Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8271 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8271 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/03/2025
IMU BENI MERCE OBBLIGO DICHIARATIVO SANZIONI MOTIVAZIONE
sul ricorso iscritto al n. 16150/2023 del ruolo generale, proposto
DA
RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE, con sede in Milano, INDIRIZZO in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa, in ragione di procura speciale e nomina poste in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOMEcodice fiscale CODICE_FISCALE.
– RICORRENTE –
CONTRO
il COMUNE DI AGRATE BRIANZA (codice fiscale CODICE_FISCALE, con sede alla INDIRIZZO in persona del Sindaco pro tempore, NOME COGNOME autorizzato a stare in giudizio con deliberazione della Giunta comunale n. 122 del 13 luglio 2023, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale e nomina poste in calce al controricorso , dagli avv.ti NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE
CODICE_FISCALE) ed NOME COGNOMEcodice fiscale CODICE_FISCALE.
-CONTRORICORRENTE – per la cassazione della sentenza n. 56/11/2023 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, depositata il 10 gennaio 2023.
UDITA la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio celebratasi in data 27 novembre 2024.
FATTI DI CAUSA
Oggetto di controversia è l’avviso di accertamento in atti con cui il Comune di Agrate Brianza liquidò la somma complessiva di 10.217,00 €, in ragione del parziale versamento e, per due di essi, l’infedele dichiarazione IMU per l’anno d’imposta 2015, dovuta in relazione a taluni immobili in proprietà della contribuente siti in detto Comune.
La suindicata Corte di giustizia tributaria di secondo grado rigettava l’appello proposto dalla società contro la sentenza n. 4619/8/2021 della Commissione tributaria provinciale di Milano, osservando quanto segue:
-l’avviso di accertamento doveva considerarsi motivato, contenendo tutte le indicazioni prescritte dagli artt. 7 della legge n. 212/2000 e 1, comma 162, della legge n. 269/2006 e, segnatamente, l’individuazione degli immobili, il parziale pagamento dell’imposta e, per due di essi, l’infedele dichiarazione, la determinazione del dovuto, il conteggio degli interessi e delle sanzioni, la rettifica della dichiarazione presentata dalla società per gli immobilimerce, che non possedevano i requisiti per l’esenzione in ragione della loro locazione in alcuni periodi, avendo così posto la
contribuente nelle condizioni di conoscere la ‘ causa petendi ‘ ed il ‘ petitum’ della pretesa del Comune;
-quanto « alla mancata indicazione degli estremi dei versamenti presi in considerazione» dal Comune, la Corte territoriale precisava che « ai fini del versamento IMU assume rilevanza l’imposta complessivamente dovuta per gli immobili posseduti nello specifico Comune e non invece l’importo versato dal contribuente per i singoli immobili», aggiungendo che « le delibere comunali non rientrano tra i documenti che devono essere allegati agli avvisi di accertamento ai sensi dell’art. 7 della legge n. 212/2000 in quanto detto obbligo è limitato agli atti richiamati nella motivazione che non siano conosciuti o altrimenti conoscibili dal contribuente ma non anche gli atti generali come le delibere comunali che, essendo soggette a pubblicità legale, si presumono conoscibili (vedi Cass. n. 30052/2018)» (così nella sentenza impugnata);
-l’esenzione fiscale prevista dall’art. 2, comma 1, d.l. n. 102/2013 per gli immobili merce destinati alla vendita e non locati era subordinata, ai sensi dell’art. 5 -bis della menzionata disposizione, alla relativa dichiarazione, stabilita a pena di decadenza e «Nel caso di specie l’omissione dichiarativa ha giustamente comportato il diniego del beneficio» (così nella sentenza impugnata);
-era corretto il rilievo contenuto nell’avviso secondo cui alcuni immobili dichiarati come beni merce non avevano i requisiti per godere della relativa esenzione, in quanto erano stati locati in alcuni periodi dell’anno e/o in anni precedenti, sottolineando che «L’esenzione non può essere riconosciuta dal momento in cui l’immobile viene locato e per le successive annualità. La locazione, anche temporanea, fa perdere il beneficio per sempre» ed «Il Comune ha fornito adeguata prova circa la locazione dei due
immobili» (così nella sentenza impugnata), l’uno locato in data 13 giugno 2014 e l’altro il 31 luglio 2015;
-con l’avviso impugnato erano state erogate le sanzioni previste per la duplice violazione e cioè per l’omesso-parziale versamento del tributo e per l’infedele denuncia e le sanzioni erano state stabilite in misura fissa per la prima voce (30% per ogni importo non versato) ed in misura minima per la seconda (50% del tributo non versato per l’infedele dichiarazione), negando quindi il Giudice regionale -la dedotta sussistenza dell’obbligo di motivazione, in quanto « il Comune non aveva alcuno spazio per effettuare considerazioni valoriali» (così nella sentenza impugnata).
Avverso tale pronuncia RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione, notificato in data 10 luglio 2023, formulando quattro motivi d’impugnazione, poi illustrato con memoria ex art. 380bis .1. c.p.c. depositata il 15 novembre 2024.
Il Comune di Agrate Brianza resisteva con controricorso depositato il 14 settembre 2023, cui ha fatto seguito il deposito n data 14 novembre 2024 della memoria di cui all’art. 380 -bis .1. c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso non può essere accolto. Di seguito le ragioni.
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 d.P.R. n. 600/1973 e 7 della legge n. 212/2000, contestando la valutazione del Giudice regionale nella parte in cui ha ritenuto l’avviso di accertamento motivato, lamentando che « il prospetto integrato nell’atto impositivo consiste nell’indicazione degli elementi matematici e catastali su cui si basa il calcolo dell’imposta asseritamente dovuta
e senza tuttavia alcun riferimento agli estremi dei versamenti presi in considerazione», omettendo, quindi, « di specificare compiutamente i presupposti del proprio calcolo» (v. pagina n. 11 del ricorso), così come non erano state allegate le delibere richiamate nell’avviso, né ne era stato riassunto il loro contenuto.
1.1. Si tratta di censura infondata.
Sul piano dei principi, in più occasioni, questa Corte ha precisato che l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio sulla cui base la pretesa impositiva viene esercitata, con le specificazioni necessarie per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa e per delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, nella quale l’Amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto ed il contribuente ha la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (così Cass., Sez. T. 10 giugno 2024, n. 16096).
Più specificamente «In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l'” an ” ed il ” quantum ” dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa
impositiva (Cass. 26431/2017) » (così, Cass., Sez. T, 2 maggio 2023, n, 11449 e 11443 e, nello stesso senso, Cass., Sez. T., 27 luglio 2023, n. 22702, che richiama Cass., 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., 30 gennaio 2019, n. 2555; Cass., 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., 10 novembre 2010, n. 22841; Cass., 15 novembre 2004, n. 21571 ed ancora, tra le tante, Cass., Sez. V., 29 ottobre 2021, n. 30887; cui adde , in tema di IMU, Cass., Sez. T. 28 maggio 2024, n. 14890).
Le delibere comunali relative all’applicazione del tributo ed alla determinazione delle relative tariffe non rientrano tra i documenti che devono essere allegati agli avvisi di accertamento ai sensi dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, in quanto detto obbligo è limitato agli atti richiamati nella motivazione che non siano conosciuti o altrimenti conoscibili dal contribuente, ma non anche gli atti generali come le delibere del consiglio comunale che, essendo soggette a pubblicità legale, si presumono conoscibili (cfr. Cass., Sez. T, 16 febbraio 2023, n. 4939, nonché Cass., Sez. T., 29 maggio 2023 n. 38161 e Cass. Sez. T., 30 dicembre 2022, n. 38161; nello stesso senso, tra le tante, Cass., 21 novembre 2018, n. 30052; Cass., 3 novembre 2016, n. 22254; Cass., 13 giugno 2012, n. 9601; Cass., 16 marzo 2005, n. 5755, Cass., Sez. T, 25 novembre 2022, n. 34879; Cass., Sez. T, 11 giugno 2021, n. 16681, Cass., Sez. T., 11 agosto 2023, nn. 24589, 24554 ed altre).
Non deve, poi, essere confusa la motivazione dell’avviso con la dimostrazione (prova) dei fatti costitutivi della pretesa fiscale, giacchè «La motivazione dell’avviso di accertamento costituisce requisito formale di validità dell’atto impositivo, distinto da quello dell’effettiva sussistenza degli elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, l’indicazione dei quali è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria operanti nell’eventuale giudizio avente ad oggetto detta pretesa»
(Sez. 5 – , Ordinanza n. 4639 del 21/02/2020)» (così Cass., Sez. T., 14 maggio 2024, n. 13305, cui adde Cass., Sez. T. 10 giugno 2024, n. 16096, cit.).
1.2. Ciò posto, va osservato che la mancata indicazione dei versamenti eseguiti è tema che non attiene alla motivazione dell’atto, ma alla sua esattezza nel quantum debeatur , mentre gli elementi catastali e matematici, che l’istante riconosce essere contenuti negli avvisi, integrano i presupposti del calcolo algebrico utilizzato per quantificare le imposte.
In tale contesto, la valutazione del Giudice regionale in ordine alla motivazione dell’avviso risulta essersi conformata ai predetti principi, rivelandosi, pertanto, corretta.
Con la seconda doglianza la società ha eccepito, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., l’omessa o apparente motivazione della sentenza impugnata in ordine all’asserita non spettanza dell’esenzione, rimproverando al Giudice regionale di non aver tenuto conto della deduzioni difensive della contribuente circa la natura di beni-merce degli immobili in questione, documentata dall’attestazione dell’agenzia immobiliare secondo cui i beni erano stati posti in vendita, nonché dalla documentazione amministrativa (relativa all’agibilità concessa ed al cambio di destinazione) concernente i beni dell’edificio di INDIRIZZO
2.1. Anche tale censura è infondata.
Sul piano dei principi va ricordato che questa Corte (a partire da Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053) ha ripetutamente precisato che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè munita di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere
l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, in modo tale da non consentire alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
Resta, invece, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (v., su tali principi, tra le tante, Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass., Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass., Sez. U., 9 giugno 2017, n. 14430; Cass., Sez. U., 19 giugno 2018, n. 16159; Cass., Sez. U., 18 aprile 2018, n. 9558 e Cass., Sez. U., 31 dicembre 2018, n. 33679; Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., Sez. T, 31 gennaio 2023, n. 2689; e da ultimo Cass., Sez. T., 29 luglio 2024, n. 21174).
Va poi aggiunto che il giudice del merito non deve dar conto di ogni argomento difensivo sviluppato dalla parte, non è tenuto cioè a discutere ogni singolo elemento o a argomentare sulla condivisibilità o confutazione di tutte le deduzioni difensive, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, num. 4, c.p.c., che esponga gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo in tal modo ritenersi disattesi, per implicito, tutti gli argomenti non espressamente esaminati, ma considerati subvalenti rispetto alle ragioni della decisione (cfr. Cass., Sez. T, 19 maggio 2024, n. 12732; Cass., Sez. VI/T, 2 febbraio 2022, n. 3108, che richiama Cass., Sez. II, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. I, 26 maggio 2016, n. 10937; Cass., Sez. VI, 17 maggio 2013, n. 12123 e anche Cass., Sez. I, 31 luglio 2017, n. 19011, Cass., Sez.
I, 2 agosto 2016, n. 16056 e Cass., Sez. T., 24 giugno 2021, n. 18103).
2.2. Nella specie, la motivazione -per come sopra riportata -sussiste ed è ampiamente articolata sotto i vari profili considerati (motivazione avviso, non debenza dell’esenzione sotto il duplice aspetto dell’omessa dichiarazione e dell’assenza dei presupposti in ragione della locazione dei beni, corretta applicazione delle sanzioni), dovendo, piuttosto, osservarsi che nessuna contestazione è stata mossa dalla contribuente in merito alla circostanza fattuale della locazione dei due beni indicati nell’avviso, come accertata dal Giudice regionale.
Con la terza censura l’istante ha lamentato, con riferimento al paradigma censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2, comma 1, d.l. n. 102/2013 e 53 Cost., per non avere la Commissione riconosciuto l’esenzione dei beni-merce in questione, assumendo sul punto che la relativa dichiarazione non costituisce requisito necessario e che essa è sempre emendabile, avendo valore dichiarativo e non costitutivo.
3.1. Si tratta di doglianza priva di ogni fondamento.
L’art. 2 d.l. n. 102/2013 prevede l’esenzione dall’imposta municipale per i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati.
Ai sensi del comma 5bis dello stesso articolo «Ai fini dell’applicazione dei benefici di cui al presente articolo, il soggetto passivo presenta, a pena di decadenza entro il termine ordinario per la presentazione delle dichiarazioni di variazione relative all’imposta municipale propria, apposita dichiarazione, utilizzando il modello ministeriale predisposto per la presentazione delle suddette dichiarazioni, con la quale attesta il possesso dei requisiti
e indica gli identificativi catastali degli immobili ai quali il beneficio si applica. Con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze sono apportate al predetto modello le modifiche eventualmente necessarie per l’applicazione del presente comma».
Dalla lettura della disposizione normativa sopra indicata emerge, dunque, che condizione necessaria per l’ottenimento del beneficio fiscale in oggetto è l’obbligo dichiarativo; si tratta di un preciso e specifico onere formale, espressamente previsto a pena di decadenza.
L’effetto decadenziale stabilito dalla norma esclude ogni ipotesi di emendabilità della dichiarazione fiscale, soprattutto a seguito dell’atto impositivo.
Nella fattispecie è pacifico che « la contribuente ometteva di dichiarare la natura di beni merce » (così a pagina n. 2 del ricorso), come espressamente riconosciuto dalla ricorrente, rendendo così compiuta e non più rimediabile la fattispecie decadenziale.
Va, dunque, dato seguito sul punto alla ribadita giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’omessa della dichiarazione, nei termini decadenziali previsti, comporta la non spettanza del beneficio in oggetto (cfr., anche da ultimo, Cass., Sez. T., 28 maggio 2024, n. 14890, che richiama Cass., Sez. VI/T., 6 ottobre 2020, n. 21465, Cass., Sez., VI/T, 17 febbraio 2022, n. 5190 e la giurisprudenza ivi citata).
Con la quarta ed ultima ragione di contestazione la società ha denunciato, sempre con riferimento al parametro dell’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 7 e 16 d.lgs. n. 457/1997, per non aver accertato l’illegittimità dell’applicazione delle sanzioni, lamentando, sul punto, il difetto di motivazione.
4.1. Anche tale censura non ha alcun fondamento.
Questa Corte ha chiarito che «In tema di sanzioni amministrative tributarie, nel caso in cui la sanzione, collegata al tributo cui si riferisce, sia irrogata – ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 17 ( Irrogazione immediata ) -con atto contestuale all’avviso di accertamento o di rettifica, essa è da intendersi motivata per relationem alla pretesa fiscale che sia definita nei suoi elementi essenziali, sì da giustificare la sanzione per essa irrogata e contenuta nel medesimo atto» (così Cass., Sez. V., 4 maggio 2021, n. 11610, che richiama Cass. 5 agosto 2016, n. 16484, Cass. 1° agosto 2019, n. 20733, Cass. 18 febbraio 2020, n. 4070; da ultimo, Cass., Sez. T., 26 luglio 2024, n. 20999).
La misura fissa delle sanzioni applicate per il parziale versamento e quella minima per l’infedele dichiarazione non rendeva poi esigibile alcuna motivazione sulla loro entità, siccome normativamente stabilita.
La valutazione del Giudice regionale si è uniformata a tali principi, il che giustifica il rigetto del motivo.
4.2. Va solo aggiunto, a fronte del rilievo della ricorrente secondo il quale l’Amministrazione sarebbe « tenuta a dimostrare ed allegare quantomeno la coscienza e volontà dell’azione in termini di rimproverabilità sotto il profilo del dolo o quantomeno negligenza» (v. pagina n. 18 del ricorso), che in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 applicando alla materia fiscale il principio generale sancito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3 stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta, anche, la consapevolezza del contribuente, al quale deve potersi imputare un comportamento quanto meno negligente, ancorché non
necessariamente doloso. È, insomma, sufficiente una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, gravandolo dell’onere di provare il contrario (Cass., 30 gennaio 2020, n. 2139; Cass., 15 maggio 2019, n. 12901; Cass., 13 settembre 2018, n. 22329; Cass., 17 marzo 2017, n. 6930; cui adde Cass., Sez. T., 28 marzo 2022, n. 9942 e, tra ultime, Cass., Sez. T., 29 ottobre 2024, n. 27934).
La pacifica sussistenza condotta volontaria nel parziale pagamento e nell’infedele dichiarazione dell’imposta rendeva, dunque, esigibile, alla luce dei predetti principi, da parte della contribuente la dimostrazione di aver agito con la dovuta diligenza, profilo questo, in termini altrettanto pacifici, non allegato, né provato, essendosi la contribuente limitata a riferire del tutto genericamente che « per mero errore materiale ometteva di dichiarare la natura dei beni merce » (v. pagina n. 2 del ricorso).
Alla stregua delle riflessioni sopra svolte, il ricorso va, dunque, respinto.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura di cui al dispositivo.
Va, infine, dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte della ricorrente, di una ulteriore somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in favore del Comune di Agrate Brianza nella misura di 3.100,00 € per competenze, oltre al rimborso forfettario delle spese generali ed accessori ed alla somma di 200,00 € per esborsi.
Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte della ricorrente, di una somma ulteriore pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
Così deciso in Roma in data 27 novembre 2024.