Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33883 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33883 Anno 2024
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19737/2023 R.G. proposto da : ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende; -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
– controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. del LAZIO n. 964/2023 depositata il 22/02/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
con sentenza n. 11013/30/20, la Commissione tributaria provinciale di Roma accoglieva il ricorso proposto dalla contribuente RAGIONE_SOCIALE avverso avviso di accertamento n. 130346 IMU 2013
affermando che nella nozione di ‘fabbricati costruiti’ dovevano farsi rientrare anche quelli acquistati dall’impresa edile e sottoposti ad interventi di incisivo recupero come riconosciuto dalla Risoluzione MEF n. 11/DF del 2013, e che, alla luce dei recenti interventi giurisprudenziali e normativi (l. 4 aprile 2012, n. 35, art.10), i parcheggi realizzati ai sensi della c.d. legge Tognoli dovevano più soggetti al vincolo di pertinenzialità specifico a un singolo appartamento, essendo alienabili, anche autonomamente sia pure in un ambito regolato e potendo, dunque, circolare liberamente sul mercato immobiliare;
la Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio, con la sentenza n. 964/13/2023, rigettava l’appello proposto da Roma Capitale affermando che i fabbricati oggetto degli interventi di incisivo recupero rientravano nel campo di applicazione dell’esenzione introdotta dall’ art. 2 del d.l. n. 102 del 2013 a partire dalla data di ultimazione dei lavori di ristrutturazione e che, nella specie, la società contribuente aveva fornito la prova che i lavori di ristrutturazione eseguiti, che avevano trasformato l’area acquistata nel 2006 in un’autorimessa di 82 box auto con locale F5, erano terminati in data 24 ottobre 2013 come risultava dalla DIA di ultimazione lavori versata in atti;
contro
detta sentenza propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, Roma Capitale;
resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE che, a sua volta, propone ricorso incidentale.
CONSIDERATO CHE
con un primo motivo di ricorso il Comune denuncia, ai sensi dell’art. 360, terzo comma, n. 5 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo della controversia, non avendo il giudice di appello considerato che gli immobili de quibus sarebbero stati inseriti dalla società contribuente nella voce ‘lavori in corso’ nell’anno 2013, secondo quanto risultava dalla visura catastale depositata
dall’Amministrazione in primo grado e dalla DIA in variante, al permesso di costruire del 24 ottobre 2013, da tunnel a parcheggi pertinenziali;
2. con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360, terzo comma, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per carenza di motivazione atteso che il giudice dell’appello aveva ritenuto acquisita la prova dell’ultimazione dei lavori (peraltro in data 24 ottobre 2013 e non con effetti su tutto il secondo semestre del 2013) senza, però, fornire la prova della insussistenza in concreto negli atti dell’amministrazione della circostanza che vi fossero ‘lavori in corso’ sugli immobili tassati;
3. con il terzo motivo si denuncia , ai sensi dell’art. 360, terzo comma, n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4 c.p.c. , dal momento che i giudici di appello avevano omesso di riportare la ‘concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione’; 4. con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, terzo comma, n. 3 c.p.c. violazione dell’art.9, commi 1 e 2, della legge n.122 del 1989, in quanto i giudici di merito non avevano considerato che dal permesso a costruire rilasciato dall’amministrazione si evinceva che gli immobili in questione, in corso di edificazione, erano stati realizzati ai sensi dell’art.9, commi 1 e 2, della l.n.122/ 89 e successive modifiche ed integrazioni, quindi in buona sostanza, si trattava di box pertinenziali che, ai sensi del successivo comma 5, non potevano essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale erano legati da detto vincolo e che in virtù di tali considerazioni sussisteva una carenza anche degli elementi sostanziali per accedere al beneficio di cui al d.l. n.102/13, trattandosi di immobili non destinati alla vendita, ma esclusivamente pertinenziali di fabbricati principali destinati ad abitazione, circostanza che non li rendeva liberamente cedibili nel mercato immobiliare;
con il proposto ricorso incidentale la società contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, terzo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 15, comma 2, del d.lgs. 546 del 1992, avendo la Corte di secondo grado disposto la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio, in mancanza di presupposti di legge e riformando, in modo peggiorativo, il regime delle spese di lite del primo grado di giudizio, poste a carico di Roma Capitale, in difetto di uno specifico motivo di censura ed a fronte della conferma della sentenza della C.T.P.;
il ricorso principale deve essere disatteso per le ragioni appresso specificate;
6.1. il primo motivo è da ritenere inammissibile in quanto attiene a profili in punto di fatto (riguardanti la data di ultimazione dei lavori) già valutati dai giudici di merito e, per altro verso, appare privo del requisito di autosufficienza non comprendendosi a quale specifici atti decisivi si riferisca la ricorrente, atti che non risultano allegati né parte ricorrente chiarisce in quale specifica sede gli stessi sarebbero stati prodotti.
In diritto va, poi, rimarcato, secondo consolidati orientamenti della Corte, che:
ai sensi del d.lgs. n. 504 del 1992, art. 2, c. 1, lett. a), per fabbricato rilevante ai fini ICI deve intendersi l’unità immobiliare iscritta, o che deve essere iscritta, nel catasto edilizio urbano, ovvero l’immobile suscettibile di accatastamento ai sens i del R.D.L. n. 652 del 1939, artt. 1, 4, 5 e 10 (Cass., 3 maggio 2019, n. 11646; Cass., 27 marzo 2019, n. 8536; Cass., 23 giugno 2006, n. 14673);
l’iscrizione di una unità immobiliare al catasto edilizio costituisce presupposto sufficiente per l’assoggettamento del bene all’ICI, ma non anche necessario, essendo l’imposta dovuta fin da quando il bene presenti le condizioni per la sua iscrivibilità, cioè da quando lo stesso possa essere considerato fabbricato, in ragione dell’ultimazione dei lavori relativi alla sua costruzione, ovvero dal
momento in cui lo stesso sia stato antecedentemente utilizzato (Cass., 3 maggio 2019, n. 11646; Cass., 21 marzo 2019, n. 7968; Cass., 30 aprile 2015, n. 8781; Cass., 23 giugno 2010, n. 15177; Cass., 10 ottobre 2008, n. 24924);
-rimane estraneo all’imponibilità del bene tutto quanto afferisce alla sua effettiva abitabilità, ovvero alle sue caratteristiche igienicosanitarie; la legge, infatti, non richiede fra i presupposti dell’imposta la regolarità urbanistica dell’immobile (Cass., 3 maggio 2019, n. 11646; Cass., 23 giugno 2010, n. 15177; Cass., 5 marzo 2009, n. 5372).
È, poi, appena il caso di rimarcare che il motivo di ricorso risulta antinomico rispetto alla stessa pretesa impositiva, discettandosi (qui) di un’esenzione che presuppone, così come in concreto avvenuto, l’imponibilità dei cd. beni merce.
7. il secondo motivo non coglie nel segno. Costituisce orientamento consolidato di questa Corte che l’ipotesi di motivazione apparente ricorre allorché essa, pur graficamente e, quindi, materialmente esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, non consentendo, in tal modo, alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, lasciando all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. [cfr., su tali principi, anche da ultimo, Cass., Sez. T, 31 gennaio 2023, n. 2689 e, tra le tante, a partire da Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053, Cass., 1° marzo 2022, n. 6626; Cass., Sez. T., 23 settembre 2022, che richiama Cass., Sez. U. 19 giugno 2018, n. 16159 (p. 7.2.), che menziona Cass., Sez. U. 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., nn. 22229, 22230, 22231, del 2016, Cass., Sez. U, 24 marzo 2017, n. 766; Cass., Sez.
U., 9 giugno 2017, n. 14430 (p. 2.4.); Cass., Sez. U., 18 aprile 2018, n. 9557 (p. 3.5.), Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476 (che cita, in motivazione, Cass., Sez. U., 18 aprile 2018, n. 9558 e Cass., Sez. U., 31 dicembre 2018, n. 33679].
Nella specie l’apparenza della motivazione non sussiste posto che i giudici di appello, nel pervenire alle proprie conclusioni, hanno argomentato quanto alla ritenuta ultimazione dei lavori, risultando palese che, sotto lo schermo di un vizio di assenza assoluta di motivazione, il Comune pretende una revisione nel merito;
8.il terzo motivo è privo di fondamento alcuno. Invero fermo restando che in tema di contenuto della sentenza, la concisione della motivazione non può prescindere dall’esistenza di una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione. (Sez. 3 – , Ordinanza n. 29721 del 15/11/2019, Rv. 655799 – 01), nella specie risulta evidente che dal tenore complessivo della pronunzia è possibile individuare il percorso argomentativo della decisione, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione;
il quarto motivo è da ritenere inammissibile o comunque infondato. La censura di violazione di legge attiene, all’evidenza, ad un accertamento in fatto: la destinazione dei beni alla vendita;
9.1. in diritto risulta che quando ricorre l’ipotesi di cui alla l. n. 122 del 1989, art. 9, comma 1 (<>) – e non anche quella di cui al comma 4 (<>) – la proprietà dei parcheggi può essere trasferita, anche in deroga a quanto previsto nel titolo edilizio che ha legittimato la costruzione e nei successivi atti convenzionali, solo con contestuale destinazione del parcheggio trasferito a pertinenza di altra unità immobiliare sita nello stesso comune.
Quindi l’accoglimento del motivo di ricorso presupporrebbe un accertamento in fatto che non viene neanche adeguatamente dedotto: i box in questione risultavano indicati tra le rimanenze della società costruttrice o nel patrimonio (beni patrimoniali non strumentali) e, pertanto, da sola la censura di violazione di legge non rimette in discussione il corretto principio di diritto espresso dalla Corte di giustizia di secondo grado circa possibilità di vendita autonoma dei box (<>) in quanto sotto il profilo della violazione di legge il Comune, in realtà, deduce una erronea valutazione circa il carattere non pertinenziale dei fabbricati, sollecitando una rivisitazione in fatto, peraltro sulla scorta di documenti non richiamati nel loro testo;
10. il ricorso incidentale è fondato sotto entrambe le prospettazioni (la prima riferibile alle ragioni di compensazione in appello, la seconda all’immodificabilità della disciplina delle spese del primo grado in difetto di specifico motivo di censura).
Premesso che quanto al primo profilo non risultano né individuate sé sussistenti ‘eccezionali ragioni’ idonee a giustificare una compensazione delle spese, pur a fronte della totale soccombenza di parte appellante, va ricordato che in materia di procedimento civile, il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo
regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite mentre in caso di conferma della decisione impugnata la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass., 29 ottobre 2019, n. 27606; Cass., 7 gennaio 2004, n. 58);
11. in conclusione va rigettato il ricorso principale e, in accoglimento del ricorso incidentale, la sentenza di appello va cassata con condanna di Roma Capitale al pagamento delle spese del primo grado (sul punto confermandosi la statuizione di cui alla sentenza della C.T.P.) e del secondo grado, oltre alle spese legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna Roma Capitale al pagamento delle spese processuali liquidate, per il primo grado di giudizio, in complessivi euro 5.200,00 e, per il grado di appello, in euro 1.500,00 oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge se dovuti; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida, in favore della RAGIONE_SOCIALE nella somma di 1.500,00 oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge se dovuti; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente in via principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data