Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9724 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 9724 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2024
1.2. Secondo il ricorrente in data 30 maggio 2013 l’RAGIONE_SOCIALE accoglieva la richiesta, di cui alla procedura docfa del 10 agosto 2012, di inserire in catasto la destinazione rurale della serra B, ma successivamente, con provvedimento del 24 settembre 2013, all’esito di nuovo sopralluogo, la medesima RAGIONE_SOCIALE escludeva la ruralità e la sentenza n. 335/1/2014 della Commissione tributaria
provinciale di Pistoia (passata in giudicato) confermava che detto provvedimento non aveva effetti retroattivi.
1.3. A dire del Comune, invece, il provvedimento di convalida del 30 maggio 2012 « parrebbe essere intervenuta per altri immobili e non per la ‘porzione di serra B’ catastalmente identificata nel folio 278, con la particella 168 sub. 8» ( v. pagina n. 15 del controricorso) , mentre il provvedimento n. NUMERO_DOCUMENTO di diniego della ruralità del 24 settembre 2013 avrebbe ad oggetto proprio la domanda del 10 agosto 2012 di cui alla procedura docfa avanzata dal contribuente con riferimento alla serra in questione (fg. 278 mapp. 168 sub 8).
2. – La sentenza impugnata –
Con l’impugnata sentenza la Commissione tributaria regionale della Toscana (Firenze) rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME contro la sentenza n. 139/1/2014 della Commissione tributaria provinciale di Pistoia (la quale aveva accolto solo parzialmente il ricorso avanzato da NOME COGNOME contro il citato avviso di accertamento n. 302416/NUMERO_DOCUMENTO), così motivando:
-le risultanze obiettive escludevano che « il bene in questione fosse già rurale nel 2010. Nel corso di quell’anno, infatti, con verbale 5.5.2010, il Comune di Pistoia aveva autonomamente accertato che tutti i fabbricati abusivi indicati nell’avviso di accertamento oggetto della presente controversia avevano destinazione commerciale»;
«E tale conforme destinazione era stata accertata anche dall’RAGIONE_SOCIALE con atto 23.11.2011 non impugnato e quindi consolidatosi almeno fino al 10.8.2012, data di presentazione della domanda per l’ottenimento del riconoscimento di ruralità (poi effettivamente dato con provvedimento 24.9.2013)»;
«RAGIONE_SOCIALE ha anche evidenziato, richiamando l’affermazione del contribuente, resa in sede di ricorso al Tar, che lo stesso contribuente aveva affermato di aver svolto all’interno dei fabbricati
posseduti attività commerciale da oltre un ventennio e sino al 2009, epoca di cessione del ramo di azienda commerciale a terzi»;
«Occorre infine osservare che l’istanza del contribuente del 10.8.2012 concerne il classamento di immobili diversi da quello precedentemente iscritto al catasto, poiché con quella richiesta le uu.ii. preesistenti venivano soppresse, con creazione di nuove uu.ii.»;
«In conclusione, la tesi di parte contribuente non può essere accolta perché fondata sulla presunzione normativa iuris tantum contrastata da elementi oggettivi scaturiti da accertamenti del Comune e dell’RAGIONE_SOCIALE».
3. – Sul giudizio in cassazione –
Con ricorso notificato in data 2/8 novembre 2017 al Comune di Pistoia, tramite servizio postale, ai sensi dell’art. 4 della legge 21 gennaio 1994, n. 53, NOME AVV_NOTAIO, proponeva ricorso per cassazione sulla base di sei motivi, depositando in data 2 febbraio 2023 istanza di rinvio dell’udienza di discussione;
3.1. il Comune di Pistoia resisteva con controricorso notificato il 21 dicembre 2017, successivamente depositando, in data 8 febbraio 2023 e 27 ottobre 2023 memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
3.2. Con ordinanza interlocutoria del 6 marzo 2023 questa Corte, prendendo atto dell’istanza di definizione agevolata della lite presentata dal contribuente ai sensi dell’art. 5 della legge 31 agosto 2022, n. 130 e del provvedimento di improcedibilità di detta istanza adottata dal Comune di Pistoia, rinviava la causa a nuovo ruolo onde procedere all’esame congiunto del presente ricorso con l’eventuale impugnazione del provvedimento di diniego opposto dall’ente alla predetta istanza.
3.3. Con ricorso notificato in data 16 marzo 2023, depositato il 23 marzo 2023, il contribuente impugnava il provvedimento n. NUMERO_DOCUMENTO
del 20 gennaio 2023 con cui il Comune di Pistoia aveva negato ingresso all’istanza di definizione agevolata della lite.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ragioni evidenti di priorità logico-giuridica impongono di trattare prima l’impugnazione contro il provvedimento di diniego.
1. Sull’impugnativa avverso il provvedimento di diniego –
Il Comune di Pistoia non ha dato seguito alla suindicata istanza di definizione agevolata della lite, ritenendo che dal tenore dell’art. 15, comma 15, della legge 31 agosto 2022, n. 130 (che, nel rispetto dell’autonomia fissata dai principi costituzionali, rinvia espressamente alle «forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti » ) si ricava il principio per cui l’estensione dell’istituto di definizione agevolata alle controversie in cui gli enti territoriali siano parte costituisca per gli stessi una facoltà (e non un obbligo) riservata alla regolamentazione locale, facoltà questa che la controricorrente non ha inteso esercitare.
1.1. Il ricorrente ha impugnato il diniego per violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della legge 31 agosto 2022, n. 130, anche in relazione ai principi dell’art. 12 disposizioni preliminari al codice civile, assumendo che il legislatore non ha attribuito agli enti territoriali la facoltà discrezionale di scegliere se applicare o meno la definizione agevolata, disponendo, al contrario, con indicazione esplicita, che gli stessi adottano le disposizioni applicative nell’ambito della loro competenza amministrativa, aggiungendo che il provvedimento del Comune che ha negato la definizione agevolata non è sostenuto da valide motivazioni e non allega gli atti ai quali fa riferimento, con eccesso di potere, quindi, per errore nei presupposti di diritto, carenza di istruttoria e difetto di motivazione, nonché violazione dell’art.7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 e 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ponendo infine in rilievo di aver presentato in modo corretto la domanda, nonostante l’inerzia del
Comune, rispettando il principio di diligente collaborazione e buona fede previsto dall’art.10 dello Statuto del Contribuente.
1.2. L’impugnazione va respinta.
Va, difatti, ribadito il condiviso orientamento già espresso sul punto da questa Corte, sulla scorta di una lettura sistematica RAGIONE_SOCIALE pertinenti disposizioni circa il potere ampiamente discrezionale dell’ente locale nell’esercizio di detta facoltà.
La Corte ha, infatti, osservato che:
«In base del menzionato art. 5, comma 15, “Ciascun ente territoriale stabilisce, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti, l’applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni di cui al presente articolo alle controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte il medesimo ente o un suo ente strumentale”.
Per quanto la formulazione letterale sia equivoca, ritiene questo Collegio che i Comuni abbiano una mera facoltà, come tale discrezionale, di aderire alla definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE controversie nelle quali sono coinvolti.
Invero, a fronte dell’argomento letterale fragile (rappresentato dall’uso dell’indicativo “stabilisce”, in luogo di “può stabilire”), peraltro isolato, va privilegiata una interpretazione sistematica della disposizione, anche in coordinamento con le normative condonistiche che hanno immediatamente preceduto e seguito quella in esame, che induce a sostenere l’autonomia impositiva degli enti locali.
Del resto, il legislatore, se avesse voluto (criterio della intentio legis ) favorire a tutti i costi la detta definizione, anche con il rischio di pregiudicare le entrate degli enti pubblici territoriali, lo avrebbe dovuto dire esplicitamente.
Vi è, dunque, in primo luogo, una discrezionalità sull’ an , cioè sulla possibilità o meno di istituire, nell’ambito del proprio territorio di competenza, il condono, che assorbe la discrezionalità circa il quantum (cioè circa il valore RAGIONE_SOCIALE riduzioni degli ammontari dei tributi, interessi e sanzioni) e circa il quomodo (cioè relativa alle modalità organizzative, con cui disciplinare la procedura di definizione dei tributi locali)» (così Cass., Sez. T., 22 maggio 2023, n. 14101).
Tutto ciò, in termini confermati dalle considerazioni secondo le quali:
«La sola lettera della legge (“stabilisce”) non sembra elemento interpretativo sufficiente a fondare la qui sostenuta obbligatorietà dell’applicazione, da parte degli enti locali, RAGIONE_SOCIALE disposizioni sulla definizione agevolata in questione.
L’art. 6 (Definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE controversie tributarie) D.L. n. 119 del 2018, conv. in L. n. 136 del 2018, afferma al comma 16, che ciascun ente territoriale “può stabilire” questa applicazione; e così pure la L. n. 197 del 2022, art. 1, recante un’altra procedura di definizione RAGIONE_SOCIALE controversie tributarie, anche in questo caso comprese quelle pendenti innanzi alla Corte di Cassazione, prescrive al comma 205 che ciascun ente territoriale “può stabilire” entro il 31 marzo 2023 (…) l’applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni definitorie in cui sia parte il medesimo ente ovvero un suo ente strumentale.
Sarebbe dunque davvero singolare, in assenza di altri elementi normativi univoci volti a logicamente giustificare questa eccezione, che soltanto la L. n. 130 del 2022, abbia inteso sancire la vincolatività-obbligatorietà della disciplina di definizione per gli enti territoriali, pur ponendosi quest’ultima disciplina in complessiva continuità con normative del tutto analoghe e pressochè coeve, nell’ambito RAGIONE_SOCIALE quali questa vincolatività è invece indubitabilmente esclusa.
Avendo riguardo alla linea evolutiva della legislazione in materia ed alla ratio legislativa volta a demandare all’autonomia RAGIONE_SOCIALE amministrazioni locali la decisione ultima – perchè non priva di risvolti anche prettamente politici e di immediata incidenza sul governo RAGIONE_SOCIALE comunità e dei territori – di recepire o meno la disciplina definitoria RAGIONE_SOCIALE liti pendenti, il solo dato letterale secondo cui ciascun ente locale “stabilisce” l’applicazione di questa disciplina non può ritenersi significativa di una volontà legislativa nuova e diversa; che – solo in quest’unico caso, e nonostante l’evidente comunanza sistematica di disciplina con il panorama degli altri analoghi istituti latamente condonistici – imponga senz’altro agli enti territoriali di accedere alla disciplina di favore.
Ciò a maggior ragione in considerazione del fatto che la L. n. 130 del 2022 (art. 5, comma 15 cit.) non solo non mostra di voler sovrapporre la disciplina statuale alle autonomie comunali, ma anzi testualmente sancisce che il recepimento di tale disciplina ad opera di queste ultime avvenga nelle “forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti”, con ciò rinviando appunto alle forme di adozione di atti prettamente deliberativi di contenuto non vincolato, che gli organi del governo comunale correntemente assumono nel pieno esercizio della propria autonomia, anche in materia impositiva e di gestione RAGIONE_SOCIALE liti.
Da questo punto di vista, la obiettiva mancanza di parametri letterali e logico-giuridici volti a sostenere, con assoluta certezza, l’asserita obbligatorietà dell’adesione non può che essere colmata in senso costituzionalmente orientato; e dunque nel senso della affermazione – non esclusione – dell’autonomia in materia dei Comuni, secondo quanto stabilito in linea generale, e seppure entro il perimetro RAGIONE_SOCIALE prescrizioni statuali in materia di federalismo fiscale e di coordinamento del sistema tributario nazionale, dagli artt. 117 e 119 Cost. Sicchè alle competenze (tariffarieregolamentari, accertative, riscossive) attribuite ai Comuni in ordine ai tributi locali più armonicamente si associa la potestà (non l’obbligo) di valutare l’estensione ad essi (più esattamente, alle liti
che li riguardano) del regime di definizione agevolata nella preminente e discrezionale valutazione, non ultimo, dell’impatto di tale estensione sul gettito atteso e sulle funzioni pubbliche locali che con esso si intendono perseguire e si sono programmate» (così Cass., Sez. T., 10 maggio 2023, n. 12720).
Può, dunque, passarsi ora all’esame del ricorso.
2. – Sui motivi del ricorso per cassazione –
Come anticipato, l’istante ha sviluppato sei motivi di ricorso.
I primi tre concernono la predetta porzione della serra B (da ora solo serra B); i restanti (nn. 4, 5 e 6) i manufatti realizzati su terreno demaniale.
3. – Sui primi tre motivi relativi alla serra B –
3.1. Con il primo motivo l’istante ha dedotto, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 9 d.l. 30 dicembre 1993, n. 557 (conv. in l. 26 febbraio 1994, n. 133, come modificato dall’art. 42 -bis , comma 1, d.l. 1° ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni nella legge 29 novembre 2007, n. 222), 23, comma 1bis, d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, (conv. in l. 27 febbraio 2009, n. 14), 2, comma 1, lett. a ), d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 2bis , d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (conv., con modif., dalla l. 12 luglio 2011, n. 106); 13, commi 14bis e 14ter , d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (conv. in l. 22 dicembre 2011, n.214), 29, comma 8, d.l. 29 dicembre 2011 n.216 (conv. con l. 24 febbraio 2012, n. 14), 2, comma 5ter, d.l. 31 agosto 2013, n.102, (convertito con modificazioni in l. 28 ottobre 2013, n. 124), nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 1, del decreto del Ministero RAGIONE_SOCIALE Finanze 2 gennaio 1998, n. 28.
Tutto ciò, in sintesi, assumendo che «Le norme richiamate impongono di decidere se spetti l’esenzione ICI per i fabbricati rurali iscritti in catasto, avendo riguardo alla categoria di iscrizione. La
sentenza non ha applicato tali norme, soffermandosi su altri aspetti non rilevanti » (v. pagina n. 2 del ricorso).
3.2. Con la seconda doglianza, il contribuente denunciato, sempre in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 9 d.l. 30 dicembre 1993, n. 557 (conv. in l. 26 febbraio 1994, n. 133, come modificato dall’art. 42 -bis , comma 1, d.l. 1° ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni nella legge 29 novembre 2007, n. 222), 23, comma 1bis, d.l. 30 dicembre 2008, n. 207 (conv. in l. 27 febbraio 2009, n. 14, 2, comma 1, lett. a) , d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, 7, comma 2bis , d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (conv., con modif., dalla l. 12 luglio 2011, n. 106), 13, commi 14bis e 14ter , d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (conv. in l. 22 dicembre 2011, n.214), 29, comma 8, d.l. 29 dicembre 2011, n.216 (conv. con l. 24 febbraio 2012, n. 14), 2, comma 5ter, d.l. 31 agosto 2013 n.102, (convertito con modificazioni in l. 28 ottobre 2013, n. 124) e 2909 cod. civ.
L’istante ha sostenuto che le norme richiamate attribuiscono efficacia retroattiva all’iscrizione catastale nella categoria D/10 effettuata su istanza del contribuente con procedura docfa, convalidata, aggiungendo che la successiva variazione della categoria disposta nel caso di specie, come espressamente accertato in altre sedi competenti con effetto ex nunc , non può avere effetto retroattivo per l’anno di imposta 2007.
3.3. Con la terza ragione di impugnazione NOME COGNOME ha eccepito, questa volta in relazione al paradigma censorio dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 132., primo comma, n. 4 cod. proc. civ., in ragione del difetto di motivazione della sentenza, oltre che, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 111 e 3 Cost., assumendo che la Commissione
regionale non aveva preso in considerazione i fatti decisivi che riguardano l’iscrizione nella categoria catastale D/10 e l’efficacia temporale di tale iscrizione.
I tre motivi possono essere esaminati, siccome connessi.
La contestazione del ricorrente ruota su tali argomenti:
ai fini dell’esenzione ICI è decisiva l’iscrizione catastale degli edifici rurali nella categoria D/10, ai sensi dell’art. 7, comma 2 -bis , d.l. 13 maggio 2011, n. 70;
b. per l’anno 2007 risultava efficace l’iscrizione nella categoria D/10, con docfa presentata il 10 agosto 2012, convalidata dall’RAGIONE_SOCIALE il 30 maggio 2013, in termini non impugnati, tenuto conto del disposto dell’art. 2, comma 5 -ter , d.l. 31 agosto 2013, n. 102, secondo cui detta annotazione ha efficacia dal quinto anno antecedente a quello della presentazione della domanda;
il provvedimento del 24 settembre 2013, che aveva escluso la ruralità del bene, non aveva effetto retroattivo, come ritenuto dalla stessa RAGIONE_SOCIALE e comunque come affermato dalla predetta sentenza passata in giudicato;
la Commissione regionale aveva considerato decisive per escludere la ruralità circostanze non pertinenti, perché:
gli accertamenti svolti dal Comune di Pisa in data 5 maggio 2010 avevano riguardato un procedimento per presunti abusi edilizi ed era stato determinato da un temporaneo spostamento di parte della merce commerciale alla serra B, dovuto a cause di forza maggiore;
le affermazioni rese dal contribuente in sede di ricorso al Tar circa lo svolgimento di attività commerciale da oltre un ventennio e sino al 2009 all’interno dei fabbricati posseduti erano state travisate dal Comune e dal Giudice, in quanto si riferivano ad altra serra (A);
non assumeva rilevanza la circostanza che l’iscrizione in via transitoria nella categoria D/8 da parte dell’RAGIONE_SOCIALE del territorio in data 23 novembre 2011 non fosse stata impugnata, in quanto l’effetto di tale iscrizione era stato sostituito con efficacia retroattiva dall’iscrizione conseguente alla domanda presentata con la procedura docfa;
pure inconferente risultava il riferimento alla diversità degli immobili, in quanto si era trattato di una mera modifica RAGIONE_SOCIALE particelle o meglio di un accorpamento di due particelle in una (p.lla 168/8 che aveva accorpato le p.lle 167/7 e 542/1) senza alcuna variazione dei manufatti;
il Giudice regionale non aveva applicato le norme che attribuiscono efficacia retroattiva alla classificazione catastale D/10, effettuata con istanza docfa del 10 agosto 2012, convalidata il 30 maggio 2013, ribadendo sul punto che la successiva iscrizione in categoria D/8 da parte dell’Ufficio, in virtù di provvedimento del 24 settembre 2013, era stata impugnata dal contribuente e la Commissione tributaria provinciale di Pistoia aveva accolto il ricorso con la citata sentenza n. 335/01/2014, stabilendo che la predetta categoria D/8 aveva efficacia ex nunc , a partire cioè dalla data di notifica del provvedimento e quindi dal 30 settembre 2013;
la Commissione non aveva esaminato i seguenti fatti decisivi per il giudizio:
l’atto dell’RAGIONE_SOCIALE di variazione del classamento del 30 maggio 2013, che aveva determinato la classificazione del fabbricato in categoria D/10, in conformità della richiesta docfa del 10 agosto 2012;
l’atto del 24 settembre 2013 con cui lo stesso Ufficio aveva dichiarato che l’efficacia dello stesso era da ritenersi decorrente dalla data del sopralluogo (17 settembre 2013) e comunque dalla data di notifica del provvedimento (30 settembre 2013);
-la sentenza della Commissione tributaria di Pistoia n. 335/01/2014 (passata in giudicato), che -come detto – aveva stabilito l’efficacia ex nunc e quindi dal 30 settembre 2013 dell’iscrizione catastale del bene in categoria D/8, a seguito del provvedimento che aveva negato il carattere rurale alla serra B e, quindi, la validità sino a tale data dell’iscrizione catastale del bene in categoria D/10.
4.1. Tanto ricapitolato, osserva la Corte che detti motivi non possono essere accolti, sebbene per ragioni diverse da quelle espresse dal Giudice regionale, le quali possono essere modificate nella sede che occupa, nella ritenuta correttezza della decisione, a mente dell’art. 384, quarto comma, cod. proc. civ.
4.2. Va premesso che il Giudice regionale ha affermato che il riconoscimento della ruralità al bene in questione era stato riconosciuto dall’RAGIONE_SOCIALE a seguito della dichiarazione presentata in data 10 agosto 2012 tramite la procedura docfa, il che significa che detto riconoscimento era avvenuto con il provvedimento del 30 maggio 2013 e non del 24 settembre 2013, come erroneamente indicato in sentenza, risultando pacifico tra le parti che con detto ultimo atto l’RAGIONE_SOCIALE aveva invece escluso il carattere rurale del bene.
Né sul punto può essere scrutinato il rilievo del Comune di Pistoia volto ad accreditare l’ordine di idee secondo cui il provvedimento del 30 maggio 2013 « la convalida del docfa parrebbe essere intervenuta per altri immobili » (v. pagina 15 RAGIONE_SOCIALE controdeduzioni), in quanto, in uno al carattere dubitativo dell’osservazione, essa coinvolge un apprezzamento di merito, non esigibile nella sede che occupa.
4.3. Ciò premesso, occorre rammentare sul piano dei principi che costituisce principio consolidato nella riflessione di questa Corte ritenere che, ai fini del riconoscimento della non assoggettabilità ad ICI di un immobile rurale, sia decisiva la classificazione catastale dello stesso, ove il relativo procedimento si sia regolarmente
concluso con la relativa annotazione in atti e che, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, sarà onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento, restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad ICI, così come il Comune dovrà impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta.
Difatti, anche da ultimo, è stato ulteriormente ribadito che:
«Questa Corte (Sez. Un. n. 18565/2009, n. 18570/2009) ha ritenuto che la classificazione catastale costituisce elemento determinante per verificare l’esistenza del carattere di ruralità del fabbricato, e dunque per escludere o affermare l’assoggettabilità ad ICI, affermando il seguente principio: “In tema di ICI, l’immobile che sia stato iscritto nel catasto dei fabbricati come “rurale”, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 9 del d.l. n. 557 del 1993, conv. in legge n. 133 del 1994, non è soggetto all’imposta, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a ), del d.lgs. n. 504 del 1992, come interpretato dall’art. 23, comma 1bis del d.l. n. 207 del 2008, aggiunto dalla legge di conversione n. 14 del 2009. Qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, sarà onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento, restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad ICI. Allo stesso modo, il Comune dovrà impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta”»;
«Al fine di risolvere le incertezze interpretative emerse per il riconoscimento della ruralità degli immobili, è successivamente intervenuta la L. n. 106/2011, art. 7 comma 2bis , che ha attribuito ai contribuenti la facoltà di presentare domanda di variazione della categoria catastale (da A/6 a D/10) sulla base di autocertificazione
attestante la presenza dei requisiti richiesti (di cui all’art. 9 dl. 557/1993); variazioni della categoria catastale cui la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto valore retroattivo, dal quinquennio antecedente alla presentazione della domanda, in virtù della norma d’interpretazione autentica di cui all’art. 2, comma 5ter , del d.l n.102 del 2013, convertito in legge n. 124 del 2013 (Cass. n. 24020 del 2015; n. 24366 del 2016; n. 3226 del 2021, n. 16252 del 2021)»;
«In seguito, l’art. 13, comma 14bis , del D.L. 6 dicembre 2011 n. 201, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011 n. 214 ha stabilito che le domande di variazione di cui al predetto D.L. 13 maggio 2011 n. 70, convertito, con modificazioni, dalla Legge 12 luglio 2011 n. 106, producessero gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo»;
-«Ancora, l’art. 1 del D.M. 26 luglio 2012 ha disposto che: ‘Ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed ai fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una RAGIONE_SOCIALE categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione. Ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralit à in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attivit à agricole), è apposta una specifica annotazione. Per il riconoscimento del requisito di ruralit à , si applicano le disposizioni richiamate all’art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133’»;
«L’art. 2, comma 5ter , del D.L. 31 agosto 2013 n. 102, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 ottobre 2013 n. 124, ha stabilito che: ‘Ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 3, comma 14 bis , del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di
variazione catastale presentate ai sensi dell’articolo 7, comma 2bis , del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali, producono gli effetti previsti per il requisito di ruralit à di cui all’articolo 9 del decreto legge 30 dicembre n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994 n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda’»;
«Si tratta di disposizioni che disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione da ICI, sulla base di una procedura ad hoc, che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme (Cass., Sez. 5″, 30 dicembre 2020, n. 29864; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29283)» (così Cass., Sez. T., 18 maggio 2023, n. 13710 e Cass., Sez. T, 17 maggio 2023, n. 13619; nello stesso senso, tra le altre, Cass., Sez. T. 18 ottobre 2023, n. 28896; Cass., Sez. T. 18 ottobre 2023, n. 28851; Cass., Sez. T. 30 giugno 2023, n. 18566; Cass. Sez. T. 8 giugno 2022, n. 18553 e le tante ivi citate).
4.4. La peculiarità della fattispecie in esame sta nel fatto che il riconoscimento del carattere rurale del bene è avvenuto all’esito della procedura docfa, per cui non può non ricevere applicazione, anche nell’ipotesi in rassegna, il principio di diritto più volte espresso da questa secondo cui per « le variazioni che conseguano a rettifica del classamento operato dal contribuente con procedura docfa , la successiva attribuzione, da parte dell’ente impositore, della rendita catastale costituisce, una volta notificata, la base imponibile anche per le annualità “sospese” suscettibili di accertamento», con decorrenza però «dalla data della denuncia e con inclusione anche RAGIONE_SOCIALE annualità ” sub iudice ” (v. Cass. 16679 dell’11/06/2021; 26347 del 29/09/2021; 10126 del 2019; 11472 del
2018)» , nel senso che « la decorrenza retroattiva, ai fini dell’adeguamento dell’imposta ICI, opera, dunque, dal momento della richiesta di attribuzione della rendita catastale attraverso il docfa, per i periodi successivi alla denuncia di variazione o di attribuzione della rendita, a prescindere dall’epoca di notificazione o di definitiva attribuzione (sul punto anche Cass. n. 16701/2007; n. 2017, n. 27024, in motiv; Cass. 7434/2014; SS. UU. 3160/2011; n. 9595/2016; n. 4613/2018; n.22653/2019, in motiv.; Cass. n. 29898/2020, in motiv.; n. 16679/2021, in motiv. (così Cass. Sez. T, 15 marzo 2022, n. 8358 cit. e, nello stesso senso, tra le tante, Cass. Sez. V, 4 luglio 2022, n. 21115 e, da ultimo, Cass., Sez. T, 15 giugno 2023, n. 17244)» (così Cass. Sez. T., 17 agosto 2023, n. 24699).
In tale direzione, va condivisa l’affermazione della difesa del ricorrente nella parte in cui ha sostenuto che non è rilevante che l’atto di iscrizione in via transitoria in categoria D/8 da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, avvenuta il 23 novembre 2011, non sia stato impugnato, risultando sostituito con efficacia retroattiva dalle iscrizioni conseguenti alla domanda presentata dall’interessato con la procedura docfa.
4.5. Nondimeno, detta osservazione va precisata con il rilievo secondo il quale l’effetto retroattivo, per la specificità della procedura adottata (docfa), consentanea alle variazioni effettuate, che hanno condotto al riconoscimento della ruralità prima esclusa, risale alla data della denuncia e, per quanto sopra detto, opera per gli anni successivi alla stessa e quindi non per quella dell’anno 2007, oggetto di causa, siccome antecedente alla predetta dichiarazione docfa del 10 agosto 2012.
La pretesa del contribuente non si è agganciata alla presentazione di una mera domanda di variazione catastale per la sussistenza dei requisiti di ruralità allo scopo di raggiungere in un breve arco temporale la regolarizzazione dei fabbricati rurali che non risultavano accatastati nella corretta categoria catastale, ma alla
presentazione di una ordinaria domanda per la procedura docfa, che non ha, invece, decorrenza retroattiva quinquennale (cfr., sul principio, Cass., Sez. T. 8 giugno 2022, n. 18553), giacchè solo la domanda di variazione catastale riconducibile alla previsione dall’art. 7 d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (conv., con modif., dalla l. 12 luglio 2011, n. 106) può produrre effetti dal quinquennio antecedente (cfr. Cass., Sez. T, 22 maggio 2023, n. 14101, che richiama Cass., Sez. 5, 19 maggio 2017, n. 12689) .
Né poteva essere diversamente, poiché in presenza di un’attribuzione catastale per effetto del provvedimento del 23 novembre 2011, non oggetto di impugnazione, il superamento di tale classamento e la sua sostituzione poteva avvenire solo in ragione di un rappresentato e dimostrato mutamento dello stato di fatto, con efficacia dalla denuncia di tali eventi, come sopra esposto, non potendo altrimenti la variazione catastale essere affidata ad una autocertificazione per giunta contraria al pregresso, non risalente, accertamento dell’ufficio.
Ragionare diversamente comporterebbe una ingiustificata elusione, siccome consegnata alla sola autocertificazione di parte per giunta contraria agli accertamenti fattuali compiuti, del precedente provvedimento di attribuzione (per quanto provvisoria) di iscrizione catastale del 23 novembre 2011, superato con l’atto del 30 maggio 2013, solo a seguito RAGIONE_SOCIALE rettifiche operate con la menzionata procedura docfa.
Per tali ragioni, i predetti motivi di ricorso vanno rigettati.
– Sui restanti tre motivi (nn. 4, 5 e 6) relativi ai manufatti realizzati su terreno demaniale –
5.1. Con il quarto motivo, NOME COGNOME ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, art. 2, comma 1, lett. a ), d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 3, comma, d.m. Finanze 2 gennaio 1998 n. 28 (‘Regolamento recante norme in tema di
costituzione del catasto dei fabbricati e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale’), assumendo che sono state disapplicate dal giudice a quo le norme richiamate, nella parte in cui prevedono che non sono soggetti ad ICI i fabbricati che non sono sottoposti all’obbligo di accatastamento, perché precari e privi di copertura, come acclarato per questi due manufatti dall’RAGIONE_SOCIALE.
5.2. Con la quinta doglianza il contribuente ha denunciato, con riguardo all’art. 360, primo comma, num. 5 cod. proc. civ. l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché, a mente dell’art. 360, primo comma, num. 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 132, primo comma, num. n. 4, cod. proc. civ. per mancanza di motivazione ed ancora, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 111 e 3 Cost., sostenendo che la Commissione non avrebbe preso in considerazione i fatti decisivi che riguardano l’accertamento compiuto dall’RAGIONE_SOCIALE sulla mancanza dei requisiti per l’accatastamento e la conseguente soppressione della iscrizione catastale, per errato censimento, avvenuta con provvedimenti di variazione del 12 febbraio 2013 n. 5351.1/2013 (per la p.lla 610/1) e del 14 febbraio 2013, n. (per la p.lla 543/1).
5.3. Infine, con la sesta ragione di impugnazione l’istante ha dedotto, con riguardo all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ, nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 111 e 3 Cost., ponendo in rilievo che in merito alla domanda di annullamento dell’avviso di accertamento per la parte relativa ai due manufatti precari su suolo demaniale il Giudice di appello non si è affatto pronunciato.
Anche in tale caso, può procedersi ad un esame unitario dei motivi di impugnazione, siccome connessi.
6.1. La sentenza impugnata non reca alcuna menzione del motivo di appello concernente i predetti due manufatti eretti su suolo demaniale, né alcuna disamina su tali beni.
6.2. Nel ricorso l’istante ha rappresentato che:
-con l’originaria impugnazione « per i due fabbricati su terreno demaniale, è stato precisato che si tratta di manufatti precari, sottolineando che non era stato possibile chiedere la rettifica catastale perchè non ricadono su terreno di proprietà» (v. pagina n. 6 del ricorso);
la sentenza di primo grado aveva rigettato il predetto motivo di ricorso, assumendo che per « i manufatti su terreno demaniale sarebbe sufficiente per confermare l’imposta che il ricorrente li abbia costruiti e li possiede»;
-nell’atto di appello ha ribadito che in questo caso si tratta di manufatti precari non soggetti ad accatastamento e, come tali, non ricadono nell’ambito di applicazione dell’ICI, precisando che le due unità immobiliare originariamente iscritte dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sono state poi soppresse per ‘errato censimento’ dalla stessa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE», come attestato dalla documentazione prodotta sin dal primo grado di giudizio (v. pagina n. 7 del ricorso).
6.3. La difesa del Comune ha eccepito la novità della censura, ponendo in evidenza che nel ricorso originario il contribuente aveva lamentato di non poter « provvedere al relativo accampionamento in quanto ricadendo su suolo demaniale questi immobili non possono considerarsi di proprietà del ricorrente» (v. pagina n. 29 del controricorso), segnalando che l’istante, invece, avrebbe dovuto replicare alla sopra menzionata valutazione espressa dal primo Giudice « anziché aggiustare il tiro ricorrendo ad argomentazioni nuove, tardive ed inammissibili, afferenti cioè la questione della non accatastabilità dei due beni perchè precari, assenti nel ricorso introduttivo e sulle quali non si era controvertito in primo grado» (v. pagina n. 32 del controricorso).
6.4. Nel delineato contesto, va osservato, che, stante l’omessa pronuncia da parte del Giudice regionale, i tre motivi non possono che ridursi alla violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. di cui alla sesta censura, che assume valore assorbente rispetto alle precedenti, e, sotto tale profilo, deve osservarsi che i profili di inammissibilità del motivo in esame concorrono.
La doglianza, infatti, non contiene (in violazione del canone di autosufficienza) una puntuale trascrizione o riassunto del motivo di ricorso originario e del motivo di appello sulla suddetta questione, che non è stata scrutinata dal Giudice del gravame, restando, pertanto, preclusa la verifica, sulla base della sola lettura del ricorso, del puntuale contenuto RAGIONE_SOCIALE domande proposte; già per tale ragione il predetto motivo risulta, dunque, inammissibile per difetto di autosufficienza.
6.5. Può aggiungersi per completezza di analisi che dalla laconica sintesi contenuta nel ricorso emerge che in primo grado il ricorrente aveva fondato il motivo di impugnazione sul punto in esame, sottolineando che non era stato possibile chiedere la rettifica catastale in quanto i manufatti non erano di proprietà dell’istante.
In effetti, la domanda è stata considerata dal primo Giudice nei suddetti termini, giacchè, nel riportare i contenuti del ricorso del contribuente, la sentenza della Commissione provinciale dava conto che questi aveva sostenuto che i beni erano « costituiti da tettoie elevate su suolo demaniale per cui non possono essere di proprietà di esso ricorrente», rigettando poi tale assunto, considerando condivisibile la difesa del Comune che, a tal proposito, aveva osservato che « il ricorrente ha costruito (pur senza titolo) e possiede il manufatto in questione il che è sufficiente per farne il soggetto passivo dell’imposta» (così nella sentenza di primo grado).
Da quanto precede, dunque, non par dubbio che nel corso del giudizio di primo grado si era discusso della non tassabilità dei predetti manufatti in quanto non riconducibili al diritto dominicale del ricorrente, mentre il motivo di appello, basato sulla diversa
ragione della non accatastabilità dei beni perché precari e privi di copertura, aveva aperto un distinto tema di indagine, di natura fattuale e giuridica, fondato sulla natura precaria dei beni e sulla loro non accatastabilità, così puntando su di un diverso titolo per rivendicare l’esenzione dal pagamento della tassa.
In tale direzione, all’omessa pronuncia da parte del Giudice regionale può porsi qui rimedio, dichiarando inammissibile il relativo motivo di appello perché integrante una nuova ragione di impugnazione avverso l’atto contestato.
7. – La decisione –
Alla stregua RAGIONE_SOCIALE considerazioni svolte i ricorsi vanno rigettati.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura di cui al dispositivo.
Va, infine, dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte del ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso contro il provvedimento di diniego di definizione agevolata della controversia ed il ricorso principale.
Condanna NOME COGNOME al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del presente grado di giudizio che liquida in favore del Comune di Pistoia nella misura di 3.000,00 € per competenze, oltre accessori ed alla somma di 200,00 € per esborsi.
Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte del ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 novembre