Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33893 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33893 Anno 2024
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28299/2022 R.G. proposto da : ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliata in ROMA VINDIRIZZO GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende; -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. del LAZIO n. 1879/2022 depositata il 26/04/2022;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
con sentenza n. 1879/6/2022 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, rigettava l’appello proposto dall’Amministrazione comunale avverso la sentenza della
Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 10544/29/2019, che aveva annullato l’avviso di accertamento IMU relativo all’annualità 2015 emesso nei confronti della Porto di Roma RAGIONE_SOCIALE
la C.T.R. osservava che l’appello era da ritenere inammissibile in quanto aspecifico e che, in ogni caso, la pretesa impositiva era infondata in quanto la parte contribuente aveva, quale impresa edile, il diritto all’esenzione prevista per i c.d. beni -merce, precisando che il contratto stipulato il 5 giugno 2015 tra la società contribuente RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE non era un contratto di locazione ma risultava essere un contratto di affitto di azienda o di ramo di azienda;
contro
detta sentenza propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, Roma Capitale cui resiste con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE la quale ha anche depositato memoria ex art. 380bis cod. proc. civ.;
il P.G. ha depositato memoria chiedendo il rigetto dei motivi secondo e quarto, e l’ accoglimento del primo e del terzo motivo, assorbito il quinto motivo di ricorso.
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 1, del d.lgs. 546/1992 per avere la Commissione tributaria regionale respinto il gravame dell’Amministrazione basandosi su una duplice motivazione: l’inammissibilità dell’appello propost o per mancata indicazione dei motivi di gravame ai sensi dell’articolo 53, comma 1, del d.lgs. 546/1992 e l’infondatezza nel merito delle censure in quanto l’intercorso contratto del 2015 (ritenuto dall’ente impositore preclusivo dell’esenzione di imposta invocata dalla contribuente), quale contratto di affitto di ramo d’azienda e non di locazione , non comportava l’inapplicabilità dell’esenzione del pagamento dell’IMU per i cosiddetti beni-merce;
2. con il secondo ed il quarto motivo -fra loro connessi -si rileva, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per assoluta mancanza di motivazione in quanto il giudice di appello, dopo aver succintamente riassunto i fatti, aver richiamato la norma ritenuta violata ed una massima giurisprudenziale, si era limitato a scarne considerazioni;
3. con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115 cod. pro. civ., nonchè dell’art. 2 del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni dalla l. 28 ottobre 2013, n. 124 e dell’art. 13, comma 9 -bis del d.l. 201/2011;
3.1. assume che nel caso in esame i giudici di appello non avevano considerato che se in ragione di un contratto di locazione di ramo d’azienda gli immobili -merce cessano di essere improduttivi e producono un reddito, come appunto nel caso di specie, l’ese nzione dall’IMU non spetta più e che l’espressione usata ‘in ogni caso locati’ stava ad indicare un ampio concetto, dovendosi considerare che se con un contratto di locazione di ramo d’azienda, peraltro stipulato tra soggetti riconducibili allo stesso centro di interesse ad un prezzo irrisorio, gli immobili vengono, poi, locati a terzi soggetti e, quindi, diventano produttivi di reddito è chiaro che l’immobile non può andare esente dall’imposta e deve in ogni caso esserne assoggettato;
4. con il quinto motivo lamenta, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione falsa applicazione dell’art. 2936 c.c. degli art. 112 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. assumendo che nel rigettare l’appello in quanto inammissibile ed infondato, il giudice di secondo grado aveva palesemente violato la normativa codicistica che impone al giudice di adottare la propria decisione sulla base delle prove fornite dalle parti nel corso del giudizio, prove nel caso in esame del tutto pretermesse;
il primo motivo deve essere disatteso per le ragioni appresso specificate;
5.1. va, infatti, ribadito che «E’ inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione con il quale si contesti esclusivamente l’avvenuto rilievo in motivazione, da parte del giudice di appello, dell’inammissibilità dei motivi di impugnazione per difetto di specificità, ove tale rilievo sia avvenuto “ad abundantiam” e costituisca un mero ” obiter dictum “, che non ha influito sul dispositivo della decisione, la cui ” ratio decidendi ” è, in realtà, rappresentata dal rigetto nel merito del gravame per infondatezza ( ex pluribus Cass. nn. 29305/2018, 32736/2019).
Tale principio di diritto ben si attaglia alla sentenza impugnata posto che nella medesima la C.T.R., in esordio di motivazione, si riferisce, appunto, al difetto di specificità delle censure dell’appellante società contribuente ma, pur avendo rilevato l’ inammissibilità del gravame, ha omesso tale statuizione decisoria laddove nel dispositivo della sentenza medesima si fa riferimento al rigetto dell’appello che nella parte motiva è stato esaminato nel merito, argomentandosi in ordine all’infondatezza delle censure avanzate.
Da ciò, dunque, deriva che il punto della decisione di appello riguardante la forma dell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado contiene una ratio decidendi meramente apparente, che in realtà costituisce un obiter dictum in quanto la vera ed unica ratio decidendi – che è, poi, quella in concreto censurata dalla ricorrente riguarda la questione relativa al diritto all’esenzione, sì come devoluta in sede di gravame.
Non è, pertanto, applicabile alla presente fattispecie il principio dettato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 3840 del 20/02/2007 (secondo cui «qualora il giudice dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si è spogliato della ” potestas iudicandi ” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito,
la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ” ad abundantiam ” nella sentenza gravata»), in quanto tale principio, non vale nel caso in cui i giudici del gravame abbiano rigettato l’appello, nel merito, per infondatezza dei motivi ed abbiano, altresì, nella motivazione svolto argomenti ad abundantiam circa l’inammissibilità dell’impugnazione (nella specie, per difetto di specificità dei motivi) questione che è rimasta ‘sullo sfondo’ ; deve, invero, ritenersi che, nel caso in cui il giudice di appello, dopo aver rilevato – nella motivazione della sentenza – che l’appello sarebbe inammissibile per difetto di specificità dei motivi, abbia comunque esaminato i motivi stessi nel merito ritenendone l’infondatezza (con ciò, peraltro, cadendo in contraddizione e smentendo, nei fatti, la propria precedente affermazione circa il difetto di specificità delle censure), il giudice del gravame non ha inteso spogliarsi della propria potestas iudicandi , ma – piuttosto – ha inteso rafforzare la propria decisione di mancato accoglimento del gravame con una ragione alternativa ad abundantiam , che tuttavia è rimasta fuori dalla decisione finale di rigetto, nel merito, dell’impugnazione (cfr., sul punto, Cass. n. 22782/2018);
6. anche il secondo e il quarto motivo -riguardanti il generale vizio di una motivazione insussistente o meramente apparente da esaminare congiuntamente in quanto attengono a profili comuni non colgono nel segno;
6.1 è stato ripetutamente precisato che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste in argomentazioni obiettivamente
inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; v., altresì, Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599). Nella fattispecie in esame, invero, nella gravata sentenza è individuabile una ratio decidendi -ancorché espressa con motivazione estremamente sintetica (ed erronea in diritto, per quanto appresso chiarito) -e, come cennato, la stessa prospettazione di parte ricorrente si risolve in una diversa e contrapposta qualificazione di fattispecie che (all’evidenza) il giudice del gravame ha esaminato, disattendendola;
il terzo motivo è, per contro, fondato.
È evidente che se con un contratto di affitto di ramo d’azienda gli immobili-merce cessano di essere improduttivi e producono un reddito, come avvenuto nel caso di specie, l’esenzione dall’IMU non può essere riconosciuta.
Tenuto conto della ratio della norma in questione appare illogica la distinzione operata dal giudice del gravame tra mero contratto di locazione e affitto di ramo di azienda: anche l’affitto di ramo di azienda implica, secondo la formula normativa, l’impiego produttivo (a fini commerciali) dei beni merce. Come reso esplicito dalla disposizione in esame, il regime di esenzione risulta connaturato ai «fabbricati costruiti» dall’impresa (altrimenti) soggetto passivo IMU, «destinati … alla vendita» e «fintanto che permanga tale destinazione»; ove, dunque, l’avvenuta realizzazione del fabbricato, e la sua permanente destinazione alla vendita, connotano il contenuto della disposizione, e lo stesso scopo di favore perseguito (Cass., 2 febbraio 2024, n. 3094). L’ esenzione dell’imposta non potrà essere concessa, come correttamente affermato dall’ente
impositore, quando questi immobili siano ‘in ogni caso locati’ e tale espressione non può che riferirsi ad indicare un ampio concetto di locazione (che ricomprendete il concetto di affitto di ramo di azienda) atteso che quello che si mira a colpire è la produzione di reddito dell’immobile medesimo;
8. in ragione della fondatezza del superiore motivo -assorbito il quinto -la sentenza va cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso originario della società contribuente;
8.1. appaiono sussistere i presupposti di legge per disporre la compensazione delle spese delle fasi di merito, mentre le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della contribuente e liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbito il quinto, e rigetta il primo, il secondo ed il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso di parte contribuente. Compensa le spese delle fasi di merito e condanna la RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in favore di Roma Capitale in euro 9.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge se dovuti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione