Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32675 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32675 Anno 2024
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3119/2024 R.G. proposto da: UNIVERSITA’ RAGIONE_SOCIALE DI NAPOLI NOME, elettivamente domiciliata in NAPOLI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende ed ai fini del presente giudizio domiciliata digitalmente al suo indirizzo pec:
EMAIL;
-ricorrente-
contro
COMUNE DI NAPOLI, elettivamente domiciliato in napoli INDIRIZZOPALAZZO INDIRIZZO), presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente e ricorrente in via incidentale- avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO CAMPANIA n. 3947/2023 depositata il 22/06/2023; Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/09/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. la C.T.P. di Napoli, con la n. 8832/2021, accoglieva, in parte, il ricorso proposto dall’Università degli Studi di Napoli Federico II avverso l’avviso di rettifica n. 562978 -28, relativo all’omesso pagamento dell’ IMU per l’annualità 2016 per un importo di euro 1.892.384,00, oltre sanzioni ed interessi, per complessivi euro 2.629.344,00 relativamente ad alcune delle complessive 243 unità immobiliari risultanti in possesso di detto Ateneo (in specie, in proprietà o uso perpetuo) elencate nel prospetto contenuto nello stesso avviso di rettifica. I primi giudici, nel rigettare le questioni preliminari (relative al difetto di motivazione ed alla violazione del principio de contraddittorio) annullavano la pretesa con riferimento a taluni i cespiti dell’avviso, ad esclusione di quelli indicati al n. 116 (vico COGNOME) e quelli indicati ai nn. da 36 a 41 e da 184 a 192, nonché quelli indicati ai nn. 79; 114; 115; 117; 118; 171; 172; 174; 181; 182; 248; 249 ovvero quelli detenuti dall’Ateneo, e locati (e quindi uti lizzati ‘con modalità commerciale’, oppure occupati da studenti; 2. la Corte di giustizia tributaria di II grado della Campania, con la sentenza n. 3947/2023 del 20/4/2023, accoglieva l’appello proposto del Comune di Napoli limitatamente all’ immobile di INDIRIZZO (n. 176 dell’avviso) e per il resto lo rigettava, rigettando, altresì, l’appello incidentale avanzato dall’Università degli Studi di Napoli
Federico II;
l’Università degli Studi di Napoli Federico II ha impugnato la suddetta sentenza, sulla base di sei motivi, con ricorso che risulta notificato in data 22 gennaio 2024 alle ore 16,00;
il Comune di Napoli ha impugnato la medesima sentenza, sulla base di sei motivi, con ricorso che risulta notificato in data 22 gennaio 2024 alle ore 21.27;
il Comune di Napoli e l’Università degli Studi di Napoli Federico II hanno resistito ai rispettivi ricorsi con controricorso.
CONSIDERATO CHE
l’Università degli Studi di Napoli Federico II, con il primo motivo di ricorso, ha dedotto, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L. n. 212/2000 e dell’art. 3 legge n. 241 /90, nonché del comb. disp. degli artt. 9, comma 7, d.lgs. n. 23/2011 e 1, comma 162, legge n. 296/2006 e dell’ art. 5 legge n. 212/2000 non risultando indicate, nell’atto impugnato, le ragioni (presupposti giuridici o di fatto) della presunta diversità oggettiva o soggettiva rispetto al dichiarato, se non una mera ‘differenza’ di IMU rispetto a quella liquidata (e non accertata), senza alcun abbinamento dei pagamenti effettuati, né indicazione dei criteri di calcolo e determinazione dell’imposta e sanzioni, né la base imponibile, né la misura, né la decorrenza degli interessi;
con il secondo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., comma 6, 132 c.p.c., 36, comma 2, n. 4, e 61 d. lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art . 118 disp. att. c.p.c., atteso che la sentenza impugnata, in ordine al rigetto del motivo di impugnazione relativo al difetto di motivazione dell’atto impugnato aveva argomentato in modo del tutto generico ed assiomatico ed obiettivamente incomprensibile;
con il terzo motivo ha dedotto, ai sensi dell’ art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c. nullità della sentenza per violazione dell’artt. 11 e ss. d.lgs. n. 504/92, nonché dell’art. 11 del Regolamento IMU del Comune, e degli dell’art. 24 e 97 della Cost. motivazio ne apparente in violazione degli artt. 111 Cost., comma 6, 132 c.p.c., 36, comma 2,
n. 4, e 61 d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., assumendo che nel pronunciarsi la CGT di II grado non aveva applicato le norme che individuano l’iter istruttorio che il Comune avrebbe dovuto osservare ai fini della legittima determinazione/liquidazione/accertamento del tributo, né aveva applicato il principio dell’obbligo del contraddittorio alla luce della più recente interpretazione di legittimità;
4. con il quarto motivo ha dedotto, ai sensi dell’ art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c. nullità per violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 115 c.p.c. e violazione degli artt. 111 Cost., comma 6, 132 c.p.c., 36, comma 2, n. 4, e 61 D.Lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per erroneo apprezzamento ed incongrua valutazione degli elementi di prova in atti da parte del Giudice di appello sull’accoglimento del motivo di impugnazione del Comune sul cespite indicato al sub 176 (centro Congressi) dell’Ateneo non considerando che la contribuente aveva comprovato il diritto all’esenzione IMU per tutti gli immobili indicati ai nn. 75, 76, 78, 111, 159, 162, e sub 176 e 177) nonchè da 60 a 63 destinati allo svolgimento dell’attività istituzionale con modalità ‘non commerciale’;
5. con il quinto motivo ha dedotto, ai sensi dell’ art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c. nullità della sentenza per violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 115 c.p.c. e violazione degli artt. 111 Cost., comma 6, 132 c.p.c., 36, comma 2, n. 4, e 61 d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c. per difetto di motivazione per erroneo apprezzamento della prova fornita in atti in ordine al cespite riportato nel prospetto sub n.116 (INDIRIZZO) dell’Ateneo;
6. con il sesto motivo ha dedotto, ai sensi dell’ art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c. nullità della sentenza per violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 115 c.p.c. e violazione degli artt. 111 Cost., comma 6, 132 c.p.c., 36, comma 2, n. 4, e 61 d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c. per difetto di motivazione ed erroneo
apprezzamento della prova fornita in atti in ordine ai cespiti locati o occupati da studenti su cui l’Ateneo aveva regolarmente pagato l’IMU a mezzo compensazione con il credito IMU della precedente dichiarazione di cui era stata fornita prova in giudizio;
il comune di Napoli ha proposto ricorso – da qualificarsi come ricorso incidentale in quanto successivo a quello di parte contribuente (vedi, per tutte, Cass. n. 36057/2021) -deducendo i seguenti motivi:
7.1. con il primo motivo (indicato sub. B1.) l’ente impositore ha lamentato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 1, 2 e 3 del d.lgs. n. 504/1992, dell’art. 13, comma 2, del d .l. n. 201/2011, con riferimento all’art. 4 del D.M. 25.3.1991. Ha assunto che Commissione Tributaria Regionale, aderendo alla tesi dell’Università Federico II, aveva erroneamente ritenuto che il ‘possessore’ degli immobili in esame, come tale soggetto passivo d’imposta dell’IMU, fosse l’Università Vanvitelli (ex S.U.N.) e non la Federico II, (come, invece, ritenuto dal Comune di Napoli) sebbene fosse pacifico -in quanto non contestato- che quest’ultimo Ateneo, rispetto agli immobili in questione, nel 2016 risultasse in parte ‘proprietario’ e in parte titolare del diritto di ‘uso perpetuo’, come desumibile anche da due elenchi di immobili in atti, basando il proprio convincimento sul disposto di cui all’art. 4 del D.M. 25.3.1991 da cui sarebbe risultato che i beni in questione erano gravati da un diritto d’uso in favore dell’Università Vanvitelli, rispetto a cui l’Università Federico II non avrebbe avuto la possibilità di continuare a utilizzarli (a differenza del comodante che, ex art. 1804 c.c., può far ces sare l’uso del comodatario), essendogli stata sottratta, ex lege , la disponibilità di tali immobili. Ha rilevato che, per contro, non era stata fornita la prova, mediante un atto formalmente e sostanzialmente idoneo allo scopo, che la Federico II, in forza del persistente proprio diritto di proprietà o diritto reale d’uso (solo in parte compresso da un
concorrente diritto d’uso della COGNOME, peraltro neppure perfezionato/formalizzato) non poteva ‘utilizzare’ gli immobili de quibus e che, per contro, essendo normativamente previsto l’utilizzo congiunto delle strutture dell’Università, in assenza della prevista Convenzione e/o di qualsivoglia atto traslativo del diritto d’uso (ritualmente formalizzato/trascritto) che, individuando specificatamente alcune strutture, ne avesse trasferito il possesso alla Vanvitelli, la sentenza impugnata era da ritenere errata in punto di corretto accertamento del soggetto passivo d’imposta per gli immobili sopra menzionati;
7.2. con il secondo motivo (indicato sub. B.2.) ha dedotto, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c. la violazione o falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs.504/1992 in connessione all’art. 3, comma 1, de l medesimo d.lgs., assumendo che era erronea l’affermazione dei giudici di appello secondo cui, anche a volere ritenere la Università Federico II possessore (ex art. 13, comma 2, d.l. 6 dicembre 2011 n. 201), andava tenuto conto che trattavasi di immobili destinati allo svolgimento con modalità non commerciali di attività didattiche, per i quali spettava l’esenzione di cui all’art. 7, comma l, lett. i), d.lgs. n. 504/92 non avendo i giudici di appello considerato che, in merito alla possibilità di beneficiare della esenzione – ex art 7, comma 1, lett. i), del d lgs. n. 504/1992 – nell’ipotesi di utilizzazione c.d. indiretta dei suindicati immobili, per finalità istituzionali, da parte di altro Ente non commerciale (ossia l’Università Vanvitelli), la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte si era pronunciata, in via di principio, nel senso di escludere la possibilità di beneficiare di detta esenzione e ciò anche laddove l’utilizzazione indiretta avvenisse per finalità istituzionali e ad opera di enti non commerciali in quanto difetterebbe il requisito di cui alla lett. c), trattandosi di Atenei distinti e fra loro autonomi. Nella specie, dunque, non ricorrendo <> sicchè l’ Università Federico II non poteva, quindi, beneficiare di tale esenzione;
7.3. con il terzo motivo (indicato sub. C3) ha rilevato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs. 504/1992 in connessione alla corretta applicazione dell’art. 2697, primo comma, cod. civ. e dell’art. 115, primo comma, cod. proc. civ. lamentando che i giudici di appello con riferimento agli immobili erroneamente indicati nella sentenza de qua ai nn. 59 a 62, 74, 75, 77, 110, 158, 161, 175, 54, 56 e 57 del prospetto di liquidazione ma che, in effetti, risultavano essere quelli individuati ai nn. 60, 62 e 63, nonché ai nn. 75; 78; 111; 159; 162, 176 -immobili che per la sentenza impugnata erano da ritenere esenti da IMU, beneficiando dell’esenzione dell’ art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 504/92 in quanto da detenuti dalla Federico II e destinati allo svolgimento dell’attività istituzionali i giudici di merito non avevano considerato che gli stessi non erano in realtà utilizzati esclusivamente per lo svolgimento di attività meritevoli di esenzione ed, infatti, dalla documentazione versata in atti emergeva che: – gli immobili indicati ai punti da 59 a 62 del prospetto di liquidazione erano utilizzati rispettivamente quali punto ristoro ed alloggio del custode del dipartimento di farmacia; – l’immobile al punto 61 era un locale ad uso del dipartimento di farmacia ma per il quale non veniva indicata l’attività svolta.. ; – l’immobile al punto 158 risultava indicato come ingresso di INDIRIZZO; – l’immobile al punto 161 era in uso al centro Musei ma non era specificata la destinazione d’uso dello stesso; l’immobile di INDIRIZZO era in parte destinato a centro congressi (cespite n. 175 del prospetto di liquidazione); per quanto riguarda la sottoposizione a tassazione degli immobili adibiti ad uffici amministrativi (INDIRIZZO, l’ immobile era utilizzato
per uffici contabili ed altre attività diverse da quelle didattiche, come si evince dalla documentazione allegata;
7.4. con il quarto motivo (indicato sub. C.4) ha rilevato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs. 504/1992 non avendo i giudici di merito considerato che quanto alle cabine elettriche – immobili di cui ai nn. 55 e 70 -era da ritenere non conforme a diritto l’individuazione della soggettività passiva in capo all’Enel S.p.A. atteso che gli artt. 9 e 13 contemplano quali soggetti passivi del tributo il proprietario dell’immobile ovvero il titolare del diritto di usufrutto, di uso, di abitazione, di enfiteusi o di superficie sull’immobile ma non il titolare del diritto di servitù con la conseguenza che per gli immobili in questione, soggetti a servitù, l’imposta resta a carico della ricorrente ed in tale senso richiama i principi fissati da Cass.13795/2019);
7.5. con il quinto motivo (indicato sub. C.5.) ha rilevato, ex art.360 comma 1 n. 3 c.p.c. in relazione alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del D.Lgs. 504/1992 in connessione alla corretta applicazi one dell’art. 2697, c. 1, del c.c. e dell’art. 115, c. 1, del c.p.c. Ha lamentato che riferimento al cespite sub n. 157 del prospetto di liquidazione, la sentenza impugnata aveva osservato trattarsi di bene concesso a titolo gratuito alla Regione Campania che ivi aveva collocato i propri uffici per l’Agenzia del diritto allo Studio Universitario della Regione Campania RAGIONE_SOCIALE, come da delibera dell’Agenzia del demanio del 2011, prodotta non avendo tuttavia i giudici di merito considerato che trattavasi di bene consegnato all’Università degli Studi di Napoli Federico II in uso gratuito e perpetuo e che agli atti non vi era altra documentazione attestante la revoca dell’uso perpetuo nei confronti dell’Ateneo;
7.6. con il sesto motivo (indicato sub. D.6) ha rilevato, ex art.360 comma 1 n. 3 c.p.c. violazione o falsa C5) violazione o falsa
applicazione di norme di diritto di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del d.lgs. 504/1992 in connessione alla corretta applicazione dell’art. 2697, comma 1, del c.c. e dell’art. 115, comma 1, del c.p.c. non avendo i giudici di merito considerato che per quanto concerneva gli immobili di cui ai nn. 16, 25 e 26 siti in INDIRIZZO concessi in uso alla A.U.O, non era stato provato che su tali tre immobili la Federico II aveva trasferito un diritto reale alla A.O.U. sicchè la disponibilità di detti i mmobili da parte dell’A.O.U. non era giuridicamente qualificabile come una delle fattispecie tassativamente previste dall’art. 3 del d.lgs. n. 504/1992;
7.7. l’ente ricorrente ha chiesto, infine, riformare il capo della sentenza relativo alla condanna del Comune alle spese del doppio grado di giudizio e ciò, in quanto tale statuizione (non aveva tenuto conto che sia in 1° che in 2° grado, per quanto suesposto, vi era stato un accoglimento solo parziale del ricorso e dell’appello di controparte;
8. in via preliminare e generale vanno rigettate le eccezioni di inammissibilità dei rispettivi ricorsi, formulate da entrambe le parti, dovendosi osservare che, diversamente da quanto vorrebbe sostenersi nelle rispettive difese, non si tratta, di motivi in toto inammissibili, perché i prospettati errori logico-giuridici non implicano affatto, sempre e comunque, la rivisitazione nella presente sede di legittimità di aspetti fattuali, quanto, prevalentemente, profili di stretta rilevanza tecnico-giuridica; inoltre, non può fondatamente sostenersi che essi siano sempre carenti del requisito di specificità ed autosufficienza, dal momento che , per lo più, proprio la natura prettamente giuridica delle doglianze in essi trasversalmente contenuta esclude che la loro illustrazione richiedesse (sempre) l’inserimento, la trascrizione o lo specifico richiamo di elementi diversi rispetto a quelli indicati e richiamati ed ulteriori dalla normativa asseritamente violata in rapporto alle domande ed
eccezioni di parte (il cui atteggiarsi nel corso dei vari gradi del processo risulta, per lo più, pacifico tra le parti);
osserva questa Corte che i primi due motivi del ricorso principale -i quali possono essere esaminati in quanto fra loro connessi -sono in parte infondati ed in parte inammissibili;
9.1. deve certamente escludersi la sussistenza di una motivazione apparente in quanto rispetto a tutte le questioni poste nel giudizio di appello e in questa sede reiterate i giudici di appello.
Per costante giurisprudenza, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6^-5, 15 aprile 2021, n. 9975). Peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di ‘motivazione apparente’, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., Sez. 6^-5, 24 febbraio 2022, n. 6184).
Nel nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione che non può pertanto sopravvivere neppure se denunciato ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c., come avvenuto nel caso di specie.
Nel caso in esame, dunque, il decisum raggiunge la soglia del minimo costituzionale, avendo i giudici di appello argomentato circa la sussistenza di una adeguata motivazione dell’atto impositivo ed alla determinatezza dei criteri di calcolo degli interessi.
Trattasi, quindi, di censura che costituiscono mera riproposizione dell’eccezione di nullità del provvedimento impositivo motivatamente disattesa dai giudici di appello e, peraltro, la parte non mette la Corte nella condizione di ripercorrere il contenuto dell’avviso di accertamento impugnato nei suoi tratti contenutistici essenziali.
La censura è, dunque, sotto tale profilo, anche inammissibile per difetto di specificità ex art. 366 c.p.c. dovendosi in questa sede dare seguito al principio di diritto secondo il quale in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento -il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo (cfr. Cass. nn. 16147/2017, 2928/2015, 8312/2013). Tale condizione di ammissibilità del mezzo non è stata concretizzata dalla ricorrente nella sua formulazione, non essendo stata affatto riportata, quanto meno per estra tto e nei punti rilevanti, la motivazione dell’atto impositivo impugnato sia in relazione ai presupposti impositivi sia
con riferimento al quantum debeatur ed ai chiesti interessi la cui motivazione, a dire della contribuente, sarebbe non comprensibile; 10. il terzo motivo è privo di fondamento alcuno dovendosi osservare da un lato che l’Università degli Studi di Napoli Federico II non specifica l’esatto contenuto della disposizione regolamentare che sarebbe stata violata e, per altro verso, che nel caso in esame non sussisteva un diritto al contraddittorio preventivo.
Infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’obbligo generale di contraddittorio preventivo esiste unicamente per i c.d. ‘tributi armonizzati’, mentre per i c.d. ‘tributi non armonizzati’ occorre una specifica previsione normativa (tra le tante: Cass., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24823; Cass., Sez. VI/V, 31 maggio 2016, nn. 11283, 11284, 11285 e 11286; Cass., Sez. V, 15 marzo 2017, nn. 6757 e 6758; Cass., Sez. VI/V, 7 ottobre 2020, nn. 21616 e 21618; Cass., Sez. V, 1° dicembre 2020, n. 27382; Cass., Sez. V, 16 dicembre 2021, n. 40482; Cass., Sez. V, 21 dicembre 2021, nn. 41041, 41106, 41110, 41116 e 41119; Cass., Sez. V, 10 gennaio 2022, n. 366; Cass., Sez. V, 23 maggio 2022, n. 16481). Per i tributi (“non armonizzati”, come l’IRPEF, l’IRAP, le imposte di registro, ipotecaria e catastale, i tributi locali), l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di instaurare il contraddittorio nel corso del procedimento non sussiste per gli accertamenti c.d. ‘a tavolino’, per cui non si pone la questi one di un’eventuale inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212. Quindi, in via generale, solo nell’ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, è già stata operata dal legislatore una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio, attraverso la comminatoria di nullità dell’atto impositivo nel caso di violazione del termine dilatorio di sessanta giorni per consentire al contribuente l’interlocuzione con l’amministrazione finanziaria con decorrenza dalla conclusione delle operazioni di controllo. La Corte costituzionale, pur rilevando che
« la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale», ha, nondimeno, osservato che « dalla pluralità dei moduli procedimentali legislativamente previsti e dal loro ambito applicativo, emerge con evidenza la varietà e la frammentarietà delle norme che disciplinano l’istituto e la difficoltà di assumere una di esse a modello generale » (così Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47), precisando, quindi, che: «Il principio enunciato dall’art. 12, comma 7, statuto contribuente -la partecipazione procedimentale del contribuente -ancorché esprima una esigenza di carattere costituzionale, non può essere esteso in via generale tramite una sentenza di questa Corte; comunque la soluzione proposta dal rimettente potrebbe creare disfunzioni nel sistema tributario, imponendo un’unica tipologia partecipativ a per tutti gli accertamenti, anche ‘a tavolino’», per poi desumerne che: «Di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali evidenziati, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti» (Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47). Nella specie, quindi, esulandosi dal campo dei c.d. ‘tributi armonizzati’ ed essendo stato l’accertamento svolto ‘a tavolino’, in assenza di una specifica previsione della disciplina nazionale e regionale, non può affermarsi l’esistenza di un obbligo di co ntraddittorio preventivo, la cui mancanza possa invalidare l’atto impositivo (cfr. su tali principi, tra le tante, Cass. Sez. T. 3 maggio 2023, n. 11518);
11. il quarto motivo è inammissibile. Tale motivo che, come anticipato, espone una censura di violazione e falsa applicazione di legge tende, in effetti, a rimettere in discussione un accertamento in fatto senza considerare, però, che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge (e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa) laddove l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito che è sottoposta al sindacato di legittimità nei limiti delin eati (ora) dall’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.; difatti, il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (v. Cass., 27 luglio 2023, n. 22938; Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., 11 gennaio 2016, n. 195; Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., 11 agosto 2004, n. 15499). Il difetto di motivazione è ora censurabile ex n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., mentre non è ammissibile la censura di erroneo apprezzamento ed incongrua valutazione degli elementi di prova in atti da parte del Giudice di appello sull’accoglimento del motivo di appello del Comune sul cespite indicato al sub 176 (centro Congressi) de ll”Ateneo, così come sugli altri cespiti;
12. analoghe considerazioni valgono per il quinto ed il sesto motivo in quanto si denunzia una asserita violazione di legge, lamentandosi in effetti, in modo inammissibile, un difetto di motivazione per
erroneo apprezzamento degli elementi di prova ovvero dei dati fattuali;
il ricorso incidentale può trovare parziale accoglimento;
il primo ed il secondo motivo – i quali possono essere esaminati congiuntamente in quanto fra loro connessi -sono privi di fondamento;
14.1. va premesso, sotto il profilo normativo, che la legge n. 245/1990 – Norme sul piano triennale di sviluppo dell’università e per l’attuazione del piano quadriennale 1986-1990 -ha così stabilito: art. 7. ‘1. Le disposizioni di cui agli articoli 2, 4 e 6 si applicano anche al piano quadriennale di sviluppo dell’università 1986-1990, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 maggio 1989, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 111 del 15 maggio 1989. 2. Per le finalità di cui al comma 1, sono istituite ed attivate, con modifica statutaria, tutte le nuove strutture espressamente previste dal piano di cui al comma 1. Il Politecnico di Bari, la facoltà di magistero presso l’Università di Catania e la II Università di Napoli, sono istituiti con le modalità di cui agli articoli 8, 9 e 10. 3. Le università possono indicare, con delibera del senato accademico, sentito il consiglio di amministrazione per quanto concerne le risorse necessarie, le priorità nell’attivazione delle strutture e dei corsi previsti nel piano di cui al comma 1.4. Per la costituzione della facoltà con corsi attivati alla data di pubblicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1 del presente articolo e previste dal piano predetto quali strutture decentrate da altre università si applicano, nel caso in cui alle stesse non siano assegnati almeno cinque professori di ruolo di cui tre di prima fascia, le disposizioni di cui al comma 6 dell’art. 2’. Il successivo art. 10 (Istituzione della II Università di Napoli), a sua volta, ha sta bilito: ‘1. È istituita, nell’area metropolitana di Napoli, la II Università. Essa è compresa fra quelle previste dall’art. 1, secondo comma, n. 1), del testo unico delle leggi
sull’istruzione superiore, approvato con regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 e successive modificazioni e integrazioni. 2. Con decreto del Ministro, adottato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su parere conforme delle competenti commissioni parlamentari, sono dettate le disposizioni per disciplinare, secondo quanto previsto dagli articoli 2 e 4, la costituzione delle facoltà e l’attivazione dei relativi corsi di laurea nonchè le modalità attuative delle previsioni del piano quadriennale di sviluppo 1986-1990, ivi compreso lo scorporo dall’Ateneo Federico II di Napoli della I facoltà di medicina ed il passaggio della stessa alla II Università, con le relative dotazioni organiche, scientifiche, didattiche e strumentali. Il decreto deve comunque prevedere che l’istituzione della II Università di Napoli avvenga contestualmente alla costituzione di più facoltà.’
In forza del successivo D.M. 25/09/1991 è stata previsto, all’art. 4, che: ‘ La facoltà di medicina e chirurgia con i relativi corsi di laurea è istituita a decorrere dall’anno accademico 1992-1993 scorporando dall’Ateneo “Federico II” la prima facoltà di medicina e chirurgia con tutte le relative dotazioni organiche, scientifiche, didattiche e strumentali. La seconda Università di Napoli subentra in tutti i rapporti giuridici facenti capo all’Università “Federico II” relativi al funzionamento della prima facoltà di medicina e chirurgia in atto alla data di inizio dell’anno accademico 1992-93. Fino all’apprestamento delle strutture da adibire a Policlinico della facoltà di medicina e chirurgia della seconda Università di Napoli, quest’ultima funzionerà nelle strutture attualmente utilizzate dalla prima facoltà di m edicina e chirurgia dell’Università’ ‘Federico II”. Con apposita convenzione le due università disciplinano i reciproci rapporti in ordine alla gestione delle strutture utilizzate congiuntamente dalle due facoltà’;
14.2. orbene ancorché difetti, allo stato degli atti, la prova di uno specifico titolo avente natura costitutiva di un diritto reale
(concessione «in gratuito e perpetuo uso») in favore dell’ex RAGIONE_SOCIALE, non può dubitarsi della correttezza della seconda ratio decidendi della C.T.R., anch’essa oggetto di censura;
14.3. invero questa Corte ha avuto modo di chiarire che, a certe e determinate condizioni, l’utilizzazione indiretta del bene può consentire il riconoscimento dell’esenzione in oggetto precisando, sia pure in relazione ad altra agevolazione, ma sulla scorta di un principio avente carattere generale, che «In tema di imposta comunale sugli immobili, l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504 del 1992 spetta non soltanto se l’immobile è direttamente utilizzato dall’ente possessore (nella specie, una fondazione di religione e di culto) per lo svolgimento di compiti istituzionali, ma anche se il bene, concesso in comodato gratuito, sia utilizzato da un altro ente non commerciale per lo svolgimento di attività meritevoli previste dalla norma agevolativa, al primo strumentalmente collegato ed appartenente alla stessa struttura del concedente (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25508 del 18/12/2015; richiamata, in motivazione, da Cass., Sez. 5 – Ordinanza n. 24308 del 30/09/2019 e da Cass. Sez. 5 -Sentenza n. 6795 dell’11/03/2020)» (così Cass., Sez. T, 12 maggio 2021, n. 12539, richiamata da Cass., Sez. T., 16 febbraio 2023, n. 4953). In tale direzione si è avuto modo di rimarcare che detto ordine di idee concerne l’ipotesi nella quale «il comodatario sostanzialmente utilizzi il bene in attuazione dei compiti istituzionali dell’ente concedente, con il quale sussista uno stretto rapporto di strumentalità che potrebbe definirsi “compenetrante”», ovverosia il caso «in cui l’immobile è concesso in comodato a un altro ente non commerciale appartenente alla stessa struttura dell’ente concedente per lo svolgimento di un’attività meritevole prevista dalla norma agevolativa. In questo senso, quindi, si è rilevato che secondo un indirizzo giurisprudenziale che si è venuto affermando nella giurisprudenza della Corte, l’esenzione spetta non soltanto se
l’immobile è direttamente utilizzato dall’ente possessore per lo svolgimento di compiti istituzionali, ma anche se il bene, concesso in comodato gratuito, sia utilizzato da un altro ente non commerciale per lo svolgimento di attività meritevoli previste dalla norma agevolativa, al primo strumentalmente collegato ed appartenente alla stessa struttura del concedente (v., ora, la l. 30 dicembre 2023, n. 213, art. 1, comma 71, lett. A);
14.4. nella fattispecie in esame l’uso indiretto è fondato proprio sulle cennate disposizioni (l. n. 245 del 1990, art. 10; d.m. 25 marzo 1991, art. 4) che impongono, ex lege , una reciproca integrazione di attività funzionale alla costituzione della nuova Università, allo scorporo delle attività corrispondenti alla prima facoltà di medicina e chirurgia (con tutte le relative dotazioni organiche, scientifiche, didattiche e strumentali, ed il subentro della II Università di Napoli in tutti i rapporti giuridici facenti capo all’Università “Federico II” relativi al funzionamento della prima facoltà di medicina e chirurgia) ed all’uso, relativamente alle attività oggetto di scorpor o, delle strutture utilizzate dalla prima facoltà di medicina e chirurgia dell’Università “Federico II’ e da destinare a Policlinico della facoltà di medicina e chirurgia della seconda Università di Napoli). Sebbene, dunque, il regime convenzionale previst o, nella disciplina dell’uso, dal richiamato art. 4 del D.M. 25 marzo 1991 sembrerebbe escludere il possesso (del concessionario) fondato su di un diritto reale (di uso), è, quindi, indubbio che l’uso indiretto risponde all’esercizio di attività esenti da ricondurre alle sopra citate disposizioni e l’integrazione fra i due enti è ‘imposta’ a livello normativo con riferimento alle attività da dismettere ed ai beni da assumere in uso per lo svolgimento delle nuove attività. Tanto consente di escludere la fondatezza delle censure del Comune di Napoli con riferimento ai menzionati locali, con la precisazione che simili conclusioni non appaiono smentite alla luce del richiamato pronunciamento del Consiglio di Stato;
14. il terzo motivo è inammissibile in quanto l’ ente impositore (in disparte la considerazione che ha dedotto una violazione di legge anche in relazione al bene di INDIRIZZO per il quale l’appello è stato accolto), pur lamentando apparentemente una violazione di norme di legge, devol ve all’esame di questa Corte una erronea ricognizione della fattispecie concreta (deducendo mere allegazioni in fatto sulla natura e destinazione di singole unità immobiliari) e, pertanto, finisce per sollecitare un inammissibile riesame del merito del giudizio (vedi Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053). Come, difatti, questa Corte ha, in più occasioni rimarcato, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa laddove l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito che è sottoposta al sindacato di legittimità nei limiti delineati (ora) dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (v., ex plurimis, Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., 11 gennaio 2016, n. 195; Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., 11 agosto 2004, n. 15499). Invero la C.T.R., con motivazione logica, congrua e adeguata, valutato il tenore complessivo delle difese delle parti ed esaminata la documentazione versata in atti, ha ritenuto che trattavasi di immobili non assoggettabili ad IMU, ricostruzione che il Comune cerca di inficiare prospettando una rilettura delle complessive risultanze istruttorie né, per altro verso, la generica deduzione svolta sull’onere della prova è idonea ad inficiare l’accertamento in fatto della impugnata sentenza. Occorre ricordar e che la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte
diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., 25 marzo 2022, n. 9695; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione), violazioni che nel caso di specie non appaiono ravvisabili;
15. il quarto motivo è fondato. Si legge nella sentenza impugnata «Per quanto attiene agli immobili indicati ai nn. 61 e 76 corrispondono, ciascuno, a cabina elettrica, per la quale, ai sensi dell’art. 9, comma 1, del d.Lgs. n. 23/2011, al quale fa riferim ento il comma 1, dell’articolo 13, del d.l. n. 201/2011, ed alla luce dei chiarimenti resi dall’Amministrazione finanziaria (Circolare n. 3/DF, del 18 maggio 2012), pacificamente, l’IMU deve essere assolta dall’Enel, quale soggetto del diritto reale di servitù sullo stesso, come da dichiarazione a firma del Rettore, acquisita agli atti..». Orbene le censure formulate con tale motivo colgono nel segno in quanto a parte la contestazione relativa alla insussistenza della prova di una servitù in favore di ENEL regolarmente trascritta, ciò non escluderebbe il titolo proprietario che fonda la soggettività passiva (in tema di servitù di uso pubblico vedi Cass., 30 settembre 2019, n. 24264; Cass., 22 maggio 2019, n. 13795);
16. il quinto motivo appare privo di fondamento. Relativamente all’immobile indicato al n. 157 (INDIRIZZO, oggetto di tale censura, in ragione dell’accertamento in fatto della C.T.R. in
ordine alla circostanza che trattasi di immobile di proprietà dell’Agenzia del Demanio, concesso a titolo gratuito alla Regione Campania che vi ha ivi collocato i propri uffici per l’Agenzia diritto allo Studio Universitario della Regione Campania (risultando, quindi, ivi esercitata attività istituzionale collegata all’insegnamento universitario; v. Cass., 2 ottobre 2023, n. 27761) va evidenziato che la censura del Comune ricorrente non mette in discussione né l’accertamento relativo all’attività in concreto ivi svolta né la titolarità del bene in capo al Demanio, con la conseguenza che sul punto la sentenza non può che essere confermata;
17. il sesto motivo – relativo ai beni 16, 25 e 26 del prospetto di liquidazione – è da ritenere fondato, ravvisandosi la prospettata violazione di legge.
Infatti in relazione a tali beni il motivo appare condivisibile sotto un duplice profilo: in primo luogo la C.T.R. non ha accertato l’esatto e specifico titolo del possesso che legittima l’imposizione e l’individuazione della soggettività passiva ed, in se condo luogo, il riferimento alla concessione in comodato e, dunque, all’uso indiretto , qui non appare valutato in linea con i principi di diritto in materia, a fronte del rilievo che le unità immobiliari erano state sfruttate commercialmente in quanto concesse in locazione all’esercente attività bancaria (attività commerciale);
18. in conclusione va rigettato il ricorso principale; vanno accolti il quarto ed il sesto motivo del ricorso incidentale, vanno rigettati il primo, il secondo e il quinto e va dichiarata l’inammissibilità del terzo; in relazione ai motivi accolti la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui va demandata anche la regolamentazione delle spese di questo grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto ed il sesto motivo del ricorso incidentale, rigetta il primo, il secondo ed il quinto motivo e dichiara inammissibile il terzo; rigetta il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda anche la regolamentazione delle spese di questo grado di giudizio; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente in via principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Sezione Tributaria in data