Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18942 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 18942 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 3305/2024 proposto da:
CONSORZIO RAGIONE_SOCIALE, con sede in Novara, alla INDIRIZZO (C.F./P.IVA: P_IVA, in persona del suo Presidente legale rappresentante pro tempore Dott. NOME COGNOME nato a Novara il 9/6/1971 (C.F.: CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME del Foro di Novara (C.F.: CODICE_FISCALE; pec:
EMAIL; fax NUMERO_TELEFONO) con studio in Novara, alla INDIRIZZO giusta procura apposta in calce al ricorso (indirizzo PEC: EMAIL;
-ricorrente –
Avvisi accertamento Ici e Imu – Esenzione ex art. 7, comma 1, lettere a) e i), d.lgs. n. 504/1992
contro
Comune di Druogno (C.F.: 00420830036CODICE_FISCALE, con sede in Druogno (VB) alla INDIRIZZO, in persona del Sindaco pro tempore NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE, nato a Domodossola (NO) il 30 giugno 1976, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente tra loro, dagli Avv.ti NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; pec: EMAILpec.ordineavvocatitorinoEMAIL; fax: NUMERO_TELEFONO) del Foro di Torino, nonché NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; p.e.c.: EMAIL; fax: 06/6864051) e NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; p.e.c.: EMAIL; fax 06/6864051) del Foro di Roma, e presso questi ultimi elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO giusta procura allegata al controricorso;
-controricorrente –
-avverso la sentenza n. 287/2023 emessa dalla CTR Piemonte in data 20/06/2023 e non notificata;
udite le conclusioni orali rassegnate dal P.G. Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi i difensori del ricorrente, Avv. COGNOME COGNOME e del resistente, Avv. COGNOME
Ritenuto in fatto
Il Consorzio RAGIONE_SOCIALE Comuni Novaresi impugnava gli avvisi di accertamento ai fini Ici per l’anno 2011 e Imu per gli anni dal 2012 al 2015 relativo ad un complesso immobiliare di sua proprietà sito nel territorio del Comune di Druogno, invocando , tra l’altro, l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lettere a) e i), d.lgs. n. 504/1992.
La CTP di Verbania rigettava il ricorso.
Sull’impugnazione principale del contribuente ed incidentale del Comune, la CTR del Piemonte rigettava il primo gravame ed accoglieva il secondo, rilevando, per quanto qui ancora rileva, che: a) il contribuente, per giustificare l’applicazione dell’esen zione invocata, si era limitato ad addurre
che l’ente locale non aveva richiesto il pagamento dell’imposta negli anni precedenti; b) mentre il Comune aveva fornito la prova che negli anni oggetto di imposizione il Consorzio aveva svolto attività di tipo commerciale, il consorzio non aveva indicato alcuna prova sulla sussistenza dei presupposti che avrebbero legittimato la fruizione del regime in deroga (avuto particolare riguardo al carattere esclusivo dell’attività istituzionale di tipo protetto), essendosi limitato ad evidenziare la modestia dei proventi; c) dagli atti di causa era emerso nitidamente che alcune delle attività svolte dal consorzio erano state poste in essere a fronte di un corrispettivo; d) dalle allegazioni documentali prodotte dalle parti si ricavava che il consorzio aveva svolto un’attività, per quanto marginale, di tipo commerciale, sicchè negli anni in contestazione la sua attività non poteva ritenersi di tipo esclusivamente istituzionale; e) in particolare, l’attività ricettizia che indubbiamente il Consorzio svolgeva all’interno dell’immobile in questione era incompatibile con i compiti istituzionali che giustificavano l’esenzione di cui all’art. 7, lett. a), d.lgs. n. 504/1992 e, quanto alla esenzione di cui alla lett. i), la stessa parte contribuente aveva dedotto che la struttura era aperta anche ai soggetti estranei ai Comuni consorziati, e privi delle condizioni di fragilità che potevano far qualificare l’attività svolta come non concorrenziale rispetto alle attività commerciali, tenuto altresì conto che il Consorzio aveva dato a nolo, a prezzi di mercato, i campi sportivi presenti in struttura e concesso a titolo oneroso i propri locali per eventi di vario genere; f) condivisibilmente la CTP aveva rilevato che non emergevano cause idonee a legittimare l’esclusione delle san zioni, non potendosi ritenere tale l’erroneo affidamento derivato dalla mancata richiesta di pagamento dell’ICI per le annualità pregresse e dovendosi, in ogni caso, escludere la sussistenza di un errore incolpevole da parte del contribuente o anche solo u n’ipotesi di dubbio interpretativo legittimo e la rilevanza, a tal fine, di eventuali contrasti interpretativi nella giurisprudenza di merito. 4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Consorzio
Case Vacanze dei Comuni Novaresi sulla base di nove motivi. Il Comune di Druogno ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’udienza pubblica entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Considerato in diritto
Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., l’illegittimità e nullità della sentenza per violazione e/o falsa e/o erronea applicazione degli artt. 36 d.lgs. n. 546/1992 e 132 c.p.c., per aver la CTR omesso la motivazione o, comunque, reso una motivazione solo apparente, consistente nel richiamare la precedente sentenza resa dalla medesima CTR inter partes per altra annualità di tributo (Ici 2010), ma su presupposti di prova e difese diversi, nonchè riportando passi decisionali non pertinenti ed omettendo motivazione su temi dibattuti.
1.1. Il motivo è infondato.
E’ ormai noto come le Sezioni Unite (sentenza n. 8053 del 2014) abbiano fornito una chiave di lettura della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, nel senso di una riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, con conseguente denunciabilità in cassazione della sola “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione. E’ stato altresì precisato che (in termini, Cass. n. 2876 del 2017) che il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111, sesto comma, Cost.), e cioè dell’art. 132, sesto comma, n. 4, c.p.c. (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del
1992 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’ iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata (cfr. Cass. nn. 2876/2017 e 1461/2018).
Inoltre, si è affermato che, nel processo tributario, la motivazione di una sentenza può essere redatta ” per relationem ” rispetto ad altra sentenza non ancora passata in giudicato, purchè resti “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa, anche se connessa, causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico – giuridica. La sentenza è, invece, nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, qualora si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento e non sia, pertanto, possibile individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. VI – 5, n. 107/2015; n. 5209/2018; n. 17403/2018; nn. 21978/2018 e 15010/2020). Orbene, nel caso di specie, escludendosi a priori la configurabilità di una omissione di pronuncia, la motivazione resa dalla CTR si pone senz’altro al di sopra del cd. minimo costituzionale, non essendo sufficiente ad inficiare tale valutazione il rilievo del ricorrente secondo cui avrebbe comprovato e documentato <>.
A tutto concedere, tali rilievi potrebbero depotenziare l’affermazione della CTR secondo cui il Consorzio non avrebbe fornito idonea prova sulla sussistenza dei presupposti che avrebbero legittimato la fruizione del regime in deroga.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 7, comma 5-bis, d.lgs. n. 546/92 (come novellato ed introdotto dalla l. 130 del 31/8/2022), 2697, 2727 c.c. e 2729 c.c. e 116 c.p.c., per erronea valutazione in punto di onere e riparto della prova con riferimento all’intervenuto disconoscimento del diritto all’esenzione in presenza di non contestazione del Comune, nonché di prova offerta dal consorzio e di mancato assolvimento da parte del Comune medesimo di prova contraria, ciò in relazione alla sussistenza dei presupposti e prove esentativi di cui alle lettere a) e i) d.lgs. n. 504/92.
2.1. Il motivo è infondato.
In primo luogo, il nuovo comma 5bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall’art. 6 della legge n. 130 del 2022, essendo una norma di natura sostanziale e non processuale, si applica ai giudizi introdotti successivamente al 16 settembre 2022, data di entrata in vigore della legge predetta (cfr. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 20816 del 25/07/2024) e, quindi, non a quelli in esame, essendo gli stessi stati instaurati tra il 2017 e il 2021. In ogni caso, la detta novellata disposizione stabilisce che «L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati.». Tuttavia, la riportata disposizione normativa non incide sul principio consolidato secondo cui, in tema di IMU, l’onere motivazionale dell’accertamento è adempiuto se il contribuente è stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare l’ an e il quantum dell’imposta, non essendo a tal fine necessario
indicare le ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, poiché è onere del contribuente dedurre e provare l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione dell’imposta (cfr., di recente, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 29845 del 20/11/2024). Come condivisibilmente evidenziato dalla difesa del Comune, <>.
Né può dirsi violato l’art. 2697 c.c., se solo si considera che la violazione del suo precetto si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poichè in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. Nel caso di specie, la CTR non ha invertito l’onere probatorio, ma, con argomentazioni congrue sul piano logico e corrette dal punto di vista giuridico, ha affermato che: a) mentre il Comune aveva fornito la prova che negli anni oggetto di imposizione il Consorzio aveva svolto attività di tipo commerciale, il consorzio non aveva indicato alcuna prova sulla sussistenza dei presupposti che avrebbero legittimato la fruizione del regime in deroga (avuto particolare riguardo al carattere esclusivo dell’attività istituzionale di tipo protetto), essendosi limitato ad evidenziare la modestia dei proventi; b) dagli atti di causa era emerso nitidamente che alcune delle attività svolte dal consorzio erano state poste in essere a fronte di un corrispettivo; c) dalle allegazioni documentali prodotte dalle parti si ricavava che il consorzio aveva svolto un’attività, per quanto marginale, di tipo commerciale, sicchè negli anni in contestazione la sua attività non poteva ritenersi di tipo esclusivamente istituzionale; d) in particolare, l’attività ricettizia che
indubbiamente il Consorzio svolgeva all’interno dell’immobile in questione era incompatibile con i compiti istituzionali che giustificavano l’esenzione di cui all’art. 7, lett. a), d.lgs. n. 504/1992 e, quanto alla esenzione di cui alla lett. i), la stessa parte contribuente aveva dedotto che la struttura era aperta anche ai soggetti estranei ai Comuni consorziati, e privi delle condizioni di fragilità che potevano far qualificare l’attività svolta come non concorrenziale rispetto alle attività commerciali, tenuto altresì conto che il Consorzio aveva dato a nolo, a prezzi di mercato, i campi sportivi presenti in struttura e concesso a titolo oneroso i propri locali per eventi di vario genere.
Con il terzo motivo il ricorrente rileva, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., l’illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 7 d.lgs. n. 504/1992 come vigente pro tempore con riferimento agli anni di imposta in considerazione (Ici 2011 ed Imu 2012, 2013, 2014 e 2015), con riferimento alla ritenuta non applicabilità del regime di esenzione di cui alle lettere a) e i) dell’art. 7 d.lgs. n. 504/1992 in capo al consorzio contribuente.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente sostiene di aver dimostrato la natura esclusivamente istituzionale delle attività esercitate e i caratteri di non commercialità delle stesse negli immobili destinati a casa vacanza in Druogno.
In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica, pertanto, un problema interpretativo di quest’ultima, laddove l’allegazione di un’erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ed inerisce, pertanto, alla tipica valutazione del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25182 del 19/09/2024). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta
fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 24054 del 12/10/2017). L’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Orbene, nel caso di specie, a ben vedere, il ricorrente sollecita una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa nella presente sede. Invero, il motivo si sostanzia in critiche generiche alla sentenza impugnata (<>. <>) e in affermazioni apodittiche (<>. <>. <>. <>. <>. <>. <>. <>. <>).
Senza tralasciare che alcune affermazioni si rivelano irrilevanti, quali quelle secondo cui <> o <> ovvero <> (atteso che l’inerzia del sindaco nel monitoraggio dell’attività in concreto svolta dal consorzio non escluderebbe, di per sé, la natura commerciale della stessa)
o in base alla quale la legge regionale del Piemonte n. 31 del 15.4.1985, all’art. 2, quarto comma, prevede espressamente la gestione senza fini lucrativi per il perseguimento delle finalità di cui al comma 1, nonché il rilascio di autorizzazione da parte del Comune per consentire anche soggiorni autogestiti ed il nulla osta del Comune, previo accertamento delle finalità sociali dell’iniziativa, anche per l’uso occasionale degli immobili (perché la previsione astratta sul piano normativo non comporta automaticamente che la stessa venga sul piano pratico rispettata).
Analoghe considerazioni valgono per il richiamo allo Statuto del Comune di Druogno. Invero, premesso che l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. a) e i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, derogando alla regola generale, è di stretta interpretazione e può essere applicata solo in relazione agli enti ivi contemplati che utilizzino gli immobili destinandoli effettivamente ad una delle attività indicate (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 7037 del 26/03/2014), non rileverebbero le previsioni astratte contenute nello Statuto del consorzio, al pari della Convenzione stipulata con e tra tutti i comuni consorziati e di quella stipulata tra il consorzio ed il Comune di Druogno.
Se da un lato, poi, il consorzio critica la sentenza d’appello per non aver, a suo dire, censurato le tariffe di ospitalità ed alberghiere applicate, incentrando, invece, la sua attenzione unicamente sui servizi accessori (limitati noli di attrezzatura spo rtiva campo da tennis), dall’altro, non offre alcun elemento oggettivo documentale, come sarebbe stato invece suo preciso onere, per dimostrare la natura simbolica delle tariffe richieste. Non può, invero, ritenersi sufficiente l’apodittica affermazione se condo cui <>. Ed ancora: <>. Ed infine: <>.
E’ vero che l’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504/1992 tende ad escludere dal beneficio il contribuente che destini esclusivamente ad attività aventi natura commerciale gli immobili de quibus e non ad imporre la decadenza per un uso solo parzialmente commerciale (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9787 del 19/04/2017). Ma è altrettanto vero che la detta esenzione si applica agli immobili destinati in modo esclusivo ai compiti istituzionali degli enti locali, ipotesi che non si configura qualora i medesimi beni siano utilizzati, sebbene in via non prevalente, per l’esercizio di attività di diritto privato, come avviene nel caso in cui il godimento degli stessi venga concesso a terzi dietro il pagamento di un canone o, comunque, di un corrispettivo (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 31037 del 30/11/2018). Parimenti, l’esenzione prevista dall’art. 7, comma primo, lett. a), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per gli immobili posseduti dagli enti ivi indicati “destinati esclusivamente ai compiti istituzionali”, spetta soltanto se l’immobile è direttamente e immediatamente destinato allo svolgimento di tali compiti: ipotesi che non si configura quando il bene venga utilizzato per attività di carattere privato, come avviene, in linea di massima, in tutti i casi in cui il godimento del bene stesso sia concesso a terzi verso il pagamento di un canone (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 14094 del 11/06/2010; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 30731 del 30/12/2011 e
Cass., Sez. 5, Sentenza n. 15025 del 17/07/2015).
Ne consegue che il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza, in concreto, dei requisiti dell’esenzione, mediante la prova che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale ed abbia quelle finalità solidaristiche alla base delle ragioni di esenzione, mentre spetta al giudice di merito l’obbligo di accertare in concreto le circostanze fattuali, senza far ricorso ad astrazioni argomentative (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 6711 del 02/04/2015).
E così, avuto riguardo al requisito oggettivo – la realizzazione dell’attività con modalità non commerciali -, lo stesso deve essere provato dal contribuente, tenuto a dimostrare la sua sussistenza in concreto e, cioè, che l’attività a cui l’immobile è destinato, rientrando tra quelle esenti, è posta in essere con modalità non economiche, in quanto resa a titolo gratuito o dietro il versamento di un importo simbolico (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 4066 del 12/02/2019; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 6795 del 11/03/2020 e Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 20971 del 26/07/2024). In particolare, il corrispettivo simbolico è quello caratterizzato da un ricavo irrisorio, marginale e del tutto residuale rispetto alla natura della prestazione, tale da non potersi porre in relazione con il servizio reso, in quanto avente natura meramente formale e utile a rendere la prestazione più prossima a un’erogazione gratuita che a quella sottoremunerata rispetto ai parametri medi di settore (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 27821 del 02/10/2023; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 3674 del 09/02/2024).
In definitiva, va ribadito il principio consolidato (fra le tante, Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 24044 del 03/08/2022 e Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 32690 del 16/12/2024) secondo cui per poter usufruire dell’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992, non è sufficiente che l’immobile sia utilizzato per lo svolgimento di un’attività fisiologicamente priva di finalità lucrativa, ma è necessario che il contribuente dimostri che l’attività cui l’immobile è destinato, oltre a rientrare tra quelle esenti, non sia svolta con modalità commerciali, poiché,
in conformità ai principi eurounitari, la presenza di un’attività con finalità sociale non basta, da sola, ad escluderne l’eventuale natura economica.
4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c.: a) l’illegittimità della sentenza per omessa e/o comunque l’insufficiente o solo apparente esame e motivazione, l’omesso esame di fatti decisivi che sono stati oggetto di discussione e contraddittorio tra le parti, con riferimento alle prove e all’intervenuto assolvimento dell’onere probatorio da parte del consorzio circa la natura istituzionale e, in ogni caso, non commerciale delle attività esercitate negli immobili oggetto di imposizione e ciò in presenza di omessa prova contraria da parte del comune; b) anche in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., il difetto e/o la contraddittorietà di motivazione per mancata valutazione dei documenti e prove prodotti dal consorzio e oggetto di contraddittorio; c) la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c., per mancata disamina, pronuncia e decisione su diverse decisive eccezioni e difese avanzate dal consorzio, nonchè motivazione solo apparente.
4.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
Nel richiamare quanto già evidenziato analizzando il primo ed il terzo motivo, va qui aggiunto che, in tema di ricorso per cassazione, i motivi d’impugnazione, se prospettano una pluralità di questioni precedute dalla elencazione unitaria delle norme violate, sono inammissibili, in quanto costituiscono una negazione della regola della chiarezza e richiedono un intervento della S.C. volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 28541 del 06/11/2024). Invero, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di legge e dell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in quanto una tale formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione
enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 3397 del 06/02/2024). In particolare, sono incompatibili i profili della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 26874 del 23/10/2018).
Con riferimento alla dedotta omissione dell’esame di fatti asseritamente decisivi, è sufficiente rilevare che, al di là della irrilevanza, nell’attuale formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., della insufficienza e della contraddittorietà della motivazione, ogni denuncia sul piano motivazionale è preclusa dalla circostanza che si è in presenza di una cd. doppia conforme, né il ricorrente ha allegato e, tanto meno, dimostrato che le due decisioni di merito fossero fondate su differenti ragioni inerenti ai fatti.
Del resto, premesso che l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. a) e i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, derogando alla regola generale, è di stretta interpretazione e può essere applicata solo in relazione agli enti ivi contemplati che utilizzino gli immobili destinandoli effettivamente ad una delle attività indicate (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 7037 del 26/03/2014), non rileverebbero le previsioni astratte contenute nello Statuto del consorzio, al pari della Convenzione stipulata con e tra tutti i comuni
consorziati e di quella stipulata tra il consorzio ed il Comune di Druogno, così come priva di rilevanza, almeno con riferimento alle annualità dal 2011 al 2013, sarebbe la nota inviata dalla Prefettura di Novara al Ministero dell’Interno, siccome datata 8 .10.2014. In particolare, la circostanza che l’art. 34 dello Statuto Consortile escluda la possibilità di realizzare utili, preveda l’obbligo dell’impiego di eventuali avanzi di amministrazione per il finanziamento di opere ed il miglioramento delle attrezzature e disponga, infine, in caso di scioglimento, la devoluzione del patrimonio ai Comuni Consorziati non significa che, in concreto, questi parametri vengano rispettati.
Alla stessa stregua, del tutto apodittica si rivela l’affermazione secondo cui le tariffe praticate dal Consorzio per i soggiorni risulterebbero ben inferiori (sociali e persino simboliche) rispetto ai corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale. Senza tralasciare che la tenuità e modestia del canone corrisposto non esclude il carattere economico dell’attività svolta, non essendovi equivalenza tra il concetto di corrispettivo tenue o modesto e quello di corrispettivo simbolico, il quale esclude completamente il rapporto sinallagmatico, sussistente invece nel primo caso (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8964 del 14/05/2020).
Al contempo, rappresenta una mera affermazione unilaterale quella secondo cui il Consorzio avrebbe dimostrato nei giudizi di merito di rendere un servizio ricettivo del tutto estraneo a logiche ordinarie e men che meno concorrenziali sul territorio.
In violazione del principio di autosufficienza, inoltre, il contribuente ha omesso di trascrivere, almeno nei loro passaggi maggiormente significativi, i dati di bilancio del consorzio, dai quali, secondo il suo assunto, i giudici di merito avrebbero dovuto desumere le condizioni economiche del trattamento ‘alberghiero’ fatto agli ospiti, per poi compararle con quelle poste da altre analoghe strutture ricettive sul territorio alla luce del rispetto della libera concorrenza, e la eventuale stagionalità dell’ attività stessa, al fine di stabilire se l’attività dell’ente fosse svolta o meno con modalità
commerciali.
Da ultimo, va ribadito quanto già detto nell’analizzare il secondo motivo, vale a dire che l’onere probatorio, avuto riguardo ad ipotesi esentative, come quelle in esame, grava a carico del contribuente, sicchè nessuna rilevanza può attribuirsi alla eventuale circostanza che il Comune non abbia offerto mezzi di prova in ordine alla natura commerciale, e non istituzionale, dell’attività svolta dal consorzio.
5. Con il quinto motivo il ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 7, lett. i), d.lgs. n. 504/1992, con riferimento agli anni di imposta in considerazione (Ici 2011 – Imu 2012, 2013, 2014 e 2015), avuto riguardo alla omessa valutazione del carattere pacificamente e statutariamente stagionale dell’attività esercitata e dallo statutario limitato accesso dell’utenza nella struttura case vacanza di NOME gno.
5.1. Il motivo è infondato.
Il ricorrente sostiene che la natura stagionale e limitata delle aperture e l’accessibilità alla fruizione dei servizi ricettivi non a qualsivoglia domanda dell’utenza ma, secondo lo Statuto, ai soli cittadini residenti nei comuni consorziati sarebbe indicatore della attività in concreto esercitata dal Consorzio in favore dell’assolvimento dei compiti istituzionali.
Orbene, premesso che di tale destinazione esclusiva non vi è prova (se si fa eccezione della nota della Prefettura Novara al Ministero dell’Interno, peraltro datata 8.10.2014), è vero che, per ottenere l’esenzione dall’Ici, per la “ricettività turistica” sono richieste l’accessibilità limitata, come regolata dalle prescrizioni delle leggi regionali, il che avviene, in particolare, quando l’accessibilità non è rivolta ad un pubblico indifferenziato ma ai soli destinatari propri delle attività istituzionali (ad esempio: alunni e famiglie di istituti scolastici, iscritti a catechismo, appartenenti alla parrocchia, membri di associazioni), e la discontinuità nell’apertura, in quanto, proprio per la sua natura, l’attività ricettiva non deve, infatti, essere svolta per l’intero anno solare (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 19072 del 16/07/2019). Ma è altrettanto vero che le questioni dell’esistenza (o meno) di determinate
caratteristiche della “clientela” ospitata nella struttura ricettiva e la durata dell’apertura della struttura durante l’anno solare non si pongono nel caso in cui le ‘rette’ applicate agli ospiti non siano meramente simboliche.
A tacer del fatto che il contribuente non ha indicato le prove (il cui esame sarebbe stato omesso) da cui si sarebbe potuto desumere l’esclusione della destinazione dell’attività ricettiva anche per i normali fruitori con collocazione dell’offerta sul mercato di tutti i possibili utenti, indice, come è noto, rivelatore dell’esercizio dell’attività con modalità commerciali.
In quest’ottica, del tutto irrilevante si rivela la certificazione, peraltro di parte, resa a Prot. n. 153 del 15/3/2022, a firma del Segretario del Consorzio con cui si conclama il rendiconto di quanto sempre avvenuto e deliberato dal Consiglio (presente il Comune di Druogno), vale a dire il limitato arco temporale di apertura della Struttura casa vacanza di Druogno (dalla ‘prima metà del mese di giugno alla prima metà del mese di settembre’).
Con il sesto motivo il ricorrente, in via subordinata, si duole, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., della nullità della sentenza, della violazione dell’art. 112 c.p.c. e della mancata disamina, pronuncia e decisione su domanda svolta e ‘tenorizzata’ in giudizio, nonché della motivazione inesistente e/o solo apparente, con particolare riferimento alla richiesta di valutazione di imponibilità Ici/Imu del solo periodo di utilizzo effettivo (dal 15 giugno al 15 settembre di ogni anno) per statuto e delibera assembleare dell’immobile.
6.1. Il motivo è inammissibile per le medesime ragioni già esposte nell’analizzare il quarto, per via della mescolanza e della sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei.
In ogni caso, non essendovene cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale avesse sollevato e reiterato tempestivamente la questione. Il rilievo secondo cui una domanda di tal fatta sarebbe stata formulata con la memoria illustrativa ex art. 32 d.lgs. n. 546/92 del 07/03/2023, per poi essere riproposta in sede di discussione pubblica del 15/06/2023 (cfr. pag.
52 del ricorso) sarebbe indicativo, semmai, della tardività con la quale è stata proposta, se solo si considera che l’appello è stato depositato il 25.2.2019.
Senza tralasciare che, in tema di IMU, l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992, in caso di immobile ad uso misto, si applica proporzionalmente alla porzione destinata ad attività non commerciale, anche laddove non sia possibile procedere ad una sua autonoma identificazione catastale, purché vi sia una specifica indicazione del contribuente nella apposita dichiarazione (cfr. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 32742 del 07/11/2022 in un caso in cui l’immobile era adibito in parte ad attività di culto ed in parte ad attività commerciale di casa per ferie). In quest’ottica, nessuna rilevanza può essere riconosciuta alla stagionalità dell’attività svolta.
7. Con il settimo motivo il ricorrente deduce in via subordinata, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la illegittimità’ della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. art. 6, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, 8, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 e 10, comma 3, l. n. 212 del 2000, con riferimento alla ritenuta insussistenza delle condizioni per la disapplicazione delle sanzioni tributarie.
7.1. Il motivo è infondato.
In tema di sanzioni tributarie, la tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente, sancita dall’art. 10, commi 1 e 2, della l. n. 212 del 2000, costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, che trova origine nei principi affermati dagli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., sicché deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell’imposta, deve essere valutata ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni (Cass., Sez., Ordinanza n. 370 del 09/01/2019).
E così la “incertezza normativa oggettiva tributaria” è caratterizzata dall’impossibilità d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma
giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile, e va distinta dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto (il cui accertamento è demandato esclusivamente al giudice e non può essere operato dall’amministrazione), come emerge dall’art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997, che distingue le due figure, pur ricollegandovi i medesimi effetti. Peraltro, il fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva può essere desunto dal giudice attraverso la rilevazione di una serie di “fatti indice”, quali ad esempio: 1) la difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficolta di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficolta di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) la mancanza di una prassi amministrativa o l’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 12301 del 17/05/2017; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 10313 del 12/04/2019 e Cass., Sez. 6 5, Ordinanza n. 32082 del 09/12/2019).
Tuttavia, nel caso di specie, il ricorrente non ha neppure indicato quali sarebbero stati i ‘chiarimenti Ministeriali oltre a modificazioni e pronunce anche sovranazionali’ che avrebbero determinato una oggettiva incertezza circa il portato dell’art. 7 d.l gs. n. 504/1992, laddove già con il d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla l. 2 dicembre 2005, n. 248, come modificato dal d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, è stato disposto (con l’art. 7, comma 2-bis) che “L’esenzione disposta dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera che non abbiano esclusivamente natura commerciale” e già con le sentenze del 10.1.2006 (C-222/04) e del
10.7.2008 (C-49/07) la Corte di Giustizia europea ha chiarito in presenza di quali elementi un’attività può reputarsi commerciale.
Da ultimo, come condivisibilmente evidenziato dalla CTR, non si può ritenere incolpevolmente erroneo l’affidamento derivato dalla mancata richiesta di pagamento dell’ICI per le annualità pregresse al 2010 e deve escludersi la rilevanza di eventuali contrasti interpretativi nella giurisprudenza di merito.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita accoglimento.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 10.000,00 per compensi ed € 200,00 per spese, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, Iva e Cpa;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria della