Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5444 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5444 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10385/2021 R.G., proposto
DA
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata (indirizzo pec per comunicazioni e notifiche: EMAIL ), giusta procura in allegato al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME, con studio in Roma (presso gli Uffici dell’Avvocatura Capitolina), ove elettivamente domiciliato (indirizzo pec per comunicazioni e notifiche: EMAIL, giusta procura in allegato al controricorso di costituzione nel presente procedimento;
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per il Lazio il 6 ottobre 2020, n. 2795/05/2020;
ICI IMU ACCERTAMENTO MOTIVAZIONE ESENZIONE ABITAZIONE PRINCIPALE IMMOBILE IN CATEGORIA A/10
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 29 gennaio 2025 dal Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per il Lazio il 6 ottobre 2020, n. 2795/05/2020, la quale, in controversia sull ‘ impugnazione di avviso di accertamento d’ufficio n. 99562 dell’1 dicembre 2016 per omesso versamento dell’ ICI relativa a ll’anno 20 11 e di avviso di accertamento in rettifica n. 109592 dell’1 dicembre 2016 per insufficiente versamento dell’IMU relativa all’anno 2012, con riguardo ad un’abitazione ubicata in Roma alla INDIRIZZO e censita in catasto con la categoria A/10, della quale ella assumeva di essere comproprietaria per quota (e non proprietaria per intero), ha accolto l’appello proposto in via principale da Roma Capitale ed ha rigettato l’appello proposto in via incidentale dalla medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Roma il 16 aprile 2018, n. 8343/47/2018, con compensazione delle spese giudiziali.
La Commissione tributaria regionale ha riformato la decisione di prime cure -che aveva parzialmente accolto il ricorso originario della contribuente nel senso di riconoscere che quest’ultima era comproprietaria per sola quota di 1/2 ed aveva diritto all’agevolazione prevista per la ‘ prima casa ‘ ( recte : per l’abitazione principale) in relazione ad entrambe le annate d’imposta sul rilievo che la contribuente risultava essere proprietaria esclusiva dell’immobile in base alle risultanze catastali e che la classificazione dell’immobile in
categoria A/10 precludeva la concessione dell’ agevolazione prevista per l’abitazione principale.
Roma Capitale ha resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità dei motivi di ricorso per cassazione.
Il consigliere delegato allo spoglio ha formulato proposta di definizione accelerata per manifesta infondatezza del ricorso per cassazione, rispetto alla quale la contribuente ha depositato dichiarazione di « persistente interesse alla decisione della causa ».
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato a due motivi.
Preliminarmente, la dichiarazione di « persistente interesse alla decisione della causa » va ri condotta alla previsione dell’ art. 380bis , secondo comma, cod. proc. civ. , per l’inequivoca manifestazione di volontà da parte della ricorrente di chiedere la pronuncia della Corte sul ricorso per cassazione .
Inoltre, si deve rilevare che la ricorrente ha tardivamente riproposto, con la memoria illustrativa, la questione dell ‘illegittimità de gli atti impositivi per l’applicazione in misura integrale dei tributi a dispetto della dedotta posizione di mera comproprietaria dell’immobile , che non era stata prospettata con i motivi di ricorso per cassazione. In proposito, è pacifico che la memoria non può contenere nuove censure, ma solo illustrare quelle già proposte (tra le tante: Cass., Sez. 6^-3, 27 agosto 2020, n. 17893; Cass., Sez. 5^, 17 giugno 2022, n.
19728; Cass., Sez. Trib., 29 marzo 2023, n. 8859; Cass., Sez. Trib., 5 giugno 2024, n. 15788).
Con il primo motivo, si denuncia v iolazione dell’art. 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 ), cod. proc. civ., per essere stati decisi gli appelli dal giudice di secondo grado con travisamento della prova, essendo stato « ribaltato l’esito del giudizio in violazione delle prove agli atti », laddove la contribuente aveva diritto alle agevolazioni della prima casa a prescindere dalla classificazione dell’immobile in categoria A/10, avendo dimostrato di essere quivi residente dall’ anno 2007.
3.1 Il predetto motivo è inammissibile.
3.2 In proposito, il collegio condivide la motivazione della conto la controricorrente proprio in ordine
proposta di definizione accelerata, che ha tenuto dell’eccezione proposta dal all’errata qualificazione dei motivi del ricorso per cassazione.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4), cod. proc. civ., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) o n. 5), cod. proc. civ., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale (Cass., Sez. Un., 5 marzo 2024, n. 5792); per cui, in relazione al fatto sostanziale, il travisamento della prova postula: a) che l’errore
del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova ( demonstrandum ), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima ( demonstratum ), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Cass., Sez. 3^, 21 dicembre 2022, n 37382; Cass., Sez. 1^, 6 aprile 2023, n. 9507; Cass., Sez. Cass., Sez. 1^, 3 gennaio 2025, n. 65).
Laddove, nella specie, vi è stato ‘ vizio di sussunzione ‘ (cioè, inesatto inquadramento dell’errore imputato al giudice di merito in una delle cinque categorie previste dall’art. 360 cod. proc. civ.), avendo la ricorrente impropriamente censurato la decisione del giudice di appello attraverso il vizio della violazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.. I noltre, l’errore di sussunzione non è scusabile, e, pertanto, il motivo deve ritenersi inammissibile, poiché la doglianza mossa dalla ricorrente non può considerarsi chiara e definibile, non permettendo di individuare correttamente la censura; infatti, gli argomenti esposti non consentono di inferire in cosa consista il grave travisamento della prova e/o delle risultanze processuali, e quale sia la contraddittorietà tra i dati probatori esistenti in atti e vagliati dai giudici di merito del primo grado e del secondo grado di giudizio.
Difatti, l’art. 366 , n. 4), cod. proc. civ., nel richiedere la formulazione dei « motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano », non rende assolutamente necessaria la formale ed esatta indicazione dell’ipotesi, tra quelle elencate dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., cui il vizio deve essere ascritto, purché risulti soddisfatta l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimità di individuare la volontà dell’impugnante e di stabilire se con il mezzo di impugnazione sia stato dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocabilmente, riconducibile ad una delle ipotesi tassative di cui al citato art. 360 cod. proc. civ. (Cass., Sez. Un., 24 luglio 2013, n. 17931; negli stessi termini, fra le più recenti, Cass., Sez. Un., 7 novembre 2023, n. 31023; Cass. Sez. Un., 21 dicembre 2022, n. 37406; Cass. Sez. Un., 21 febbraio 2022, n. 5669; Cass., Sez. Un., 28 novembre 2024, n. 30603).
Con il secondo motivo, si denuncia violazione dell’art. 1, commi 738 e 783, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, in relazione (verosimilmente) all’art. 360, primo comma, n. 3 ), cod proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che la classificazione in categoria A/10 era incompatibile con le agevolazioni per la ‘ prima casa ‘ ( recte : per l’abitazione principale) .
4.1 Il predetto motivo -ancorché l’eccezione di inammissibilità per errata qualificazione debba essere disattesa per la stretta aderenza del tenore della censura alla formulazione della relativa rubrica – è infondato.
4.2 Secondo la previsione dell’art. 1, commi 1 e 2, del d.l. 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge
24 luglio 2008, n. 126: «1. A decorrere dall’anno 2008 è esclusa dall’imposta comunale sugli immobili di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo. 2. Per unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si intende quella considerata tale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni, nonché quelle ad esse assimilate dal comune con regolamento o delibera comunale vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9 per le quali continua ad applicarsi la detrazione prevista dall’articolo 8, commi 2 e 3, del citato decreto n. 504 del 1992 ».
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di ICI, ai fini del trattamento esonerativo rileva l’oggettiva classificazione in catasto dell’immobile, per cui l’immobile iscritto come ‘ ufficio-studio ‘ , con attribuzione della relativa categoria (A/10), è soggetto all’imposta, non ricorrendo l’ipotesi dell’art. 1, comma 1, del d.l. 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126; per cui, qualora l’immobile sia classificato in tale categoria, è onere del contribuente, che pretenda l’esenzione, impugnare l’atto di classamento (Cass., Sez. 6^-5, 21 febbraio 2017, n. 4467; Cass., Sez. 6^-5, 27 dicembre 2018, n. 33889; Cass., Sez. 5^, 18 dicembre 2020, n. 29077; Cass., Sez. 6^5, 21 febbraio 2022, n. 5574; Cass., Sez. Trib., 8 aprile 2024, n. 9364; Cass., Sez. Trib., 9 aprile 2024, n. 9496; Cass., Sez. Trib., 5 giugno 2024, n. 15715).
Tale disciplina è rimasta immutata anche con l’istituzione dell’IMU, essendo stabilito dall’art. 8, comma 3, del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, che: « L ‘ imposta municipale propria non si
applica al possesso dell’abitazione principale ed alle pertinenze della stessa. Si intende per effettiva abitazione principale l ‘ immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente. L ‘ esclusione si applica alle pertinenze classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un ‘ unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all ‘ unità ad uso abitativo. L ‘ esclusione non si applica alle unità immobiliari classificate nelle categorie catastali A1, A8 e A9 ».
Né tale regime è stato alterato -con l’anticipata decorrenza dell’IMU all’anno 2012 -dall’art. 1 3, commi 1 e 2, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, a tenore del quale: « 1. L’istituzione dell’imposta municipale propria è anticipata, in via sperimentale, a decorrere dall’anno 2012, ed è applicata in tutti i Comuni del territorio nazionale fino al 2014 in base agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, in quanto compatibili, ed alle disposizioni che seguono. Conseguentemente l’applicazione a regime dell’imposta municipale propria è fissata al 2015. 2. L’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 30 d icembre 1992, n. 504, ivi compresa l’abitazione principale e le pertinenze della stessa. Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente. Per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di
un’unit à pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo ».
Invero, sulla base delle concordanze normative, questa Corte ha coerentemente ribadito che, anche in tema di IMU, il riconoscimento del l’esenzione pr evista per l’abitazione principale esige la corrispondente oggettiva classificazione catastale, per cui, se l’immobile è iscritto come uso studio con attribuzione della relativa categoria (A/10), è soggetto all’imposta anche se di fatto utilizzato come abitazione, essendo onere del contribuente che chiede l’esenzione dall’imposta impugnare l’atto di classamento per la diversa destinazione (in termini: Cass., Sez. Trib., 8 aprile 2024, n. 9364; Cass., Sez. Trib., 9 aprile 2024, n. 9496).
Per cui, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi l ‘inammissibilità del primo motivo e l’infondatezza del secondo motivo, il ricorso deve essere respinto.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
A i sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. (quale introdotto dall’art. 45, comma 12, della legge 18 giugno 2009, n. 69), in virtù del richiamo fattone dall’art. 380 -bis , terzo comma, cod. proc. civ. (nel testo novellato dall’art. 3, comma 28, n. 3), lett. g), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), la manifesta inammissibilità/infondatezza del ricorso giustifica l’ulteriore condanna d’ufficio del la parte soccombente al pagamento in favore della parte vittoriosa di una somma equitativamente determinata nell’importo corrispondente alla liquidazione delle spese giudiziali. Difatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di responsabilità processuale aggravata, l’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.,
nel disporre che il soccombente può essere condannato a pagare alla controparte una « somma equitativamente determinata », non fissa alcun limite quantitativo per la condanna alle spese della parte soccombente, sicché il giudice, nel rispetto del criterio equitativo e del principio di ragionevolezza, può quantificare detta somma sulla base dell’importo delle spese processuali (di una loro frazione o di un loro multiplo) o anche del valore della controversia (tra le tante: Cass., Sez. 3^, 4 luglio 2019, n. 17902; Cass., Sez. 3^, 20 novembre 2020, n. 26435; Cass., Sez. 5^, 5 novembre 2021, n. 31870; Cass., Sez. 3^, 26 gennaio 2022, n. 2347; Cass., Sez. 6^-3, 15 febbraio 2023, n. 4725; Cass., Sez. Trib., 12 aprile 2023, n. 9802; Cass., Sez. Trib., 15 giugno 2023, n. 17100; Cass., Sez. Trib., 19 giugno 2024, n. 16934).
8. In applicazione del combinato disposto degli artt. 380bis , terzo comma, e 96, quarto comma, cod. proc. civ., si deve, altresì, condannare la ricorrente a pagare una sanzione di € 1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende; peraltro, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , terzo comma, cod. proc. civ. (come novellato dall’art. 3 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149) – che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. – codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass., Sez. Un., 27 settembre 2023, n. 27433; Cass., Sez. Un., 13
ottobre 2023, n. 28540), per quanto sia stato precisato che la predetta norma non prevede l’applicazione automatica delle sanzioni ivi previste, la quale resta affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto, in base ad un’interpretazione costituzionalmente compatibile del nuovo istituto (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2023, n. 36069), avendosi particolare riguardo, nella specie, alla omogeneità delle ragioni decisorie rispetto alla formulazione della proposta; che, inoltre, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (come novellato dall’art. 3 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), la condanna del ricorrente al pagamento della somma di cui all’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ. in favore della Cassa delle Ammende – nel caso in cui egli abbia formulato istanza di decisione (ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 380bis cod. proc. civ.) e la Corte abbia definito il giudizio in conformità alla proposta – deve essere pronunciata anche qualora nessuno dei soggetti intimati abbia svolto attività difensiva, avendo essa una funzione deterrente e, allo stesso tempo, sanzionatoria rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori (Cass., Sez. Un., 22 settembre 2023, n. 27195 -nello stesso senso: Cass., Sez. 3^, 4 ottobre 2023, n. 27947). 8. A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente,
liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 1.500,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; condanna la ricorrente al pagamento della ulteriore somma di € 1.500,00 in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.; condanna la ricorrente al pagamento di una sanzione di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 29 gennaio