Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10392 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10392 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8732/2023 R.G., proposto
DA
RAGIONE_SOCIALE con sede in Roma, in persona degli amministratori delegati pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in allegato al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma ( presso gli Uffici dell’Avvocatura Capitolina), ove elettivamente domiciliata, giusta procura in calce al controricorso di costituzione nel presente procedimento;
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio il 4 ottobre 2022, n. 4306/12/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27 novembre 2024 dal Dott. NOME COGNOME
ICI IMU ACCERTAMENTO IMMOBILI -MERCE RISTRUTTURAZIONE PRINCIPIO DI DIRITTO
RILEVATO CHE:
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio il 4 ottobre 2022, n. 4306/12/2022, che, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento n. 1931/2018 per l’I MU relativa a ll’anno 201 4, per l’importo complessivo di € 496.745,59, con riguardo ad immobili costituenti ‘ beni merce ‘ , dei quali essa era proprietaria in Roma, a seguito del disconoscimento dell’esenzione prevista dall’art. 13, comma 9 -bis , del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo novellato dall’art. 2, comma 2, lett. a, del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, aveva ha accolto l’appello proposto da Roma Capitale nei confronti della medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Roma il 21 novembre 2019, n. 15589/19/2019, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali.
Il giudice di appello ha riformato la decisione di prime cure -che aveva accolto il ricorso originario – sul rilievo che la contribuente non aveva documentato l’esecuzione di lavori di ristrutturazione ex art. 3, comma 1, lett. c), d) ed f), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sui predetti immobili, che non erano di recente costruzione.
Roma Capitale ha resistito con controricorso.
Con conclusioni scritte, il P.M. si è espresso per l’accoglimento del ricorso .
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 15 disp.
prel. cod. civ., 2 del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, e 13, comma 9bis , del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo novellato dall’art. 2, comma 2, lett. a, del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, i n relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che: « La circostanza che l’immobile debba essere di recente costruzione trova riscontro nella legge, che fa riferimento ai “fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita … e comunque per un periodo non superiore a tre anni dall’ultimazione dei lavori” (art. 13, co. 9 bis , D.L. n. 201/2011) ».
A dire della ricorrente: « La norma in vigore dal 31.08.2013 non prevede alcun riferimento temporale né alcuna scadenza riferita al termine dei lavori. Come sopra illustrato, il termine di tre anni previsto nel vecchio testo del comma 9 bis dell’art. 13 del D.L. 201 del 2011 è stato eliminato a seguito delle modifiche determinate dall’art. 2 del Decreto -legge 31 agosto 2013 n. 102. (…) Evidenziando che in nessuna norma è previsto il requisito della mancata vendita ‘per circa 30 anni’, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, nella sentenza oggi impugnata, afferma quindi che gli immobili, per beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IMU devono essere di ‘recente costruzione’ e fonda la propria affermazione e la propria decisione su un dato normativo ben preciso: il riferimento ai ‘tre anni dalla ultimazione dei lavori’ che sarebbe previsto dall’art. 13, comma 9 bis del D.L. 201/2011, peraltro espressamente citato nella decisione oggi impugnata. L’affermazione e la conseguente ratio decidendi seguita dal giudice del merito di secondo grado sono gravemente errati
perché la Corte di Giustizia Tributaria, sviluppando il proprio iter logico, richiama e di conseguenza applica, una norma (o forse, per meglio dire, una previsione normativa) inesistente perché non più in vigore, essendo stata sostituita da altra e quindi abrogata, come già ricordato più volte, tra l’altro proprio con la eliminazione del riferimento ai tre anni dalla esecuzione dei lavori, dall’art. 2 del Decreto -legge 31 agosto 2013 n. 102. È evidente che il riferimento al ‘periodo non superiore a tre anni dall’ultimazione dei lavori’ ha costituito un presupposto fondamentale sul piano logico per la decisione cui è pervenuto il giudice del merito ed è stato pertanto una componente essenziale della ratio decidendi del giudice di secondo grado. Si tratta peraltro di abrogazione espressa, come si evince dalla semplice lettura dell’art. 2 del Decreto -legge 31 agosto 2013 n. 102 che prevede, per l’appunto, espressamente, che ‘il comma 9bis (del D.L. 201/2011) è sostituito dal seguente (…)’. Il nuovo testo della norma è entrato in vigore il 31/08/2013 ed è quindi senza dubbio applicabile al caso in esame, che, come già ricordato, ha ad oggetto l’IMU relativa all’anno di imposta 2014. La Corte di Giustizia di secondo grado per il Lazio ha quindi violato o comunque falsamente applicato l’art. 2 del Decreto -legge 31 agosto 2013 n. 102, l’art. 15 delle Preleggi e l’art. 13, comma 9 -bis del decreto-legge n. 201 del 2011 perché ha ignorato la abrogazione del vecchio testo del medesimo l’art. 13, comma 9 -bis del decreto-legge n. 201 del 2011 espressamente sostituito dall’attuale testo ai sensi dell’art. 2 del Decreto -legge 31 agosto 2013 n. 102, decidendo il procedimento di secondo grado applicando una norma non più in vigore perché espressamente abrogata ».
1.1 Il predetto motivo è infondato, per quanto la correttezza del dispositivo in punto di diritto non esima il collegio
dall’emendarne la motivazione nel senso specificato in appresso, ai sensi dell’art. 384, quarto comma, cod. proc. civ. 1.2 Il testo originario dell’ art. 13, comma 9bis , del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevedeva che: « I Comuni possono ridurre l’aliquota di base fino allo 0,38 per cento per i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, e comunque per un periodo non superiore a tre anni dall’ultimazione dei lavori ».
Il testo novellato dall’art. 2, comma 2, lett. a), del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, dispone ora che: « A decorrere dal 1° gennaio 2014 sono esenti dall’imposta municipale propria i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati ».
1.3 Secondo il tenore della censura formulata dalla ricorrente, il riferimento limitativo al « periodo non superiore a tre anni dall’ultimazione dei lavori » sarebbe stato eliminato dalla versione aggiornata della suddetta norma, per cui il giudice di appello avrebbe fatto impropriamente applicazione del testo abrogato nella decisione della controversia.
Di contro, a dire della controricorrente: « Orbene, nel caso in esame, i 15 fabbricati cui secondo la Commissione spetterebbe l’esenzione, non risultano né recentemente costruiti, né oggetto di interventi di recupero e risanamento previsti dall’art. 3, comma 1, lettere c), d) e f), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Si evidenzia poi che come dichiarato nel ricorso introduttivo dalla stessa RAGIONE_SOCIALE (All.3 -pag.3) e documentalmente provato dalle visure storico-catastali
depositate in CTP unitamente alle controdeduzioni di primo grado e che qui si riallegano (All.8), l’accatastamento dei cespiti in contestazione è stato effettuato dalla ricorrente negli anni ’90. La lettura offerta dalla ricorrente è pertanto erronea in quanto non in linea con l’interpretazione della norma che richiede un intervento recente sul bene ai fini dell’applicazione del beneficio. La lettura di controparte contrasta anche sotto altro profilo con la ratio dell’agevolazione in commento. Ed invero, alla luce della crisi recente del settore immobiliare, la ratio della norma è da rinvenirsi anche e soprattutto nella necessità di non incidere ulteriormente sulla situazione economica degli imprenditori che hanno sostenuto costi per costruire, ovvero risanare completamente unità immobiliari che non trovano poi una collocazione sul mercato ».
In sintonia con la prospettazione della ricorrente, anche il P.M. ha evidenziato che: « Nel caso di specie, la stessa resistente riconosce come ‘non sia contestabile la sussistenza in capo alla controparte del requisito soggettivo e dell’espletamento dei vari adempimenti formali ».
1.4 A sostegno del proprio ragionamento, il giudice di appello ha richiamato la risoluzione emanata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze l’ 11 dicembre 2013, n. 11/DF (che è stata prodotta dall’ente impositore), la quale ha ritenuto che « nel concetto ‘fabbricati costruiti’ delle norme in esame possa farsi rientrare anche il fabbricato acquistato dall’impresa costruttrice sul quale la stessa procede a interventi di incisivo recupero, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettere c), d) e f), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 », ciò « in virtù della considerazione che, ai fini IMU, l’art. 5, comma 6, del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, stabilisce che, in caso di utilizzazione edificatoria dell’area, di demolizione del
fabbricato, di interventi di recupero a norma dell’art. 3, comma 1, lett. c), d) e f), del D.P.R. n. 380 del 2001, la base imponibile è costituita dal valore dell’area, la quale è considerata fabbricabile anche in deroga a quanto stabilito nell’art. 2 del D. Lgs. n. 504 del 1992, senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera, fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato ».
Da qui la conclusione che: « Pertanto, dal contenuto della norma in commento, si evince che il Legislatore ha operato un’equiparazione tra i fabbricati oggetto degli interventi di incisivo recupero di cui al citato art. 3, comma 1, lett. c), d) e f), del D.P.R. n. 380 del 2001 e i fabbricati in corso di costruzione. I primi, infatti, sono, alla stessa stregua dei secondi, considerati, ai fini della determinazione della base imponibile IMU, area fabbricabile fino all’ultimazione dei lavori. Dalle considerazioni appena formulate si evince che i fabbricati oggetto degli interventi di incisivo recupero nei termini sin qui esplicitati rientrano nel campo di applicazione dell’esenzione introdotta dal citato art. 2 del D. L. n. 102 del 2013, solo a partire dalla data di ultimazione dei lavori di ristrutturazione ». Tale estensione, quindi, prescinde dalla risalenza infratriennale degli « interventi di incisivo recupero» , essendo sufficiente per beneficiare dell’esenzione che la ristrutturazione dei fabbricati destinati alla rivendita e non concessi in locazione sia stata completata nell’anno di riferimento.
Conformandosi a tale esegesi, la sentenza impugnata ha ritenuto che « agli immobili di recente costruzione sono equiparabili solo quelli oggetto di incisivo recupero ai sensi del DPR 380/2001 ».
1.5 Tuttavia, secondo alcuni arresti di questa Corte (Cass., Sez. 5^, 28 marzo 2022, n. 9897; Cass., Sez. 5^, 2 febbraio 2024, n. 3094), a cui il collegio ritiene di dare continuità in questa sede, il regime di esenzione risulta connaturato ai « fabbricati costruiti » dall’impresa (altrimenti) soggetto passivo IMU, « destinati (…) alla vendita » e « fintanto che permanga tale destinazione », così che deve senz’altro escludersi dal suo ambito applicativo il fabbricato che sia stato immesso nel mercato immobiliar e (per acquisto operatone dall’impresa ), seppure la circolazione commerciale del bene sia preordinata ad una successiva attività di costruzione, non potendosi concepire (al momento del detto acquisto) né l’esistenza di un fabbricato « costruito » dal soggetto passivo dell’IMU , e destinato alla vendita (piuttosto che alla sua ristrutturazione edilizia), né la permanente (e documentata) destinazione (alla vendita) del bene stesso (così) costruito.
È, poi, ben vero che deve ritenersi consentita un’interpretazione della disposizione di favore che -perimetrata all’interno del dato normativo, avuto riguardo ai suoi segni letterali ed allo scopo perseguito dal legislatore – sia volta alla massima espansione del contenuto normativo (così) ricostruito, essendosi rilevato che « anche in presenza di disposizioni eccezionali o di carattere tassativo l’interprete è tenuto a ricercare, pur senza superarlo arbitrariamente, l’esatto valore semantico della formula legislativa al fine di stabilire se la regula juris debba essere “estesa” (o, più esattamente, dichiarata applicabile), secondo l’intenzione del legislatore, a casi che pur non risultando espressamente considerati nel testo della norma, debbono ritenersi in esso implicitamente compresi e disciplinati » (Cass. Sez. Un., 17 maggio 2010, n. 11930; Cass. Sez. Un., 20 ottobre 2010, n.
21493; Cass., Sez. 5^, 30 dicembre 2011, n. 30722; Cass., Sez. 5^, 26 giugno 2020, n. 12777); ma, nella fattispecie, la sopra rilevata distanza delle fattispecie preclude (anche) un’interpretazione estensiva del r egime di favore evocato, in quanto, nell’un caso , la finalità perseguita dal legislatore è chiaramente volta a non gravare del tributo quelle imprese rispetto alle quali il presupposto impositivo (art. 13, comma 2, del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, in relazione al l’art. 2 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504) si identifica col possesso di « fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita » (« fintanto che permanga tale destinazione ») – ove, dunque, l’avvenuta realizzazione del fabbricato, e la sua permanente destinazione alla vendita, connotano il contenuto della disposizione, e lo stesso scopo di favore perseguito, – nel mentre, nella fattispecie in esame, la destinazione alla vendita costituisce un mero intento p erseguito dall’impresa che ancora non abbia realizzato il bene a detto fine destinato, così ponendosi al di fuori del perimetro di applicazione della norma, per di più in assenza di ogni obiettiva condizione di verificabilità dello stesso intento perseguito che finirebbe per connotare qualsiasi operazione commerciale volta all’acquisizione di fabbricati destinati alla (successiva) rivendita (che faccia seguito, o meno, all’attività di costruzione) .
Aggiungasi che la disposizione dell’art. 5, comma 6, del d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (a cui rinvia l’art. 13, comma 2, de l d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, quanto all’IMU), delinea un meccanismo di regolazione alla cui stregua non rileva, a fini impositivi ( recte : della determinazione della base imponibile), il fabbricato in corso di ristrutturazione, perché viene presa in
considerazione (soltanto ) l’area sulla quale il fabbricato insiste, area che è considerata fabbricabile « anche in deroga a quanto stabilito nell’articolo 2 » dello stesso d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (disposizione, quest’ultima, recante la definizione di fabbricati e aree fabbricabili). Così che l’area « ridiventa fabbricabile ab origine , fino a che la ristrutturazione dell’immobile non viene completata ( … ) perché, venuta meno la tassabilità del fabbricato, viene tassata l’area come se il fabbricato non esistesse », e soggetta ad imposizione rimane « tutta l’area, anche se inedificabile secondo gli strumenti urbanistici ordinari » (Cass., Sez. 6^-5, 9 maggio 2014, n. 10082; Cass., Sez. 5^, 8 dicembre 2016, n. 27096).
Si è, quindi, rimarcato -in coerenza, del resto, con lo stesso dato letterale della disposizione che l’applicazione di detta disposizione necessariamente presuppone la realizzazione dell’intervento edilizio cui si correla il relativo criterio di determinazione della base imponibile -e, dunque, l’utilizzazione edificatoria, la demolizione del fabbricato e la esecuzione degli « interventi di recupero a norma dell’articolo 31, comma 1, lettere c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457 » (ora a norma de ll’art. 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) -così che la rideterminazione della base imponibile del tributo (secondo il valore dell’area) è destinata ad operare « fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato » (Cass., Sez. 5^, 7 giugno 2017, n. 14111).
Per di più, la Corte ha statuito -con riferimento all’ICI , i cui dati di regolazione sono però riferibili anche all’IMU – che gli elementi della fattispecie impositiva sono prestabiliti dalla
legge secondo criteri di certezza e tassatività, e con riferimento unicamente al possesso di tre ben definite tipologie di beni immobili costituiti da fabbricati, aree fabbricabili, terreni agricoli, così che « nel caso di area edificata la base imponibile Ici è determinata dal valore del fabbricato ( … ); ( … ) la base imponibile è invece costituita dal valore dell’area, considerata fabbricabile, allorquando nell’anno di imposizione vi sia utilizzazione edificatoria in corso dell’area stessa, demolizione di fabbricato ovvero realizzazione di interventi di recupero ai sensi della L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. c), d) ed e) (comma 6 )», con la conseguenza che l’area di insistenza del fabbricato non è autonomamente tassabile quale area edificabile in quanto la fattispecie impositiva, così ricavata, «non rientra in nessuno dei presupposti Ici, trattandosi all’evidenza di area già edificata, e dunque non di area edificabile. ( … ) diversamente ragionando, si verrebbe ad inammissibilmente introdurre nell’ordinamento -in via interpretativa – un nuovo ed ulteriore presupposto d’imposta, costituito appunto dall’area edificata » (Cass., Sez. 6^-5, 19 luglio 2017, n. 17815 -vedansi anche: Cass., Sez. 5^, 11 ottobre 2017, n. 23801; Cass., Sez. 5^, 5 febbraio 2019, n. 3282; Cass., Sez. 5^, 28 marzo 2019, n. 8620; Cass., Sez. 5^, 12 luglio 2021, n. 19809).
1.6 No n è, dunque, invocabile un’assimilazione quoad effectum tra i ‘ fabbricati costruiti ‘ ed i ‘ fabbricati ristrutturati ‘ , essendo preclusa, inevitabilmente, dalla corretta applicazione del principio generale e inderogabile in materia fiscale, il quale prevede che, in materia fiscale le norme contemplanti esenzioni o agevolazioni sono di stretta interpretazione, ai sensi dell’art. 14 disp. prel. cod. civ., sicché non vi è spazio per ricorrere al criterio analogico o all’interpretazione estensiva
della norma oltre i casi e le condizioni dalle stesse espressamente considerati (Cass., Sez. 5^, 7 maggio 2008, n. 11106; Cass., Sez. 5^, 7 marzo 2013, n. 2925; Cass., Sez. 5^, 4 marzo 2016, n. 4333; Cass., Sez. 6^-5, 21 giugno 2017, n. 15407; Cass., Sez. 5^, 16 maggio 2019, n. 13145; Cass., Sez. 5^, 29 ottobre 2020, n. 23877; Cass., Sez. 5^, 17 giugno 2021, n. 15301; Cass., Sez. 5^, 24 novembre 2022, n. 34690; Cass., Sez. 5^, 26 novembre 2024, nn. 30455 e 30484).
1.7 Pertanto, al solo fine di consolidare e rinsaldare l’indirizzo chiaramente delineatosi nella giurisprudenza di legittimità, si può enunciare il seguente principio di diritto: «In tema di IMU, l’esenzione prevista dall’art. 13, comma 9 -bis , del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo novellato dall’art. 2, comma 2, lett. a, del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, deve essere riconosciuta solamente ai « fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita » (secondo il tenore letterale del testo legislativo) e non può essere estesa alla luce di un coordinamento sistematico con l’art. 5, comma 6, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, quale richiamato dall’art. 13, comma 3, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che esclude la rilevanza del fabbricato in corso di ristrutturazione ai fini della determinazione del presupposto impositivo -anche ai fabbricati acquistati e ristrutturati (mediante interventi di restauro e di risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia o di ristrutturazione urbanistica, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettere c), d) e f), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) pe r essere destinati dall’impresa
acquirente alla vendita, ostandovi la natura eccezionale delle disposizioni legislative in materia di agevolazioni tributarie».
Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi la infondatezza del motivo dedotto, il ricorso deve essere respinto.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 6.000,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; dà atto dell’obbligo, a carico della ricorrente di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 27 novembre