Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31970 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31970 Anno 2024
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4291/2023 R.G., proposto
DA
il ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘, con sede in Caivano (NA), in persona degli amministratori pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Nola (NA), ove elettivamente domiciliato (indirizzo pec per comunicazioni e notifiche: EMAIL ), giusta procura in allegato al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
il Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore , r appresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME entrambi con studio in Napoli (presso gli uffici del l’Avvocatura Comunale), elettivamente domiciliato presso l’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma, giusta procura in allegato al controricorso di costituzione nel presente procedimento;
CONTRORICORRENTE
ICI IMU ACCERTAMENTO ESENZIONE ENTI NON LUCRATIVI
Rep.
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Campania il 25 luglio 2022, n. 5567/18/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24 settembre 2024 dal Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
il ‘ Fondo RAGIONE_SOCIALE -Unità Etico -Sociale Domestico Previdenziale ‘ ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Campania il 25 luglio 2022, n. 5567/18/2022, la quale, in controversia sull ‘ impugnazione di avviso di accertamento (denominato ‘ avviso in rettifica ‘) per l’omesso versamento dell’I MU relativa a ll’anno 20 14, in relazione a fabbricati ubicati in Napoli, ha rigettato l’appello proposto dal medesimo nei confronti del Comune di Napoli avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli il 28 maggio 2021, n. 7878/05/2021, con compensazione delle spese giudiziali;
la Commissione tributaria regionale ha confermato la decisione di prime cure -che aveva rigettato il ricorso originario -sul rilievo dell’insussistenza dei presupposti per beneficiare dell’esenzione dipendente dalla destinazione degli immobili a finalità previdenziale ed assistenziale;
il Comune di Napoli ha resistito con controricorso;
il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis. 1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
il ricorso è affidato a sei motivi;
1.1 con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 162, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che l’avviso di accertamento fosse congruamente motivato in relazione ai presupposti di fatto e di diritto per l’insorgenza dell’obbligazione tributaria ;
1.2 con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione de ll’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, nonché nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., per essersi pronunciato sull’appello il giudice di secondo grado in base a circostanze non allegate dall’ente impositore nella motivazione dell’avviso di accertamento (in particolare, con riguardo alla effettiva e concreta destinazione degli immobili all’a ttività previdenziale);
1.3 con il terzo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 11 2 cod. proc. civ. e travisamento della prova, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato deciso l’appello dal giudice di secondo grado con la deduzione della presenza nell’avviso di accertamento di un’espressa rettifica delle dichiarazioni presentate dal contribuente ai fini dell’esenzione , travisando le risultanze probatorie;
1.4 con il quarto motivo, si denunciano, al contempo, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 7, comma 5bis , del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., per essere stato affermato dal giudice di secondo grado « che competerebbe al contribuente l’onere probatorio in ordine all’esistenza dei requisiti per beneficiare del regime di esenzione invocato (cfr. doc. B: ‘la dichiarazione di esenzione
introdotta dall’art. 91-bis D.L. 1/2012 (conv. In L. 27/2012) non è una istanza, ma una dichiarazione ed è posta come condizione di efficacia per poter usufruire della esenzione, ma non implica che alla stessa il Comune debba dare una risposta espressa ovvero lo privi del potere di accertamento ovvero alteri il regime della prova in giudizio (la prova dei presupposti di esenzione spetta sempre al contribuente, che invoca appunto la eccezione e di cui deve dare la prova dei presupposti costitutivi); ‘ », laddove, invece, « l’onere probatorio in ordine alla pretesa fatta valere dall’intimata nell’avviso di accertamento impugnato incombeva unicamente in capo alla medesima, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie, basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni »;
1.5 con il quinto motivo, si denunciano, al contempo, nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nonché violazione degli artt. 7 e 10 dello statuto associativo del contribuente, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato affermato dal giudice di secondo grado che: « il Fondo in esame non svolge attività previdenziali ed assistenziali obbligatorie e che, per la verità dallo Statuto, nello stralcio depositato in primo grado dal Fondo, emerge che rimane ad insindacabile giudizio dell’Ente chi venga ammesso a benefici come pure il contenuto del beneficio nonché la precisazione che il beneficio rimane essere una concessione e non un diritto (v. art. 10 statuto) e che anche per i soci di qualsiasi categoria non esiste un diritto ma solo una ‘legittimazione all’aspettativa’ (v. art. 7), sicché si tratta di una ordinaria associazione che non determina alcun diritto o pretesa in favore di alcuno (tipico invece del rapporto
previdenziale, particolarmente sottolineato in giudizio dal Fondo, è l’assicurare un diritto) », laddove l’ente impositore non ha mai contestato la sussistenza del requisito soggettivo per l’esenzione , mentre le prestazioni previdenziali costituiscono le uniche utilità conseguite dagli associati e possono essere concesse anche a terzi estranei nei limiti delle risorse di bilancio;
1.6 con il sesto motivo, si denunciano, al contempo, violazione e falsa applicazione de ll’art. 7, comma 1, lett. i, del d.lgs. 30 novembre 1992, n. 504, e 1, comma 1, lett. d, del d.m. 19 novembre 2012, n. 200, nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., per essere stato escluso dal giudice di secondo grado « che gli immobili oggetto di accertamento possedessero i requisiti necessari per il conseguimento del beneficio dell’esenzione dall’IMU », valutando, altresì, l’inammissibilità della deduzione da parte del contribuente dell’esenzione prevista dall’art.13, co mma 2, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, laddove, per un verso, tale difesa non era stata ritenuta inammissibile dal giudice di primo grado, né era stata contestata dall ‘ente impositore nel corso del giudizio di appello, e, per altro verso, il richiamo alla disciplina degli alloggi sociali, ben lungi dal costituire motivo aggiunto, in realtà non rappresentava altro che una mera difesa resasi necessaria all’esito delle allegazioni formulate dall’ente impositore nella propria memoria di costituzione;
i motivi -la cui stretta ed intima connessione consiglia la trattazione congiunta per la comune attinenza a distinti profili dell’atto impositivo sono infondati;
2.1 premesso che la formulazione della censura su ll’adeguatezza motivazionale dell’atto impositivo soddisfa il requisito dell’autosufficienza (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 13 agosto 2004, n. 15867; Cass., Sez. 5^, 4 aprile 2013, n. 8312; Cass., Sez. 5^, 19 aprile 2013, n. 9536; Cass., Sez. 5^, 28 giugno 2017, n. 16147; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9630; Cass., Sez. 5^, 8 luglio 2021, n. 19395; Cass., Sez. 6^5, 8 settembre 2021, n. 24247; Cass., Sez. 6^-5, 27 ottobre 2021, n. 30215; Cass., Sez. 5^, 4 gennaio 2022, n. 29; Cass., Sez. 5^, 11 agosto 2023, n. 24547; Cass., Sez. 5^, 12 marzo 2024, n. 6501), essendo stato trascritto il contenuto essenziale dell’ ‘impugnato avviso di accertamento nel corpo del ricorso (« VISTE le rendita(e) catastali e i redditi dominicali risultanti all’UTE di Napoli… ACCERTA E LIQUIDA al contribuente in indirizzo, per gli immobili analiticamente riportati, nell’allegato prospetto, le somme appresso indicate »), la stessa deve essere disattesa, alla luce dell’accertamento fattone dal giudice di appello, a tenore del quale: « l’avviso di rettifica è validamente motivato indicando i presupposti di fatto e le ragioni di diritto della pretesa, consistenti nella indicazione degli immobili e del valore catastale, nonché delle aliquote, e la ragione giuridica nella sottoposizione a tassazione, non ritenendo sussistente esenzione (nel prospetto è espressamente indicato che il Comune non riconosce esenzione per alcuna delle quattro unità immobiliari); (…) dunque sul piano della legittimità, cioè della validità, l’avviso di rettifica sia motivato adeguatamente, è un dato di fatto non smentibile (ed in effetti neppure smentito dal contribuente); (…) che poi i presupposti indicati in accertamento ovvero le ragioni giuridiche siano fondate o infondate, giuste od erronee, è questione di merito inerente la pretesa, ma non attiene al piano della validità dell’avviso »);
invero, tale argomentazione è conforme all’orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui l’obbligo motivazionale dell’accertamento in materia di ICI (ma le stesse argomentazioni possono valere anche per l’IMU) deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare l’ an e il quantum dell’imposta; in particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., Sez. 5^, 26 gennaio 2021, n. 1569; Cass., Sez. 6^-5, 3 febbraio 2021, n. 2348; Cass., Sez. 5^, 11 giugno 2021, n. 16681; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. 5^, 18 novembre 2022, n. 34014; Cass., Sez. 5^, 17 ottobre 2023, n. 28758; Cass., Sez. 5^, 31 gennaio 2024, n. 2929; Cass., Sez. 5^, 12 marzo 2024, n. 6501); né detto onere di motivazione comporta l’obbligo di indicare anche l’esposizione delle ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, poiché è onere del contribuente dedurre e provare l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione dell’imposta (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 24 gennaio 2018, n. 1694; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. 5^, 7 dicembre 2022, nn. 36028 e 36032; Cass., Sez. 5^, 5 agosto 2024, n. 22031);
2.2 ne discende che il giudice di appello ha correttamente ritenuto che l’atto impositivo, con la contestazione dell’omesso versamento del tributo per l’anno di riferimento, contenesse un implicito rigetto della pretesa esenzione, dovendo escludersi a monte la stessa configurabilità di un’ultra -petizione; infatti, per costante orientamento di questa Corte, il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.) deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione ( petitum e causa petendi ), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti, sicché non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione (anche se non espressamente formulata), tutte le volte che questa debba ritenersi in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate (tra le tante: Cass., Sez. 6^ – 5, 3 luglio 2019, n. 17897; Cass., Sez. 6^-3, 11 giugno 2021, n. 16608; Cass., Sez. 5^, 28 giugno 2021, n. 18357; Cass., Sez. 5^, 6 giugno 2022, n. 18082; Cass., Sez. 5^, 4 dicembre 2023, n. 33699; Cass., Sez. 5^, 9 agosto 2024, nn. 22596 e 22597);
2.3 per il resto, si ripropone la questione della prova dei requisiti previsti dall’art. 7, comma 1, lett. i, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per beneficiare dell’esenzione dall’ICI (ma lo stesso dicasi per l’esenzione dall’IMU, stante l’espresso richiamo a tale agevolazione da parte dell’art. 9, comma 8, del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23);
2.4. tale disposizione, nel testo vigente dal l’ 1 gennaio 2003 al 3 ottobre 2005, disponeva l’esenzione dall’ ICI per « gli immobili
utilizzati dai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive »; essa è stata, in seguito, integrata e modificata dall’art. 7, comma 2 -bis , del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 281, che ha esteso l’esenzione alle attività indicate dalla medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse; un’ulteriore modifica è, poi, intervenuta con l’art. 39 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248, che, sostituendo il comma 2bis del citato art. 7 del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 281, ha stabilito che l’esenzione disposta dall’art. 7, comma 1, lett. i, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera « che non abbiano esclusivamente natura commerciale »;
2.5 occorre precisare, inoltre, che le condizioni dell’esenzione sono cumulative, nel senso che è richiesta la coesistenza, sia del requisito soggettivo riguardante la natura non commerciale dell’ente, sia del requisito oggettivo in forza del quale l’attività svolta nell’immobile deve rientrare tra quelle previste dall’art. 7, comma 1, lett. i, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504; deve trattarsi, in particolare, di immobili destinati direttamente ed esclusivamente allo svolgimento di determinate attività, tra le quali quelle dirette all’esercizio del culto ed alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi e all’educazione cristiana (Cass., Sez.
5^, 8 luglio 2016, n. 13966); dunque, l’esenzione è subordinata alla compresenza di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento di tali attività da parte di un ente che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (art. 87, comma 1, lett. c, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, cui il citato art. 7 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, rinvia), e di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate, il cui accertamento deve essere operato in concreto, verificando che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale (Cass., Sez. 5^, 21 marzo 2012, n. 4502; Cass., Sez. 5^, 8 luglio 2015, n. 14226; Cass., Sez. 5^, 8 luglio 2016, n. 13966, 13967, 13969, 13970 e 13971; Cass., Sez. 5^, 30 maggio 2017, n. 13574; Cass., Sez. 6^-5, 3 giugno 2018, n. 15564; Cass., Sez. 5^, 11 aprile 2019, nn. 10123 e 10124; Cass., Sez. 5^, 30 dicembre 2019, n. 34602; Cass., Sez. 5^, 15 dicembre 2020, n. 28578; Cass., Sez. 5^, 10 febbraio 2021, nn. 3244, 2345, 3248 e 3249; Cass., Sez. 5^, 9 giugno 2021, n. 16262; Cass., Sez. 5^, 14 settembre 2021, n. 24655 e 24644; Cass., Sez. 5^, 7 novembre 2022, nn. 32742 e 32765; Cass., Sez. 5^, 7 dicembre 2022, nn. 36028 e 36032; Cass., Sez. 5^, 16 febbraio 2023, n. 4915 e 4917; Cass., Sez. 5^, 15 giugno 2023, n. 17108; Cass., Sez. 5^, 12 marzo 2024, n. 6501); analogamente, si è affermato che, in tema di IMU, l’esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 si applica agli immobili di cui all’art. 9, comma 8, del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca
scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’art. 16, lett. a, della legge 20 maggio 1985, n. 222 (attività di religione e di culto), purché essi siano direttamente utilizzati dall’ente possessore e siano destinati esclusivamente ad attività peculiari non produttive di reddito, non spettando il beneficio in caso di utilizzazione indiretta, seppur assistita da finalità di pubblico interesse (Cass., Sez. 5^, 15 giugno 2023, n. 17100);
2.6 sotto il profilo della distribuzione degli oneri probatori è stato affermato, ed è un principio del tutto condiviso da questo collegio, che « il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza, in concreto, dei requisiti dell’esenzione, mediante la prova che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale » (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 2 aprile 2015, n.6711; Cass., Sez. 6^-5, 16 luglio 2019, n. 19072; Cass., Sez. 6^-5, 25 maggio 2021, n. 14316; Cass., Sez. 5^, 25 novembre 2022, n. 34766; Cass., Sez. 5^, 17 ottobre 2023, n. 28756; Cass., Sez. 5^, 8 agosto 2024, n. 22565);
2.7 tale principio è stato ribadito anche con specifico riguardo alle attività assistenziali e previdenziali, affermandosi che l’ente che ha invocato l’esenzione in giudizio ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. i, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, deve comprovare lo svolgimento nei suddetti fabbricati di attività assistenziali o previdenziali, in dette attività non potendo rientrare la mera destinazione degli immobili ad uffici, siano essi amministrativi o tecnici (in termini: Cass., Sez. 5^, 14 marzo 2018, nn. 6319 e 6320; Cass., Sez. 6^-5, 16 ottobre 2019, n. 26121);
2.8 peraltro, tale esegesi è coerente con le indicazioni fornite dalla risoluzione emanata dal Ministero delle Finanze il 25
giugno 1994, prot. n. 2/1242 (richiamata dalla circolare emanata dal Ministero dell’economia e delle Finanze il 26 gennaio 2009, n. 2/DF), secondo cui « (…) non possono farsi rientrare nell’ambito di applicazione della norma esonerativa in discorso gli uffici, siano essi amministrativi che tecnici, atteso che per essi non sussiste il delineato rapporto di stretta immanenza con lo svolgimento delle predette attività. La circostanza (…) che sia difficilmente configurabile una attività di erogazione materiale della previdenza, (diversa dall’attività di trattazione delle pratiche negli uffici; i quali, come sopra detto, non possono beneficiare dell’esenzione) nulla toglie alla validità della suesposta interpretazione, anche nella considerazione che l’elenco delle attività agevolate risulta normativamente predisposto nell’ottica di attività suscettibili di essere esercitate in senso materiale »;
2.9 il che esclude anche qualsiasi forma di violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., per la cui deduzione occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio (tra le tante: Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867; Cass., Sez. 5^, 17 dicembre 2020, n. 28940; Cass., Sez. 5^, 9 giugno 2021, n. 16016; Cass., Sez. 6^-5, 9 dicembre 2021, n. 39057; Cass., Sez. 5^, 15 dicembre 2021, n. 40214; Cass., Sez. 5^, 24 marzo 2022, n. 9541; Cass., Sez. 5^, 31 agosto 2023, n. 25518; Cass., Sez. 5^, 31 ottobre 2023, n. 30303; Cass., Sez. 5^, 7 giugno 2024, n. 15975); 2.10 peraltro, non si ravvisa alcun travisamento delle prove acquisite in sede di merito; invero, secondo il più recente
indirizzo di questa Corte, il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, cod. proc. civ., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale (Cass., Sez. Un., 5 marzo 2024, n. 5792); per cui, in relazione al fatto sostanziale, il travisamento della prova postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova ( demonstrandum ), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima ( demonstratum ), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Cass., Sez. 3^, 21 dicembre 2022, n 37382; Cass., Sez. 1^, 6 aprile 2023, n. 9507); laddove, nella specie, la motivazione in parte qua della sentenza impugnata evidenzia
una coerenza logica tra le conclusioni raggiunte e le prove acquisite nell’affermazione che: « la dichiarazione di esenzione introdotta dall’art. 91bis D.L. 1/2012 (conv. In L. 27/2012) non è una istanza, ma una dichiarazione ed è posta come condizione di efficacia per poter usufruire della esenzione, ma non implica che alla stessa il Comune debba dare una risposta espressa ovvero lo privi del potere di accertamento ovvero alteri il regime della prova in giudizio (la prova dei presupposti di esenzione spetta sempre al contribuente, che invoca appunto la eccezione e di cui deve dare la prova dei presupposti costitutivi); »;
2.11 ne consegue che la sentenza impugnata si è pedissequamente uniformata ai richiamati principi, avendo ritenuto che la documentazione prodotta dal contribuente (con particolare riguardo alla trascrizione del vincolo ex art. 2117 cod. civ. nei registri immobiliari ed alla conformità dell’oggetto statutario alle prescrizioni del d.m. 19 novembre 2012, n. 200) fosse idonea a provare la mera potenzialità (in astratto) della destinazione degli immobili all’attività assistenz iale e previdenziale, il cui effettivo svolgimento (in concreto) non era, tuttavia, emerso dalle risultanze istruttorie;
2.12 una volta escluso che l’esercizio effettivo delle attività assistenziali e previdenziali dovesse essere espressamente contestato al contribuente, non si può coerentemente ritenere che l’ente impositore avesse emendato in corso di causa la motivazione dell’ avviso di accertamento;
2.13 per orientamento costante di questa Corte, non è consentito all’amministrazione finanziaria di sopperire con integrazioni in sede processuale alle lacune dell’atto impositivo per difetto di motivazione (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 31 gennaio 2018, n. 2382; Cass., Sez. 6^, 21 maggio 2018, n.
12400; Cass., Sez. 5^, 12 ottobre 2018, n. 25450; Cass., Sez. 5^, 24 maggio 2019, n. 14185; Cass., Sez. 5^, 18 febbraio 2020, n. 4070; Cass., Sez. 6^-5, 13 dicembre 2021, n. 39685; Cass., Sez. 5^, 15 marzo 2022, n. 8361; Cass., Sez. 5^, 13 ottobre 2022, n. 29996; Cass., Sez. 5^, 8 settembre 2023, n. 26194; Cass., Sez. 5^, 19 febbraio 2024, n. 4339); difatti, è regola fondamentale del diritto tributario quella secondo cui le ragioni poste a base dell’atto impositivo definiscono i confini del giudizio tributario, che (anche se con sue specifiche caratteristiche) è, pur sempre, un giudizio d’impugnazione di un atto, sicché l’ufficio finanziario, restandone le contestazioni adducibili in sede contenziosa circoscritte dalla motivazione dell’avviso di accertamento, non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse da quelle definite dalla motivazione suddetta (Cass., Sez. 5^, 30 marzo 2016, n. 6103; Cass., Sez. 5^, 11 maggio 2018, n. 11466; Cass., Sez. 5^, 5 ottobre 2021, n. 26892; Cass., Sez. 5^, 15 marzo 2022, n. 8361; Cass., Sez. 5^, 13 ottobre 2022, n. 29996; Cass., Sez. 5^, 8 settembre 2023, n. 26194; Cass., Sez. 5^, 19 febbraio 2024, n. 4339); in altre parole, la motivazione dell’atto impugnato, ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’amministrazione finanziaria nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’ an ed il quantum della pretesa tributaria, al fine di approntare una idonea difesa (Cass., Sez. 5^, 6 giugno 2018, n. 14570; Cass., Sez. 5^, 5 ottobre 2021, n. 26892);
2.14 per cui, l’ufficio accertatore non può modificare e/o integrare il presupposto della propria pretesa originariamente contenuta nell’accertamento, poiché è solo tale motivazione che delimita i confini della lite (Cass., Sez. 5^, 30 marzo 2016, n. 6103; Cass., Sez. 5^, 31 gennaio 2018, n. 2382; Cass., Sez.
6^-5, 11 luglio 2018, n. 18222; Cass., Sez. 6^-5, 21 settembre 2021, n. 25529; Cass., Sez. 5^, 15 marzo 2022, n. 8361; Cass., Sez. 5^, 13 ottobre 2022, n. 29996; Cass., Sez. 5^, 8 settembre 2023, n. 26194; Cass., Sez. 5^, 19 febbraio 2024, n. 4339), atteso che le ragioni poste a base di un atto impositivo non possono essere oggetto di modifica e/o di integrazione durante la fase contenziosa, in quanto la difesa del ricorrente si concentra su quanto illustrato nella motivazione;
2.15 nella specie, quindi, secondo la condivisibile valutazione del giudice di appello, la censura non coglie nel segno, giacché l’addebito dell’omesso svolgimento in concreto delle attività assistenziali e previdenziali era implicitamente insito nella contestazione del mancato versamento dell’imposta per l’anno di riferimento; né la dichiarazione presentata dal contribuente ai fini dell’esenzione esigeva dall’ente impositore un autonomo provvedimento di diniego o una specifica motivazione nell’avviso di accertamento;
2.16 ne consegue che la sentenza impugnata si è pedissequamente uniformata ai richiamati principi, avendo ritenuto che: « la dichiarazione di esenzione introdotta dall’art. 91 bis D.L. 1/2012 (conv. in L. 27/2012) non è una istanza, ma una dichiarazione ed è posta come condizione di efficacia per poter usufruire della esenzione, ma non implica che alla stessa il Comune debba dare una risposta espressa ovvero lo privi del potere di accertamento ovvero alteri il regime della prova in giudizio (la prova dei presupposti di esenzione spetta sempre al contribuente, che invoca appunto la eccezione e di cui deve dare la prova dei presupposti costitutivi); (…) neppure può derivarsi un obbligo specifico di emanazione di un provvedimento di diniego espresso ovvero di motivazione
specifica in avviso di rettifica del disconoscimento, laddove riconosciuta per una annualità (come assume il Fondo appellante, secondo cui fino al 2013 la esenzione le sarebbe stata riconosciuta, non essendovi accertamenti) non venga riconosciuta per l’annualità successiva, posta l’autonomia dei periodi di imposta e posto che i presupposti di esenzione specie di quella invocata (art.- 7 lett. i D.L.vo 504/1992)- non hanno attitudine ad essere definitivi, posto che sono collegati a situazioni instabili per natura (cfr. di seguito), come pure non possono valere eventuali giudicati per annualità diverse se questi siano fondati su interpretazioni di diritto; (…) neppure un obbligo di un provvedimento espresso o quanto meno di motivazione espressa nell’avviso di rettifica/accertamento può derivarsi dai principi di buona fede e correttezza o di legittimo affidamento (a cui sostanzialmente si richiama anche l’appellante Fondo), atteso che l’esenzione costituisce eccezione, sicché rimane sempre onere della parte dimostrare la sussistenza per l’annualità specifica dei presupposti di esenzione; (…) in sostanza, pur in presenza della dichiarazione, è sufficiente per l’Ente emettere un accertamento con il quale applica la imposizione ordinaria, senza necessità alcuna di provvedimento specifico o motivazione espressa, poiché la dichiarazione opera solo sotto il profilo della condizione di efficacia, ma non determina alcuna accettazione -per di più definitiva- dei presupposti; (…) di conseguenza la tempestività dell’accertamento va valutata in relazione alla singola annualità e nella specie è documentale che, per il periodo di imposta 2014, l’avviso è tempestivo essendo stato notificato entro il 31 dicembre 2019, termine ultimo »;
2.17 a tale proposito, è il caso di aggiungere che la dichiarazione volta ad ottenere l’esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, anche in caso di utilizzazione mista degli immobili ex art. 91bis , comma 3, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, è parte integrante della dichiarazione iniziale o della dichiarazione di variazione di cui, dapprima, all’art. 9, comma 6, del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, e, poi, all’art. 13, comma 12 -ter , del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo inserito dall’art. 4, comma 5, lett. i, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, e modificato dall’art. 9, comma 3, lett. b, del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, come è desumibile anche dall’art. 6 del d.m. 26 giugno 2014 , a tenore del quale: « Gli enti non commerciali presentano la dichiarazione di cui all’articolo 9, comma 6, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, indicando distintamente gli immobili per i quali è dovuta l’IMU, anche a seguito dell’applicazione del comma 2 dell’articolo 91bis , del decretolegge n. 1 del 2012, nonché gli immobili per i quali l’esenzione dall’IMU si applica in proporzione all’utilizzazione non commerciale degli stessi, secondo le disposizioni del presente regolamento. La dichiarazione non è presentata negli anni in cui non vi sono variazioni »; per cui, dopo la presentazione della dichiarazione iniziale o della dichiarazione di variazione, il Comune è tenuto soltanto a controllare la dichiarazione presentata dal contribuente, verificare se il contribuente abbia versato l’imposta e se il versamento corrisponda alla misura dovuta, emettendo , anche all’esito dell’assunzione di
informazioni, l’eventuale avviso di accertamento in caso di omesso o parziale versamento (arg. ex artt. 11, comma 3, del d.lgs. 30 novembre 1992, n. 504, e 9, comma 7, del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23,
2.18 per il resto, la nozione di ‘ attività previdenziali ‘ di cui all’art. 7, comma 1, lett. i, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è stata specificata e delimitata dall’art. 1, lett. g, del d.m. 19 novembre 2012, n. 200, nel senso di comprendere le « attività strettamente funzionali e inerenti all’erogazione di prestazioni previdenziali e assistenziali obbligatorie », confermando l’indicazione della circolare emanata dal Ministero dell’economia e delle Finanze il 26 gennaio 2009, n. 2/ DF, secondo cui: « Le attività previdenziali sono quelle dirette all’esercizio di previdenza obbligatoria »; del resto, tale restrizione è coerente alla ratio legis di concedere l’ esenzione agli enti pubblici e privati che svolgono attività connotate da una funzione di solidarietà sociale, nell’ottica dei principi consacrati da ll’art. 38 Cost. («1. Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. 2. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. 3. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. 4. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. 5. L’assistenza privata è libera ») in tema di assistenza e previdenza; pertanto, forme di previdenza volontaria che non riconoscono al beneficiario un diritto soggettivo pieno all’erogazione della prestazione esulano dalla portata della norma agevolatrice;
2.19 ne discende che la sentenza impugnata ha correttamente escluso in capo al contribuente la sussistenza dei requisiti (soggettivo ed oggettivo) per beneficiare dell’esenzione, rilevando che: « premesso che il Fondo in esame non svolge attività previdenziali ed assistenziali obbligatorie e che, per la verità dallo Statuto, nello stralcio depositato in primo grado dal Fondo, emerge che rimane ad insindacabile giudizio dell’Ente chi venga ammesso a benefici come pure il contenuto del beneficio nonché la precisazione che il beneficio rimane essere una concessione e non un diritto (v. art. 10 statuto) e che anche per i soci di qualsiasi categoria non esiste un diritto ma solo una ‘legittimazione all’aspettativa’ (v. art. 7), sicché si tratta di una ordinaria associazione che non determina alcun diritto o pretesa in favore di alcuno (tipico invece del rapporto previdenziale, particolarmente sottolineato in giudizio dal Fondo, è l’assicurare un diritto)- va sottolineato che, pur volendo ammettere (contrariamente al regolamento D.M. 200 del 19 novembre 2012, che invece stabilisce che per attività previdenziale si intende ‘… attivit à strettamente funzionali e inerenti all’erogazione di prestazioni previdenziali e assistenziali obbligatorie’) che possano rientrare nella esenzione anche attività previdenziali ed assistenziali non obbligatorie (disapplicando il detto regolamento per aver stabilito un requisito in più rispetto alla legge), tuttavia la lettera della Legge richiede che gli immobili siano utilizzati dagli Enti non profit e mutualistici, cioè sia di fatto proprio direttamente dagli stesi utilizzati materialmente, con destinazione esclusiva (cioè immediata e diretta) allo svolgimento delle attività previdenziali ed assistenziali, ma non si estende ai beni strumentali per il reperimento delle risorse per lo svolgimento delle attività; -che in altri termini gli
immobili devono essere direttamente utilizzati dagli stessi enti proprio per lo svolgimento dell’attività concreta previdenziale ed assistenziale e non impiegati dall’Ente per reperire le risorse per lo svolgimento delle attività, perché altrimenti la esenzione verrebbe collegata alla semplice condizione e natura soggettiva e allo svolgimento dell’oggetto ‘associativo’ e non all o svolgimento in concreto della specifica attività nell’immobile; -che nel caso è pacifico che gli immobili, sebbene vincolati all’esercizio della attività associativa, non sono utilizzati dall’ente esclusivamente per lo svolgimento della concreta attività previdenziale ed assistenziale, ma per procurare le risorse e costituire la garanzia (riserva tecnica) per lo svolgimento dell’oggetto associativo, e pertanto non sussiste la fattispecie esentativa »;
2.20 ancora, il contribuente ha invocato, in via subordinata in sede di memoria difensiva nel corso del giudizio di prime cure, l’agevolazione prevista per i c.d. ‘ alloggi sociali ‘ dall’art. 13, comma 2, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
2.21 si tratta, a ben vedere, di due agevolazioni autonome e distinte, che il contribuente non può invocare in via alternativa o subordinata, essendone diversi i requisiti previsti per poterne usufruire; per cui, l’invocazione di un’esenzione nel corso del giudizio avente ad oggetto l ‘impugnazione di un atto impositivo che ha respinto il riconoscimento di una diversa esenzione si risolve, attraverso l’ampliamento del thema decidendum , nella deduzione di un motivo aggiunto di impugnazione al di fuori delle modalità e dei termini previsti dall’art. 24, commi 2 e 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546;
2.22 s econdo l’art. 24, commi 2, 3 e 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546: « 2. L’integrazione dei motivi di ricorso, resa
necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione, è ammessa entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l’interessato ha notizia di tale deposito»; 3. Se è stata già fissata la trattazione della controversia, l’interessato, a pena di inammissibilità, deve dichiarare, non oltre la trattazione in camera di consiglio o la discussione in pubblica udienza, che intende proporre motivi aggiunti. In tal caso la trattazione o l’udienza debbono essere rinviate ad altra data per consentire gli adempimenti di cui al comma seguente. 4. L’integrazione dei motivi si effettua mediante atto avente i requisiti di cui all’art. 18 per quanto applicabile. Si applicano l’art. 20, commi 1 e 2, l’art. 22, commi 1, 2, 3 e 5, e l’art. 23, comma 3 »;
2.23 secondo il costante orientamento di questa Corte, nel giudizio tributario è inammissibile la deduzione, nella memoria ex art. 32 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento, in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali costituiscono la causa petendi entro i cui confini si chiede l’annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dall’art. 24, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Cass., Sez. 5^, 24 ottobre 2014, n. 22662; Cass., Sez. 5^, 24 luglio 2018, n. 19616; Cass., Sez. 5^, 19 novembre 2020, n. 26313; Cass., Sez. 6^-5, 24 maggio 2021, n. 14206; Cass., Sez. 5^, 18 novembre 2022, n. 34013; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2023, n. 9832); per cui, nel processo tributario, caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma dell’impugnazione dell’atto fiscale, l’indagine sul rapporto sostanziale è limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della
pretesa dell’amministrazione finanziaria che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado; ne consegue che il giudice deve attenersi all’esame dei vizi di invalidità dedotti in ricorso, il cui ambito può essere modificato solo con la presentazione di motivi aggiunti, ammissibile, ex art. 24 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, esclusivamente in caso di « deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione » (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 2 luglio 2014, n. 15051; Cass., Sez. 6^-5, 13 aprile 2017, n. 9637; Cass., Sez. 5^, 18 febbraio 2020, n. 4082; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2023, n. 9832; Cass., Sez. 5^, 5 settembre 2024, n. 23856);
2.24 dunque, il giudice di appello ha correttamente evidenziato che « tale questione è stata agitata per la prima volta in primo grado con la memoria depositata il 7 maggio 2021, non notificata alla controparte (sì da non poter essere intesa come proponente motivi aggiunti), e non nel ricorso introduttivo, ove non ve ne è traccia; (…) pertanto trattasi di questione inammissibile in primo grado a cui consegue la inammissibilità in appello trattandosi in questo grado di questione nuova », rivelandosi superflua ed ultronea ogni considerazione nel merito della insussistenza dei presupposti per beneficiare dell’esenzione alternativa, con la conseguente correzione in parte qua della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384, quarto comma, cod. proc. civ.;
alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi la manifesta infondatezza dei motivi dedotti, il ricorso deve essere rigettato;
le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo;
5. ai sensi dell’ art. 13, comma 1quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore del controricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi ed € 2.200,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 24 settembre