LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Esenzione IMU enti non commerciali: la Cassazione

Un consorzio di comuni, gestore di case vacanza, ha richiesto l’esenzione da ICI e IMU sostenendo la natura non commerciale delle sue attività. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che l’esenzione IMU per enti non commerciali non è applicabile se vengono svolte attività commerciali, anche se marginali, come l’affitto di campi sportivi o locali. La sentenza ribadisce che l’onere di provare la natura esclusivamente istituzionale e non commerciale dell’attività ricade sul contribuente, che in questo caso non ha fornito prove sufficienti.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 21 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Esenzione IMU enti non commerciali: la Cassazione chiarisce i limiti

La questione dell’esenzione IMU per gli enti non commerciali è un tema di grande attualità e dibattito, che tocca da vicino numerose organizzazioni con finalità sociali, culturali e assistenziali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sui requisiti necessari per beneficiare di tale agevolazione, sottolineando come anche attività commerciali marginali possano precludere il diritto all’esenzione totale.

Il caso: un consorzio di comuni e la richiesta di esenzione ICI/IMU

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un consorzio composto da diversi comuni, proprietario di un complesso immobiliare adibito a casa vacanze. L’ente consortile aveva impugnato degli avvisi di accertamento relativi a ICI e IMU per diverse annualità, sostenendo di aver diritto all’esenzione prevista dall’art. 7 del D.Lgs. 504/1992. Secondo il consorzio, le attività svolte all’interno della struttura erano di natura esclusivamente istituzionale e non commerciale, in linea con le finalità sociali e assistenziali del proprio statuto.

Sia in primo grado che in appello, le corti tributarie avevano respinto le argomentazioni del consorzio. I giudici di merito avevano infatti rilevato che, accanto all’attività principale, l’ente svolgeva anche servizi a fronte di un corrispettivo, come l’affitto a prezzi di mercato di campi sportivi e la concessione di locali per eventi. Queste attività, seppur potenzialmente marginali, sono state ritenute sufficienti a configurare una natura commerciale, incompatibile con il requisito dell’uso esclusivo per fini istituzionali richiesto dalla norma.

L’onere della prova per l’esenzione IMU per gli enti non commerciali

Uno dei principi cardine ribaditi dalla Cassazione è quello relativo all’onere della prova. La Corte ha chiarito che spetta al contribuente che richiede l’esenzione dimostrare in modo inequivocabile la sussistenza di tutti i requisiti di legge. Non è sufficiente affermare la natura non commerciale della propria attività o evidenziare la modestia dei proventi.

Il contribuente deve fornire prove concrete che l’attività svolta nell’immobile sia:
1. Esclusivamente istituzionale: L’immobile deve essere destinato unicamente allo svolgimento dei compiti statutari dell’ente.
2. Svolta con modalità non commerciali: L’attività deve essere resa a titolo gratuito o dietro il versamento di un importo puramente simbolico, tale da non potersi configurare come un vero corrispettivo economico.

Nel caso specifico, il consorzio si era limitato a sostenere la propria tesi senza fornire elementi documentali sufficienti a dimostrare, ad esempio, la natura simbolica delle tariffe applicate o l’assenza di una logica di mercato nella gestione dei servizi accessori.

Attività commerciale, anche se marginale, esclude il beneficio

La sentenza sottolinea un punto fondamentale: la legge sull’esenzione è di stretta interpretazione. L’esenzione spetta solo se l’immobile è “destinato esclusivamente ai compiti istituzionali”. La presenza di un utilizzo, anche non prevalente, per attività di diritto privato o commerciale fa venir meno il presupposto per il beneficio fiscale.

La concessione a terzi del godimento di parti dell’immobile (come campi sportivi o sale per eventi) dietro pagamento di un canone o di un corrispettivo configura un’attività commerciale. Questo è vero anche se le tariffe sono inferiori a quelle di mercato, a meno che non si dimostri che si tratti di un importo puramente simbolico, inteso come un mero rimborso spese residuale. La sola finalità sociale dell’ente non è, di per sé, sufficiente a escludere la natura economica dell’attività, in conformità con i principi eurounitari.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del consorzio basandosi su diverse argomentazioni. In primo luogo, ha affermato che i giudici di merito avevano correttamente applicato il principio dell’onere della prova, rilevando la mancanza di prove adeguate da parte del contribuente. Il Comune, al contrario, aveva dimostrato che il consorzio svolgeva attività di tipo commerciale.

In secondo luogo, la Corte ha specificato che la richiesta di un corrispettivo per i servizi offerti (come l’alloggio, l’uso dei campi sportivi o dei locali) è incompatibile con il requisito della non commercialità, a meno che non si provi in modo rigoroso la sua natura meramente simbolica. Le affermazioni generiche del consorzio su tariffe “politiche” o inferiori al 50% rispetto a strutture analoghe non sono state ritenute sufficienti, in assenza di dati di bilancio e prove documentali concrete a supporto.

Infine, la Corte ha respinto anche il motivo relativo alla presunta incertezza normativa che avrebbe giustificato la disapplicazione delle sanzioni. Secondo i giudici, la normativa e la giurisprudenza, anche europea, sono chiare nel definire quando un’attività possa considerarsi commerciale, e non sussistevano elementi per ritenere incolpevole l’errore del contribuente.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa sentenza rappresenta un importante monito per tutti gli enti non commerciali che possiedono immobili e intendono beneficiare dell’esenzione IMU. Le conclusioni pratiche che se ne possono trarre sono le seguenti:

1. La prova è fondamentale: È indispensabile conservare e, se necessario, produrre in giudizio tutta la documentazione idonea a dimostrare che l’attività svolta nell’immobile è esclusivamente istituzionale e non commerciale. Ciò include statuti, bilanci, delibere e un’analisi dettagliata delle tariffe applicate.
2. Attenzione alle attività accessorie: Anche attività considerate secondarie o marginali, se svolte a fronte di un corrispettivo non meramente simbolico, possono compromettere il diritto all’esenzione sull’intero immobile.
3. La finalità non basta: Non è sufficiente che lo statuto dell’ente preveda finalità sociali e l’assenza di scopo di lucro. Ciò che conta è come l’attività viene concretamente svolta e gestita. L’uso di criteri economici, anche solo per coprire i costi, può essere interpretato come indice di commercialità.

A chi spetta l’onere di provare i requisiti per l’esenzione IMU per un ente non commerciale?
L’onere di provare l’effettiva sussistenza dei requisiti per beneficiare dell’esenzione, in particolare la natura esclusivamente istituzionale e non commerciale dell’attività svolta nell’immobile, spetta al contribuente che richiede l’agevolazione.

Un’attività commerciale, anche se marginale o secondaria, impedisce di ottenere l’esenzione IMU sull’immobile?
Sì, la normativa richiede che l’immobile sia destinato esclusivamente a compiti istituzionali. Pertanto, anche un utilizzo parziale o non prevalente per attività commerciali (come l’affitto di spazi o servizi a terzi dietro corrispettivo) fa venir meno il diritto all’esenzione, a meno che il corrispettivo non sia puramente simbolico.

Il fatto che un ente non persegua finalità di lucro è sufficiente per ottenere l’esenzione dall’IMU?
No. Secondo la Corte, la presenza di una finalità sociale o l’assenza di scopo di lucro non sono di per sé sufficienti a escludere la natura economica e commerciale di un’attività. Ciò che rileva è che l’attività non sia svolta con modalità commerciali, ovvero non sia resa a titolo gratuito o dietro versamento di un importo meramente simbolico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati