Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7998 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7998 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19951/2020 R.G. proposto da: PROCURA GENERALIZZATA DELL’ISTITUTO RAGIONE_SOCIALE NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 6404/2019 depositata il 15/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Procura Generalizia dell’RAGIONE_SOCIALE propone ricorso, affidato a otto motivi, illustrati con successiva memoria ex art. 380bis c.p.c., per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 6404/1/2019, depositata in data 15 novembre 2019 e non notificata, in forza della quale è stato accolto l’appello proposto dall’ente impositore e confermato l’avviso di accertamento relativo ad IMU 2013, negando il diritto dell’istituto all’esenzione per lo svolgimento di attività didattica.
Roma Capitale resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Per ragioni di ordine logico va esaminato, in via preliminare, il terzo motivo di ricorso in forza del quale parte ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 53 d.lgs. n.546/1992 per non avere i giudici di appello rilevato l’inammissibilità dell’appello per mancata specificazione dei motivi, omettendo di considerare che la motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazi one delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado nonchè l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata, requisiti totalmente carenti nell’atto di impugnazione del Comune.
1.1. Occorre premettere che avendo i giudici di appello esaminato nel merito le censure di cui all’atto di impugnazione, deve ritenersi
che gli stessi abbiano implicitamente disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello formulata dalla contribuente.
Per altro verso va rilevato che nell’escludere l’inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle Entrate, ex art. 53 d.lgs. n. 546/92, la Commissione tributaria regionale ha correttamente applicato, nella concretezza del caso, il costante indirizzo di legittimità secondo il quale, vista anche la natura impugnatoria ab origine rivestita dal processo tributario, la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci (vedi, ex plurimis , Cass. n. 32954/18).
Si è, ancora, condivisibilmente osservato che nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546/1992 (vedi Cass. n. 6302/22).
Nel caso di specie questo indirizzo appare tanto più calzante ove si consideri che l’intera controversia poggiava esclusivamente sul diritto all’esenzione in ipotesi di attività didattica esercitata con modalità ritenute, in concreto, commerciali, sicché la riproposizione da parte del Comune delle tesi da esso già svolte nel primo grado di giudizio e, ancor prima, a fondamento dell’avviso di accertamento
opposto, lungi da risultare generica e non mirata sulla diversa ragione decisoria dei primi giudici, dava, invece, conto in maniera puntuale e circostanziata della tesi giuridica di cui l’Amministrazione comunale chiedeva l’accoglimento in riforma della decisione appellata. E ciò è stato fatto, come risulta dalle censure di appello richiamate dalla stessa parte ricorrente, proprio attraverso la illustrazione degli elementi interpretativi fondamentali che, secondo l’ente impositore, denotavano l’errore dei p rimi giudici, dal momento che non spettava alcuna agevolazione alla suindicata Congregazione. 2. Va, quindi, osservato che con il primo motivo parte contribuente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 36 d.lgs. n. 546/1992 nonché degli artt. 24 e 111 Cost. atteso che i giudici di appello avevano omesso di pronunciarsi su tutte le eccezioni sollevate in secondo grado, solo genericamente disattese.
2.1. Osserva questa Corte che, valutate le complessive argomentazioni della sentenza impugnata, deve escludersi la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ove si ponga mente al fatto che, secondo il condivisibile orientamento di questa Corte, il giudice del merito non deve dar conto di ogni argomento difensivo sviluppato dalla parte, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, num. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo in tal modo ritenersi disattesi, per implicito, tutti gli argomenti non espressamente esaminati, ma sub valenti rispetto alle ragioni della decisione (cfr., ex multis , Cass. 3108/2022, n. 3108, Cass. n. 12652/2020; Cass. 10937/2016; Cass. 12123/2013). Invero la nullità per omessa pronunzia non è configurabile quando la decisione comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione
implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamene esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico giuridica della pronuncia …» (Cass. n. 15015/2023). Nel caso in esame risulta evidente che i giudici di appello , nell’escludere il diritto all’esenzione in ragione delle caratteristiche dell’attività didattica esercitata da parte contribuente, hanno disatteso, sia pure per implicito, tutte le argomentazioni dedotte dalla Congregazione dirette a dimostrare la sussistenza dei presupposti di legge ai fini della chiesta esenzione.
Del resto la circostanza che la C.T.R. ha inteso rigettare, sia pure implicitamente, tutte le ulteriori questioni preliminari dedotte ritenendole prive di fondamento emerge chiaramente dall’affermazione contenuta in sentenza secondo cui: ‘Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti…’.
Con il secondo motivo la contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 7 d.lgs. n. 546/1992 nonché 24 e 111 Cost. per avere i giudici di appello posto a fondamento della decisione fatti costitutivi della pretesa diversi ed ulteriori rispetto a quelli indicati nell’ avviso di accertamento.
Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione degli artt. 7. d.lgs. n. 546/1992, 3 l. 241/1990, 24 e 97 Cost., 1, comma 161, l. 296/2006 e 111 c.p.c. assumendo che la C.T.R aveva avallato una integrazione postuma della motivazione dell’atto impositivo.
Tali motivi -che vanno esaminati congiuntamente in quanto fra loro strettamente connessi -sono da ritenere infondati. Questa Corte ha ripetutamente chiarito che l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui i l contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa
tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’ an ed il quantum dell’imposta; in particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazio ne dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (vedi Cass. n. 21571/2004; Cass. n. 22841/2010; Cass. n. 26431/2017; Cass. n. 2555/2019; Cass. n. 23386/2021).
Il decisum adottato sul punto dal giudice di appello deve ritenersi, invero, corretto, proprio perché l’avviso in questione risponde ai parametri – necessari e sufficienti – di cui all’art. 7 legge 212/2000, così da porre la parte contribuente in condizione di immediatamente ed esaurientemente cogliere le ragioni giuridiche ed i presupposti di fatto della pretesa, apparendo del tutto infondata alla luce dei cennati principi la contestazione secondo cui l’avviso di accertamento ‘non avrebbe motivato in alcun modo la pretesa IMU non precisando, infatti, quali sarebbero i requisiti, tra i diversi previsti dal D.M. 200/2012 di cui sarebbe stata riscontrata la carenza’.
In ordine alla lamentata totale carenza di motivazione circa l’insussistenza dei presupposti della esenzione ex art.7 co.1 lett.i) d.lgs. 504/92, basterà rilevare come l’adeguatezza del livello motivazionale dell’avviso in questione dovesse essere appunto verificato nei presupposti fattuali e giuridici del prelievo, e non in quelli (puramente eventuali, eterogenei e comunque disponibili dalla parte) dell’esenzione. Si richiama quanto in proposito stabilito da Cass.n. 1694/18, secondo cui: In tema di ICI, l’art. 11, comma 2bis, del d.lgs. n. 504 del 1992 (….), disponendo che gli avvisi di liquidazione e accertamento devono essere motivati in relazione ai
presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che li hanno determinati, non comporta l’obbligo di indicare anche l’esposizione delle ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, poiché è onere del contribuente dedurre e provare l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione dell’imposta (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto sufficientemente motivato l’avviso di accertamento, nel quale erano stati indicati i dati identificativi dell’immobile, il soggetto tenuto al pagamento e l’ammontare dell’imposta).
Risulta, quindi, chiaro che detto onere di motivazione non comporta l’obbligo di indicare anche l’esposizione delle specifiche ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di esenzioni poiché è onere del contribuente dedurre e provare l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione dell’imposta (vedi anche Cass., 140941/2010 nonchè Cass. n. 23386/2021) dovendosi, pertanto, escludere che nella fattispecie in esame sia intervenuta una motivazione integrativa ‘postuma’ di un atto impositivo ab origine nullo in quanto non motivato ovvero che i giudici di appello abbiano posto a fondamento della decisione “fatti costitutivi della pretesa fiscale diversi e ulteriori rispetto a quelli indicati nell’avviso di accertamento’.
Con il quinto motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 10, comma 2, d.lgs. 212/2000 e 6, comma 2, d.lgs. 472/1997 non avendo i giudici di appello considerato che in ragione dell’affidamento sulle indicazioni fornite dalla stessa amministrazione finanziaria nelle Istruzioni mod. IMU/TASI ENC (Enti non commerciali) non potevano ritenersi applicabili le sanzioni ed i relativi interessi.
Precisa, inoltre, che in ragione del ‘principio dell’affidamento’ doveva in realtà, riconoscersi ‘l’inesigibilità tout court della prestazione tributaria’.
5.1. Tal motivo può trovare accoglimento nei limiti appresso specificati.
5.2. Va premesso che secondo un consolidato principio di diritto, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, «l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione. Tale verifica è censurabile in sede di legittimità per violazione di legge, non implicando un giudizio di fatto, riservato all’esclusiva competenza del giudice di merito, ma una questione di diritto, nei limiti in cui la stessa risulti proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nel giudizio di merito» (così Cass. n. 3108/2019; Cass. n. 23845/2016; Cass. n. 24588/2015; Cass. n. 4394/2014, Cass. n. 4522/2013; Cass. n. 13457/2012; Cass. 2192/2012; Cass. n. 24670/2007).
Si è, in particolare, evidenziato che -costituendo l’incertezza normativa oggettiva una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole che trova il suo fondamento, piuttosto che nell’ignoranza giustificata, nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura
della norma giuridica tributaria -l’essenza del fenomeno «si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente: 1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente» (v. Cass. 12301/2017; Cass. n. 15452/2018; Cass., 12 aprile n. 10313/2019).
Nella fattispecie in esame parte contribuente ha rimarcato come le istruzioni allegate al mod. IMU-TASI espressamente precisavano che « Se il Cm è inferiore o uguale al Cms, ciò significa che l’attività didattica è svolta con modalità non commerciali e, quindi, non è assoggettabile a imposizione » e, dunque, che le modalità non commerciali conseguivano dal risultare il corrispettivo medio praticato dal contribuente inferiore al costo medio per studente rilevato dal Ministero, ulteriormente precisando che anche sul sito internet del Ministero Istruzione, dell’Università e della Ricerca risultava precisato: ‘ Se il corrispettivo medio (CM) è inferiore o uguale al costo medio per studente (CMS), ciò significa che l’attività
didattica è svolta con modalità non commerciali e, quindi, non è assoggettabile a imposizione ‘ .
Occorre, pure, considerare che il criterio di qualificazione in discorso risultava replicato negli stessi decreti aventi ad oggetto la determinazione dei contributi pubblici per le scuole paritarie e che lo stesso è stato ritenuto dirimente nelle stesse interpretazioni di alcune pronunce di merito, in difetto di uno specifico intervento chiarificatore della giurisprudenza di legittimità al momento dell’illecito sanzionato.
E deve, ancora, rilevarsi che le stesse osservazioni svolte nella decisione della Commissione (2013/284/UE, punto 172) implicavano un rinvio alla giurisprudenza della Corte di Giustizia relativamente alla nozione di impresa -in ipotesi insussistente «nel caso dei corsi impartiti da taluni istituti che facciano parte di un sistema di insegnamento pubblico e che siano finanziati, interamente o prevalentemente, mediante fondi pubblici» così che l’espresso riferimento al rapporto tra corrispettivo medio (CM) e costo medio per studente (CMS) implicava un confronto interpretativo che -al di là di una siffatta espressa correlazione tra CM e CMS -doveva prendere in considerazione (anche) le disposizioni nazionali di disciplina dei contributi pubblici previsti per le scuole paritarie.
Sebbene l’Amministrazione finanziaria non abbia poteri discrezionali nella determinazione delle imposte dovute e, di fronte alle norme tributarie, detta Amministrazione ed il contribuente si trovano su un piano di parità, per cui la c.d. interpretazione ministeriale, sia essa contenuta in circolari o in risoluzioni, non vincola né i contribuenti né i giudici, né costituisce fonte di diritto (Sez. 5, Sentenza n. 21154 del 06/08/2008) e fermo restando che, come affermato da Cass. n. 31523/2022, le istruzioni ministeriali non hanno natura vincolante per la compilazione delle dichiarazioni IMU, posto che esse non possono derogare né alla normativa primaria, da interpretarsi in senso conforme alla citata decisione della Commissione UE, né alla
stessa normativa secondaria alla quale accedono, è innegabile che in tale quadro erano ravvisabili un pluralità di disposizioni il cui coordinamento appariva concettualmente difficoltoso, per l’equivocità del loro contenuto tale da creare una situazione di incertezza normativa oggettiva.
Quanto rilevato non può, tuttavia, implicare come chiesto dall’ Ente Ecclesiastico ricorrente l ‘annullamento dell’avviso in ragione del legittimo affidamento del contribuente, dovendosi ribadire che tutte le indicazioni fornite dalla Amministrazione finanziaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, sicché, ove il contribuente si sia conformato a un’interpretazione erronea fornita da quest’ultima, non può invocare alcun legittimo affidamento al fine di andare esente dal pagamento del tributo dovuto, assumendo all’uopo rilievo il principio, di rilevanza costituzionale, della riserva di legge, nonché gli ulteriori principi di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatività della funzione di imposizione e di irrinunciabilità del diritto di imposta, risultando ciò conforme al principio unionale secondo cui il legittimo affidamento non può basarsi su una prassi illegittima dell’Amministrazione (vedi Cass. 20819/2020).
Il motivo merita, dunque, accoglimento con limitato riferimento alle sanzioni e agli interessi dovendosi dare seguito all’orientamento di recente fissato questa Corte secondo cui ‘ in tema di IMU e di TASI, sussistevano obiettive condizioni di incertezza normativa con riferimento all’esenzione prevista per lo svolgimento di attività didattica in règime di scuola paritaria, con conseguente legittima disapplicazione delle sanzioni, atteso che il presupposto dell’esenzione, correlato allo svolgimento dell’attiv ità con modalità non commerciali, risultava specificamente definito, nelle istruzioni allegate al d.m. 26 giugno 2014 (recante «Approvazione del modello di dichiarazione dell’IMU e della TASI per gli enti non commerciali, con le relative istruzioni»), secondo il criterio del rapporto tra
corrispettivo medio percepito dal contribuente (CM) e costo medio per studente (CMS) rilevato dal Ministero su base nazionale, criterio replicato, a sua volta, nel decreti ministeriali recanti disciplina dei contributi stanziati in favore delle scuole paritarie (l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 636), laddove la corretta, e compiuta, valutazione del presupposto dell’esenzione, in assenza di precedenti giurisprudenziali di legittimità e nella ricorrenza di difformi orientamenti interpretativi della giurisprudenza di merito, implicava un difficoltoso (e multilivello) confronto interpretativo con le disposizioni nazionali, di disciplina dei contributi pubblici previsti per le scuole paritarie, alla luce degli orientamenti emersi nella giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di finanziamento del sistema di insegnamento pubblico, orientamenti presupposti nella stessa decisione 2013/284/UE, del 19 dicembre 2012, della Commissione dell’Unione Europea» (vedi Cass. n. 5962/2025).
6. Con il sesto motivo l’Ente ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 7 comma 1, lett. i) d.lgs. 504/1992 richiamato dall’art. 9, comma 8 d.lgs. 23/2011, dell’art. 91 -bis , comma 3, del d.l. 1/2012, dell’art. 4 del d.m. 200/2012 nonché dell’art. 116 c.p.c. 10, comma 2, d.lgs. 212/2000 e 6 comma 2 d.lgs. 472/1997 lamentando che i giudici, nell’affermare che nella specie era configurabile lo svolgimento di una vera e propria attività commerciale non avevano valutato la specifica normativa di settore né le indicazioni del MIUR quanto al rapporto fra CM (corrispettivo medio) e CMS (costo medio per studente).
6.1. Occorre premettere che la C.T.R., nel disattendere la censura formulata in questa sede, ha ritenuto che, nel caso in esame, la contribuente non aveva diritto ad alcuna esenzione in quanto la stessa svolgeva una attività scolastica di tipo commerciale considerato che le rette versate dagli studenti erano ‘tutt’ altro che
simboliche’ e come anche desumibile dal volume di affari accertato ai fini IVA e dal reddito di impresa percepito.
6.2 Osserva questo Collegio che la questione ivi dedotta ha costituito oggetto di varie pronunce di questa Corte. La previsione dell’art. 7, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 504/1992, nel testo vigente, come modificato dall’art. 91 -bis del d.l. n. 1 del 2012, conv. in legge n. 27 del 2012, espressamente richiamata, in tema di IMU, dal d.lgs. n. 23 del 2011, deve essere applicata nell’accezione compatibile con la decisione adottata dalla Commissione dell’Unione Europea il 19 dicembre 2012 e con la sentenza resa dalla Corte di giustizia del 6 novembre 2018, nelle cause riunite C-622, 663 e 624/2016, che ha confermato la decisione, limitandosi ad annullarla in ordine al mancato recupero degli aiuti di Stato. Pertanto, l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i , d.lgs. n. 504 del 1992 va riconosciuta solo se le attività ivi elencate (assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’art. 16, lett. a, della legge n. 22 del 1985) sono esercitate con modalità non commerciali. Risulta, invece, irrilevante la finalità sociale e di pubblica utilità sodisfatta dall’attività didattica, trattandosi di profili che non incidono sul modo (commerciale o meno) con cui la predetta attività è stata svolta, così come la qualificazione di scuola paritaria (ritenuta, al contrario, decisiva dal giudice di appello). In particolare, come ha precisato l’art. 4, comma 3, lett. c, del regolamento, adottato dal Ministero delle Finanze, con decreto n. 200 del 2012, a cui rinvia l’art. 91 -bis, comma 3, del d.l. n. 1 del 2012, conv. in legge n. 27 del 2012, le attività didattiche sono svolte con modalità non commerciali se esercitate a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso. Si è chiarito che per corrispettivo simbolico, ai fini dell’esenzione prevista dall’art. 7, lett. i), d.lgs. n. 504 del
1992, per l’attività didattica, in base ai criteri dettati dalla decisione della Commissione dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012, deve intendersi quello caratterizzato da un irrisorio, marginale, del tutto residuale ammontare, in termini tali da non potersi porre in relazione con il servizio reso, così presentandosi come corrispettivo di natura meramente formale, tale da rendere la prestazione più prossima ad una erogazione gratuita, che a quella sotto-remunerata rispetto agli standard medi (così Cass. n. 27821/2023 nonché Cass. 3674/2024). Si è, anche, evidenziato che deve escludersi l’equivalenza del concetto di corrispettivo simbolico con quello di corrispettivo inferiore rispetto alla media dei prezzi praticati nella zona, atteso che il corrispettivo puramente simbolico non è quello tenue o modesto, ma quello che escludendo completamente il rapporto sinallagmatico equivale alla sua assenza (cfr. Cass. n. 17902/2024 che richiama Cass. n. 8967/2020; Cass. n. 4066/2019; Cass. n. 37340/2021). Quanto al d.m. 26 giugno 2014, contenente le istruzioni per la compilazione delle dichiarazioni IMU e TASI, questa Corte ha chiarito -come sopra già evidenziato – che le istruzioni ministeriali non possono vincolare l’interpretazione del dato normativo, sicché la va lutazione della natura non commerciale dell’attività didattica non può esaurirsi nell’applicazione meccanica del parametro, consistente nel rapporto tra corrispettivo medio (CM) e costo medio per studente (CMS), previsto da tali istruzioni. Tale parametro è stabilito in via generale, una volta per tutte, ed è funzionale ad una elaborazione forfettaria del requisito, mentre, in termini del tutto diversi, il dato normativo obbliga ad una valutazione puntuale, non predeterminata, riferita alla specifiche condizioni in cui opera il singolo contribuente, delineando un accertamento basato sulla verifica dell’irrisorietà della retta, in ragione della sua inidoneità a porsi come larvata forma retributiva dell’attività didattica prestata (Cass.18831/2020; n. 3369/2019;n. 2019/13787, in motiv; 24308/2019; Cass. n. 10754/2017; Cass. n. 10483 del 2016; n. 19773 del 2019; n. 13970
del 2016). In definitiva, il d.m. 16 giugno 2014 introduce un parametro che si pone in contrasto con la norma gerarchicamente superiore, contenuta nel d.m. 200 del 2012, richiamata dalla legge n. 1 del 2012, limitandosi ad una valutazione astratta, che, peraltro, pone a confronto entità non omogenee e, cioè, il corrispettivo effettivamente praticato in un dato contesto temporale e territoriale ed il costo medio del servizio per studente, calcolato dal Ministero, in base a dati raccolti su tutto il territorio nazionale, in cui esistono disparità, anche rilevanti, di costi. Fermo restando quanto precisato circa la non debenza della sanzioni al § 5.1., non assume, quindi, rilievo la rispondenza della retta scolastica ai limiti fissati in materia di ‘costo medio per studente’ per l’anno di riferimento secondo la tabella redatta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, sulla base delle istruzioni per la compilazione del modello di dichiarazione a fini dell’IMU per gli enti non commerciali in allegato al d.m. 26 giugno 2014, non ponendosi detti criteri in armonia con quanto stabilito dalla decisione adottata dalla Commissione Europea il 19 dicembre 2012 e del d.m. 200/2012 (v., in motiv., sul punto, Cass. m. 17704/2024). Le stesse considerazioni si estendono a tutti i decreti adottati dal Ministero dell’Istruzione per l’assegnazione dei contributi alle scuole che parimenti non hanno natura normativa e non possono modificare o introdurre deroghe rispetto alla disciplina delineata dalle fonti normative, così come alle eventuali note o circolari. Neppure è decisivo il disavanzo di bilancio, potendo essere condizionato da una pluralità di fattori e come tale non esclusivamente dipendente dall’ammontare delle rette, per cui non è capace di esprimere il concetto di corrispettivo simbolico, né dimostra che quest’ultimo sia stato determinato in assenza di relazione col costo effettivo del servizio, profilo questo che integra, invece, il parametro normativo di riferimento per stabilire il carattere non co mmerciale dell’attività didattica ai fini che occupano (cfr. Cass. n. 4952/2023 e Cass. n. 17704/2024 e le varie pronunce ivi
menzionate). A ciò si aggiunga che la natura simbolica del corrispettivo deve essere valutata anche in considerazione dei finanziamenti ricevuti dall’istituto scolastico, in quanto, laddove la retta, anche inferiore al costo del servizio, unitamente ai finanziamenti pubblici o anche privati, consenta di raggiungere o, comunque, perseguire il pareggio di bilancio, l’attività è svolta con metodo economico. Infine, il carattere simbolico del corrispettivo non può essere presunto, ma deve essere dimostrato dal soggetto che invoca l’esenzione ulteriore ragione per cui non può utilizzarsi, quale termine di confronto, il dato disomogeneo e scarsamente significativo del costo medio nazionale, per sopperire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del ricorrente. Neppure alcun valore presuntivo si collega al tipo di attività svolto, visto che qualsiasi attività, anche se strumentale a soddisfare interessi pubblici o bisogni primari della collettività, può essere svolta con metodo economico.
La verifica di tale connotazione del corrispettivo impone una valutazione puntuale – non predeterminata e riferita alle specifiche condizioni in cui opera il singolo contribuente (v., per tutte, Cass., 2 ottobre 2023, n. 27821, cit.) -che nella fattispecie, come sopra indicato, è stata compiutamente e legittimamente eseguita dal giudice di appello la cui statuizione sul punto deve essere, dunque confermata.
Occorre precisare che a fronte della valutazione in fatto operata dai giudici di appello in ordine alla corresponsione di una retta ‘tutt’altro che simbolica’ del tutto irrilevanti risultano le contestazioni della contribuente la quale lamenta il riferimento da parte dei giudici di merito a criteri estranei alla normativa IMU e la individuazione di parametri erronei quanto al volume di affari ai fini IVA ed ai redditi percepiti dall’ente, trattandosi di valutazioni ad abundantiam svolte dalla C.T.R. prive, in sé, di rilevanza.
Con il settimo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo avendo i giudici di appello, nel pervenire alle proprie conclusioni, trascurato di considerare una serie di fatti storici decisivi ai fini del riconoscimento del diritto all’esenzione, quali: – la circostanza che l’attività didattica era svolta dietro il pagamento di una retta che copriva solamente una frazione al costo del servizio; – il fatto che il volume d’affari IVA e il reddito complessivo della Congregazione derivavano dallo svolgimento di attività diverse ed esercitate in immobili diversi per i quali era regolarmente versata l’Imu; – il dato relativo alle istruzioni delle dichiarazioni IMU/TASI facenti riferimento al criterio del C.M.S. (costo medio per studente), fatti storici tutti dedotti con gli scritti difensivi e comprovati attraverso la documentazione analiticamente indicata richiamata indico il ricorso. 7.1. Tale motivo si appalesa inammissibile o, comunque, infondato. Invero il giudice di merito ha ritenuto, correttamente, che un ruolo essenziale nella riconoscibilità dell’esenzione in questione dovesse attribuirsi all’entità economica delle rette scolastiche riscosse dalla contribuente le quali, non potevano reputarsi puramente simboliche.
Tutte le altre circostanze di cui si lamenta la pretermissione riportate in ricorso – non erano in grado di scalfire la conformità a diritto di questo ragionamento, rilevando quanto già affermato da questa Corte sul rapporto tra rette percepite da ogni singolo studente e quota di copertura dei costi medi di esercizio come indicativamente stabiliti dalla P.A. secondo cui il carattere commerciale va escluso (con circostanza da provarsi ad onere del contribuente che invochi l’esenzione ex art.7 co.1 lett.i) d.lgs. 504/92, e pena la configurabilità di un non consentito aiuto di Stato in regime di libera concorrenza) solo in presenza -come detto – di corrispettivi minimi o addirittura simbolici ed in maniera del tutto indipendente dai (non vincolanti) parametri dettati in proposito dal MIUR (vedi, in particolare, Cass. n. 15364/22).
In secondo luogo la doglianza non si fa carico di considerare il fatto che l’omissione deve concernere fatti controversi e ‘decisivi’ per il giudizio e che, nella specie, il fatto decisivo rappresentato dal carattere commerciale o meno dell’attività didattica, lungi dal non essere stato esaminato, è stato invece adeguatamente ed con congrua motivazione vagliato dal giudice regionale laddove i vari fatti secondari di cui si lamenta la disamina non potevano certo, per le già indicate ragioni, rivestire il necessario carattere di decisività e di idoneità, se esaminati e positivamente provati, a sovvertire la decisione. Sotto altro profilo è evidente la sollecitazione attraverso la quale la doglianza vorrebbe in realtà addivenire, in questa sede di legittimità, ad una totale rinnovazione della delibazione probatoria e fattuale, il che è, appunto, certamente inammissibile in questa sede di legittimità.
Con l’ottavo motivo viene lamentata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 161, l. 296/2006 e dell’art. 15 comma 1, Regolamento IMU, assumendosi che occorreva considerare che la contribuente aveva dedotto di avere presentato rituale dichiarazione IMU per l’anno 2013 non rettificata e che era stata formulata in seno all’atto di appello eccezione di giudicato interno in ragione della mancata impugnazione da parte di Roma Capitale del capo della sentenza di primo grado in cui si affermava ‘risulta dalla documentazione allegata che la ricorrente ha espressamente chiesto nella dichiarazione Imu al Comune di Roma l’esenzione per i predetti motivi’.
8.1. Tale motivo è da ritenere inammissibile nella parte in cui lamenta, senza alcuna ulteriore specificazione ed in modo del tutto generico ed apodittico, la violazione dell’art. 15, comma 1 del Regolamento IMU del Comune di Roma e, per altro verso, infondato in quanto risulta dallo stralcio della motivazione dell’avviso riportato in controricorso che l’ente impositore ha operato l’accertamento de
quo in rettifica indicando la maggiore imposta dovuta nel rispetto della procedura prevista ex lege (art. 1, comma 161, legge 296/2006). Nè può, in alcun modo, parlarsi di un giudicato interno in ragione della mancata impugnazione da parte di Roma Capitale del capo della sentenza di primo grado in cui si affermava ‘risulta dalla documentazione allegata che la ricorrente ha espressamente chiesto nella dichiarazione Imu al Comune di Roma l’esenzione per i predetti motivi’, non trattandosi, all’evidenza, di u na autonoma ratio decidendi non censurata.
In conclusione, accolto il quinto motivo di ricorso per quanto di ragione e rigettati gli altri motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al suddetto motivo e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con accoglimento del ricorso originario della parte contribuente limitatamente alle sanzioni applicate e relativi interessi.
Le spese dell’intero giudizio vanno compensate, tra le parti, in ragione del limitato accoglimento del ricorso e tenuto conto della sopravvenienza, in corso di causa, della richiamata giurisprudenza di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso per quanto di ragione, rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente limitatamente alle sanzioni applicate con gli impugnati avvisi di accertamento e relativi interessi; compensa, tra le parti, le spese dell’intero giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data 18 dicembre 2024.
La Presidente (NOME COGNOME