Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20759 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20759 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16565/2022 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
AGENZIA DELLE ENTRATE – DIREZIONE PROVINCIALE I DI ROMA UFF. TERR. DI ROMA 2 COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende;
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 404/2022 depositata il 31/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.La presente controversia trae origine dall’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro n. 2015/003/EM/000026556/0/001 dovuta in via principale per la registrazione dell’ordinanza di assegnazione relativa all’esecuzione mobiliare n. 26556/2015 del Tribunale di Roma, imposta ritenuta non dovuta dal contribuente ai sensi dell’art. 46 legge n. 374/1991, in quanto la procedura esecutiva era stata attivata per il recupero di somme (inferiori a 1.033 euro) in forza di sentenza di condanna emessa dal giudice di pace all’esito di un procedimento di valore inferiore a 1.033,00 euro. La CTP di Roma respingeva il ricorso.
Sull’appello di NOME COGNOME la Commissione tributaria regionale respingeva l’impugnazione affermando che .
Propone ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe affidato a due motivi.
L’ufficio è rimasto intimato.
MOTIVI DI DIRITTO
1.La prima censura deduce ; per avere il decidente erroneamente applicato il disposto dell’art. 46 rubricato il quale ha stabilito che « le cause e le attività conciliative in sede non contenziosa il cui valore non eccede la somma di euro 1.033,00 e gli altri atti e i provvedimenti ad esse relativi sono soggetti soltanto al pagamento del contributo unificato», con conseguente esclusione del provvedimento dall’assoggettamento a imposta di registro.
Soggiunge il ricorrente che in sede di Legittimità si è affermato il principio secondo cui: « In tema di imposta di registro, l’esenzione dal pagamento del contributo unificato prevista dall’art. 46 della legge 21 novembre 1991 n. 374, per le cause e le attività conciliative in sede non contenziosa di valore non superiore ad euro 1.033,00 e per gli atti e i provvedimenti ad esse relativi si applica a tutte le sentenze adottate in tali procedimenti, indipendentemente dal grado di giudizio e dall’ufficio giudiziario adito, rispondendo tale soluzione alla lettera nella norma, che non limita la sua portata alle sole sentenze emesse dal giudice di pace, nonché alla sua “ratio”, intesa a ridurre il costo del servizio di giustizia per le procedure di valore più modesto»
Con il secondo mezzo di ricorso si lamenta l’erroneo governo delle spese di lite e l’illegittima condanna alle spese per rappresentanza in giudizio della P.A. senza ministero difensivo (Violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. (art. 360, comma, 1, n. 3 c.p.c.). Pretermissione condotta ingannevole (Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio – art. 360, comma, 1, n. 5 c.p.c.)>.
3.La prima censura è fondata, assorbita la seconda, comunque priva di pregio.
Questa Corte ha, difatti, affermato il principio secondo cui «il fatto che l’art. 46 della legge n. 374/1991 risulti inserito nel corpo normativo recante l’istituzione del giudice di pace non costituisce elemento decisivo per ancorare l’operatività della norma suddetta solo agli atti emessi dal giudice di pace, posto che l’unica condizione oggettiva richiesta è che si tratti di “cause il cui valore non ecceda la somma di C 1.033,00”. Si è sottolineato che la rado della disciplina è quella di esonerare tali cause dal carico fiscale perché di minimo valore e, quindi, di alleviare l’utente dal costo del servizio di giustizia per le controversie di valore più modesto: l’imposta di registro, infatti, è proporzionale al valore, mentre ai fini impositivi risulta indifferente l’organo giudiziario che ha emanato il provvedimento (Cass. n. 4725/2021, Cass. nn. 58857 e 5858 del 2021). Rispetto a tale finalità risulta coerente solo la previsione di una esenzione generalizzata, in deroga al disposto dell’art. 37 del d.P.R. n. 131 del 1986, che escluda dal pagamento dell’imposta di registro tutti i provvedimenti adottati nelle cause di valore non superiore ad C 1.033,00, indipendentemente dal grado di giudizio, dall’ufficio giudiziario adito e dal tipo di processo (di cognizione, esecutivo o cautelare) instaurato» (Cass., Sez. VI, 2 ottobre 2020, n. 21050). Parimenti, si è affermato che «la ratio della disposizione non è poi di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale avanti al giudice di pace», bensì quella «di esonerare tali cause dal carico fiscale perché di minimo valore, ovvero di alleviare l’utente dal costo del servizio di giustizia per le controversie di valore più modesto Rispetto a tale finalità risulta coerente solo la previsione di una esenzione generalizzata, in deroga al disposto dell’art. 37 del d.P.R. n.131 del 1986, che escluda dal pagamento della tassa di registro tutte le sentenze adottate nelle procedure giudiziarie di valore inferiore ad euro 1.033,00, indipendentemente dal grado di giudizio e dall’ufficio giudiziario adito» (Cass., Sez. V, 4 dicembre 2018, n.
31278). L’enunciazione di tale principio non è stata, pertanto, limitata ai soli provvedimenti emessi da giudici diversi dal Giudice di Pace in sede di impugnazione di provvedimenti emessi dal Giudice di Pace, ma è stata estesa a tutte le controversie, in considerazione del solo valore della causa, indipendentemente dal grado di giudizio e dall’ufficio giudiziario adito.
La seconda censura che rimane travolta dall’accoglimento del primo motivo di ricorso non è coerente con la disciplina che regola il processo tributario.
L’art. 11, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, come modificato dall’art. 9, comma 1, lett. d), del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, prevede che : «L’ufficio dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 nonché dell’agente della riscossione, nei cui confronti è proposto il ricorso, sta in giudizio direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata. Stanno altresì in giudizio direttamente le cancellerie o segreterie degli uffici giudiziari per il contenzioso in materia di contributo unificato». Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ‘Nel processo tributario, alla parte pubblica (nella specie, un Comune) assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, contenuto nell’art. 15, comma 2 bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti, che sono legittimati a svolgere attività difensiva nel processo’ (Cass. n. 10368/2024; Cass. n. 27634 del 11/10/2021; Cass. n. 23055 del 17/09/2019; Cass. n. 24675 del 23/11/2011).
5.Infine, il ricorrente ha chiesto la condanna dell’Agenzia al risarcimento del danno per responsabilità aggravata ex art. 96, terzo comma, c.p.c. ricordando che .
6.Il Collegio non ritiene di procedere alla invocata condanna per responsabilità aggravata non ravvisando la sussistenza dei presupposti della mala fede o colpa grave della parte soccombente (si veda al riguardo, da ultimo, Cass. n. 19948/2023; Cass. n. 6792 del 14/03/2024).
Segue l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata; la Corte, decidendo nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto ai sensi dell’art. 384 c.p.c., accoglie il ricorso originario del contribuente.
Le spese del giudizio di merito vanno compensate.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.
Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente; compensa le spese del giudizio di merito; condanna l’Agenzia delle Entrate alla refusione delle spese di lite che liquida in euro 600,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge, se dovuti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione