalità non commerciali dell’attività scolastica; b) l’accollo del relativo onere probatorio in capo al contribuente che l’esenzione deduca in deroga alla regola di generale contribuzione; c) la necessità che questa prova muova da dati, non formali, statutari o comunque aprioristici, bensì dalla dimostrazione delle concrete modalità di
svolgimento dell’attività nel periodo considerato e dei loro effettivi contenuti economici; d) l’esigenza che l’attività didattica venga espletata (anche e proprio in ragione dei vincoli UE: decisione 2013/284/UE della Commissione, del 19 dicembre 2012) a titolo gratuito ovvero a fronte di corrispettivi sostanzialmente simbolici (per la cui nozione si rinvia, in particolare, a Cass.n. 27821/23 e n. 3674/19); e) il carattere indicativo e non dirimente dei parametri di cui al DMef 200/12 (che richiama esso stesso il requisito della simbolicità dei corrispettivi: art. 4 co. 3^ lett.c)), così come del rapporto su di esso instaurabile tra costo medio per studente (CMS) e corrispettivo medio percepito (CM); f) la irrilevanza del risultato della gestione e, in part icolare, del fatto che nell’esercizio considerato questa sia stata in perdita (Cass.n. 34311/22).
3.5. Nel caso di specie dalla relazione del CTP dell’ente religioso emerge che le rette pagate in favore della congregazione nell’anno di interesse ammontavano a:
Per l’anno 2012 :
Euro 92.340,00 per 80 bambini della scuola materna
Euro 259.660,00 per 200 bambini della scuola primaria Per l’anno 2013 :
Euro 84.262,00 per n. 73 bambini della scuola materna Euro 248.878,00 per n. 191 bambini della scuola primaria Per l’anno 2014 :
euro 79.646,00 per n. 69 bambini della scuola materna
euro 245.382,00 per 187 bambini della scuola primaria.
3.6. Non si è dunque in presenza di retta simbolica per l’anno in questione e, stante la irrilevanza della perdita di esercizio, per quanto detto sopra, la censura deve ritenersi infondata, dovendosi concludere che la CTR abbia fatto corretta applicazione del principio.
Con il quarto motivo di ricorso il contribuente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 4, c.p.c., la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. del d.l.t. 504/1992 e della correlata circolare MEF del 26/01/2009 in aderenza ai principi espressi dalla Corte Costituzionale con sent. 429/2006 ed ord. n. 19 del 26/01/2007, nonché la violazione dell’art. 13 d.l. 6/12/2011 n. 201, comma 1 e 2 con combinato disposto art. 2 d.l.t. 504/1992, la violazione artt. 112 e 113 c.p.c. , l’ error in iudicando ed error in procedendo.
La CTR avrebbe errato nel non riconoscere l’esenzione a parte degli immobili, in quanto non utilizzati.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. È invero incontestato che la ricorrente, per l’anno 201 4, non ha mai presentato al comune alcuna dichiarazione attestante l’inagibilità e del non utilizzo degli immobili, né ha dato prova in giudizio della conoscenza aliunde, in capo al comune, dello stato di inagibilità né tale pregressa conoscenza emerge dalla documentazione prodotta in giudizio.
4.3. L’affermazione secondo cui la riduzione dell’IMU va riconosciuta, in base al principio di buona fede e di leale collaborazione tra le parti e anche in assenza di specifica dichiarazione, qualora lo stato di inagibilità sia noto al Comune, richiede infatti la prova della conoscenza da parte dell’ente dello stato di inagibilità ed inutilizzabilità delle unità immobiliari oggetto dell’accertamento (Cass. 15/09/2023, n.26679, al punto 7.5.). Difatti, in tema di IMU e nell’ipotesi di immobile inagibile, l’imposta va ridotta, ai sensi dell’art. 13, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011 (conv. con modif. dalla l.n. 214 del 2011), nella misura del 50 per cento anche in assenza di richiesta del contribuente quando lo stato di inagibilità è perfettamente noto al Comune, tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente di cui è espressione anche la regola secondo cui a quest’ultimo non può essere chiesta la prova di
fatti già documentalmente noti al Comune (Cass 26/03/2021, n. 8592 (Rv. 660884 – 01)).
4.4. Nel caso di specie il ricorrente deduce che la prova del degrado e dell’inutilizzo era notoria, tanto che l’immobile sarebbe stato (successivamente) demolito, e che è stata prodotta (solo) durante il giudizio una perizia di parte, corredata da prove fotografiche e documentali (pag. 37 del ricorso). Ritiene la Corte che tale circostanza non sia univoca, potendo la demolizione trovare la propria ragione anche in diversi presupposti, e che la produzione in sede di giudizio non sia ovviamente idonea a forn ire una comunicazione ‘retroattiva’ sullo stato dell’immobile. Difetta quindi la prova di una conoscenza pregressa da parte dell’ente impositore.
4.5. Il motivo va quindi rigettato.
Con il quinto motivo di ricorso il contribuente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., il contrasto di giudicato relativo ad accertamenti seriali aventi lo stesso immutato oggetto, con conseguente violazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c.
5.1. Va rammentato che il giudicato non si forma sulla interpretazione della norma: in tema di giudicato esterno, l’interpretazione delle norme giuridiche compiuta dal giudice non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro giudice, la quale, in quanto consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può incontrare vincoli, non trovando riconoscimento, nell’ordinamento processuale italiano, il principio dello stare decisis (Cass. 05/03/2024, n. 5822 (Rv. 670813 – 01)).
5.2. Ciò premesso, quanto alla dedotta esistenza di giudicati esterni in merito alla questione delle pertinenza, va ribadito che ogni anno fiscale mantiene la propria autonomia rispetto agli altri e comporta la costituzione, tra contribuente e fisco, di un rapporto giuridico distinto rispetto a quelli relativi agli anni precedenti e successivi onde, qualora le controversie relative a diverse annualità
d’imposta del medesimo tributo, ancorché concernenti questioni in tutto o in parte analoghe, siano separatamente decise con più sentenze (anziché con una sola, previa riunione dei relativi giudizi), ciascun giudizio mantiene la sua autonomia e la decisione ad esso relativa non è suscettibile di costituire cosa giudicata rispetto ai giudizi relativi alle altre annualità. Si è più volte affermato (tra le molte v. Cass. n. 16684/22, in applicazione dell’indirizzo originato da Cass. SU 13916/06) che in tema di accertamento tributario, l’efficacia di giudicato della pronuncia definitiva, resa tra le stesse parti in relazione ad una determinata annualità d’imposta, estende i suoi effetti anche alle altre, nel caso in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno durata pluriennale e sono idonei a produrre effetti lungo un arco temporale che comprende più periodi d’imposizione, potendo perciò essere trattati come un unico periodo d’imposta; con ciò escludendosi l’efficacia espansiva nel tempo a fronte di fatti in suscettibili di indefettibile durevolezza e costanza nel loro possibile mutare di anno in anno, come nella specie (rapporto pertinenziale).
Il motivo è quindi infondato.
Con il sesto motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., e dell’art. 113 c.p.c., in relazione alla condanna al pagamento delle spese legali.
6.1. Deve rilevarsi che anche se difeso dal proprio funzionario, al Comune spetta comunque il diritto al rimborso delle spese legali: ‘ 2.3. al riguardo vanno richiamati, in questa sede, i principi di diritto recentemente affermati da questa Corte (cfr. Cass. n. 4473/2021); 2.4. l’art. 15 co. 2 bis del D.Igs. n. 546/1992, vigente ratione temporis (in forza delle modifiche apportate dal d.l. 24 gennaio 2012, convertito con modificazioni dalla legge 24.3.2012 n. 27), dispone, infatti, che, nel caso in cui la parte pubblica, risultata vittoriosa, sia stata assistita da un proprio funzionario o da un proprio dipendente, si applica per la
liquidazione il «compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo, ivi previsto», prevedendo espressamente, pertanto, la liquidazione dei compensi per l’attività difensiva svolta in giudizio (cfr. da ultimo Ca ss. n. 23055/2019)’ (Cass. 19/07/2021, n. 20590).
6 .2. Anche l’ultima censura è dunque da respingere.
In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
In conseguenza dell’esito del giudizio ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, com ma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.400,00. per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 14/11/2024 .