Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10220 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10220 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13613/2024 R.G., proposto
DA
Comune di Penne (PE), in persona del Sindaco pro tempore , autorizzato ad instaurare il presente procedimento in virtù di deliberazione adottata dalla Giunta Municipale il 17 maggio 2023, n. 45, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Pesaro, ove elettivamente domiciliato (indirizzo pec per notifiche e comunicazioni: EMAIL, giusta procura in allegato al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
A.T.E.R. della Provincia di Pescara, con sede in Pescara, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione pro tempore , autorizzata ad instaurare il presente procedimento in virtù di determina resa dal Direttore il 28 giugno 2024, n. 162, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME tutti con studio in Torino, ove elettivamente domiciliata (indirizzo pec per
ICI IMU ACCERTAMENTO ALLOGGI SOCIALI ESENZIONE
notifiche e comunicazioni: EMAILordineavvocatitorinoEMAILit ), giusta procura in calce al controricorso di costituzione nel presente procedimento;
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo il 19 dicembre 2023, n. 848/07/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25 marzo 2025 dal Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
L ‘A.T.E.R. della Provincia di Pescara ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo il 19 dicembre 2023, n. 848/07/2023, la quale, in controversia avente ad oggetto l’ impugnazione di avviso di accertamento n. 22 del 29 marzo 2019 da parte del Comune di Penne (PE) per l’omesso versamento dell’ IMU relativa a ll’anno 2016 nella misura complessiva di € 52.456,00, in relazione ad alloggi di edilizia residenziale pubblica, a causa del disconoscimento dell’esenzione prevista dall’art. 13, comma 2, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha accolto l’appello proposto dall ‘A.T.E.R. della Provincia di Pescara nei confronti del medesimo avverso la sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Pescara il 18 gennaio 2023, n. 69/02/2023, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali.
La Commissione tributaria regionale ha riformato la decisione di prime cure -che aveva respinto il ricorso originario
della contribuente – in ragione dell ‘accertata sussistenza delle caratteristiche individuate dal d.interm. 22 aprile 2008 per l’invocata esenzione .
L ‘A.T.E.R. della Provincia di Pescara ha resistito con controricorso.
Il consigliere delegato allo spoglio ha formulato proposta di definizione accelerata per manifesta inammissibilità/infondatezza del ricorso per cassazione, rispetto alla quale il ricorrente ha chiesto la decisione della causa.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato a tre motivi.
1.1 Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione de ll’ art. 13, comma 2, lett. b), del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo novellato dall’art. 1, comma 707, n. 3), lett. b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 ), cod. proc., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che « l’esenzione IMU applicabile a tutti gli immobili posseduti dalle Aziende Territoriali per l’Edilizia Residenziale soggetti a tale disciplina in quanto destinati ad ‘alloggi sociali’ come individuati dal DM 22 aprile 2008, avendo in tesi il Comune competenza esclusiva nell’assegnazione dei soli alloggi di edilizia residenziale pubblica, e non di altri tipi di alloggi, come quelli a canone concordato, che verrebbero direttamente assegnati dall’ATER ».
1.2 Con il secondo motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione ai presupposti dell’esenzione prevista dall’art. 13, comma 2, lett. b), del d.l.
6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo novellato dall’art. 1, comma 707, n. 3), lett. b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, con riferimento all’art. 1 della legge reg. Puglia 20 maggio 2014, n. 22, n onché alla definizione di ‘ alloggio sociale ‘ di cui al d.interm. 22 aprile 2008, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che fosse stata « provata la circostanza inerente la gestione diretta degli alloggi in questione da parte dell’Ente comunale, che si sarebbe limitato a lamentare il fatto che l’ATER avrebbe dovuto fornire la prova di tale circostanza per ogni singolo immobile, senza nemmeno indicare quali tra gli immobili ATER fossero da questa assegnati direttamente, così dando per acquisita la prova che tutti gli alloggi in questione fossero assimilabili ad ‘alloggi sociali’ ».
1.3 Con il terzo motivo, si denuncia violazione degli artt. 15 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 91 e 92 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 ), cod. proc. civ., per aver il giudice di appello « condannato il Comune di Penne al pagamento delle spese di giudizio, liquidate per il primo e secondo grado di giudizio rispettivamente in euro 5.500,00 ed euro 7.000,00, senza tenere conto del contrasto giurisprudenziale circa l’applicabilità agli ATER dell’esenzione IMU prevista dagli artt. 13 comma 2 lett. b) del D.L. n. 201/2011, che ne giustificava la compensazione totale o quantomeno parziale ».
Il primo motivo è infondato.
2.1 Secondo il ricorrente, « la sentenza impugnata è viziata nella parte in cui si è ritenuto che gli enti di edilizia residenziale pubblica, tra cui rientrerebbe Ater Pescara, possano beneficiare dell’esenzione d’imposta in relazione ai fabbricati di civile
abitazione dagli stessi assegnati in locazione, laddove i relativi immobili possiedano le caratteristiche di ‘alloggi sociali’ come definiti dal D.M. 22/04/2008 (art. 13 comma 2 lett. b) d.l. n. 201/2011), anziché la mera detrazione d’imposta pari ad € 200 per singolo immobile prevista al comma 10 della medesima disposizione ».
A suo dire, « gli immobili regolarmente assegnati dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse finalità degli IACP, istituiti in attuazione dell’articolo 93 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), hanno una autonoma disciplina che prevede l’applicazione dell’aliquota ordinaria e la detrazione di 200,00 euro (applicata e riconosciuta nell’avviso di accertamento in questione), rispetto agli ‘alloggi sociali’ che sono invece esenti dall’imposta ».
2.2 In proposito, come è stato condivisibilmente evidenziato nella proposta di definizione anticipata, si può richiamare quanto già stabilito da questa Corte in ordine alla riferibilità, in via generale ed astratta, del regime degli ‘ alloggi sociali ‘ anche ad A.T.E.R. ed enti ex I.A.C.P. (Cass., Sez, Trib., 8 marzo 2024, n. 6380; in senso analogo: Cass., Sez. Trib., 23 maggio 2024, nn. 14511 e 14515), la quale (in fattispecie riguardante la Regione Abruzzo) ha ricostruito l’intero impianto normativo di riferimento, individuando, anche in capo ad essi, la differenziazione tra alloggi ordinari (ammessi alla sola riduzione ai sensi del comma 10 dell’art. 13 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201) ed ‘ alloggi sociali ‘ (ammessi, invece, alla completa esenzione ai sensi del comma 2, lett. b), dell’art. 13 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201: « L’imposta municipale propria non si applica, altresì (…) b) ai fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali come definiti dal decreto
del Ministro delle infrastrutture 22 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 24 giugno 2008 »; con ciò osservando, in particolare, che: « allo scopo di ravvisare il requisito oggettivo dell’imposta occorre, quindi, distinguere gli «alloggi sociali», così come sopra definiti normativamente, dagli altri alloggi, siccome nella nozione di abitazione principale, per la quale è possibile applicare l’esenzione dell’imposta, vanno ricompresi anche gli immobili che, pur essendo di proprietà dell’ente, sono in sede di locazion e destinati e inquadrabili tra gli alloggi sociali, in quanto idonei e volti a soddisfare la medesima finalità pubblica », a tal fine richiamando anche l’orientamento espresso dall o stesso Ministero delle Finanze nella risposta n. 15 delle FAQ del 3 giugno 2014.
Questa conclusione è stata consolidata da un più recente arresto, a tenore del quale, in tema di IMU, l’esenzione fiscale – prevista dall’art. 13, comma 2, lett. b), del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo novellato dall’art. 1, comma 707, n. 3), lett. b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 – non è applicabile a tutti gli alloggi assegnati dagli I.A.C.P., ma solo a quelli per i quali il contribuente, interessato a far valere la relativa esenzione, prova in concreto la presenza delle caratteristiche di ‘ alloggio sociale ‘ , secondo i parametri stabiliti dal d.interm. 22 aprile 2008, non sussistendo alcuna inversione dell’onere probatorio, in ossequio al principio di correttezza e buona fede per documenti o informazioni già in possesso dell’Ufficio, in ragione della circostanza che non tutti gli alloggi assegnati dagli I.A.C.P. rientrano in detta categoria (Cass., Sez. Trib., 14 febbraio 2025, n. 3824).
Il secondo motivo è inammissibile.
3.1 Secondo il ricorrente: « La sentenza impugnata è viziata nella parte in cui ha ritenuto che il Comune, avendo la gestione diretta degli alloggi in questione, non avrebbe potuto limitarsi a lamentare il fatto che l’ATER fosse tenuta a fornire la prova dell’assimilazione agli alloggi sociali per ogni singolo immobile, essendo invece lo stesso ente tenuto a specificare quali tra gli immobili ATER fossero da questa assegnati direttamente. A suo dire, pertanto, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, sarebbe stata Ater Pescara a dover fornire puntuale dimostrazione, con riferimento ai singoli immobili oggetto d’accertamento, del diritto all’esenzione dall’imposta e, nel caso di specie la concreta sussistenza per ciascun immobile di sua proprietà dei requisiti e delle caratteristiche di ‘alloggio sociale’, come definito dal decreto del Ministro delle infrastrutture 22.04.2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 24.06.2008 ».
3.2 A tal riguardo, il mezzo non è esattamente calibrato sulla ragione decisoria censurata, la quale non ha tanto accollato al Comune un onere probatorio (sulla qualità di alloggi sociali) che non gli spettava, ma ha al contrario ritenuto che la prova in questione emergesse, comunque, dagli atti di causa, sebbene in via presuntiva ed anche a fronte della mancata deduzione di elementi contrari da parte del Comune stesso. Affermazione, questa, che non può prescindere dal peculiare regime degli alloggi sociali di cui alla legislazione regionale in materia e, in particolare, dalla pregressa conoscenza delle caratteristiche tipologiche degli alloggi (come individuati nell’avviso opposto) già in capo al Comune in quanto ente partecipe delle procedure di assegnazione. Ricorre, quindi, anche in proposito quanto, in termini, stabilito da questa Corte (Cass., Sez, Trib., 8 marzo 2024, n. 6380, con ulteriori
richiami), secondo cui: « occorre, inoltre, evidenziare che, per giurisprudenza costante di questa Corte, in virtù del principio di collaborazione e buona fede che, ai sensi dell’art. 10, comma 1, della l. n. 212 del 2000, deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente, a quest’ultimo non possono essere richiesti, anche ove l’onere probatorio sia a carico dello stesso, documenti ed informazioni già in possesso dell’Ufficio (cfr. Cass. 22/04/2021, n. 10724, Cass. 31/05/2018, n. 13822); ne consegue che gli immobili in questione devono ritenersi esenti dall’IMU in virtù della loro destinazione ad «alloggio sociale», non avendo l’ente locale (o, per suo tramite, la concessionaria) fornito alcuna indicazione circa la concreta mancata conformità degli stessi alle caratteristiche dianzi illustrate di cui al DM 22 aprile 2008 cit. ». Affermazione, questa, che si attaglia appieno anche al decisum qui impugnato.
3.3 Quindi, va confermato l’orientamento di questa Corte, secondo cui la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366, n. 4), cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del ricorso, che è rilevabile anche d’ufficio (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 22 settembre 2020, n. 19787; Cass., Sez. 6^-5, 22 dicembre 2021, n. 41220; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, n. 10004; Cass., Sez. 5^, 31 maggio 2022, n. 17509; Cass., Sez. Trib., 25 novembre 2022, n. 34760; Cass., Sez. Trib., 16 gennaio 2023, n. 998; Cass., Sez. Trib., 29 ottobre 2024, n. 27944).
Il terzo motivo è infondato.
4.1 Il ricorrente « contesta la sentenza impugnata nella parte in cui la CGT di 2° grado ha condannato il Comune di Penne al pagamento delle spese di giudizio, liquidate per il primo e
secondo grado di giudizio rispettivamente in euro 5.500,00 ed euro 7.000,00, senza tenere conto del contrasto giurisprudenziale circa l’applicabilità agli ATER dell’esenzione IMU prevista dagli artt. 13 comma 2 lett. b) del D.L. n. 201/2011, che ne giustificava la compensazione totale o quantomeno parziale ».
4.2 A tale riguardo, si richiama il consolidato indirizzo circa i limiti del sindacato di legittimità sia sulla decisione in ordine alla compensazione tra le parti delle spese di lite, sia sulla quantificazione delle spese stesse; sotto il primo profilo, si è stabilito che, in materia di procedimento civile, il sindacato di legittimità sulle pronunzie dei giudici del merito è diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, essendo del tutto discrezionale la valutazione di totale o parziale compensazione per giusti motivi o altre gravi ed eccezionali ragioni (tra le tante: Cass., Sez. 6^-3, 21 novembre 2020, n. 26912; Cass., Sez. 5^, 29 luglio 2021, n. 21724; Cass., Sez. Trib., 13 dicembre 2023, n. 34867; Cass., Sez. Trib., 9 agosto 2024, n. 22648; Cass., Sez. Trib., 21 marzo 2025, n. 7611); sotto il secondo profilo, si è affermato che, salvo il rispetto dei parametri minimi e massimi, la determinazione in concreto del compenso per le prestazioni professionali di avvocato è rimessa esclusivamente al prudente apprezzamento del giudice di merito, con conseguente insindacabilità nel giudizio di cassazione (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 24 febbraio 2020, n. 4782; Cass., Sez. 3^, 4 marzo 2021, n. 6110; Cass., Sez. Trib., 22 febbraio 2023, n. 5504; Cass., Sez. Trib., 21 marzo 2024, n. 7646) (nel caso di specie, del resto, il ricorrente lamenta gli « elevatissimi importi » liquidati, senza con ciò neppure affermare la violazione di
specifici criteri tabellari di liquidazione ed il superamento dei massimi tariffari di scaglione).
Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi l ‘inammissibilità/in fondatezza dei motivi dedotti, il ricorso deve essere respinto.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. (quale introdotto dall’art. 45, comma 12, della legge 18 giugno 2009, n. 69), in virtù del richiamo fattone dall’art. 380 -bis , terzo comma, cod. proc. civ. (nel testo novellato dall’art. 3, comma 28, n. 3), lett. g), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), la manifesta inammissibilità/infondatezza del ricorso giustifica l’ulteriore condanna d’ufficio della parte soccombente al pagamento in favore della parte vittoriosa di una somma equitativamente determinata nell’importo corrispondente alla liquidazione delle spese giudiziali. Difatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di responsabilità processuale aggravata, l’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., nel disporre che il soccombente può essere condannato a pagare alla controparte una « somma equitativamente determinata », non fissa alcun limite quantitativo per la condanna alle spese della parte soccombente, sicché il giudice, nel rispetto del criterio equitativo e del principio di ragionevolezza, può quantificare detta somma sulla base dell’importo delle spese processuali (di una loro frazione o di un loro multiplo) o anche del valore della controversia (tra le tante: Cass., Sez. 3^, 4 luglio 2019, n. 17902; Cass., Sez. 3^, 20 novembre 2020, n. 26435; Cass., Sez. 5^, 5 novembre 2021, n. 31870; Cass., Sez. 3^, 26 gennaio 2022, n. 2347; Cass., Sez. 6^-3, 15 febbraio 2023, n. 4725; Cass., Sez. Trib.,
12 aprile 2023, n. 9802; Cass., Sez. Trib., 15 giugno 2023, n. 17100; Cass., Sez. Trib., 19 giugno 2024, n. 16934).
8. In applicazione del combinato disposto degli artt. 380bis , terzo comma, e 96, quarto comma, cod. proc. civ., si deve, altresì, condannare la ricorrente a pagare una sanzione di € 1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende; peraltro, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , terzo comma, cod. proc. civ. (come novellato dall’art. 3 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149) – che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. – codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass., Sez. Un., 27 settembre 2023, n. 27433; Cass., Sez. Un., 13 ottobre 2023, n. 28540), per quanto sia stato precisato che la predetta norma non prevede l’applicazione automatica delle sanzioni ivi previste, la quale resta affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto, in base ad un’interpretazione costituzionalmente compatibile del nuovo istituto (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2023, n. 36069), avendosi particolare riguardo, nella specie, alla omogeneità delle ragioni decisorie rispetto alla formulazione della proposta; che, inoltre, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (come novellato dall’art. 3 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149),
la condanna del ricorrente al pagamento della somma di cui all’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ. in favore della Cassa delle Ammende – nel caso in cui egli abbia formulato istanza di decisione (ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 380bis cod. proc. civ.) e la Corte abbia definito il giudizio in conformità alla proposta – deve essere pronunciata anche qualora nessuno dei soggetti intimati abbia svolto attività difensiva, avendo essa una funzione deterrente e, allo stesso tempo, sanzionatoria rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori (Cass., Sez. Un., 22 settembre 2023, n. 27195 -nello stesso senso: Cass., Sez. 3^, 4 ottobre 2023, n. 27947). 9 . Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 4.000,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; condanna il ricorrente al pagamento della ulteriore somma di € 4.000,00 in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.; condanna il ricorrente al pagamento di una sanzione di € 1. 500,00 in favore della Cassa delle Ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 25 marzo